Tav. I.
Bestie e Cristiani - Pag. 9.
Picchia una schioppettata. La volpe sparisce, la gallina
resta morta però....
UOMINI E BESTIE
U\C>u
FERDINANDO PAOLIERI
UOMINI E BESTIE
NOVELLE
FIRENZE
LUIGI BATTISTELLI, Editore
1920.
PROPRIETÀ LETTERARrA
Sancasciano-Pesa. Stab. Tipo-Lit. Stiantù
BESTIE E CRISTIANI
BESTIE E CRISTIANI.
Come ai vecchi i quali, ormai fuori di
combattimento riguardo alle belle donne, si
sbizzarriscono a raccontare le avventure del
tempo che fu, mi sia perdonato questo piccolo
sfogo consistente nella rievocazione di qualche
ii tipo n conosciuto, di qualche curioso fatto
accaduto in una dozzina d'anni d'assiduo eser-
cizio di caccia
Ho conosciuto un bracconiere, un giova-
notto alto, fortissimo, che poteva beversi a
garganella un fiasco di vino a digiuno. Mori,
pare impossibile tubercoloso. Era capace di
cose enormi. Una sera si decise d'andare a
a frugnolo n colla neve; siccome faceva un
freddo da mozzare il fiato ci si riscaldò prima
con una cena formidabile.... a rischio di bu-
scarci una congestione! Roba da pazzi.
Quando si usci fuori il Moro (lo chiama-
vano cosi) era briaco fradicio. Lo credereste?
Si buttò in una siepe a dormire sulla neve, e
quando ripassammo dopo qualche ora a ripren-
derlo saltò in. piedi contento come una pasqua.
Grli era passata la sbornia!
Mi rammento le gioconde cacciate di quei
tempi ! Si partiva in quattro, cinque dall' Im-
pruneta e, a piedi, s'andava sui monti del
Valdarno. Si dormiva da un contadino, tutti
in un letto grande come un'aia. In un altro
lettino dormivano, accatastati i contadini ; anche
la donne, che si spogliavano, al buio, dopo
che s'era entrati nel letto noi altri. Una notte
si cominciò a litigarci la coperta, insufficente,
e pigia di qua, tira di là, fui buttato di sotto
al letto altissimo. Io, sentendomi cascare, an-
naspai colle mani, agguantai roba, m'attaccai....
Erano spannocchie di granturco che pendevan
dal soffitto basso a travicelli ! Naturalmente
ruzzolai, ma siccome non avevo abbandonato
la coperta del letto, tutti gli altri rimasero a
tremare, mentre io accortomi da violenti do-
lori in varie parti carnose d'esser cascato so-
pra un mucchio di patate cominciai alla cieca
a tempestare con quei proiettili; ma li tiravo
alti e andavo a colpire i contadini che dormi-
vano in fondo alla stanza.
— Ohi ! sentivo urlare ogni pochino....
A farla corta, quando la mattina ci s'alzò
per venir via dovetti ripagare tutti i vetri dei
santi che stavano appesi ai muri della camera ;
ma non basta! siccome m'ero rinvoltato nella
coperta e avevo finito coli 'addormentarmi in
cucina nel canto del fòco, mi accorsi in breve
che non ero più solo....
Non so se mi spiego; si vede che li usavano
andare a riposarsi i poveri o i a fuorusciti n
di passaggio e non avendo nulla da lasciare
in ricordo, lasciavano quelli....!
Su codesti poggi, una mattina, invece d'an-
dare a caccia con gli altri, m'ero indugiato in-
torno casa per via d'una ragazza che aveva
gli occhi celesti e le risate all'ordine del
giorno.... Era tutto un ridere; bastava che la
chiamassi per nome : Beppinaaaa ! e giù, perle
che si sgranavano, solfeggi, trilli, una risata
semitonata che durava cinque minuti !
Dunque m'ero trattenuto intorno casa e fi-
gurando di voler tirare ai merli, guardavo
cautamente se c'era verso di trovar, sola, la
venere agrejte....
Ann tratto sento un grand' urlio: Rendimi
la gallina! rendimi la gallina!
Sbuco di dietro la macchia, dov'ero appiat-
tato, sulla viottola e (fu un attimo, un lampo,
una visione) veggo una volpe, enorme, con una
gallina, viva, in bocca.
Picchia una schioppettata. — La volpe
sparisce, la gallina resta morta, però.... L'avevo
ammazzata io!
Una volta s'entrò in bandita. Si spadella-
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ron le starne, si spadellò uaa lepre, finalmente
eccoti un guardacaccia e due uomini.
I miei compagni eran giovinotti del popolo,
un po' lesti di lingua.
— Signori hanno il permesso ?
— Sulle bocche del fucile!
— Bisogna che vadan via! capiranno, se
no io perdo il pane, glielo chiedo per piacere...
— Cosi sta bene. Di dove s'esce?
— Mah ! di dove son venuti....
— Allora di qua.... E s'avviano in su.
— Ma no, di sotto, di sotto....
— Allora, da questa parte.... E fanno un
altro metro avanti....
II guardacaccia, un uomo grande e grosso,
dalla stizza, soffiava camminando dietro a noi.
A un tratto un certo Pozzesi si rivolta
bruscamente e gli dice in pretto vernacolo:
— 0 icchè la fa? che è pazzo, a soffiare
in codesto modo? La un lo vede son tutto
sudato....
Un medico, mio compagno d'avventure,
vent'anni or sono entrò nella tenuta di Leccio,
di cui è oggi proprietario il mio amico avv.
Landò Landi, e, guardando ferocemente il
guardia che voleva sapere le generalità, disse
sdegnoso: Sono il Sindaco di Prato!
Il fratello dello scultore Raffaello Romanelli,
il compianto Romano, uomo dotato di forza
— 11 —
addirittura fenomenale, ad un u guardia n
che gli contestava la contravvenzione strinse
un braccio con tal violenza da far vedere al
pover'uomo le stelle e nello stesso tempo lo
costrinse a ballare una farandola scapigliata.
Il guardacaccia che credè d'essersi imbat-
tuto in un pazzo^furioso ebbe a morire dalla
paura.
Queste, si capisce, sarebbero prepotenze
belle e buone; ma invece eran prepotenze ri-
pagate, dopo, con fogli da dieci lire e sigari,
e finivano in risate generali.
Invece ci sono i bracconieri i quali son
convinti che in tutti i boschi, anche recinti,
ciascuno abbia diritto di cacciare e che il di-
vieto sia un sopruso feudale, un avanzo del
medioevo !
Ne ho conosciuto uno (un bracconiere, non
un avanzo del medioevo) al quale il padrone
d'una bandita uccise il cane da lepre. Bene!
per evitare guai, quegli fu obbligato a per-
mettergli di cacciare nella tenuta a patto che
non tenesse più animali. da seguito.
Questi cacciatori u di mestiere v sono ter-
ribili. Conoscono bene i boschi e meglio le
astuzie, le scappatoie del contrabbando. Spesso
non hanno licenza e in tempo di divieto ten-
dono lacci, pignòle, vanno colla balestra, col
diavolaccio o cercano faine, donnole, volpi.
— 12 —
martore, ghiri, che rivendono ai pellicciai in
città.
I carabinieri poco pratici della foresta sono
impossibilitati a chiapparli. Una notte, da ra-
gazzo, presi parte a una cacciata col diavolaccio.
Sapete cos'è. Un enorme ombrello di giun-
chi impaniati, una lanterna cieca in cima, e
dietro qualcuno col campanaccio che imitando
il don-don della mandra al pascolo toglie
agli uccelli dormienti il sospetto. Spalancata
la lanterna, quelli accecati dalla luce si pre-
cipitano dall'albero battuto con la pertica e
vanno a impaniarsi nel u diavolaccio n che
vien proteso verso di loro.
I carabinieri, messi sull'avviso da qualche
spia, ci diedero la caccia. Fu divertentissimo,
perchè fatti pochi passi ci si fermò, chi dietro
un albero, chi dietro una macchia, nell'oscurità
più completa, mentre i benemeriti militi ruz-
zolavano, battevano negli alberi, e s'aggiravano
alla cieca, bestemmiando, nel folto dove non
raccapezzavano più nulla.
Un'altra volta alcuni bracconieri inseguiti
da dei guardacaccia, tornarono la notte seguente
nella boscaglia, segarono un asse d' una paran-
cola sopra un fosso, poi spararono due colpi
di fucile.
Le guardie corsero, i bracconieri saltarono
il fosso a pie pari, le guardie si inoltrarono
— lo —
sulla paranco la pencolante e capitombolarono
coscenziosamente nel fondo, senza, per fortuna
prodursi gravi ferite.
Incurante del freddo, dell'acqua, della
guazza che penetra da per tutto il bracconiere
è una specie d'uomo selvaggio il cui tipo
s'avvia a sparire lentamente anche da noi.
Peccato ! perchè i loro racconti, le loro abi-
tudini, la loro resistenza fisica hanno fornito
oggetto di studio e materia a novelle, comme-
die, romanzi.
Il bracconiere non è, in generale, un gi-
gante. S'ingannerebbe chi se lo immaginasse
alto, muscoloso roseo.... Son gente, per lo più,
tutta pelle e ossa, finiti dalla fatica bestiale,
laceri, pallidi giallastri, dediti all'alcool e mai
sprovvisti d' una pipa grumosa che guasterebbe
gli stomachi più sani.
Eppure camminano giorno e notte, a tutti
i tempi, per boscaglie desolate, senza un aiuto,
senza un compagno, fuori che il cane il quale
spesso torna a casa colle orecchie buttate in-
dietro e la coda bassa a raccontare la misere-
vole fine del padrone.
Bisogna aver provato a andare a caccia dav-
vero, per poter dire cosa è la vita del bosco.
Senza essere mai stato un gran cacciatore,
ho potuto studiare molto da vicino cotesta
vita aflfasciuante e posso dire di aver provato
— 14 —
certe sensazioni alle quali ora mi rincresce-
rebbe d'espormi, salvo il caso di necessità
imprescindibili....
Chi può dire l' effetto che fa, nel Dicembre,
prima che si levi il sole, quando i boschi sono
azzurri d'una brinata più gelida dell? neve
stessa, a tuffarsi (è la parola !) nelle scope più
alte di un metro! E come entrare vestiti in
un pozzo gelato !
Lo stomaco reclama il sussidio àeìV alimento
di risparmio^ dell'alcool, che guasta e sciupa
il sistema nervoso, ma del quale non si può
fare a meno a rischio di cadere congestionati
o basiti.
Ed è necessario usare calze di lana e por-
tarne di ricambio ; tutti i vecchi cacciatori sono
dei reumatici o degli artritici.
Una volta (beata età! avevo diciassett'an-
ni....) vicino alla Panca in Valdarno bevvi
molta acqua da una sorgente, ed era cosi lim-
pida e cristallina che appannava subito il ve-
tro ; dovetti però durar fatica a raggiungere
i compagni e fui preso da sudori, vertigini,
accompagnati da una piccola febbre.
Una vecchia contadina mi fece spogliare, mi
mise in un gran letto, mi copri con pannilani
pesantissimi, poi mi fece bere un bicchiere di
vino bollente con dentro un dito di pepe e in
cui era stato un ferro arroventato a bianco.
- 15 -
La contadina si chiamava la Lucia (non
Lucia) cioè a la tacchina n e la sua u fattura n
mi fece tanto bene che essendomi ammalato alle
dieci del mattino, alle cinque di sera potei
riprendere la via di casa e arrivato a Strada
in Chianti, mangiare del pane con del salame
e bere un bicchiere di vino generoso che fini
di rimettermi in gamba.
Sui poggi ho, del resto, assistito a ben altre
scene di medicamenti.... primitivi.
Ho visto i boscaioli cacciarsi un ferro da
calza arroventito in un dente cariato ! Eppure
quella cauterizzazione crudele tal volta, li gua-
risce !
Nel Chianti, nel Valdarno, non sono vere
e proprie foreste come in Maremma, però vi
sono boscaglie folte di querci e castagni dove
è impossibile per un poco cercare un indivi-
duo, finche la fame non lo fa uscire, come il
lupo.... dal bosco!
Una mattina, saranno dieci o dodici anni,
sotto il castello di Mugnana, un uomo male
in arnese sbucò sulla via maestra dove io me-
lanconicamente insieme a un bracconiere e a
una cagna da lepre mi affrettavo verso la fat-
toria e.... la trattoria, sotto un acquerugiola
autunnale fitta e gelata come nevischio.
L'uomo salutò il bracconiere che mi disse
sotto voce: Gli dia da fumare.... Io stavo ca-
— le-
vando il portasigari, quando alla svoltata, sotto
un grande ombrello verde di tela incerata,
sbucarono due cappuccini.
Fu un lampo! l'uomo scomparve, saltò la
macchia bassa, come un daino e dileguò men-
tre i frati, buttavan via ombrello e cappuccio,
e sollevandosi la tonaca, si davano all' insegui-
mento.
Era un ricercato; ma non lo poterono, al-
lora, pigliare, perchè ben presto si nascose
dietro gì' insidiosi poggetti d'onde raggiunse
i boschi foltissimi di corbezzole e aspri di
macigni che si stendono sotto il monte della
Bardella.
Non aveva ucciso nessuno, ma, in tutto,
aveva accumulato per qualche lustro d'anni
di carcere e scorazzava le campagne terroriz-
zando i nostri mitissimi contadini, senza de-
cidersi a costituirsi.
Il bracconiere, Foffo, mi raccontò poi dove
dormiva quel malandrino che era stato un tempo
suo onesto (allora!) compagno di lavoro a una
fopnace.
Dormiva nella stanza mortuaria del piccolo
cimitero di Serzate di cui aveva scassinata la
porta e di cui scavalcava il muro ogni sera !
Vi figurate quelF uomo che dorme nel cata-
letto^ in una stanzuccia mortuaria, mentre di
fuori la luna splende sopra le croci e stride
- i: -
la civetta, o il vento urla, fischia, mugola e
scuote le pareti della stamberga, o la pioggia
e i fulmini scrosciano e rombano nelle gole
della montagna?
Ma i più belli, i più poetici, i tipi veri
del buon tempo antico che piacciono tanto a
me ormai un po'.... passatista nonostante i miei
quarant' anni sono i preti di campagna e quei
cacciatori dei monti che non hanno mai sa-
puto cosa sia un porto d'arme!
Ho conosciuto uno, dei primi, assai vecchio,
i contadini del quale presentavano la strana
caratteristica (i più giovani) di somigliare tutti
a lui! Ed erano parecchi....
Un altro portava in tasca una boccetta di
laudano perchè il suo cane soffriva di coliche
e spiegava il vangelo, dall'altare, ai popolani
con paragoni di questo genere: Volete avere
una idea della santissima trinità? Pigliate il
forcone del a concio n ; ha tre denti e un ma-
nico solo.... Ecco le tre persone in una!
Dei secondi ricorderò sempre u Rigo ??....
Cosa ne sarà successo? Aveva uno schiop-
po a bacchetta a una canna; ma sul calcio
del fucile, a furia di coltello, Rigo era riu-
scito a intagliare una testa di lepre che
un amatore di cubismo pagherebbe oggi chi
sa quanto.
•Povero Rigo! Cantava di poesia e sapeva
• — 18 —
a memoria i Reali di Francia e il Guerrin
Meschino.
Non è una posa, lo giuro; ma udendolo,
una sera, nel canto del fuoco, raccontarci la
vita di Buovo d'Antona, ho travisto, per un
istante, un mondo cosi meraviglioso e affa-
scinante che, pensando al dimani quando sarei
disceso verso la città e gli uffici del mio gior-
nale, ho represso a stento le lacrime.
In questo libro ho riunito qualcuno dei
miei vecchi amici degli anni più dolci; ho
rievocato qualche figura bizzarra, qualche aned-
doto caratteristico, dei paesaggi, che ride-
steranno la nostalgia a parecchia gente, ma
specialmente a chi s'accorge che il tempo
passa....
Tav. II.
Caccia grossa - Pag. 31.
Un magnifico zingaro... cullava fra le braccia... uno
stupendo scimmione moribondo.
CACCIA QKOSSfl
caccia GROSSA.
— Ma è lina cosa grave!
Cosi disse il dottore, rialzandosi dopo la
auscultazione, e guardando in faccia noialtri
che ci si stringeva in gruppo, ansiosi e stupe-
fatti, intorno al lettuccio dove Guglielmo, il
capoccia, giaceva esanime col largo petto vil-
loso scoperto che si alzava e si abbassava rit-
micamente nel sonno profondo, una specie di
tt coma n simile a quello in cui cadono i cloro-
formizzati.
Dalla tempia destra sotto una ciocca di
capelli grigi scendeva un tenui filo di sangue
raggrumato e si fermava a metà della guancia
tagliandola in due, come una gran ferita.
Il medico intanto toglieva in mano l'astuc-
cio, ne estraeva una fiala di caffeina, la rom-
peva in cima, la versava nella siringa e faceva
un'iniezione al paziente.
Questi dopo un istante, sospirò con forza,
apri gli occhi, li richiuse, contrasse i muscoli
poderosi e ricadde, abbandonato, sul letto.
_ 22 -
— Meno male, esclamava il dottore rispon-
dendo alla nostra interrogazione, meno male!
— C'è speranza?
— Crederei di si. — Chi ha del cognac?
Io gli porsi, in silenzio, la mia fiaschetta ;
il medico si fece dare un cucchiaino, forzò
col manico ad aprirsi le labbra spasmodica-
mente serrate del contadino, gli versò in gola,
a viva forza, l'alcool.
L'effetto fu quasi immediato, Guglielmo si
riscosse e si svegliò, borbottò alcune parole
incomprensibili, poi, curvando la testa sul
petto: Ho sonno... mormorava, e riabbassò le
palpebre.
Ormai però il pericolo della congestione
pareva eliminato e il medico cominciò a lavare
il taglio profondo col sublimato, a spennellarlo
coir iodio a fare insomma tutte le operazioni
solite a farsi in certe circostanze; intanto si
sentirono per fa scaletta dei passi pesanti e
di li a un momento le fiamme pallide delle
lucernine a tre becchi illuminarono i bottoni
lustri e gli u sciaccò n dei carabinieri.
— Possiamo interrogare il ferito?
— Non ancora, abbia un po' di pazienza,
brigadiere....
— Egli è che vorrei mettermi subito a
battere il bosco...
— Veda, c'è qui questo signore (e il me-
- 2B -
dico accennava ine) che può dirle subito qual-
cosa, e il suo uomo che forse può dirle anche
di più...
— Perbacco! ma allora, animo! mi dicano
tutto....
— Io, cominciò Foffo con enfasi, ho più
coraggio d'un leone e credo di averne date
anche le prove.... lei si deve figurare signor
brigadiere, che dieci anni fa nella macchia di
Malafrasca....
— Per carità intervenni io, se si comincia
in questo modo domattina siamo sempre al
medesimo punto.... mi permette?
— Bravo! parli lei.
— Mi sbrigo in due parole. S' eran rotte le
starne, si battevano e si ribattevano, senza riu-
scire a fermarle ; sono indiavolate, non so co-
s'abbiano addosso....
— Sono ammalizzite per via de' cani da
lepre....
— Sarà come dice Foffo; fatto sta che a
furia di giri e rigiri, di mezze puntate, ci
hanno condotto nel folto della selva.... lei ha
capito, quel bosco tutto di pini vecchi, altis-
simi.... cieco, nero, dove le scope arrivano alla
cartuccera....
— Vada avanti.
— Bene, prima di entrare in codesto labi-
rinto io dico a Foffo: tu vai di sotto, dalla
- M -,
parte di fuori del bosco, e fammi la contro-
posta so mai le starno frullassero a mó e non
mi riuscisse di tirare per via del fitto.... E
Foifo ci va. Io, invece, mi caccio nel forte e
non perdo d'occhio la cagna. Questa, a un
tratto, rizza gli orecchi, si schiaccia e.... ci
siamo, dico dentro di me, e m'imbraccio. Ma
la cagna rizza il pelo, ringhia, fiuta da tutte
le parti, poi alza il capo in alto e avventa....
in su, per aria, capisce ?
— Capisco.... ossia non capisco nulla!
— E nemmeno io, glielo assicuro! Insomma,
nel mentre, a costo di sciupare un tiro, preso
dalla curiosità, sto per ordinare alla cagna di
dare, cioè di buttarsi ; e badi che è una bestia
finissima, non lo fa mai....
— Per carità, venga al fatto.
— Scusi, ci sono; nel mentre sto in quel
procinto, sento uno sfrascheggiare terribile;
come il rumor d'una corsa; qui cignali non
ce ne fanno.... caprioli neppure.... la volpe, il
tasso.... non avrebbero a far quel brusio ! Cosa
vuole pensassi? Mi metto in ascolto col fucile
pronto ; la cagna ringhia e dà addietro, dà ad-
dietro, finche viene a rifugiarsi tra le mie
gambe; contemporaneamente sento Foffo che
urla ; corro, incespico, casco, senza raccapezzar
nulla in quel fittume, finche fra due tronchi
di pini, rompendo le scope col petto, graffian-
- 25 -
domi, lasciando lembi di cacciatora a tutti i
pruni, esco alla luce e ti trovo il mio uomo
che tremava, tremava....
— 0 cosa era successo?
— Foffo diglielo te.
u Era successo, che, appena m'ero fermato
per aspettare il frullo delle stame, sentii un
grand' urlo lontano, dalla parte dei campi ; un
urlo come di uno, salvando tutti, che mòia
ammazzato, e di li a poco un rumore di rami
stroncati e poi vedo venire di corsa un uomo ;
ma che uomo ! una bestia feroce, signor bri-
gadiere, un coso tarchiato, nero, coi capelli
lunghi sulle spalle, la barba fin qui, gli occhi
accesi che parevan carboni, la bocca aperta, più
rossa del fuoco, vestito di verde con certi
affari d'oro sul petto che brillavano al sole
come le fiamme... e andava! non glielo so
descrivere.... l'ha vista la lepre, lei? tale e
quale ! Appena mi vede fa un salto di sbieco,
grida qualcosa somigliante allo sgnaulio di
di un gatto selvatico e si tuffa nel bosco. Io
il fegato di sdraiarlo ce l'avrei avuto, ma bi-
sognava che avessi saputo a quel che tiravo,
ne conviene? 0 cosa sarà stato, me lo dice lei,
quell'animale?
— Probabilmente, un uomo.
— Sarà come dice lei, ma a me parve una
bestia. Insomma caccio un urlo per avvertire
— 26 —
il sor Ferdinando, lui arriva, gli racconto il
fatto ; si fruga, si cerca, si guarda e j&nalmente
sul confine dei campi, proprio sotto l'ultimo
pino, si trova Guglielmo moribondo col sangue
che gli usciva dal capo a fontana. S'è chia-
mato soccorso, ci hanno sentito, sono scesi givi
da tutte le parti e eccoci qui.
— 0 che pasticcio è questo?
— Il pasticcio è, disse il figliolo maggiore
di Guglielmo che aveva ripreso fiato e voce
vedendo riaversi pian pianino il suo babbo, il
pasticcio è che se non ci fossero lor signori,
mi saprei far giustizia da me !
— Smettiamo di fare il gradasso e non
diciamo sciocchezze. Voi pensate subito a male :
e andate sempre a ricercare le questioni di
vent'anni fa!
— Sicuro ! Perchè a me non mi si leva di
capo; chi fu che dette il malocchio a Giot-
tino? Quella strega della mamma di Gigi!
Chi fu che ci avvelenò Tombolo, l'anno pas-
sato? Gigi! Chi c'è che sia capace di tirare
un sasso con quella forza, con quella preci-
sione e di lontano da non esser visto? Il
figliolo di Gigi. — Ecco, e proprio per via
delle questioni di venti anni fa.
— Se non c'è sotto qualcosa di peggio!
sentenziò Foffo guardando il ferito che ripi-
gliava colore a vista d'occhio, perchè a me,
- 27 -
nelle cose, mi piace di leggerci chiaro, e qui,
invece, c'è del buio e di molto.
— Vedremo; concluse il brigadiere; e, scuo-
tendo la testa picchiò sulla spalla del bollente
Torello dicendogli: calma, calma, giovinetto!
Quindi rivolgendosi al medico: si tratta poi
di un sasso davvero ?
— E chi lo sa? un corpo contundente di
certo; ma più rotondo che acuminato.... a lei,
guardi che cerchio livido intorno alla ferita....
Si rifece circolo giro giro al letto, mentre
Guglielmo apriva gli occhi e ci guardava in-
tontito di veder tutti quei visi nuovi dei cac-
ciatori e dei carabinieri curvi su lui....
— Vi ricordate di nulla? potete discorrere?
— Ero a vangare.... ho sentito una gran
botta nella tempia.... son cascato nel solco a
capo all'in giù.... io non so altro davvero.
— C'è la luna?
— E come ! quasi piena....
— Andiamo sul posto, venga anche lei,
dottore....
— Vuole il mio fucile? disse Foffo.
— E tu vieni senza?
— Io resto qui, a veglia, se mai ci fosse
bisogno....
— 0 non avevi più coraggio d'un leone?
— Allora vengo! guardino come si fa.... e
caricò le canne colle cartucce del dieci.
- S8 --
Cantavano i grilli e splendeva la Itinà
sulle ondulazioni della campagna dormente,
mentre si scendeva in fila indiana per il sen-
tiero scosceso parallelo alla boscaglia.
Il brigadiere apriva la marcia, l'altro mi-
lite la chiudeva. Foffo nel mezzo, fra il me-
dico e me, sbraitava che avrebbe tirato anche
all'ombre; ma gli fu imposto silenzio.
Si era deciso di cominciare dal luogo del
delitto di cui la remota causale, benché accen-
nata da Torello, ci pareva sproporzionata agli
effetti i quali non erano stati funesti per un
prodigio. Tanto più, che, dopo una questione
di confine avvenuta venti anni prima, non
erano successe altro che quelle disgrazie impu-
tabili al caso e la famiglia nemica non aveva
ricevuto oltraggi di sorta veruna da quella
di Guglielmo.
Via via che ci si avvicinava all'estremo
limite della foresta le voci si facevano più
sommesse, i passi più cauti: si camminava
dissimulati nell'ombra delle piante, appoggian-
doci col calcio dei fucili alle anfrattuosita del
terreno che variava aspetto per le bizzarre
strisce lunari, soffermandoci ogni momento a
scrutare intorno : finché arrivati al posto, ci si
fermò uno dietro l'altro, quasi timorosi d' inol-
trare traverso il vivo lembo di luce che la viot-
tola, illuminata metteva fra il bosco ed i campi»
- 29 —
Nella enorme pace nolturna il cielo si
stendeva come un gran manto di velluto az-
zurro con quella lontana e fioca lampada silen-
ziosa nel mezzo, da cui piovevano morbidi
raggi di latte e, soli, dall'ombre verdi emer-
gevano i profili velati dei monti assorti in
una nebbiolina d'argento, le sagome nere e
paurose degli alberi immobili e, sul sonno ap-
parente di tutte le cose, le tremule tirate dei
grilli e i ritornelli beffardi delle lontanissime
rane misurati ai tenui respiri che venendo
dal fiume invisibile traverso i campi, ci alita-
vano in faccia freschi e profumati di fieni.
Tacevamo, dominati, se non tutti compresi,
dalla maestà di quella solitudine meravigliosa
di cui hanno il segreto le notti toscane, e gli
occhi abituandosi all'oscurità, distinsero al fine
i sassi, le pagliuzze splendenti, l'ombre, le
buche, i cespugli, l'argine del podere, il solco
cinereo e qualcosa che lo maculava nel mezzo ;
il sangue rappreso che il lume di luna fa-
ceva nero.
Ciascuno di noi, al tempo stesso, per quel
fenomeno visivo a cui ho già accennato, di-
stinse tutto -ciò ed anche, contemporaneamente
un oggetto rotondo che giaceva fra quelle zolle.
Allora uscimmo tutti insieme dall'ombra,
e, superata di un balzo la viottola, ci affol-
lammo sull'argine intorno al brigadiere che
- 3Ò-
aveva raccolto l'oggetto e l'esaminava curio-
samente : una giovane pina, durissima, nocchie-
ruta, ancor gocciolante di resina e macchiata
di sangue alla sommità!
Per istinto, sempre insieme, ci venne fatto
di levare gli occhi all'ultimo pino del bosco,
situato però ad una distanza assai rispettabile,
e fu ventura, perchè nel medesimo istante
un'altra pina e più grossa della prima volò
dal fitto vellutato della chioma dell'albero e,
fischiando per aria, rasentò le teste di noi si
che si fece appena a tempo a schiacciarci in
terra, contro il greppo, e scamparla.
Si rimase cosi qualche minuto col respiro
mozzo in gola, il viso prono contro l'odore
acuto delle zolle, mentre d' intorno piovevano
rabbiose, vibrate a furore, l'una dietro l'altra
pine su pine; finché i tiri furono meno pre-
cisi, e i duri frutti selvatici ruzzolavano a
distanza da noi giù per la viottola, fra le scope,
come se le mani che li scagliavano li strap-
passero, via, via dagli alberi più lontani ; al-
lora, in un intervallo, durante il quale udii
benissimo Foffo, che storpiava il « confiteor n
in modo assolutamente speciale, i due carabi-
nieri lasciarono andare in direzione dei pini
due. tre scariche di moschetto. E la pericolosa
pioggia cessò.
Ci slanciammo su per l'erta, di corsa, tenen-
- 31 -
doci pronti a saltare nel campo al primo segno
di pericolo, mentre le case sparse qua e là
per. le alture illuminavano finestre curiose e
si udivano i cani abbaiare furiosamente dalle
aie vicine e remote e voci e richiami incro-
ciarsi, resi più vivi dalla quiete notturna; ma
non avemmo a correr molto.
A un tratto Foffo che si nascondeva dietro
di me, cacciò un grido di terrore esclamando :
Eccolo ! eccolo ! e saltò dall'argine nelle zolle
con un balzo da lepre.
In cima alla viottola dove noi ci arrestammo
stupiti, riverberato dalla piena luce lunare,
un magnifico zingaro barbuto, dal vestito biz-
zarro e dai pendenti d'oro alle orecchie, coi
bottoni d'oro, colle fibbie d'oro (un avanzo,
secondo ogni probabilità, di qualche fiera re-
cente) inginocchiato a pie' d' un pino cullava
fra le braccia, soffiandogli sul muso il proprio
respiro, uno stupendo scimmione moribondo a
cui dalla caviglia inerte pendeva un lembo
di catenella strappata.
La povera bestia, colpita da una pallottola,
spirava gemendo come un cristiano e volgendo
due bellissimi occhi imperlati di lagrime verso
il desolato padrone il quale gridava dispera-
tamente parole a noi incomprensibili, invo-
cando forse il compagno diletto e il patrimo-
nio perduto.
Tav. ih.
// Mugherini - Pag. 36.
Qui dentro.... sbaglierò, ma questa volta ci ho messo da
campar bene tutta la vita,
IL nUQHEKINI
IL P1UGHERINI.
Un tipo uguale a quello non lo troverò .più,
vivessi mill'anni.
Nessuno seppe mai il suo vero nome; lo
chiamavano Mughet'inì e basta.
Aveva sempre campato, era sempre stato
felice, e contento, e non aveva fatto mai nulla.
Viceversa, durava più fatica lui che cen-
t'o£re.
La sua occupazione consisteva nel tender
lacci agli uccelli, raccattar funghi, cercar sassi,
e chiappar farfalle.
Sassi? Si, sassi. Chi lo vedeva doveva do-
mandarne alle lavandaie della Greve, per il cui
greto asciutto andava e veniva, anche di notte.
L'ho trovato io una sera,, su per l'erta del
Ferrone, che ansimava come un asino troppo
carico.
— Cosa ci avete, costi dentro ? Chiesi toc-
candogli la cacciatora di pelle di diavolo, usa-
ta, stinta, tutta gonfia di roba dura.
— Qui dentro, mi rispose, sbaglierò, ma
— 36 —
questa volta ci ho messo da campar bene tutta
la vita.
— Si potrebbe vedere?
— Se non vuol altro ! Scusi, ci avrebbe una
ciccliettina? Grazie tante.... sa, è per la pipa,
quella di radica che m'ha regalato il dottore...
o guardi!
E rovesciava sul margine erboso della stra-
da la carniera tutta piena di sassi, ciottoli
tondi di fiume, bianchi, azzurri, rosei, neri.
— 0 che cos'è codesta roba ?
— Lei ride? Lei scusi ride perchè non s'in-
tende di scienza. Ma io, veda, con tutta questa
roba, mi reco a Firenze alla Specola, e li, scel-
gono e mi pagano a secondo dei pezzi che li
interessano.
— E ve ne pigliano?
— Sa, ora per esempio è qualche anno che
non ne azzecco una, ma la girata a vóto non
me la fanno far mai e un trentino lo rimedio
sempre. E poi gli porto serpi, uccelli d'acqua,
grilli, farfalle, lei m'ha bell'e capito, tutta
roba di scienza.
Ne aveva sempre qualcuna da raccontare
di quelle grosse.
Mi diceva: Avevo trovato una lepre a un
laccio; che ti fo? l'agguanto, le do due botte
sugli orecchi, e, cosi morta, me la ficco in car-
niera. Avevo una cacciatora nova regalatami
— B7 -
dal figliolo del Conte che nou la portava più,
che era una bellezza! Arrivalo al borro della
Calosina, per via del caldo grande, mi butto
a giacere all'ombra dei pini, fra le scope ; ma
innanzi mi levo la cacciatora e la scaravento
da una parte. Poi m'addormento. Quando mi
svegliai la cacciatora non c'era più. La lepre,
che non era morta bene, aveva preso il volo
con la cacciatora e ogni cosa!
Una volta, però, ebbe fortuna davvero.
Trovò, sopra Strada in Chianti una specie
di grande sasso liscio, piatto, leggèro.
Glielo dissero tutti, subito: Codesto... non
è un sasso; è un osso e, se non fosse per la
grandezza, parrebbe una enorme lisca di pesce.
Lo trovò a una grandissima profondità nel
terreno scavato per cercarvi la mota adatta a
una fornace di mattoni.
Alla Specola gli dettero cento lire. Un pa-
trimonio per il Muglierini che seguitò un mese
a chieder consiglio a tutti sul come dovesse
spendere tutto quel denaro.
Pare che quel frammento fosse di una di
quelle piastre, o corazze del palato di certi
pesci antidiluviani i quali vivevano nell'acqua
bollente, sottoterra.
Non mi provo nemmeno a parodiare il rac-
conto del Mufiherini il quale coloriva a modo
suo la discussione che egli immaginava d'aver
— 38 -
avuto col professore del Museo. Mi ricordo
solamente cho finiva col dire : Da ultimo, fra
noi scienziati^ ci si trovò perfettamente d'ac-
«ordo .
Povero Mugherini ! colla sua barba rossic-
cia, il cappelluccio unto e sfondato, la caccia-
tora che non ne poteva più, le scarpe ricucite
che ridevano da tutte le parti, e le tasche
vuote di quattrini e piene di sassi, era un
uomo assolutamente felice.
Per esser felici bisogna ignorare il mondo ;
per questo v'ha chi cammina coll'occhio volto
alle stelle e chi cammina coll'occhio rivolto
alla terra.
Son due modi uguali per non vedere in
faccia gli altri uomini.
E poi il vagabondo è l'unico grajide filo-
sofo che esista, perchè il vagabondo è colui
il quale può vantarsi d'essere il più ricco della
terra poiché, nulla possedendo, possiede tutto.
Sue sono le grandi strade dove cammina, a
caso godendo il sole, suoi i campi e i boschi
dove s' infolta quando desidera, sua la solitu-
dine agreste che egli riempie di canti, sue le
fontane limpide, suoi i prati soffici d'estate, i
fienili caldi nell'inverno, dove dorme i più
bei sonni.
■ Il Mugherini provò tutte le delizie. Sdraiato
sopra una brughiera guardando il cielo formi-
— 3fi -
colare di stelle appicicava loro dei nomi fan-
tastici e gli pareva d'esser diventato Galileo.
Curvo sul greto del fiume, vedeva V intima
vita delle creature inferiori svolgersi tra il
fango e non invidiava le grandi scoperte del
Swamraerdam.
Se tutto è illusione quaggiù, il vagabondo
è un mago straordinario che riesce a fingere,
apposta per sé, qualunque meraviglioso mondo
ideale.
Il Mugheìnni senza saper legger ne scri-
vere, senza aver mai posseduto una zolla, ci
guardava tutti dall'alto in basso con un senso
di compatimento mal celato in fondo agli oc-
chi, da far rabbia! Mentre noi inseguivamo le
chimere fallaci della nostra introvabile gioia,
egli riusciva a chiappare a volo col cappellac-
cio sfondato, le Vanesse Atlante dai fiammeg-
gianti colori e a vedere in un rotondo sasso
di torrente le forme più divine a consolazione
dei propri sensi. Egli che nel nulla trovava
tutto fu veramente un ricco e un creatore,
mentre noi non siamo che dei poveri e dei di-
sgraziati impotenti.
CONTRABBANDO
CONTRi^BBaNDO.
Il terribile dissidio fra il sor Giuseppe,
ufficiale di dogana, il sergente di servizio e
Don Ambrogio, il pievano, aveva delle ori-
gini umili.
Lungo l'argine del canale erano, in riga, le
garette cenerognole delle guardie di finanza;
sullo stradone, in una casetta bianca, era la
parrocchia, più avanti, il corpo di guardia e,
in fondo all'orizzonte si stendeva la riserva
famosa.
Una notte in cui l'acqua veniva a rove-
sci, come Dio solo la sa mandare, fra mezzo
a schianti secchi di folgori, a raffiche urlanti,
a ruscelli gorgoglianti da tutte le parti, u Nic-
che n, il famoso contrabbandiere, aveva fatto
saltare il fosso a un bue vivo, un bue delle
chiane, alto due metri, che i finanzieri videro
soltanto sfumare nel pulviscolo fitto della piog-
gia al fulgor d'un baleno, come una fantasma
bianca.
Un altro giorno, sur una chiatta, passò la
- ^4 -
carogna d' un ciuco enorme, smisuratamente
gonfio, morto affogato nel padule ; dietro al
carretto, tirato a fatica da un ragazzuccio, pia-
gnucolava una donna....
Ma nel ventre del ciuco eran cuciti fagiani
e beccacce e la donna piangente era, viceversa,
un uomo.
Tutte e due le volte, per dire il vero, il
terribile capo-dogana, un uomo dai baffi e dai
capelli neri come il carbone, era assente.
Invitato dal pievano a una partita alle pri-
miere, non aveva saputo resistere alla tenta-
zione, tanto più che Don Ambrogio teneva
chiusi in dispensa certi fiaschi d'un vino da
far risuscitare i morti.
Però, la seconda volta, il sor Giuseppe,
uscito dai gangheri, se la rifece anche col pie-
vano bontempone, il quale non istiè sulle sue
e disse quel che aveva da dire sullo zelo e
sull'oculatezza del funzionario, il quale giurò
e spergiurò che, sacramento ! avrebber visto chi
fosse; e lo gridò ben forte perché sentisse chi
doveva sentirlo, vale a dire il sergente che
aveva sempre sui labbri un certo sorrisetto....
Intanto si guardò bene dal metter piede
in casa di quell'unto del diavolo che gli por-
tava l'jettatura; ci sarebbe tornato a battaglia
vinta e col trofeo della vittoria in mano; cosa
di cui il sergente ridicchiando tra se e sé, du-
bitava moltissimo!
— 45 -
Una mattina, era d' inverno, una di quelle
mattinate di paradiso nelle quali il cielo è
d' un azzurro da sembrar dipinto e le case
paion tutte imbiancate di fresco, il sor Giu-
seppe passeggiava in su e in giù, nervosa-
mente, sotto la tettoia bassa, guardando con
ira il sergente delle guardie che se la fumava
come se fosse stato in villeggiatura, quando una
specie di vagabondo tutto strapanato che s'ab-
batteva a passar di li, si fermò, dando un'oc-
chiata in giro, e figurando d'accendere un moz-
zicone che s'ostinava a non pigliare, disse,
adagio: Dei lumi di lana come stanotte... mai
visti ! E tirò diritto fischiettando.
Il sor Giuseppe, diventato di porpora, si
fregò le mani ; poi chiamò il sergente e gli
disse: Mi dica la verità, ci ha capito nulla, lei?
— Io? no.
— Vede, sacramento ! cosa vuol dire l' intel-
ligenza... sa lei cosa c'era sotto a quella frase?
— Io? no.
— E 10 invece, sacramento ! lo so benone.
— Belle forze! se hanno combinato....
— Macché combinato ! o la logica, scusi ?
voleva dire : Stanotte sarà lume di luna e i
bracconieri vanno all'aspetto ad ammazzare
un capo grosso ! ecco, caro lei ; e ora in gamba
e stanotte, sacramento ! ci guadagneremo la
promozione. —
— 46 —
E andarono a bere, contenti come se aves-
sero bell'e fatto il colpo.
Anche quella sera Don Ambrogio, rimasto
senza il compagno per la consueta partita,
s'era bell'e rassegnato a andare a letto, per
dir la frase sua, come le bestie, quando senti
bussare discretamente alla porta di strada.
Corse, lesto, da se, ad aprire tutto con-
tento, imaginandosi che il sor Giuseppe si
fosse pentito, ma rimase stupito vedendosi
dinanzi un brutto ceffo male in arnese e dal
contegno sospetto.
Il pievano riconobbe subito con chi aveva
da fare; pur troppo nella sua parrocchia ce
n'aveva di quei malanni!
— Che c'è? domandò brusco.
— Una parola, in segretezza e in furia,
sor pievano....
— Passate... e lo introduceva, a malincuore
colla mano sempre sul paletto dell' uscio.
— Senta.... s'era all'aspetto.... ma mi rac-
comando !
— Sigillo di confessione! con chi credete
di parlare?
— Lo so; lei è un prete galantuomo... dun-
que, dia retta a me : s'era al cinghiale, s'è sen-
tito sfrascheggiare, uno ha tirato....
— Per.... micio bacco ! e chi ha colto, invece?
— Lo u Stanga n.... è a due miglia di qui,
- 47 —
quasi sulla strada.... se campa un'ora è un mi-
racolo.... la grande emorragia... lei lo sa, siamo
bestiacce, ma in certi momenti....
— Lo credo io, preme riconciliarsi col Si-
gnore !
Don .Ambrogio, svelto, disse una parola alla
donna, pigliò la sacchetta dell'olio santo, poi
brontolando fra se. u E meglio tenersi amici
tutti.... 77, scese in istalla e cominciò a attac-
care la cavallina aiutato dal bracconiere che
pareva avesse l'elettricità nelle mani.
— Badi, avverti questi, che stanotte è un
freddo da morire.... si copra bene....
— Già, quel freddo asciutto eh?.... se attac-
cassi la giardinierina coperta?
— È una polmonite risparmiata di certo.
In dieci minuti la cavallina baia scalpitava
fra le stanghe di una vetturetta graziosissima,
orgoglio del pievano e lusso che si poteva per-
mettere il titolare di una chiesa come la sua
a due passi da un luogo di bagnature, dove
piovevano le messe da venti lire.
Don Ambrogio prese le redini, scruttuido
la strada per l'apertura della vetràge da in-
verno, poco più che bastante a far passare le
guide elegantemente appoggiate a un cilindro
d'ottone lucente, mentre il compagno si ran-
nicchiava in un cantuccio, formando un corpo
solo coll'ombra del mantice duro, completa-
— 48 —
mente u montato n a vettura chiusa; e par-
tirono.
-Passando davanti al corpo di guardia, il
sor Giuseppe che s'era precipitato fuori come
un razzo, -urlò al pievano: Malati gravi?
Ma non gli rispose che il ruzzolìo delle
ruote che volavano sul piano levigato e sonoro
della strada gelata e liscia come un pallaio
sotto la luna tonda.
— L'ha proprio presa co' denti, brontolò
il sor Giuseppe ravvolgendosi in una nube di
fumo ; ma sacramento ! stanotte gliela farò
veder io... però dopo aver camminato in su e
in giù un bel pezzo per riscaldarsi, fini col
ritornare accanto al fuoco, in mezzo al fumo
asfissiante delle pipe dei doganieri e: Sacra-
mento ! non si vede nessuno ! disse, assiden-
dosi, di malumore.
— Avranno sbagliato il colpo ! rispose bru-
sco il graduato rizzandosi di malavoglia per-
chè il sor Giuseppe lo guardava con occhio
espressivo e, ammantellandosi, prese ingru-
gnato la via dell' uscio per non lasciar la strada
inesplorata.
La luna, via via che saliva sull'orizzonte,
spandeva un lume più chiaro e il freddo pareva
aumentasse d'intensità con la luce; ormai tutto,
la strada, i campi, le macchie, le case bianche,
scintillava come d'argento e il pover uomo
Tav. IV.
// Giogo - Pag. 59.
I lupi.
- 49 —
marcava il passo alla bersagliera, avanti e
indietro, contando mentalmente, per passare il
tempo, gli anni che avanzavano ancora per
trovarsi un impieguccio e andare in pensione.
Suonò la mezzanotte, suonò il tocco; il
tempo non passava mai; passò invece di trotto
serrato il calessino del pievano che il sergente
salutò piantandosi sugli attenti; ma Don Am-
brogio non rispose al saluto.
L'occasione di ritornare intorno al fuoco
non poteva esser migliore, e di li ad un minuto
tutto il corpo di guardia sapeva che Don Am-
brogio dalla gran bile d'esser stato abbando-
nato, aveva fatto il muso anche al sergente,
e per una mezz'ora fu tutto un ridere e uno
scherzare sul prete a cui neanche il vino era
buono a levar la stizza di dosso.
Però il sor G-iuseppe, il quale era agitato
da un leggero tremito nervoso tutte le volte
che sorprendeva un fugace sorriso errante sui
baffi del finanziere, stava per ritornare brava-
mente in vedetta, quando sull'uscio incrociò
con la Menica che entrava come una bomba
rinvoltata in uno sciallino a fiorami e a pèneri
che in tutt'altra circostanza avrebbe mandato
in visibilio l'intera brigata.
— Ah! sor Giuseppe! la gran disgrazia!
— Che c'è?
— Ma non sa nulla?
- 50 -
— 0 che volete ch'i' sappia.
— Mi dia da sedere, per carità, mi sento
male.... è successo una gran disgrazia al pie-
vano....
— Sacramento! dove'? come? quando?...
— Non lo so.... grossa di certo....
— Ma se non lo sapete voi ! ! che rebus è
questo?
— 0 sentano ; io ero rimasta levata perchè
anche quando il pievano è fuori, capiranno....
e poi ci avevo da rimendargli....
— Ma andate avanti, sacramento!
— Fatto sta che ho sentito passare un ca-
vallo, che, al trotto, mi pareva, viceversa, la
cavalla del pievano....
— Non vi pareva ; era — perchè il pievano
l'ho visto io, coi miei occhi, tornare a casa.
— Lei ha visto il pievano, signor sergente ?
— Come vedo voi, e l'ho anche salutato,
ma non mi ha risposto....
— Dio di misericordia! per forza non ha
risposto ; l'anno assassinato !
— Assassinato?! !
E tutti si levarono in piedi, tumultuo-
samente.
— O cosa voglion che gli sia successo,
se giù all'uscio, ho sentito, dopo mezz'ora, il
trotto della cavalla, che si fermava e sono
- 5i -
scesa giù.... e ho trovato.... Oh! signori miei,
di quelli spaventi!
— Ma cosa avete trovato sacramento?
— La cavalla, il calesse e il vestito, capi-
scono? il vestito di Don Ambrogio!
— Il vestito?!
— La tonaca, proprio.
— Sacramento! c'è un delitto di certo e
un bel delitto, esclamò il sor Giuseppe che leg-
geva le geste del poliziotto dilettante; e... non
avete trovato altro?
— Ah ! mi dimenticavo del meglio. Rinvol-
tato nella tonaca, indovini cosa c'era?
— Cosa?
— Gliela dò in mille!
— Non ci tenete sulla gruccia!
— C'era un cosciotto di cervo.
Il sor Giuseppe, congestionato, fulminò il
sergente che questa volta si mangiava i baffi
addirittura; poi esclamando: a Ah! ma Don
Ambrogio ci spiegherà.... n balzò fuori dalla
stanzuccia seguitò dall'intero picchetto e dalla
Menica che si torceva le mani e soffocava i
singulti nello sciallone alla rococò.
Non erano arrivati alla parrocchia che
sull'uscio videro Don Ambrogio ridotto in uno
stato da far compassione ai sassi e scoppiò
una tempesta di domande.
Ma il prete, smozzicando le parole e bai-
— 52 —
bettando: u A lei solo.... a lei solo.... n trascinò
il sor Giuseppe in camera sua e chiuse la
porta.
— 0 senta, gli disse appena furono ben
soli, nomi non ne faccio, neanche se mi am-
mazzassero ; ma il fatto, cosi com'è successo, è
questo qua.
E cominciò a raccontare, colla voce tanto
bassa che il sor Giuseppe era costretto a te-
nersi una mano all'orecchio, e interrompendosi
ogni tantino per dare un'occhiata all'uscio, da
quando fu chiamato per l'olio santo fino al
punto in cui si trovò sulla strada in mezzo
alla macchia a due miglia dall'abitato.
— Cominciavo a impensierirmi, quando
quella persona che aveva preso le redini, voltò
a sinistra. La macchia s'apri come uno scena-
rio e apparve il cielo tutto bianco, contro il
quale sfumavano le sagome degli alberi alti,
e un prato acquitrinoso, tutto sprazzi e scin-
tilli, su cui era un gruppo di gente e fui aiu-
tato a smontare dal predellino e fatto segno a
mille garbatezze. Io cercavo del ferito e allora
mi portarono in fondo alla radura, s'aprirono,
rispettosamente, io mi chinai e vidi.... un ma-
gnifico cervo sdraiato di quarto sull'erba colle
quattro zampe irrigidite!
— Ma questo, urlai, è un tradimento ! Dove
volete andare a cascare?
— 5B -
— O senta, mi risposero, questa bestia,
salvo le corna, deve passare in città bella e
intera come la vede....
— 0 cosa c'entro io'?
— Lei c'entra e come ! ora vedrà....
— C'era poco da dire, sa? dietro le parole
melate, capisce? spuntavano i musi duri de'
contrabbandieri.... i quali, ora, mi tenevano
stesa dinanzi una casentinese col pelo mentre
qualcuno mi alleggeriva della tonaca lunga
da inverno....
— Lesto, s' infili questa, se no piglia un
malanno....
— Ma cosa fate? cosa volete? la sacchetta
dell'olio santo....
— Eccola.... a me il nicchio.... si calchi in
capo questo berretto... se lo tiri giù... bravo...
cosi.... sta caldo sor pievano?
— Io balbettavo, battevo i denti nonostante
la cappa grave, mentre due di quei malanni
alzavano il cervo e due gì' infilavano la to-
naca, la mia tonaca capisce? per le maniche
nelle zampe anteriori, l'abbottonavano con uno
sforzo (sentii il crac della stoffa!) sul grop-
pone della bestia, le attaccavano il talare sotto
il colletto, poi la cacciavano in vettura ripie-
piegandola nel mio posto a furia di pugni
nella pancia!
— Sacramento!
— 54 —
— Infine curvarono il muso dell'animale
sul petto, gli cacciarono in testa il mio nic-
chio tirandoglielo giù fin sul naso, Nicche....
maledetto! m'è scappata....
— Nicche?!
— In persona, montò accanto al cervo,
prese le redini, e la cavallina baia tutta rav-
volta in una nuvola di nebbia per il pelo che
le fumava sotto quel freddo acuto, squassò la
criniera e parti di galoppo.
— E.... lei?
— Io, me ne son dovuto tornare a piedi,
in quell'arnese.... lo creda a me, sulla mia co-
scienza ; io son vivo per un prodigio del Cielo !
— E ora? chiese il sor Giuseppe, comple-
tamente disfatto, e ora?
— Ora... prima di tutto direi di stare zitti...
— Sacramento!
— Zitti come l' olio.... per me.... ma....
anche per lei.... ci pensi bene.... e poi.... si
potrebbe mangiare insieme quel cosciotto di
cervo.... ci pensi bene....
— Sacramento! ci ho bell'e pensato. Invi-
tiamo anche il sergente?
E lo invitarono, e quando ebbero mangiato
e bevuto e furon certi che anche lui era satollo
di carne di contrabbando, gli dissero la verità.
Il sergente ascoltò, mordendosi i baffi, poi
si rivolse all'ufficiale di dogana con mal celata
soddisfazione: In fin de' conti, insinuò stropic-
ciandosi le mani, mi pare che gliel'abbiano
accoccata.... gliel'hanno passato intero!
— Sacramento! urlò il sor Giuseppe, scat-
tando trionfante, ma lei.... gli ha anche fatto
il saluto!
E poiché Don Ambrogio si alzava col calice
in mano, si levarono in piedi anche loro due
e toccarono insieme i bicchieri, riconciliati.
IL QIOQO
IL GIOGO.
Il Rosso spalancò gli occhi verdi, a un
tratto, e a un tratto li richiuse.
Una luce sfolgorante l'aveva abbacinato,
che il disco giallo di una enorme luna piena
levandosi sulle colline basse di fronte, veniva
quasi a empire la bocca rotonda della tana
oscura e calda nella quale il bandito dormiva
a metà della montagna.
Tuttavia si fece forza, apri e serrò sbadi-
gliando le mascelle d'acciaio, poi cacciò fuori
della buca le zampe anteriori e vi si appun-
tellò, tornando a sbadigliare, mentre si stirava
voluttuosamente e scuoteva, con gli orecchi,
il torpore del luHgo sonno.
La notte era rigidissima ; il cielo levigato
come un cristallo e nella valle lontana dove
neanche un lume splendeva, i tetti dei due o
tre abituri sparsi emergevano cupi in mezzo
alla neve turchina che imbambagiava tutto il
gran vano racchiuso fra le montagne pallide
screziate di nero dalle rocce e dalle abetaie.
_ 60 -
Il Rosso si penti subito d'essersi svegliato.
Il freddo intenso gli faceva sentire più atroci
i morsi lunghi e rabbiosi della fame che gli
dilaniava le viscere e, a testa bassa, cercando
invano l'odore d' una traccia cominciò a calare
a caso per la china senza sentiero evitando
con l'istinto e con l'abitudine i burroni ma-
scherati da parapetti di ghiaccio e Cercando
di riuscire a contare da quanti giorni avesse
digerito il magro agnello perduto da chi sa
qual branco nel rovinio di una fuga disperata
davanti alla tormenta che aveva invaso i gio-
ghi seppellendo uomini e cose sotto le sue ali
sconvolte.
Ora il sereno tornava, il torribii sereno
che spinge lunghe file di persone a spalare in
mezzo ai piani, a rompere il ghiaccio lungo
i torrenti e tappa le maiidre nei presepi fu-
manti, che belano tutta la notte lunga da;lle
finestruccie rosse, in mezzo al paesaggio az-
zurro.
Ma non riusci neanche a distrarsi, contando,
né a determinare con esattezza uno spazio di
tempo qualunque; ricordava solo che, addor-
mentatosi, dopo il pasto, aveva visto buio e
udito i boati della montagna ; che aveva divo-
rato anche gli ossi, poi i brani di pelle dura
come il corno e che, infine, s'era addormentato,
annullato in un letargo che pareva non avesse
-ri-
avuto principio e non dovesse aver fine, coi
naso nascosto sotto una giuntura e un orecchio
scartocciato verso la bocca delia tana, dalla
parte del vento.
Cosi riflettendo e lamentandosi, col pelo
irto, i fianchi ansanti, le costole sporgenti
come i denti d' un rastrello, la lingua penzo-
loni, stracco e accaldato peggio che di agosto,
arrivò nella pianura e si fermò a sedere sul-
l'anche magre, tirando di naso e leccandoselo
e inumidendolo per sentir meglio.
C'era odore d'uomini, da quella parte, e
odore d'uomini voleva dir trappole, bastoni,
fucilate; ripensò all'eroismo di suo padre il
quale piuttosto che rimanere in una tagliola
s'era rosicato lo stinco, rabbiosamente, ed era
fuggito su tre gambe rigando di sangue la
neve per lungo tratto; ma a nulla gli era
valso il sacrificio che il sangue aveva guidato
i cacciatori fino alla bocca dell'antro dove,
dopo una battaglia onorevolmente sostenuta,
cadde per non più rialzarsi, mentre la vecchia
lupa metteva in salvo lui, il diletto della
covata, buttandoselo sul collo, con le ma-
scelle che sapevano afferrare con delicatezza e
galoppando con una velocità ignota ai cavalli.
Il Rosso, come si vede, aveva conosciuto
presto le peripezie della vita errante.
Mentre riandava cosi la sua vita trascorsa.
— 62 -
un odore strano lo fece trasalire e scattò sulle
quattro zampe coi peli del dorso rigidi scuo-
prendo i denti.
Incontro a lui galoppava un altro lupo,
della sua stessa razza di certo, ma più piccolo
di statura e più scuro di pelame.
Come furono a cento metri si riconobbero :
eran fratelli ! Ma quale differenza! Il nuovo
venuto era grasso, fresco, assestatino, non pen-
deva un pelo ; liscio, rotondo, cogli occhi sfa-
villanti, la coda elegantemente arcuata, gli
orecchi dritti, l'accento cortese.
— Rosso!
— Grigio !
— Come stai?
— Male.... ho una fame spaventosa, incre-
dibile.... e tu come te la ripassi?
— Ma.... benone, come vedi. Ho fatto or
ora una satolla di ossi con certi pezzi di ciccia
fresca attaccata.... e poi ho moglie, figliuoli....
di bei figliuoli.... vuoi vederli? vieni.
Il rosso lo guardava con diffidenza ragliando
sordo.
— Ma dove mi porti? dove li hai i tuoi
figliuoli ?
— Non ci pensare — Hai paura che ti
imbocchi in un tranello ? T' invito a cena con
me — una buona zuppa d'ossi con degli
avanzi di brodo e d'ortaggi cotti....
-Ga-
li Rosso mandò un lampo dagli occhi e
fece un salto innanzi.
— Che cos'è questo che tu rammenti, pro-
ruppe con isdegno, non sai eh' io sono carni-
voro? per farmene che, di grazia, della tua
minestrina da convalescenti ? aspetta a prima-
vera e ti farò trovare ben io, in una grotta
fresca e sicura, qualche coscia di montone dal
sapore dolce ed acre, il sapore del sangue che
inebria e mette addosso la voglia di mordere
e d'assalire. E poi (e s'accostava annusandolo)
tu puzzi d' uomo, maledettamente....
— Ti giuro....
— Perchè hai i peli del collo consumati?
chi ti ha fatto questo solco profondo, qui? È
inutile che tu neghi.... lo riconosco... è il se-
gno del collare !
— E sia; è meglio dir tutta la verità. Ero
stanco di andare errando per la foresta sempre
nell'incertezza dell'oggi e del domani, stanco
di dormire con un occhio aperto un sonno
agitato e pieno d' incubi, timoroso sempre di
vedermi assalito da turbe di cani furibondi o
di cascare in qualche trappola nascosta sotto
le frasche, e decisi di andare dall' uomo.
— Ti sei venduto?
— Ma sto bene.
— E la libertà?
— Bella libertà la tua! una morte garan-
- 64 -
tita! — Ma smettila con co testa esistenza ar-
rabbiata, vieni anche tu e facciamola finita —
vedrai che bel pelame! e ohe cagne! Scozzesi!
che somigliano tutte a noi....
Il Rosso sempre a sedere sull'anche ango-
lose, rifletteva profondamente; a vederlo cosi,
vicino al suo compagno, pareva anche più
secco, più grinzoso, più miserabile che mai;
ma non istette molto a pensare e, a un tratto,
rizzando risolutamente il muso, disse a suo
fratello :
— Sei un vigliacco, tu tradisci la nostra
razza e sporchi il nostro nome; ma son sicuro
che te ne dovrai pentire.
— Mai!
— Ah! ne son certissimo: le catene, è
storia vecchia, son catene anche dorate e non
v'ha ricchezza che uguagli la libertà. — Per
mio conto tollero più volentieri una indipen-
denza mal sicura che una servitù tranquilla.
Son figliuolo di mio padre, io!
E dando al Grrigio un'occhiata di sprezzo
si allontanò tranquillamente con qiiel trotto
uguale, elastico, che nessun essere vivente
può sperare di raggiungere, e in un momento
scomparve in mezzo alla distesa di neve.
Prese la via della foresta, perché non gli
garbava di aver lasciato delle traccio così vi-
cine all'abitazione dell'uomo, e si addentrò
Tav. V.
Uu uomo felice - Pag. 78.
Come va dottore? La scienza battuta dalla natura?
— 65 —
nel folto degli abeti, tra viottoli lunghi ©
bui sui quali le fronde distese come braccia
che si ricercassero da tronco a tronco sorreg-
gevano una cappa densa di neve che faceva
quei meandri tiepidi e odorosi d' umidità come
certe caverne.
Il Rosso piuttosto che risalir la montagna
preferi di stabilirsi in quel bosco dove poteva
sperare di raccapezzar qualche cosa da rodere
e dove trovò subito una compagna magra e
affamata come lui, ma fiera e decisa a tutto,
e, sopra ogni cosa, delle medesime idee; e
così la famiglia del bandito fu formata e visse
e prolificò, sola, in mezzo alla foresta, lontana
dalle altre bestie e dagli uomini, insegnando
ai lupatti il disprezzo della società civile come
di quella barbara, ma sopra tutto l'odio contro
gli animali a cui un ingiusto decreto della
natura concedeva l'agiatezza e il pasto senza
fatica.
Bandito e cacciatore di furto, il Rosso non
capiva perchè ci potesse esser della gente che
gli dava la caccia, a lui, che non era buono
neanche da mangiarsi ! e per protestare contro
la viltà del più forte insegnava ai figli le
astuzie, gli strattagemmi ed i modi per rubare
agli usurpatori le provvisioni sovrabbondanti
acciocché il corpo non oltrepassasse mai quel
periodo di digiuno al di là del quale è la
- 66 -
rabbia, lo spavento delle superficì lucenti, la
pazzia cieca e furibonda di mordere, il terribile
castigo che vedono uscire dalle foreste o errare
pazzamente per le vie gli uomini colpevoli
d'aver lasciato in preda alla fame un essere
vivente !
Si era sul finire di primavera; la neve si
scioglieva cbiaccMerando nei ruscelli e disam-
mantava i clivi che scuoprivano le prode tutte
verdi d'erba novellina; un profumo acre si
levava dal terreno dove pareva che il marciume
delle barbe e delle ramaglie morte rivivesse
d'una vita misteriosa, formicolante e larga,
che pigliava tutta la selva, s'insinuava nei
ciuffi, nei talli, nelle macchie, saliva lungo gli
alberi sotto le corteccie madide, stillava in la-
crime da' rami e da' fuscelli, fremeva nelle
frasche, pispigliava sulle cime e s'involava
nel sole.
La lupa madre, robusta, elegante, col pe-
lame ravviato per numerose mangiate di polli
strappati alle volpi, di lepri giovani e di ca-
prioletti inesperti, insegnava ai giovanissimi
figli a cercarsi il cibo a una distanza di almeno
sei miglia per non tradire il segreto del covile,
a mantener la parola e a dare aiuto agli altri
lupi, a riconoscer le armi da fuoco dalle falci,
o dalle vanghe, a non lasciarsi sedurre da
agnelli o da quarti di carne fresca posti troppo
— 67 —
vicini airabitato, a dare il cambio, l'uno con
l'altro, davanti alla muta dei bracchi, a correr
sempre in linea retta per moltiplicare gli osta-
coli ai cacciatori a cavallo, a salvarsi dalle
trappole e a riconoscerle sotto gl'inganni di
fronde o di zolle.
Tutte le notti la lezione si svolgeva, rego-
larmente, in una grande radura sul limitare
della foresta, vicino a un pozzo di acqua, so-
pra un prato delizioso per le capriole e i salti,
ne terminava finché il sole dorando il cielo
dietro gli abeti, neri, non ricordasse alla schiera
esser tempo d'andare a pigliarsi un meritato
riposo, che i lupatti s'accingevano a recarsi
a godere, camminando l'uno dietro l'altro e
procurando, sotto l'occhio vigile della madre,
di porre ciascuno esattamente la propria im-
pronta in quella dell'altro, mentre schiere gio-
conde di scoiattoli li guardavano dalle cime
più alte, sbellicandosi dal ridere, attaccati ai
rami, per la coda, colla testa all'in giù.
Quella mattina per l'appunto i cinque lupi
traversavano cosi la parte limacciosa del prato,
neri contro il piano violetto sotto la luce diac-
cia d' un'alba nuvolosa, quando, prima fra tutti
la vecchia lupa, si fermarono di scatto colla
zampa alzata, gli orecchi ritti lo sguardo fisso,
e un fremito di terrore pervase la schiera.
— 68 —
Non era possibile dubitarne. — La caccia si
precipitava da quella parte.
Che fare, in tal frangente ? La madre schiac-
ciata per la fuga, già pronta al primo balzo
ascoltava attentamente, perchè i lupi, come
tutti i cacciatori, non perdono mai la calma;
quando il Rosso saltò fuori d' una foschia
d'abeti con uno slancio elegante.
— Fuggite! ordinò. Non c'è più nulla
da fare.
— Oh! se questi erano più grandi! sclamò
con ira la femmina accennando ai figliuoli.
— Fuggite sulla montagna, riprese il lupo,
faticando a discorrere perchè i fianchi gli
sobbalzavano dalla gran corsa fatta, fuggite
e tu, messi i piccini al sicuro, piantati in qual-
che punto da dove si possano vedere le fasi
della lotta e la mia morte, per descriverla,
poi, a loro....
— Ma non c'è modo d'ingannare i cani?
non potrò avere il tempo di tornare a darti
il cambio?
— No. — La muta è diretta da chi sa
bene il fatto suo ; vorrei ingannarmi, ma temo
di aver rinono scinto l'odore di mio fratello.
— Impossibile! un lupo non da la caccia
a un'altro lupo. — Non s'è mai sentito dire.
— Quello non è più un lupo ; abita fra gli
— 69 —
uomiai da un anno; dunque è diventato un.
cane. — Fuggite!
Il comando fu dato con tono cosi imperioso
che la vecchia e i piccini a galoppo serrato si
persero in un batter d'occhio dietro gli innu-
merevoli intercolonni della selva.
Allora il Bosso, dopo essersi riposato qual-
che istante come riflettendo, piegò a sinistra
e corse fuori del bosco, in un tratto libero,
per qualche migliaio di metri.
Si sentiva l'orrendo fragore della muta
lontana che cercava abbaiando qua o là, ma
avanti alla muta galoppavano, molto avanti,
due cani enormi dal fiuto deciso, il secondo
dei quali, indubbiamente, era un lupo.
Tal vista serrò dolorosamente il cuore del
Rosso, che nonostante, raccolse tutte le sue
forze e si arrestò, facendo fronte, in posizione
di combattimento.
Si avvicinavano; si distinguevan benissimo
le fattezze brutali di un colossale limiero di
cui il sibilo uscente dalle narici riarse per la
corsa tradiva la voluttà d'aver sentito la preda.
Dietro, il Grigio (proprio lui) ansimante, a
grandi sbalzi, guadagnava terreno.
A un tratto raggiunse il cane, gli si accostò,
lo dinanzò, lo prese improvvisamente per la
gola, con feroce disperazione, mentre il Rosso,
sbalordito, accorreva senza saper pensare altro
- to -
elle una cosa, che bisognava pigliar parte
alla lotta.
Sul terreno giallo fu un rotolio fulvo di
pelame, tra rantoli sordi, poi il limiero fuggi
dalla parte della muta, zoppicando, urlando,
seminando il sentiero di larghe tracce di
sangue.
— Di carriera, fratello ! — ansò il Grigio
— la muta vedendo il guerriero ritornare in
quello stato s'arresterà, non oserà inseguirci.
Ora i due lupi volavano, saltando fratte,
burroni, fiumiciattoli e staccionate, sempre
diritti.
— Ma, fratello, mugolò il Eosso stupito,
tu ritorni a noi?
— Ritorno nel bosco — Ne ho fin su gli
occhi della cuccia di legno e dell'acqua in-
zolfata.
— Ma i tuoi cuccioli?
— Quei bastardi? li ho strozzati.
— E,... la cagna scozzese?
— Mi ha tradito...., mi ha tradito col li-
miero...., bella razza ne uscirà fuori ! e per
darci la caccia...., capisci? ma ci troveremo di
fronte a quest'altra stagione,
— Quando i miei saranno grandi....
— Vedrai che strage!
Erano a metà del monte, su certe rupi
scoscese in fondo alle quali rombava un tor-
-Vi-
rente schiumoso; e si fermarono, colle gole
ardenti da cui sfuggiva il respiro corto e fre-
quente, facendo muovere in su e in giù le
lingue rosse come il fuoco.
La muta senza la guida del Grigio e del
limiero si accaniva sempre nello stesso punto
girando pazzamente avanti e indietro, si udi-
vano i comi suonare ad un' immensa distanza.
Il Grigio dètt« in un riso di scherno: so
le loro abitudini (aggiunse con un fremito di
gioia che gli commosse il pelame come il vento
increspa l'onde), so le loro abitudini, di giorno
e di notte; faremo un colpo magnifico, straor-
dinario..., agnellini di latte teneri e grossi
tanto ! Ah ! fratel mio, che roba il cibo bell'e
scodellato! ti fa un nodo qui allo stomaco
come se tu avessi ingoiata la stoppa. — La
lezione è stata salata, ma da ora in poi
— Basta, interruppe il Rosso che non co-
nosceva abitudini borghesi, quand'è che ru-
biamo questi agnelli?
— Diamine, stanotte subito. Bisogna bene
ricominciare a guadagnarci la vita onesta-
mente.
UN UOnO FELICE
UN U0P10 PCLICC-
Non so come mai ci sia della gente clie
scrive le novelle, e io, un tempo, fui di cos-
toro.
Perchè inventare? Che sugo c'è, quando,
guardandoci intorno, si trovano da descrivere
tanti argomenti, tante persone, tanti paesi, più
interessanti di qualunque racconto artifizioso?
Statemi un po' a sentire e ditemi, dopo,
se Tappo non fosse un u tipo n divertente.
L'ho conosciuto già vecchio, anzi vecchis-
simo, proprio nell' isola nativa, quella delle
pesche miracolose e delle sbornie da olio santo.
A ottantasei anni era solido come i suoi
graniti u le còti n cosi diceva lui, e col naso
impeperonito, l'occhio vispo sotto le ciglia
aoerpelline, il colorito rosso -mattone, le mani
bernoccolute come canapi, il berretto a tettoia
sulle ventitré da cui sporgeva ancora un ciuffo
bianco, metteva allegrezza a guardarlo.
Feci conoscenza con lui in un modo buffo ;
mettendomi a computare quanti quattrini avreb-
- 76 -
be potuto raggranellare in tutta la sua vita,
se, invece di spenderli in vino li avessi ver-
sati a una cassa di risparmio.
Intervennero ad aiutarmi il parroco e un
brigadiere di dogana. Tappo lasciava fare e
rideva sotto sotto (stavo per dire sotto i baffi,
ma Tappo se li radeva perchè i baffi bianchi
li aveva a noia) accendendo continuamente
una pipettina corta che non tirava mai.
Picchia e mena, ci si mise d'accordo sulla
cifra di centomila lire. Dovevano essere di più,
ma noi gli s' abbuono tutto il vino rubato
quando lo navigava e si fece una cifra tonda ;
e poi, ai tempi di Tappo, quando lui, cioè,
era nei suoi cenci, il vino costava meno.
— E faceva meno male!
Questa era la frase classica del vecchio
pescatore quando si discorreva delle bevute
di mezzo secolo fa. La ripeteva due, tre volte,
con la mano tesa e l'indice puntato come una
minaccia, verso la costa azzurra dell'Argen-
tario, laggiù, lontana, cullata dai flutti tur-
chini del Tirreno capriccioso.
Egli è che c'era un vecchio conto fra Tappo
e il medico di Porto Santo Stefano. Conto, del
resto, bell'e saldato.
Si trattava di questo: fra Tappo e il me-
dico, vecchio anche lui, s'accendevano discus-
sioni, rimaste famose, a proposito della neces-
— 77 -
sita, no meno, di bere il vino e specialmente
l'ausonico, traditore, color di rosa, abbac-
cato, con l'asprigno, asciutto, leggero ma gra-
duato a diciotto che a un tratto ti piglia
e ti butta nel muro.
Diceva il dottore : Siete matti, qui all' i-
sola, a bere in codesta maniera! Finirete tutti
cirrotici !
Tappo scoteva la pipa e sogghignava : Ho !
he! bisogna vedere a che età, signor dottore
mio bello !
— A che età? Ma se Michelaccio è morto
di settanta, chi vi dice che non avrebbe cam-
pato cento? e se Schiantacatene non tira le
còia si è perchè l'ho messo a dieta e se ne
veggono gli effetti....
— A dieta? signor dottore mio bello? Ci
credete proprio che Schiantacatene non ci ab-
bia il boccale dentro al canterano.? E la Ro-
setta, povera figlia, che è morta a diciott'anni,
senz'avere assaggiato altro che acqua?
— Ma se è morta di petto !
— E 86 beveva vino questo non le sarebbe
accaduto signor dottore mio bello, sarebbe stata
sana fresca e robusta come me ! Ci credete voi
nel Signore ?
— Io no! Mi strafischio di lui e di tutti
i suoi santi !
— Vedete resia, signor dottore mio bello...
- 78 —
il vino è un dono del Signore e chi lo dis-
prezza, disprezza anche lui!
— Altra cosa è disprezzare i doni della
natura, altra cosa è abusarne...
— Ma come fate voi, dottore mio bello, a
stabilire quando uno abusa e non abusa? A
voi vi può far male un boccale' mentre a
me ce ne vogliono due fiaschi. Voi ci avete
l'ansimo e io me la fumo in questa pipa roc-
ciosa; voi siete sempre arrabbiato e io mi sento
sempre in grazia del cielo e, signor dottore mio
bello, tengo vent'anni quasi più di voi! he! he...!
Il medico s'alzava sbuffante e il parroco
interveniva stropicciandosi le mani:
— Come va, dottore? la scienza battuta
dalla natura? la filosofia sconfitta dal Vangelo?
Com'è? Com'è?
— Mi lasci stare anche lei e non be-
stemmi a cacciare il Vangelo tra il vino e i
rutti di questi briachi...
— Sor dottore non si arrabbi cosi ! Nostro
Signore lasciò anche il vino per suo rappre-
sentante...
— Ma se trovava tutti Cristiani come voi-
altri, benché incommensurabile, a quest'ora
l'avreste finito !
— Su, Tappo! Andiamo a far pace!
— Io, reverendo, non bevo ! — urlò il me-
dico inorridito.
— 79 ~
— Un goccetto, uno solo...
— Tantino, cosi...
— Te, Tappo, non tentarmi!
— E rosso scelto della vigna di Placido!
— Di quello che, con rispetto vostro...
— Eppoi, semel in anno...
— Su ! prima di rimontare in legno, che s'è
messo maretta...
— E andiamo, e che Bacco vi subissi tutt'e
due!
— Anita! Giuseppina! Pigliate una bottiglia
di quelle che perdono il... (come avrà detto
Tappo ve lo immaginate) da se!
— E scacciate i polli di sul sacrato che
vanno a scaconzarmi anche in chiesa!
Ed entrarono in canonica tutti e tre.
Tappo mesceva. Nella stanzuccia bassa
entrava dalla finestra il soffio fresco del mare.
Non si sentiva che il gran respiro affannoso,
non si vedevano che le antenne dei grossi bat-
telli da pesca cullati dalla risacca nel porto.
Il prete aveva detto:
— Bisogna beverie con raccoglimento.
Tappo aveva schioccato la lingua alzando
gli occhi al soffitto. Poi aveva cominciato a
versare in mezzo a quel silenzio religioso.
n medico guardò, come una medicina, il
gran bicchiere pieno di vino rosso, senza de-
cidersi a toccarlo.
— 80 —
Ma Tappo alzò il suo, lo mise contro alla
fiiiestra, si deliziò, prima d'assaporarlo, a go-
derne i riflessi traverso il nitore del cristallo
e dell'aria.
Il parroco lo bevve con la mano destra sul
cuore, interrompendosi a mezzo per dire co-
sternato :
— Domine non sum dignus...
Poi vuotò il calice d'un colpo e lo al-
lungò a Tappo implorando umilmente:
— Nobis quoque peccaiotHbus...
E Tappo mesceva.
Il medico assaggiò, centellinò, approvò. Non
potè ristarsi dal lodare la squisitezza e l'aroma,
poi concluse vuotando il bicchiere e posan-
dolo sul tavolino, quasi con rabbia:
— Dio mi danni! ma questa gente è fe-
lice!
— Signor dottore mio bello — disse Tappo,
parlando senza complimenti anche a nome del
prete, — noi non abbiamo mai fatto male a
persona. La domenica mi metto sul porto e
comincio a far visita ai miei compari. Un bic-
chieretto bianco di quello, un bicchieretto rosso
dell'altro, un bicchieretto rosa del terzo, e poi
si ricomincia per non cascare nel numero pari
perchè porta disgrazia, che se Dio liberi vi
succede di contare lino a tredici, arriverete a
venticinque almeno, se no, a passarla liscia,
Tav. vi.
La Zanzara - Pag. 97.
Un'ombra umana ... schizzò di sotto il letto.... scomparve....
-Bi-
ci rimetteresti la barca. Quando si leva la luna,
ci s'alza per provare un po' come va. La strada
è buia, ci sono i pioli dei canapi, gli arnesi
del calafato sparpagliati qua e là, qualcun
altro che senta un po' di mareggiata, c'è il caso
di perder la rotta... e allora comincio a bor-
deggiare. Con la mia mezza veletta, comincio a
bordeggiare. Prima ti metto la prua dalla Po-
lita, fincbè trovo l'angolo della strada che mena
alla chiesa nova. Allora mi raccolgo, gli dò una
mano di terzaruoli, piglio un po' di vento e taf-
fete ! ti vo a sbattere nel muro di faccia. Di li,
con un altra bordata, ammainando piano piano,
mi conduco fino alla scala della Giovannina, e
qui, siccome son vicino al porto, butto giù tutte
le vele e ti principio a lavorar di remo. Ada-
gino adagino, tastando col braccio sinistro,
giro la scala, faccio due passi, sento la porta,
alzo il piede, salgo il gradino, entro in casa,
agguanto la madia, mi strùcino col groppone
muro muro fino in tinello, trovo l'uscio di ca-
mera, butto giù l'ancora e mi fermo sul letto.
u Ma che sonno, signor dottore mio bello,
tutto filato, a pugni chiusi che nemmeno una
creatura !
— Vuumm.... vuumm.... vou... uh! uh!
La sirena del vecchio piroscafo in lotta con la
boa che lo tratteneva, piccola, a sballottarsi sui
flutti, aveva chiamati i passeggeri alle barche.
— 82 —
TI dottore s'alzava, puntellandosi al ta-
volo, cacciando un urlo.
— Cos'ha?
— Vecchiaia che avanza.... uricemia.... reu-
matismi...
— Zi prò che brutte parole ! con tutta l'ac-
qua che m'ha ammollato, col sudore che mi
s'è tante volte diacciato in dosso, con tanti
tuffi improvvisi, io nemmeno un dolore! mai!
— Si capisce... è il vino che li scioglie...
— E accidenti a chi ve lo mesce — urlava
il medico arrancando verso la banchina.
— Ve', come cammina più svelto, oggi, con
quel bicchieretto in corpo zi prè !
— Si? ma anche l'acqua — si rivoltò in-
viperito il medico al prete, tanto per ricacciar-
gliene una — non è un dono del vostro Dio?
— E chi lo nega? non mi ci lavo forse il
viso e le mani ?
Tappo si crogiolava sopra un rotolo di ca-
napi con la pipa di traverso, sbattendosi il
berretto sulla pancia, mentre il dottore imbar-
cava, filando via tutto ingrugnato a poppa
senza neanche rivolgersi indietro.
Ma venne un giorno ia cui il medico potè
credere alla rivincita. Il giorno in cui Tappo,
cascato in mare un'ora dopo cena con una sbor-
nia a campana, si prese un mal di petto.
— Questa volta ci siamo — disse il dottore
— 83 —
al parroco — se non si trattava d' un bevitore
avrei garantito, ma un cuore sfiancato dall'al-
cool come questo non può resistere. Tappo è
condannato.
— Eppure, scusi veh! ancora non mi par
tanto grave !
— Ma lo guardi, Don E-occhino! e poi
senta me: prima di tutto, innanzi che lo sa-
pessi, potessi pigliare il piroscafo e arrivassi
qui sono passati tre giorni... È una gran brutta
faccenda, questa di non averci il medico sul
posto ! Vergogna ! un Comune italiano, a poche
ore da Roma, senza medico, senza farmacia!
E sa di chi è la colpa? del Governo!
— Badi però che qui muore tre persone
l'anno e, per lo più, di vecchiaia...
— Allora si diceva che son passati tre
giorni e la malattia ha fatto strada. Poi non
gli posso levar sangue perchè è troppo vecchio ;
bisogna fargli la cura tonica, ma qui cognac
non se ne trova e se gli lascio bere il vino
commetto un omicidio...
— Non si confonda, dottore ; allora Tappo
ha passato la vita a suicidarsi... ma, come vede,
è sempre vivo !
Per farla breve Tappo non mori. Lo tro-
varono sul letto addormentato, sudando copio-
samente, per aver vuotato mezzo fiasco d'anso-
— 84 ~
nico che teneva nel canterano. La polmonite
gli si sciolse in quel modo.
Quando mori davvero fece la confessione
pubblica. Aveva rubato. Vino s' intende ! A'
tempi ne' quali trasportava le botti con la
barca. Ma è una cosa, diceva, che, scometto,
anche nostro Signore s'è messo a ridere quando
l'ha saputo (dei contrabbandi non se ne con-
fessò; quelli, per lui, erano affari) e non ci
ha dato peso !
Per consumare il furto del vino, usava cosi.
In alto mare apriva il cocchiume di un vaso,
pigliava un fiasco d'acqua dolce e lo rovesciava
a perpendicolo, rapidamente, nel foro, finché
la bocca del collo toccasse il vino. Per la
legge dei liquidi l'acqua, più pesante, usciva
tutta e nel suo posto, dalla pressione, veniva
respinto il vino. Faceva buon tempo; Tappo
dava il timone e un bicchier di vino al ra-
gazzo, pigliava una sbornia e s'addormentava
in coperta.
Molti credettero che al prete, in un orec-
chio, avesse confidato le sue ultime volontà.
Nemmen per idea! se ne avvidero la sera del
trasporto funebre, quando, prima di sotterrarlo
i quattro portatori e il becchino succhiarono
due fiaschi di quello vecchio sulla fossa del
marinaro contrabbandiere, gran bevitore e per-
sona felice.
- 85 —
— Dalla fossa (aveva sussurato prima di
spirare a Don E-occhino) risponderò al brindisi
con una bottiglia di quello speciale che lei
farà seppellire con me ; ma non lo dica a nes-
suno, perchè, nell' incertezza eh' io possa beverlo
sarebbero capaci di venirmi anche a rompere
il sonno etemo per portarmelo via; e ci man-
cherebbe altro, io che ho dormito sempre tutto
d'un fiato, da vivo, dovessi essere svegliato
da morto! n.
La zanzaKa
Lo cercava, lo voleva trovare, a tutti i costi.
Passò fra mezzo ai banchi dei venditori,
urtandoli e facendosi urlar dietro un sacco di
vituperi, cozzò ne' gruppi de' sensali e de'
contadini che si troncavano le mani per con-
cludere i pateracchi e i negozii, rovistò il mer-
cato delle bestie e quello delle pannine, ruppe
a gomitate la folla che faceva cerchio intorno
a una sonnambula bendata, fece ai pugni e
buscò una legnata in un braccio; ma non gli
riesci di scoprire il su' omo
Finalmente dopo le due, stracco, sudato,
inferocito, lo scovò in fondo a un'osteria dove
digeriva un fiasco di vino fumando a pipa e
giocando a scopone.
Vederlo e saltargli addosso fu un punto
solo.
— Esci fuori, che ti voglio ammazzare!
— Adagio! o cosa vi piglia?
— M'hai abbindolato come un citrullo!
— Io?
— 90 -^
— 1?e!
— Prima avrò diritto di discorrere...
E si ritirarono in disparte e quando Gu-
glielmo gliene ebbe dette di cotte e di crude,
Faina spiegò tranquillamente la cosa.
— Vediamo... a che ora siete ritornato a
casa?
— A mezzanotte.
— Avete fatto rumore?
— Un poco... ma poco.
— E lei?
— Dormiva della più grossa.
— E la finestra?
— Come, la finestra?
— Si, la finestra, com'era?
— Oh! bella! aperta... siamo d'agosto.
— Voi siete un imbecille.
Il mugnaio a sentirsi dare dell' iaibecille
sul muso, con quella sicura tranquillità, perse
le staffe ; tutta l' ira gli sbolli, non fu più lui
e il dubbio atroce lo riattenagliò, da capo :
che avesse avuto ragione Faina?
— Voi siete un imbecille, perchè non avete
calcolato uaa cosa, questa: dalla finestra a
terra è un salto. Se corre lungo il muro della
gora, un uomo non si vede, nascosto com'è
dall'ombra degli ontani... poi trova il canale
che sbocca nel fiume, in fondo al canale fa
una tura di sassi, ci mette due bertuelli, av-
- 91 -
veiena l'acqua col cloruro e vi piglia tre o
quattro chili di pesci!
— Anche i pesci ? !
— Si. Come nel vostro canale, non ci fanno
neppure nel fiume, eppoi il fiume è asciutto,
dove sou pesci invece è tutto buche profondis-
sime e lui non sa nuotare. Capite, ora?
— Se ho capito? — L'ammazzo!
— Adagio ! — Io non ci voglio essere a
niente ; io ve l'ho detto perchè vi voglio bene e
siamo amici ; ma non mi avete a compromettere..,
Guglielmo non lo sentiva più.
Di li a poco, ritto sul barroccio vuoto, a
gambe larghe per via delle scosse, picchiava
col bacchetto della frusta sulle groppe del
mulo che galoppava furiosamente sofi'erman-
dosi un istante a sparare una coppia di calci
e poi si ributtava a quella carriera pazzesca.
Sulla piazza dove il mercato sfollava fu
un fuggi fuggi generale; ciascuno faceva a
gara a mettere in salvo le proprie merci e
se stesso riparandosi sotto i loggiati, e il fan-
tastico barroccio col mulo che pareva impaz-
zito traversò il paese come una versiera e si
perse in una nube di polvere lungo la via pro-
vinciale.
La strada era lunga, la canicola atroce e
quando Guglielmo consumato dalla rabbia e
il mulo esausto dalla fatica arrivarono in cima
- 92 -
al monte di dove si vedeva il molino accanto
alla striscia argenta del fiume fra le due pa-
reti a picco tutte verdi e tutte frescura, la
notte era calata da varie ore.
Allora Guglielmo, mentre la bestia ripi-
gliava fiato, si cavò le scarpe e le buttò nella
cesta sotto il veicolo; poi levò la martinicca
a risico che ogni cosa capitombolasse di sotto,
barroccio e mulo, tolse a questo le sonagliere,
strappò il bubbolo dall' uncino della sella tutta
brillante di chiodi di ottone, spense la pipa,
e, preso a mano l'animale, cominciò a calare
adagino, come camminasse suU'ova
Ma ogni tanto le ruote incespicavano in
un sasso e il barroccio ricascava con un rim-
balzo tremendo, o i ferri del mulo sgriglio-
lavano sopra una pietra liscia e, sdrucciolando
sprizzavan faville ; insomma era una pena che
il mugnaio cercava d'alleggerire giurando e
spergiurando a fior di labbra per tutti i
santi del calendario.
Per fortuna si levò un vento leggero e
gli ontani cominciarono a commuoversi a mor-
morare e a sfrusciare con un crollar di foglie
lungo e continuo che attutiva tutti i romori.
E come Dio volle, Guglielmo arrivò in
fondo, lungo il fiume grigio che d'estate non
aveva parole; era quasi asciutto, salvo le so-
lite buche profonde.
— 93 —
Il mugnaio buttò una coperta addosso al
mulo, senza staccarlo, poi sali la scaletta di
casa, come uno scoiattolo salirebbe lungo una
quercia; apri colla ckiave e d'un balzo fu
alla porta di camera... maledizione! era chiusa
di dentro!
Dette una spallata all' uscio e lo sghangherò.
La luna non c'era, il lume era spento, ma
allo spolverio fioco delle stelle Guglielmo
discerneva il biancicore delle coperte, il lucci-
chio velato dei vetri de' santi lungo le pareti
e il profilo della moglie che, seduta sul letto,
urlava disperatamente: chi è!'?.
— Margherita!
Il respiro affannoso della donna si spandeva
ora per tutta la stanza e di fuori pareva che il
vento rispondesse colla ritmica armonia degli
ontani che si crollavano, si crollavano, si crol-
lavano, quasi chiacchierassero, basso basso, di
tante cose fra loro.
— Margherita !
— Cos'è successo?
— Lo domanderò a te !
— A me? sei ubriaco ? e perchè sei tornato?
— Cosa ci dovevo fare, a dormire sull'o-
steria?
— Finirai per isfiancare il mulo...
— Ti preme più il mulo di me, da un pez-
zo a questa parte!
— 94 —
— Faresti meglio a lasciarmi dormire...
annacg;ualo !
— Falla finita ! se non ho mangiato !
— In dispensa ce n'è fin che ne voi!
— Perchè hai chiusa la porta?
— Perchè quando son sola ho pensato ohe
è meglio...
— E perchè hai aperto la finestra?
— Si schianta, stanotte! Ma cosa ti piglia
ora ?
— E io ti dico che quando non ci sono la
finestra deve star chiusa... chiusa capisci?
— Si ! che non entri qualcuno a portarmi
via!
— Rispondi a tòno !.... eppure, te lo avevo
detto...
— E se mi fossi sentita soffocare?
— Ma se, prima, avevi paura delle zanzare !
— Le zanzare?
— Le zanzare, si!
— Io non l'ho sentite.
— Ah ! non l'hai sentite eh ? non l'hai sen-
tite?
— No.
— Sta' zitta !
— Ma io dico...
— Sta zitta sai? o ti rompo la faccia!
La donna si tacque borbottando, sbollendo
pian piano, come fa l'acqua nella pentola, ti-
— 95 —
rata via dal fuoco; poi, nella stanza non si
udì più che il monotono, ritmico sfrusciare
degli alberi che crollavano, si . crollavano, si
crollavano, al venticello leggero quasi chiac-
chierassero basso basso di tante cose fra loro,
e, acuto, e distinto arrabbiato entrò dalla fi-
nestra e si sparse per tutta la camera il sibilo
molesto d'una zanzara.
— La senti?
— Bada li, per una zanzara!
— E come entra quella, cosi n'entrano
cento. — La senti?
— La sento? Embè? che vuol dire?
— Vuol dire (e Gruglielmo arrotava i denti)
vuol dire che la gora è piena ed è lei che ce
le manda, le zanzare; vuol dire che se tu
vuoi tenore la finestra aperta io non vo-
glio le zanzare....
— Cosa vuoi fare, cosa vuoi fare?
E la donna si alzò a sedere sul letto coi
capelli sciolti sulle spalle e il seno che le sob-
balzava sotto la camicia bianca.
— Cosa vuoi fare?
— Nulla... (e il marito sghignazzava) nulla!
Riempio la gora...
— Sta fermo sai!
— Perchè?
— Tu non facessi una cosa simile! — E
scese dal letto.
— 96 —
— Ma di cosa hai paura?
-- Come farò a lavare?
— Con quell'acqua sudicia?
— E l'anatre? e l'oche?
— Anderanno al fiume...
La donna accumulava ragioni su ragioni,
discorrendo a precipizio, imbrogliandosi, bal-
bettando, e l'uomo s'avviava all'uscio, ma
quella si accostava al marito, gli cingeva il
collo colle braccia grasse e nude...
— Sta' bono, sta' bono...
— Lasciami fare o ti strozzo!
— bo Sta'no... vien via... o cosa ti salta, a
quest'ora ?
— Lasciami andare...
— Non voglio... non voglio...
— Lasciami per Cristo Dio !
L'uomo si era strascicato fino alla soglia
della camera con la moglie sempre aggavi-
gnata addosso ; la percoteva de' pugni ne' fian-
chi senza riuscire a staccarsela ; pervenne a
spalancare l' uscio ; cercava ora con un braccio
la maniglia della cateratta sul pianerottolo e
l'altra sempre ostinata, a raccomandarsi : no !
no ! no !
Ma finalmente Guglielmo con una mossa
violenta riusci ad agguantare la campanella e
a tirarla a se, con uno sforzo supremo.
La Margherita s'attaccò al marito con tutto
Tav. vii.
Un' avventura di venti anni fa - Pag. 106.
E il pranzo fu coi fiocchi !
— 97 —
il peso del corpo, cercò di strappargli la mano
dalla presa, gliela morse, si rotolarono tutti
e due sui mattoni come bestie selvatiche an-
sando, bestemmiando, urlando.
Ma il rombo dell'acqua che dalla cateratta
sollevata si precipitava nel canale fra scrosci
e gorgoglii furibondi attutì ogni romore, co-
pri ogni voce...
Allora il mugnaio potè districarsi, levarsi
in piedi e lanciando ferma e piangente la Mar-
gherita che singhiozzava in camicia sul pavi-
mento, si precipitò per la scala, fuor della
casa, a salti di lupo.
E quasi subito un'ombra umana con un
fardello in braccio schizzò di sotto al letto,
traversò d'un balzo la camera, disse qualcosa
alla donna che s'alzava da terra un po' rinton-
tita, e scomparve di dove era uscito il mu-
gnaio.
Quando questi ritornò, fradicio intmto, la
Margherita si era ricacciata nel letto e figu-
rava di dormire voltata dalla parte del muro.
Guglielmo la chiamò, con voce dolce.
Margherita?... Margherita?...
— Insomma? cosa c'è? non t'è passata an-
cora ?
— Questa volta l'ammazzo !
— Chi?
— 98 ~
— Faina, quel mascalzone! mi ha fatto
tornare apposta, capisci? apposta!
— Per via di che?
— Perchè (dice lui) la notte mi pescavano
i pesci nel canale della gora mettendo i ber-
tuelli all'imbocco del fiume.
— E... invece?
— Nulla di nulla !
— Ammazzalo ; ma lasciami dormire. Sei
contento, ora, d'aver buttato via l'acqua della
gora e di avermi sciupato il bucato, di farmi
sbandar l'anatre e d'avermi macolata mezza?
— Ma perchè non m'hai lasciato far subito ?
— Oh! bella! dovevo esser contenta ohe tu
vuotassi la gora? Se tu me l'avevi detto, ap-
pena entrato, ti lasciavo fare e peggio per
chi affogava.
E dir questo e rivoltarsi, tutta imbronciata,
dalla parte del muro fu un punto solo.
Nella camera si rifece un gran silenzio.
Soltanto la zanzara ronzava sempre con un
sibilo cosi acuto che pareva una vaporiera
lontana.
Guglielmo si accostò al letto, si grattò la
testa, indeciso, poi provò a chiamare ancora :
— Margherita?
— Ma, insomma?!.
— Margherita, facciamo la pace?
La donna non rispose. Dall'aperta finestra
— 99 —
si vedevano scintillare le stelle come occhi
curiosi nel cielo che battesser le ciglia, gli
alberi lungo la gora, ormai asciutta, si crolla-
vano, si crollavano, si crollavano al venticello
leggero quasi chiacchierassero basso di tante
cose fra loro, allegramente, ridicchiando in
sordina, e la zanzara fischiava sempre.
UN'A^^EMfURA DI 20 ANMl FA
UM'/^VVCMTUR?S DI 20 ^NNI ra,
Un caae scagnava la lepre, nel borro, io ero
alla pòsta, sul poggio.
Avrei dunque secondo le regole imprescin-
dibili della caccia, ammazzato l'animale per
conto d'un altro?
Vinsi subito l'incertezza, perchè a questi
lumi di luna un tiro sicuro non è mai da di-
sprezzarsi, e la lepre arrivò adagio adagio sof-
fermandosi ad ascoltar la canizza ad ogni pic-
colo salto. Abbacinata, com'è sua abitudine,
aveva orecchi per udire, non occhi per vedere,
e camminò dritta sulle bocche del mio fucile.
Sparai, l'uccisi, poi mentre le spremevo la
pancia, alzai la testa e vidi il cane che arri-
vava come una saetta, un cane rossiccio grigio,
col pelo irto e un gran filo di bava d'argento
che gli circondava due volte il muso affilato
da cui penzolava la lingua rossa fino all'in-
verosimile.
Naturalmente dopo il cane doveva arrivare
il cacciatore, e questi era un magnifico prete,
— 104 —
molto anziano, molto rubicondo, molto ridicolo
colla cacciatora di frustagno sui calzoni corti
e le c§lze nere profanate da un alto par di
scarpe da caccia, gli occhiali sul naso color
peperone e una paglietta di traverso col nastro
nero che gli dava l'aspetto d'una caricatura
da operetta...
Arrivò ansando, e non poteva spiccicar pa-
rola col fucile nella sinistra e il fazzoletto nella
destra, annaspando per aria come se si sen-
tisse affogare.... Ma lo tirai subito a galla.
— A lei, reverendo. Questa lepre è sua,
conosco le regole della caccia, so qual'è il mio
dovere.
E gli porgevo la bestia calda e sangui-
nante verso la quale il cane si lanciava con
salti fantastici ricascando a terra sulle quattro
zampe colla bocca ripiena di pelo.
— Ah!... Ah!... Ahi... gemeva il prete di-
vincolandosi tutto senza riuscire ancora a spie-
garsi per bene, e buttato via il fazzoletto si
tolse il cappello e rimase con la testa pelata
e lo zuccotto nero sulla chierica in attitudine
di straordinario rispetto.
— Ah! Ah! Si.... signore, quanta bontà!
Scusi, sa, abbia pazienza, mi perdoni.... questa
è la cartuccia.... ci avrebbe un coltello?
— Ma per che farne ? Si tenga la cartuccia,
si tenga la lepre, ma non la sbuzzi sa? Che le
- 106 -
pare ch'io la voglia rimandare alla pievania
colla lepre sbuzzata e steccata col ramerino?
Nemmeno per idea!
Quel che successe allora è più facile a im-
maginarsi che trascriversi.
— Lei è un gentiluomo! esclama il prete
buttandosi via a furia di gesti, lei è un gran
galantuomo ! Si vede subito ! l'avevo capito da
lontano! E quest'onore è toccato a me! Ma
ora mi deve fare un altro piacere! Deve cac-
ciare con me, e con Lampino, finche non se
ne è ammazzata un'altra, e poi deve venire a
gradire un boccone....
— Ma che le pare!
— E non mi dica di no, o lei mi da il più
gran dispiacere della mia vita! Un boccone con
me! la coratella insieme s'ha da mangiare! Ma
che le gira? lo sa che chi non mangia la co-
ratella non ammazza più una lepre perfin che
campa?
— Non ci mancherebb'altro !
— Allora, accettato?
— Accettato!
_ Lei è un gran gentiluomo! Lampino!
Lampino! Uh! dai! Uh! dai! giù lesto!... Uh;
dai ! Lampino ! bisogna farsene onore !
Ma se ne fecero pochissimo, cane e pa-
drone, tanto che dopo un'oretta il pievano che
intanto mi aveva raccontato metà della sua
— 106 —
vita, mi accennò di guardare una chiesina
bianca accanto a un olmo gigantesco in cima
al poggio che si stava salendo e mi fece ca-
pire che si era arrivati,
E il pranzo fu coi fiocchi.
Si bevve un vino che pareva lacrimato dagli
angioli (il prete veramente adoprava un'espres-
sione più energica) e si arrivò a quel punto
culminante di certi desinari in cui il padrone
e il commensale sentono inumidirsi le ciglia,
e si versano vicendevolmente nel seno tutte
le confidenze più intime.
Fu proprio in questo istante patologico che
il prete mi disse con' voce sospirosa, ma che
tradiva la volontà di ciarlare : Se lei, che scrive,
sapesse la storia di questo cane !...
— Ci farei sopra un romanzo !
— Eh no ! perchè questa storia.... è un se-
greto !
— Scusi.... permette? (e mescevo due calici
colmi di vino) scusi.... e le pare ch'io non sia
uomo da serbare un segreto?
— Non dico questo !
— Non lo dice, ma lo pensa ! Dal momento
che non mi racconta nulla....
Il prete taceva facendo oscillare il bicchiere,
poi ingoiò il vino in un sorso e battendo il
pugno sopra la tavola : Lei, esclamò, è un gen-
tiluomo! o stia attento.
— 107 —
u io son sempre stato appassionato per la
caccia, ma disgraziatamente, in ispecial modo
per la caccia alia lepre col cane da seguito;
sa, è una caccia più comoda, più sicura, più....
— Tiri avanti! ho capito.
— Ma i cani da lepre corrono.... entrano
di qua.... entrano di là..., breve; me ne avve-
lenarono due, e io mi rassegnai a non com-
prarmene un terzo. Quando eccoti che una
bella sera mi capita alla pievania un bracco-
niere di fuori. Era stato sorpreso dalla pioggia :
il paese è lontano, non conosceva la strada;
non ebbi difficoltà a farlo passare, qui in casa.
Gli detti da rifocillarsi, e, mangiando, mi rac-
contò la sua vita. Era maremmano, la comare
(sa? la febbre, come la chiaman laggiù) gli
aveva ammazzato mezza la famiglia: non gli
era rimasto che un figliuolo che s'era buttato
alla cattiva, lui era stato costretto a venirsene
via per non fare il viso rosso.... Aveva preso
quei pochi, il fucile, Lampino, e, cacciando
passo passo, s'indirizzava cosi in cerca d'un
po' di fortuna....
u Pareva sincero, la faccia l'aveva leale....
la Bètta, povera donna, è un miracolo se ri-
para a farmi quel boccon di minestra; in una
parola, guardo fisso il mi' omo e gli domando:
volete restare con me?
u — Ma.... a far che cosa?
-- 108 -
a — Ma, farete il casiere, mi poterete quelle
due piante nell'orto, e verrete, voi e il vostro
cane, a caccia con me ! Accettò e non gli parve
il vero, ma la Bètta non lo voleva digerire.
Quello è un mangiapane a ufo, mi diceva, signor
pievano, lei s'è messo il diavolo in casa, lei
se ne pente.... quando glielo dice la Bètta....
u Invece per qualche mese tutto andò bene.
Lampino cacciava divinamente e a battuta
finita, tornava a casa, si metteva in un can-
tuccio e non c'era pericolo che andasse a zonzo
la notte. Chi educa una bestia cosi, pensavo
io, un può essere che un gran galantuomo!
u Una notte, saranno state le due, mi sveglia
un colpo di fucile.
u Non so dirle se il cuore mi batteva nel
petto! Ci sono i ladri, pensai. Grigi, si chia-
mava cosi, li ha sorpresi, e loro l'hanno am-
mazzato. Ma come mai Lampino non ha dato
segni di vita? Ahi ecco! prima hanno avvele-
nato il cane, e poi m'hanno ammazzato il casiere !
" Mentre facevo questi ragionamenti, cari-
cavo lo schioppo colle mani che mi trema-
vano.... la Bètta, nell'andito, urlava; signor
pievano è successo qualcosa di grosso di certo !
— Bètta, rispondevo, rientrate in camera e la-
sciatemi uscire.... Perchè capirà che non mi po-
tevo far vedere alla Bètta, ne la Bètta a me,
cosi come s'era, appena scesi dal letto.
— 109 —
u Signor Pievano, mi rispondeva la Bètta,
non esca! ammazzeranno anche lei!
u — Ma io non ho paura, sono armato e
voglio uscire! rientrate in camera vostra!
u. — Signor pievano, mi rispondeva quella
donna eroica, lei non deve uscire, io rimango
qui, in sentinella e, ci pensi bene, signor pie-
vano, sono in camicia!
u. Questo bastò a trattenermi.
— Glielo credo!
ti Dopo la schioppettata s'era rifatto un si-
lenzio di tomba, un silenzio alto, opprimente,
nel quale sentivo pulsare distintamente le vene
delle mie tempie. E Lampino, zitto! Di certo
avevano ucciso anche lui! Questo silenzio an-
goscioso durò una diecina di minuti. Io, col
fucile in una mano, la candela nell'altra, in
mutande, fremevo dall'impazienza di misurarmi
cogli assassini. ,. E chiamai di nuovo la Bètta.
u Signor pievano, son sempre qui!
u Nel tempo stesso, sentii risuonare su per
le scale il passo pesante d'un uomo e il tonfo
dell'uscio e il crac del paletto della Bètta che
si serrava in camera sua urlando : Eccoli, ven-
gono! Io posai la candela sul cassettone, mi
feci il segno della croce e imbracciai il fucile.
u Non posso dirle quanto durasse quell'at-
timo ! mi parve un secolo addirittura ! Poi una
- 110 —
mano si posò sulla gruccia dell'uscio, mentre
io davo con voce costernata il chi va là!
u Signor pievano, son io!
u __ Chi io?
u — Gigi, perbacco ! o non mi riconosce
alla voce?
■u — Avanti, allora benedett' uomo ! che c'è
bisogno di fare tanti casimisdei ? E Grigi entrò ;
pallido, col fucile in pugno anche lui e Lam-
pino a orecchi bassi che gli camminava sui
tacchi. Io non credevo ai miei occhi. Ma che
cosa è successo, esclamai, non mi tenete cosi
sulla gruccia, parlate dunque in nome di Dio!
« Gigi posò il fucile, fece una carezza ai
cane, poi mi disse molto seriamente : Lei è un
prete? Bene.... se uno si vuol confessare, lei
può rifiutarsi di contentarlo?
a _ Io? no certamente.... ma che discorsi
mi fate!
— Senta, io ho bisogno di confessarmi!
a — Eh?!... a quest'ora? e quella fucilata?
Oh! Gigi, ma voi siete impazzito! Bètta!
u — Stia zitto, sa? Lei bisogna che mi con-
fessi e subito anche ; se no, fo qualche pazzia....
Mi dica, lei, può rifiutare in coscienza questo
favore a un cristiano?
u — Ma che lavoro è questo?
a E intanto Gigi, si inginocchiava, si le-
vava il cappello, si faceva il segno della croce.
— Ili —
Io, come smemorato, posavo il fucile, mi in-
filavo la tonaca, mi segnavo anch'io senza cre-
dere a quel che vedevo, senza capire quello
che facevo.... e intanto: sapete il confìteor."
No.... lo dirò io per voi.... quant'è che non vi
siete confessato ?... quant'anni! ? o come si fa,
Gesù mio! c'è da farci l'aurora.... va bene....
comandiate.... bestemmie.... legnate.... contrab-
bando.... caccia di frodo.... solite cose.... e per
questo mi siete stato a incomodare? 0 forse
avete bevuto un po' troppo?
tt Ma Gigi, tranquillissimo, mi rispondeva:
(Questi sono i miei peccati, fino a quello di
stanotte, che non è neanche un peccato.
a -. Ma quest-o è un rebtts.'
u Dunque stanotte, ho sentito ruzzolare
nel pollaio, benché Lampino non abbia fatto
segno neppur di ronchiare;
u Ho preso il fucile e ho trovato il cane
nell'orto che faceva le viste di nulla. Ho aspet-
tato un pochino, poi l'uscio del pollaio s'è
aperto e al barlume ho visto scivolare un'ombra
con un sacco addossso. Io ho sparato una fu-
cilata mirando alle gambe del ladro, questo è
cascato a bocconi, io gli sono andato addosso....
e.... sigillo di confessione, n'è vero signor pie-
vano? ho capito subito perchè Lampino non
aveva abbaiato.... Il ladro era il mi' figliuolo!
^ L'ha compresa, lei, ora, la trappola in-
- 112 -
female ohe c'era sotto quella confessione del
diavolo? No? e allora gliela spiegherò io.
u Mi toccò a tirarmi in casa anche il fe-
rito, senza denunziar nulla, senza dir nulla,
mi toccò a fargli ungere la gamba impallinata
dalla Bètta qui presente e consenziente; di-
ventarono i padroni loro e tutte le volte che
cercavo di ribellarmi....
— Le tappavano la bocca col sigillo di con-
fessione !
— Bravo! Ma l'altra mattina se ne sono
andati....
— . Ah! finalmente!
— Si! e con loro, i calici, gli ori, le pis;:
sidi, i. piviali, tutto il tesoro della sacrestia....
E questa volta non c'è stato sigillo che te-
nesse. Li ho denunziati e cosi ho rotto il si-
lenzio che m'affogava. 0 vadano a far del bene
alla gente. E fortuna, che m'è rimasto Lampino!
Tav. Vili.
/ delfini Pag. 126.
.... videro la fragile imbarcazione che si avvicinava.
I DELFINI
I DCLflNI.
— Non si può, assolutamente, più andare
avanti cosi!
E dicendo queste parole con stizza non celata,
padron Francesco detto comunemente «Schianta-
catene» tirò fin dentro all'uscio dello stambugio
che gli serviva di abitazione, un lembo della
lunga rete che strascicava iìiori sullo spiazzo
battuto del piccolo porto, dietro la fila delle
alte barche nere che parevano intente, ritirate
in secco sull'alghe, a un perenne colloquio, dove
loro non parlavano e solo avea voce, voce pre-
potente e terribile, l'eterno insonne, il gran
mare.
Col lembo di rete miseramente forato, da
cui era uscito, nella notte di pesca ansiosa e
faticosa, metà del pesce sudatissimo che solo il
povero « Schi anta-catene » sapeva cosa gli co-
stasse, entrò nella stamberga un filo di luce li-
vida, che lo scirocco s'era alzato sul serio e
tutta l'insenatura lunata dove le barche si di-
fendevano traballando dietro la diga irta di ma-
— 116 —
cigni granitici, tremava e rombava come se
mille demoni la scuotessero a prova.
Le nuvole pazze correvano da sud a nord-
ovest sfilaccicandosi in mille guise stranissime,
la nebbia velava le cime dirupate dell'isola, la
foschia impediva di scorgere la terra al di là
del canale agitato, le donne colle pezzuole
nere attorno al'e teste bronzee dai grandi occhi
profondi, cominciavano ad aggrupparsi sul molo,
nascondendosi dietro il muro per non essere
spruzzate dall'acqua, interrogando il mare se
recasse sul dorso ballonzolante dei suoi verdi
cavalloni dalle criniere di spuma le barche
audaci che la speranza di buona pesca aveva
spinto oltre il dovere, al' largo o vicino alle
coste pericolose dove le scogliere strapiombano
taglienti come rasoi.
Non c'era agiatezza in casa di « Schianta-ca-
tene » e non c'era neppure la felicità.
Quel filo di luce livida e dubbia bastò a ri-
velarlo; la tavola non si ricordava, evidente-
mente d'essere stata mai apparecchiata, la piat-
taia si frangiava di spesse tele di ragno, un
magro gatto stava rannicchiato, senza fusa,
accanto a un focolare dove non eran che ceneri,
e sopra il letto basso, vigilata da un ragazzetto
spaurito, delirava una donna consumata dalla
vampa di ardentissima febbre.
Come vide la rete strappata annaspò con le
-in-
clita magre accennando il gesto di cucire, poi
lasciò ricadere pesantemente le mani, le abban-
donò sulla rimboccatura del lenzuolo bigiastro,
simili a due povere cose morte e détte improv-
visamente nel piangere
€ Schianta-catene » che, sotto l'aspetto ter-
ribile della sua figura tagliata con l'accetta in
un blocco di sasso, aveva un cuore tenero come
l'acqua, borbottando fra i denti, alzò gli occhi
al cielo per imprecare, poi subito si rimise,
giungendo le mani sullo stomaco enorme e nudo
e tastò inconsciamente il gruppetto dei « voti »
che, per un filo di spargo, gli pendevano dal
collo.
Stette un po' così, raccolto in sé stesso, poi,
scaraventato il berretto di lana contro la pa-
rete, esclamò : E nessuno che mi voglia aiutare I
Di più che cinquanta libbre di pesce, me n'è
avanzato una zuss^. E la guerra s'è preso Bep-
jiino, e i generi rincarano, e siamo sotto Natale,
e bisogna mangiare ! Mi raccomandai al signor
Comandante, che ci mettesse lui un rimedio coi
suoi soldati.... ma si! quel brigante mi ha fatto
una risata sul muso! Cosa crede, lui, di saperne
pili di noi, che non ha mai visto il mare in
faccia ! Eppure son sicuro che una schioppatata,
assestata bene, basterebbe a levare a quei dan-
nati la voglia di rovinare la gente così
— Ma, babbo azzardò con voce angosciata
- 118 —
il ragazzetto che aveva subito quella tempesta
di parole senza alzare il capo dal capezzale della
malata, babbo, non avete detto che a tirare al
delfino se ne ricorda e c'è da avere (jualche
brutta sorpresa?
— L'ho detto, l'ho detto.... l'ho detto perchè
me l'avevano raccontato i miei vecchi; ma, per
San Mamiliano benedettissimo, quando a un
cristiano la gli va così, gioca di tutti, che tanto
di peggio non si potrebbe aspettare! — Sarà
stata mezzanotte, quando si è cominciato a
tirare la rete e intorno intorno pareva l'inferno.
Contro uno strappo di nuvole, ho visto la coda
a forca d' un di quei dannati e mi son subito
detto: Ci siamo! Ma non credevo fossero tanti....
La povera « Clementina » scricchiolava per il
gran peso mentre si davan l'ultime bracciate
e io ho capito bene che s'era accerchiati. Meno
di cinquanta non erano.... finalmente, un salto
di qui, una capriola di là, si son tuffati
e hanno dato il cozzo. L'ho capito nell'attimo,
quando uno di loro s'è alzato sopra un fran-
gente e m'ha fatto quel certo verso colla bocca....
Oh! avessi avuto un fucile! Ma il comandante
ride, Dio lo mandi alla guerra!
La malata (di cui la barca portava da tanti
lustri pomposamente il nome che le fu imposto
quando era civettuola dipinta in bianco e rosso
e calafatata di fresco e ora invece gemeva e
- 1Ì9 -
scricchiolava per mille avarie nel fasciame,
tal quale come quel povero corpo) la malata
aprì la bocca e gemè : Chi la riaccomoderà ora,
la rete? Almeno Beppino ci fosse rimasto! A
quest'ora avrebbe sposato la Caterina e ci sa-
rebbe una donna per la casa.... quanta miseria,
Vergine bella, quanta miseria!
Sotto r inevitabile tacquero tutti e, nel gran
silenzio non si sentiva altro che il respiro furi-
bondo del mare e l'ansimo del petto secco e an-
gustiato del povero « Schianta-catene», quando,
come una folata di vento i bambini, i due ultimi,
nati ad un parto, irruppero nella stanza in uno
sventolio di gonnellini multicolori stinti e rat-
toppati.
— Marsilio ha detto che viene Natale!
— Stanotte arriva Ceppo coU'albero e i lumi !
— Voglio lo zoccolo per metterlo fuori.
— Anch'io lo voglio!
— Lo zoccolo !
— Lo zoccolo ! lo zoccolo !
— Buoni! buoni! gemeva la malata, buoni!
se no quell'omo con la barba bianca e il cap-
puccio, invece di bene vi porterà male, è se
non sarete buoni si trasformerà in un foròne (1)
e vi porterà via sulla groppa, all' isola di Mon-
(l) Nel linguaggio dei maremmani rivieì'aschi s foròne n
il soprannome dato ai delfini.
- 120 —
tecristo, dove ha una grotta che non si vede
la fine.... buoni! buoni!
— Io l'ho vista la grotta ! saltò su il mag-
giore, fiero, nonostante il dolore, di ostentare
la sua esperienza di piccolo navigatore. — Io
l'ho vista e ho parlato con quelli che hanno
conosciuto il Mago.
— Il Mago? rispose « Schianta-catene » illu-
minando il gran volto abbronzato tutto grinze
e cicatrici incrociate in ogni senso — il Mago?
Anch'io l'ho conosciuto. Si chiamava David
Lazzaretti e stava in quella grotta a pregare..,,
poi l'ammazzarono, laggiù sotto Arcidosso! Ma
quelli eran bei tempi di pesca e di poco dispen-
dio e la « Clementina » pareva una rondine
quando soffiava maestrale!
Di nuovo il ricordo degli anni passati prese
tutte quell'anime miti, di nuovo l'ala del dolore
presente sfiorò insensibile quelle fronti percosse,
e anche i bambini si tacquero presentendo senza
capirla l'imminente sventura.
Nell'isola non si trovava un medico, non
una farmacia, non un conforto pietoso, il pesce
era poco e i denari mancavano e la Clementina
agonizzava proprio alla vigilia di Natale men-
tre l'altra Clementina, quella di legno, era tor-
nata con un buco di più nella vela e la rete
sfondata dai maledetti foròni, disperazione di
tutti i pescatori del porto.
- 121 -
Guglielmo, il ragazzetto mezzano, stette a
lungo colla front© tra le mani, guardando tra
le dita il babbo che cercava l'oblio iu fondo a
un boccale contenente gli ultimi litri d'ansonico
gagliardo, poi, come lo vide addormentarsi con-
tro la tavola, data un'occhiata alla mamma
che si assopiva, usci sul porto. Non aveva fatto
due passi che incontrò Gabbriella, la ragazzina
della posta che recava un telegramma.
Un telegramma?! per lui? Difatti ara l'u-
nico, iu famiglia, che sapasse leggere e scrivere,
ma le mani gli tremavano mentre apriva l'in-
volucro giallo e come ebbe letto a stento non po-
teva credere ai suoi occhi.
Beppino ritornava! ritornava dal fronte in
breve licenza, e a quest'ora era a Santo Stefano
ohe passeggiava in su e in giù mordendosi le
mani dalla gran bile perchè il piroscafo, la do-
menica, non faceva servizio ! E dire che, colla
sua venuta avrebbe rallegrato quella casa di-
sperata, salvato forse la mamma ! E poi avrebbe
portato qualcosa, che lassù, non aveva occasione
di spendere un soldo, e certo, a quell'ora i pa-
renti di Santo Stefano, i quali odiavano « Schian-
ta-catene « per via di questioni da giovani, ma
adoravan Beppino, tanto laborioso e buono, lo
avevano colmato di regali e di dolci per i ra-
gazzi piccini.
Col telegramma spiegazzato in tasca, Gu-
— 122 —
glielino rimase a lungo sulla spiaggia taciturno,
contemplando la « Clementina » che si cullava
mollemente sull' onde sempre decrescenti, finché
il vento parve restare del tutto e nel cielo tur-
chino che si sgombrava di nuvoli, alte, al di-
sopra del profilo arcigno del Castello piantato
ferocemente sulla cima granitica a picco sul
mare, apparvero le bianche stelle dell' Orsa.
*
* *
« Schianta-catene » , curvo, barcollante irrico-
noscibile, se ne andava verso la chiesa di San
Lorenzo, trascinandosi dietro i bambini che mu-
golavano chiedendo il Ceppo e fantasticando
sullo zoccolo messo sul focolare spento, accanto
al gatto senza fusa il quale non s' era più mosso,
mentre un gaio sciame di gente felice s' affret-
tava, tappando le bocche coi lembi dei man-
telli, verso la messa di Natale.
Il cielo era divino, le campane squillavano
lietamente annunziando la nascita del Redentore
del Mondo e gli uomini proni chiedevano pace,
pensando ai mali che insanguinano la terra,
mentre Guglielmo, zitto zitto scioglieva l'ormeg-
gio, issava la vela, prendeva il timone e si
abbandonava alla corrente drizzando la prora
verso il gran promontorio d' argento che scin-
tillava nell' ombra interrotto da insenature prò-
— 12:ì —
fonde che gli davano la strana parvenza di un
enorme mostro marino addormentato sul pelo
dell' acqua.
E subito parve che un invisibile zeffiro aliando
sul placido pelago gontiasse compiacentemente
la vela; certo il favore del Cielo e del mare
accompagnava la navicella pietosa nella sua
traversata santa per quel rito d' amore.
La barca nera scivolava in silenzio in mezzo
a una scia lunga di liquide gemme che pareva
segnarle la strada. Era quella la bussola del
buon Guglielmuccio, era quella che faceva le
veci della cometa fatidica di cui gli avevan
parlato accanto al modesto presepio che i fan-
ciulli più ricchi dell'isola riuscivano a fabbri-
care ogni anno.
E sarebbero tornati, lui e il fratello venuto
tanto di lontano, da una vita di sacrifici e di
dolori, all' isola che già a quell' ora formicolava
di gente preoccupata dalla sorte di quel povero
fanciullo sperduto solo nel mire: sarebbero
arrivati uguali ai Re Magi carichi di regali,
i Re Magi che affrettavano nel presepio mo-
desto il loro cammino verso l' umile capanna
dove aspettava il bambino povero e nudò; la
madre sofferente e il padre commosso dell' ina-
spettato affluire di donatori e di doni.
Il sublime sogno del piccolo pescatore si fa-
ceva realtà, man maro che lo zeffiro, incalzando
- Ì24 —
e raddoppiando di tòrza, lo spingeva verso la
terra che risplendeva sotto la luce rigida della
bianca luna di Natale, come un gran blocco
d' oro e d' argento.
E via, e via, e via e via ... ma il canale è
largo, e fosse il freddo notturno o il dondolìo
della barca, Guglielmo cadde sul fondo della
povera « Clementina » che continuava a navi-
gare in mezzo a liquide perle e diamanti^ vi
giacque, perdette a poco a poco la conoscenza
e si assopì profondamente chiudendo gli occhi
con dentro le pupille e V anima la visione stel-
lare del sereno cielo di Ceppo.
E gli pareva di essere come uno dei Re. Di
tornare da paesi lontani, sopra una gran nave
dal sartiame sonoro esperto di ogni tempesta,
recando a bordo per la sua buona mamma, ora
vecchia, tanto vecchia, per il suo babbo stron-
cato dal remo e dalla rete, per i fratellini fatti
grandi, d'ogni sorta di ben di Dio, ogni ge-
nere di ricchezze, di ghiottonerie, di rarità.
Ed ecco giungeva proprio la notte di Ceppo,
e li trovava tutti dispersi che piangevano, ma
innanzi a lui, il vecchio Natale incappucciato
di blu e colla barba bianca, era corso avanti a
mettere, dalla cappa del camino, due monetine
d' oro nello zoccoletto di un nipotino, del fi-
gliuolo di Beppe, il quale, poi che era scampato
— 125 -
alla guerra, aveva sposato la Caterina ed era
a far fortuna per mare.
Allora tutti gli pareva accorressero alle grida
del bimbo che aveva trovato il tesoro e mera-
vigliati esclamassero gridando al miracolo, finché
qualcuno, istintivamente, apriva la porta, correva
fuori a trovare lui, con le braccia cariche d'ogni
dovizia, intirizzito dal freddo che non aveva
forza d' entrare !
E lo spingevano, lo portavano quasi, dentro,
e mentre i più giovani esclamavano giubilanti alla
yista dei regali, lui sentiva sciogliersi le membra
al calore della fiammata subito accesa nel vec-
chio cammino e 1' anima al calore di tanti effetti
suscitati e ricambiati, rifioriti, a un tratto, come
il bucaneve dal ghiaccio, su dal cuore di cia-
scuno in quella santissima notte in cui tutti
gli uomini buoni si senton fratelli ; e gli parve
che due tremule mani gli cercassero il capo,
gli brancicassero la faccia, lo carezzassero sui
capelli ; le mani della mamma, della mamma,
della mamma !
Fece per alzarsi ed abbracciarla e si svegliò.
Si svegliò in un letto caldo, circondato da
gente curva amorosamente su lui, primo fra tutti
Beppino, magro, abbronzato, vestito da soldato
italiano, con un fregio d' argento al colletto....
Come ridire i dolci rimproveri, le esclama-
zioni. £rli elo^i y
— 126 —
Lo avevano trovato sìil far dell' alba irrigi-
dito in fondo alla barca che errava sola sul-
l'acque tranquille, presa da una leggera corrente
che la portava lontano dal porlo, ma lontano
altresì dal pericolo delle scogliere ; 1' avevano
rimorchiata fin li, e ora la voce s' era sparsa
per tutto, e la gente era accorsa, a interessarsi
del piccolo eroe, a colmarlo di doni, di chicche,
di lodi,
E perchè il vento si alzava minacciando di
rinforzare, 1' animoiio Beppino e il bravo Gu-
glielmo, appena questi si fu rimesso in piedi,
essendo ormai giorno chiaro da un pezzo, deci-
sero il ritorno.
La « Clementina » ohe pareva avesse ritrovato
i suoi primi ardori, gonfiò la vela al greco-le-
vante e doppiata la punta si slanciò verso l'isola
radendo 1' onde dalla piccola cresta bianca, come
un gabbiano veloce.
Oltre metà del canale, rinforzando il greco-
levante e preparandosi a dar luogo alla tramon-
tana, che rende fulminei i grossi velieri, ma
affonda le piccole barche, gì' isolani, i quali tre-
pidanti aspettavano, videro la fragile imbarca-
zione che si avvicinava in una tragica alterna-
tiva di sobbalzi che la facevano scomparire e
apparire.
Innanzi a tutti, investito dalle ondate che lo
bagnavano da capo a piedi nel suo vestito im-
— 127 -
permeabile da pescatore, « Schianta-catene » ,
sulla punta del molo, coi pugni tesi, si racco-
mandava e imprecava.
A tratti, nelle brevi soste del tramontano,
da un gruppo di donne colle pezzuole nere che
incorniciavano gli ovali dei volti cerei, inginoc-
chiate tra due scafi, salivano i ritmi delle li-
tanie, il campaniluccio del tetto roggio squillava
disperatamente a tempesta e la preghiera e i
lamenti e le deprecazioni si fondevano e dile-
guavano nel gran rombo senza riposo del vento.
Subitamente un delfino guizzò, agile come
una freccia e ricadde nel grembo d' un maroso
e un' altro lo seguì, e un altro ancora, e poi
cinque, dieci, venti...
« Schianta-catene » non aveva più voce ; istu-
pidito guardava i suoi nemici, i foròni, che
come una scorta trionfale, gli riconducevano
la barca e due figli traverso la tempesta del-
l' onde.
E la barca cinta da una siepe di pesci guiz-
zanti, come un' apparizione soprannaturale,
entrò nello specchio dell' acque più calme, dove
i delfini con un ultimo slancio elegante, si ri-
tuflfarono e scomparvero, mutando, all' improv-
viso, la rotta.
Ma il dolce Natale della famiglia de' poveri
pescatori, sorriso dalla grazia e confortato dal-
l' eroismo di due figli, avverò il sogno del prò-
- 128 -
digioso fanciullo, il quale dieci anni più tardi,
tornando in porto carico di ricchezze a bordo
del suo magnifico veliero « Il foròne » che aveva
a prua la figura scolpita di un delfino armato,
scioglieva il suo voto sopra la tomba, nel bianco
cimitero di tipo orientale, della madre che un
giorno aveva salvata, ottenendone in ricompensa,
dalla riconoscente preghiera, il favore dei mostri
belli e misteriosi del mare.
Tav. IX.
Storia d'un gatto - Pag. 138.
Il più italiano dei gatti, che affrontò il martirio, piut-
tosto che miagolare in islavo !
STORIA D'UN QflTTO
STORI/^ D'UN GSTTO.
Arrivato a Vittorio alla vigilia del più bel
Natale d' Italia, dopo sei o sette ore di sbal-
lottamento in un camion duro come una biga,
con nelle ossa tutto il freddo umido e neb-
bioso che ci regalano le sponde del Piave
(veramente si direbbe della Piave ma ormai,
l'errore è stato consacrato dai bollettini alla
storia!) non mi misi le mani nei capelli pei*
la buona ragione che non ce li ho, ma mi
disperai parecchio prima di poter trovare una
camera dove riposare le ossa stroncate. La
cercai, secondo il mio solito, fuori dell'abita-
to e la rinvenni in una casetta decente, dove,
al fuoco d' un camino non ancora cosi moderno
da non potersi dir Veneto ma neanche tanto
poco veneto da potersi dire Friulano, mi se-
detti in compagnia di una vecchia e di un
gatto.
Al gatto buttai gli avanzi d' una scatoletta
di carne ohe mi divorai con appetito invidia-
132 —
bile, alla vecchia una buona notte assonnata,
e mi ritirai per dormire.
Il gatto mi seguì, la vecchia fortunatamente,
no
Entrato a letto, il gatto mi si posò aggo-
mitolato sui piedi e siccome teneva caldo, ma
faceva delle fusa terribili, lo pregai cortese-
mente di smettere.
Aderì, come con uno sproposito d' italiano
si suol dire oggi, e si mise a discorrere affa-
bilmente con me.
lo sono stato il primo essere vivente, mi-
disse il gatto, che abbia veduto il primo lan-
cere italiano entrato in Vittorio. Gli devo aver
fatto uno strano effetto perchè ero.... impiccato.
— Impiccato?!
u Si. Gli austriaci non conoscono altro
modo di dar la morte. La morte appare per
loro sotto le forme di qualche cosa che cion-
dola. Ma lasciamo lo scherzo. La signora che
ti ospita aveva una sorella, che, a sua volta,
possedeva un gatto, ma di sesso femminile.
Le notti gelate, quando s'affaccia la luna di
dietro l'opacità di bosco Cansiglio e splende
sui tetti di Vittorio addormentato, io, che da
più giovane avevo una discreta voce di tenore,
facevo delle serenate lunghe insieme a codesta
creatura dal pelo soffice e dagli occhi verdi,
come quelli delle donne che piacciono oggi a
— Ì33 -
Voialtri uomini. Cacciavamo anche insieme. Le
arvicole^ i terribili topi di questi paesi, teme-
vano molto la coppia. Si fini per amarci in-
tensamente e una oscura notte di burrasca
nella quale dovemmo star confinati nel solaio
senza poterci muovere né ruzzare, finimmo
nelle braccia l'uno dell'altra e ci giurammo
di non dividerci più.
a Assistemmo al ripiegamento del '17 e, se-
guendo l'esempio delle nostre due padrone, ci
guardammo bene dall'uscire di casa, dove ogni
giorno, andavano ed arrivavano ufficiali italiani
coi loro attendenti. C'erano in paese polli, uova
e vino. Noi ci facemmo delle spanciate cogli
avanzi dei pasti, dei ranci e via dicendo. Ti
dirò francamente che io sento .profondamente
la pàtria. Non ridere. Lo so ; ci sono degli uo-
mini, tra voialtri, i quali in base a certe teo-
rie che chiamano filosofiche, hanno perduto
questo sentimento. Ma forse non sanno, o se
lo sanno peggio per loro, che essi commettono
un peccato contro natura più che contro l'e-
tica. In una parola (non ti meravigliare se
parlo pulito come si dice nel Veneto; ma ho
studiato per diletto qualche poco) io l'amore
alla Patria lo credo una specie di stimmate
particolare ad ogni razza; è... fisiologico, prima
che psicologico. Anzi io che vivo di rapina e
quindi dovrei essere futurista, sono uientedi-
— Ì'ÒÀ -
meno che campauilisla, quindi passatista; anzi
non c'è epiteto capace di qualificarmi perchè
io sono addirittura Tnuralista, vale a dire m'at-
tacco alle mura dell'abitazione dove sono nato e
cresciuto. Questa candida e simpatica qualità
di noi gatti fu quella che perdette la mia
amata compagna; la chiamo cosi perchè, come
tu sai, mentre voialtri uomini v'afifannate
tanto a codificare l'amore e a trovare il modo
di renderlo libero e discutete intorno alle
questioni legali e religiose, noi bestie abbiamo
invece superato da tempo queste convenzio-
nalità e l'amore libero per noi è una legge
assoluta, non conosciamo il divorzio e le corna
non le vediamo altro che sulla testa de' bovi !
u Ma io mi divago ; scusa se qualche volta,
nel parlare, vado forse oltre la tua stessa
cultura (io ringraziai con un cenno del capo)
e.... procediamo con ordine.
u. Appena partito di qui l'ultimo soldato ita-
liano e arrivati gli austriaci, mi sentii gelare.
E non soltanto perchè sono profondamente ve-
neto, di qui, di questa casa, quindi italiano,
ma perchè l'odore di noialtri italiani è troppo
differente da quello degli austriaci.
u Gli austriaci, ma sopra tutto i Croati, puz-
zano di selvatico. Credi però che il puzzo dei
Croati è tale da farti svenire. Sei mai entrato
in un serraglio di bestie feroci? Sentendoti
— 135 —
parlare così beue il nostro linguaggio guttu-
rale parrebbe di si; dunque, figurati quell'o-
dore acuto di roba fetida e marcia che ti mozza
il respiro e avrai l'idea della dolce ondata di
profumo che precedette l'arrivo degli Austriaci.
u Poi ci fu il secondo colpo, o, come dicono
quei ciarlatani degli scenziati, (sai che alla
scienza, noi bestie, non ci crediamo) il traum^
psichico, e questo consistè, per noi gatti, nel
l'odore del rancio austriaco.
u Sentimmo subito che si trattava di gente
arrivata all'estremo delle loro risorse; ma
questo non fu nulla in confronto al terzo colpo,
a quando cioè, io e la mia gatta, ci accorgemmo
che il piatto preferito degli Austriaci era il
salmi di topi di chiavica.
u. Vivessi mille anni non dimenticherò mai
le occhiate che ci scambiammo. Perchè chi man-
gia il topo è evidente che è capace anche di
arrivare fino al gatto!
u Difatti la caccia ai topi e ai gatti diventò
spi^ta^ta fino dai primi giorni dell'occupazione
e la nostra vita, quindi, trasformata in un vero
inferno. Addio passeggiate sui tetti, addio dolci
ron-ron intorno al foco, addio cacce emozio-
nanti nell'orto, nel solaio, nel granaio, addio
balzelli pazienti alla bocca della chiavica, meno
fetente delia cuci uà del comando austriaco
- 18G -
dove si cucinava di tutto, meno che della
carne mangereccia o delle verdure di campo.
u Fu così che la vigilia di Natale del 1917
io perdetti la mia metà. Non la rividi più; cioè
la rividi, ma, orrore ! in un vassoio, spellata e
accomodata per bene allo scopo di far bella
mostra di se come piatto forte per la tavola
del comandante.
u E capii anche il valore delle occhiate go-
lose che mi davano i soldati addetti alla mensa,
occhiate impotenti di gente che mi desiderava,
sapendo però che ero un boccone troppo preli-
bato per loro. In certa maniera diventai sacro e
intangibile per questa proprietà di esser desti-
nato alla tavola del signor colonnello. Restava
a sapersi quando sarebbe arrivato il momento.
a Per fortuna fra il dispiacere della morte di
Minny e quello struggimento di sapermi de-
stinato a cosi brutta fine, perdei l'appetito e
diventai una mummia, uno scheletro l'ombra
di me stesso; detti in tisico, mi vennero la
tosse e il moccio e il comandante perdette la
voglia di mangiarmi.
a A-Ua fine di primavera mi buttai alla cam-
pagna, vissi di uccelli e di topi campagnoli,
rifeci il pelame m'ingrassai. Nuove preoccu-
pazioni!.... Cosi passai anche l'estate.
u L'autunno, rigido fuor di misura, mi ri-
cacciò al piano.
- 137 -
li La vecchia sorella della attuale padrona
superstite mori di crepacuore e di stenti e, al
mio ritorno trovai la casa occupata da un plo-
tone di Croati.
u Mi disponevo a tornar via, nonostante le
carezze della povera donna per cui rappresen-
tavo un pezzetto di patria, quando un ter-
ribile bombardamento faceva scrollare la città
dalle fondamenta. Per varie notti fu un via vai
di carriaggi e di artiglierie. Che cosa succe-
deva? Decisi d'uscire all'aperto per sincerar-
mene, ma un Croato mi tirò una legnata, proprio
sull'uscio, mentre sgusciavo fuori.
Mi presero, semivivo e decisero di fare con
me l'ultimo pasto. Mi posero un laccio al collo
e m'attaccarono ad un chiodo fuori dell' uscio.
Noi gatti siam duri a morire; negli spasimi
della lunga agonia mi parve di sentir suonare,
dopo tanto, l' unica campana rimasta in paese.
u Ed era vero ; suonava a gloria e a vittoria.
u Gli sterminatori di topi, i mangiatori di
gatti fuggivano davanti allo slancio degl'ita-
liani inferociti alla vista dello strazio fatto alla
loro terra.
u Col laccio che mi serrava la gola, senten-
domi morire, ebbi quella visione della vita
trascorsa che è propria a tutti i moribondi ; ri-
vidi il corpo delicato della mia diletta intento a
rosolarsi in fricassea e ripensai con terrore alla
— 138 -
decomposizione chimica di quelle membra clie
avevo baciate con tanto trasporto!
u Certo i Croati mi avevano impiccato a quel
modo perchè morissi senza perder sangue e
frollassi meglio, ma io pensai che gl'italiani
trovandomi cosi, mi avrebbero additato alla
riconoscenza nazionale e, forse, inalzato un
monumento : Al più italiano dei gatti — che
affrontò il martirio — piuttosto che miagolare
in Islavo!
a Mentre stavo per abbandonarmi alla morte
cullato da questa mesta illusione, sentii un ga-
loppo di cavalli e delle voci. Erano voci di Ita-
liani! Poi entrarono nell'orto, dal cancello, e
arrestarono i cavalli.
— Hanno impiccato anche un gatto!
u. Un lanciere italiano scese da cavallo, mi
tagliò la corda che mi serrava la gola, ed escla-
mò: la corda degli appiccati porta fortuna...
ma che ve pozzino/... puro li gatti fanno mar-
tiri della redenzione, questi boiaccia!
u E mi mise in libertà ; poi colla fune del mio
laccio legò in cima alla lancia un drappo tri-
colore che si levò di sotto la giubba, rimontò
a cavallo e corse a issarlo sul balcone del mu
nicipio, mentre io, miagolando, mi strascicavo
per le scale in cerca della padrona che tre-
mava di paura e singhiozzava di gioia....
u La campana squillava sempre....
• LO "sciorrE,.
LO " sciorrE
>»•
Il vecchio Emilio rimase in mezzo alla strada
provinciale, ravvolto in un nugolone di polvere,
stringendo in un pugno la gallina mezza sfra-
cellata e tendendo l'altro ferocemente verso l'au-
tomobile che già non era che un punto scuro
alla voltata lontana.
— Questa tu me la paghi !
E rientrato sotto il portico scaraventò la car-
cassa sanguinante della pollastra sull'ammatto-
nato, incrociando le braccia e corrugando le
sopracciglia irsute dalle pupille bieche di bestia
male addomesticata.
— Questa tu me la paghi ! Ora basta ! cana-
glia d'uno « scioflfè » . Ma se fossero tue ci ba-
deresti !
E si cacciava la pipa in bocca, e brandita
la marra, se la poneva in spalla e pigliava la
via del campo, torvo e tempestoso più del cielo
grA\e di nuvole che metteva una luce livida su
tutta la campagna in frutto.
Confusamente, ora, Emilio rivangava il ter-
-- 142 ~
reno, e, nel 3Uo oscuro cervello di contadino, il
passato.
Dal giorno in cui quel demonio del signor
Pavesi aveva comprato la villa vicina, era finito
il bene stare! Non gli bastava di aver fatto il
capanno in proda al campo, sì che quando un
uccello cascava nel suo gli scorazzavano a cer-
carlo per tutte le zolle pesticciandogli mezzi i
mQ.ggesi; non gli bastava di dar la via ogni
domenica ai palloni accesi di carta velina a ri-
schio che bruciassero qualche pagliaio o la ca-
panna del fieno^ non era contento di tirare alle
passere sui cipressi grandi vicino al cancello, di
spaurire i piccioni torraioli, di avvezzargli anche
i nipoti strascicandoseli a caccia, col fucile di
giorno e di notte col frugnolo e col diavolaccio,
ora, ogni tanto, passando coU'automobile a sca-
tafascio in quel modo, gli spiaccicava qualche
conigliolo o qualche gallina.
E, sulle prime, conigliolo e gallina erano
stati pagati il loro prezzo di tarififa, alloia, bei
tempi! cinque lire l'uno... ora nossignori! Il si-
gnor Pavesi aveva tirato fuori un diavolo di
regolamento municipale per cui i polli e i coni-
glioli non potevano più starsene in mezzo alla
strada maestra... e glieli spiaccicava, gratis,
molto tranquillamente.
Roba da fucilate!
Ma c'era di peggio, ci doveva esser di peg-
— 143 —
gir», tanto che Emilio non osava neanche di
affacciarne il dubbio » se stesso...
E siccome il sole declinava dietro le nuvole
enormi e bige, il vecchio buttò via la vanga e
cogli occhi fissi alla Villa Rosa che s'affacciava,
violetta nel crepuscolo, tra il verde caldo dei
cipressi e dell'acacie fronzute, si mise, rannic-
chiato a pie della macchia bassa, ad aspettare
colla pazienza ostinata d'un animale rapace.
La campagna era piena di rumori indistinti,
vibrante di suoni lontani ; il mormorio della
Pesa, giù tra i gattici, un canto lungo fra gli
olivi di faccia, uno schioccar di frusta sulla via
maestra, il chiocciare dei polli dalla casa vicina,
il primo accordo d'un grillo, un blando soffio
di vento; poi una nebbia violetta cominciò a
salire dal fiume, gli oggetti circostanti illangui-
dirono ed un suono di campane si slanciò, alle-
gro, da monte a valle.
Allora, sul viottolone della villa, che appa-
riva e scompariva a lembi tra i fogliami, sbucò
una figura svel'a di ragazza vestita di turchino
con in capo un fazzoletto scarlatto, vivace come
una fiamma.
Emilio la guardava muoversi e camminare
con un passo noncurante e a sbalzi, trattenendo
il respiro.
Passò vicino a lui, che se si fosse alzato di
S'\T te, l'avrebbe potuta afferrare, passò colla te-
— 144 —
sta alta, un po' rovesciata all' indietro, un sor-
riso di beatitudine sulle labbra accese quasi
fossero state baciate d'allora; si chinò un istante
a cogliere un mazzo di salvastrella e continuò
verso il fumo del casolare appiattato fra gli
olmi aspirando quel profumo selvaggio colle na-
rici palpitanti come quelle d'una puledra, poi
scomparve al gomito della viottola.
Emilio segui la figlia finché potè cogli occhi
biechi di bestia male addomesticata sotto le
sopracciglia irsute, poi levandosi in piedi si torse
i pugni fino a farsi male.
Dunque non s'era ingannato! La Liduina
veniva dalla villa; o d dove poteva venire a
quell'ora e su quello stralale? Ma cosa ci andava
a fare alla villa, che cosa?
Una visione fosca passò davanti alla mente
del vecchio contadino, che si affrettava a respin-
gerla con orrore ; ma l'orribile idea fu pronta a
riaffacciarglisi, a piantarsi nel suo cervello, più
ostinata, più decisa che mai.
E tutti i ragionamenti che faceva per di-
struggerla non riuscivano invece che ad av-
valorarla.
Di fatto, era chiaro: da un anno il Pavesi
aveva comprato la villa^ due mesi dopo c'era
venuto a stare, e dopo poco la Liduina era stata
chiesta dal figliolo del factore. Un affare d'oro !
Jjei bella, CQn c^ualcosa di suo, lui giovane, de-
Tav. X.
Lo "Scioffè,, - Pag. 152.
La sposa ? Dio eterno ! Lui ? M.... Signorino ? !
— 145 —
naroso e col posto pronto che il babbo gli ser-
bava caldo per il momento opportuno... invece,
nossignori! La Liduina non l'aveva voluto. E
perchè non l'aveva voluto?
Intanto il Pavesi schiacciò la prima gallina
e la pagò; schiacciò un conigliolo, e lo pagò;
schiacciò una seoìnda gallina; e la pagò. Fu
questo l'appiccagnolo per fare un po' di relazio-
ne. D'autunno cominciarono le veglie in cucina,
accanto al camino grande. Si fecero le brigide,
si sbucciarono le succiole, si giocò ai mercanti,
alla fiera, al lupo, ai fidanzati... e il signorino
non mancava mai ! Poi portò l'organino... quello
non avrebbe mai dovuto permetterlo, vecchio
balordo che non era altro ! coU'organino nacque
r idea del balletto, col balletto il pissi-pissi nei
cantucci e il signor Pavesi, seccato smise d'an-
dare a veglia e non volle più pagar le galline!
Ma chi fa intendere la ragione a una ragazza
stregata e a un giovanotto innamorato?
Quelli seguitarono; di certo! Di nascosto;
ma seguitarono... e ora Emilio aveva la prova,
la prova lampante!
Il Pavesi non c'era, era andato in città,
schiacciandogli un'altra gallina, ma aveva la-
sciato il figliolo a casa; e la Liduina... cosa po-
teva essere andata a fare la Liduina alla villa?
Ma l'avrebbe saputo, e subito anche.
Arrivato a casa con cento diavoli per capello,
10
— 146 -
Emilio entrò in cucina con aria feroce, ma ap-
pena si vide davanti la figliola rimase zitto,
come al solito, poi balbettò delle frasi tronche,
brontolò fra i denti delle parole incomprensibili, e
tutto finì come certi uragani di Luglio che si pre-
parano con ammassi spettacolosi di nuvole e di-
leguano in pochi borbottamenti di tuoni lontani.
Ed era sempre stato cosi, da che quella bene-
detta figliola aveva avuto l' uso della ragione,
volendo, disvolendo, facendo tutte le carte lei,
mangiando come il pane il babbo, la mamma,
i fratelli che lavoravano peggio di ciuchi e che- ne
subivano il fascino e le monellerie, contenti di
vederla crescere bella e prosperosa a quel modo,
consolandosi l'uu coll'altro colla solita speranza:
In fin de' conti, sarà l'appoggio di casa col bel
matrimonio che farà!
E anche, quando qualche mese più tardi,
quello che era preveduto accadde e l'accaduto non
si potè più nascondere, tutto il furore compresso
d'Emilio sfumò come una bolla d'aria, restò li
mezzo rimbambito, vaneggiando e bamboleg-
giando, senza saper far altro che buttar le brac-
cia al collo della sua vecchia e singhiozzare in-
sieme come due anime perse.
Quanto alla ragazza non ci fu verso che
aprisse bocca per spiegarsi, ma per paura del
fratello prese la strada e se n'andò facendo ca-
pire che si recava a Firenze alla Maternità.
- 147
La sera, il vecchio, consiglia tx)si anche coi
suoi, fece un cor risoluto e andò alla ' villa. II
Pavesi aveva finito allora di desinare e leggeva
il giornale, fumando, sdraiato in una poltrona
di giunco. Era solo.
— Che c'è, fece di malumore allo chaujfeur
che gli annunziava la visita del confinante; che
c'è ora di nuovo? un'altra gallina schiacciata?
La cosa comincia a puzzarmi leggermente di
ricatto... Ah! vuol passare a tutti costi e vuol
parlare a me solo? Ma bene! contentiamolo sua
eccellenza! Introducetelo.
Emilio rimase sull'uscio rigirando il cappello
fra le mani, poi fece un passo innalzi senza se-
dersi sulla seggiola che gli accennava il Pavesi.
— Io vorrei sapere, cominciò, come la in-
tenda di regolarsi questa volta!
~ Come quell'altra. Siete in contravven-
zione. Imparerete a non guardare le vostre
pollastre.
— 0 cosa c'entrano le pollastre?
— Ma di che cosa parlate allora?
— Io discorro della mia figliola!
— La vostra figliola! 0 cosa c'entra la vo-
stra figliola? Oh! aspettate... credo di capire....
ho capito, via, ho capito tutto... E avete il co-
- 148 —
raggio di venire a romper le scatole a me? Io
ne ho fin sugli occhi, ecco, di voi, delle vostre
galline, del vostro podere, della vostra famiglia!
Ma, perdio! — e il Pavesi alzatosi in piedi la-
sciava andare un pugno sulla tavola facendo
tremare bicchieri e coltelli — Ma perdio! quando
non si sa custodire le galline, quando si lasciano
i conigli in giro, quando si da piena libertà alle
ragazze, quando si è scemo, come siete voi, non
può succedere diversamente!
— Lei ha milla ragioni...
— Ci avevi preso gusto a quei fogli da cin-
que per ciascuna delle vostre pollastre tuberco-
lose, eh? ci avevi preso gusto a farvi pagare
uno scudo sonante quei vostri coniglioli gialli
per l'itterizia, eh? E invece, saresti stato voi
che avreste dovuto pagare, perchè eravate per-
fettamente in contravvenzione! Più imbecille io,
a darvela vinta !
— Lei ha mille ragioni...
— Ed ora cosa mi state a seccare colla vo-
stra figliola? l'avevi a guardar meglio, la vostra
figliola? Cosa volete che ci faccia io se.... se....
se... ma non mi fate discorrere, ma non mi fate
arrabbiare, ma non mi fate andare il sangue
alla testa!
— Lei ha mille ragioni...
— E se ho mille ragioni, cosa ci siete ve-
puto a fare? A interrompermi la digestione?
~ 149 —
Maledetto il giorno in cui mi saltò l'estro di
comprare questa bicocca. Basta! non sono il dia-
volo. Sentirò io, parlerò io, probabilmente ; ma
non vi ci attaccate, veh? probabilmente rime-
dierò io, e fra qualche giorno vi saprò dare una
risposta , ma ora fatemi il sacrosanto piacere di
levarvi di torno, perchè io pago le tasse come voi
e più di voi, e ho diritto, capite? il pieno diritto,
di fumare il mio sigaro in pace. Arrivederci.
E se n'andò nell'altra stanza, sbatacchiando
la porta.
Emilio uscì all'aperto, rimbecillito, battendo
negli stipiti, cercando d'aspirare quant'aria po-
tesse perchè gli pareva di soffocare, mentre nel
cervello gli risuonavano, gli s'incrociavano fa-
cendogli balenare scintille davanti agli occhi,
tutte quelle parole strane: Le galline, i coni-
glioli, la ragazza, le tasse e il sigaro! 0 cosa
c'entravano le tasse e il sigaro in quella faccenda
li ? ! Ma sarebbe andato fino in fondo a costo di
farsi ammazzare! In fin dei conti non era acqua
da occhi... E con che modi glielo aveva detto!
Pareva che avesse ragion da vendere!
Quando però il giorno dopo andò a cercar
dei Pavesi, la villa era chiusa, non c'erano più!
Emilio chiamò il figliolo, gli fece vedere
la porta della villa chiusa, e gli sussurrò sor-
damente all'orecchio: Ha fatto scappare il fi-
gliolo... l'ha mandato all'estero, quel mascal-
- 150 ~
^one! e il giovane rispose con una frase sola, ^
sintetica e torva: Ho capito...
Il pezzo di via provinciale che coiiduceva alla
villa era composto di due svoltate secche, a
serpe, del percorso d'un chilometro ardito. Ai
lati i campi, in faccia ed in fondo i campi; di
case, quella d'Emilio soltanto.
Per qualche mese consecutivo i due uomini,
Emilio ed il suo figliolo maggiore, furono intenti
ad una curiosa bisogna.
Il giovanotto appiattato all'ultima svoltata
vicino alla villa, teneva teso un filo di ferro
attraverso alla via, legato a un albero all'altra
estremità.
Il vecchio nascosto dietro la siepe, a quell'al-
tro gomito della strada di cui dominava un
pezzo notevole, stava attento ai rari veicoli che
venivano da quella parte e appena li avvistava
faceva un fischio.
Il figliolo, sia che vedesse lui qualche per-
sona o un barroccino, sia che sentisse il fischio
paterno, lasciava cadere il filo.
Ma una volta o l'altra, (e nei voti era che
ciò succedesse di notte) sarebbe arrivata l'auto-
mobile dei Pavesi colla solita velocità fantastica,
allora il padre avrebbe fatto due fischi invece
d'uno, il giovanotto avrebbe legato il filo all'al-
bero accanto a sé e sarebbe fuggito, mentre i
viaggiatori del primo sedile, sarebbero stati
- 161 -
conciati per il dì delle feste da quella mannaia
invisibile tesa da un capo all'altro dello stra-
dale all'altezza prevista e calcolata, e l'automo-
bile in balia di sé stessa avrebl>e finito per
isfracellarsi chi sa dove.
Vendetta da contadi dì, agguato da volpi.
Era un crepuscolo roseo trasparente e lumi-
noso quando la sirena ben nota ai due uomini,
fece udire in fondo alla ripida scesa il suo lungo
ululato d'avviso. Emilio, col cuore che gli si
schiantava nel petto si protese fuori della mac-
chia facendo solecchio delle mani alla fronte,
mentre il figliolo rapido, tendeva il filo pronto
ad annodarlo.
Un altro ululato più vicino e la gran mac-
chia rossa apparve, eran loro! Emilio mise le
dita in bocca e cacciò due fischi, facendo l'atto
di fuggire. Ma subito s'arrestò paralizzato dallo
spavento, coi capelli rigidi sul capo, col busto
eretto^ fuori della macchia senza curarsi che si
scopriva, finché gli si sciolse la voce e colle mani
disperate e colla parola smozzicata, agitandosi
come un ossesso, andava urlando : Fermate ! fer-
mate!... Che sull'automobile aveva visto la Li-
duina col bimbo in collo, lei in carne e in ossa!
Ma la gran macchina abbandonata all'im-
peto della corsa furibonda strisciò fremendo e
scomparve mentre Emilio s'abbatteva pesante-
mente come colpito da un maglio sul capo.
— Ì62 —
Quando si riebbe e riapri gli occhi vide me-
ravigliato come se si destasse da un sogno, le
mura scabre della camera scalcinata e i santi
coll'olivo attraverso tutto nero di mosche, e i
travicelli spioventi colle ragnatele ad imbuto e
laggiù ili un cantuccio, nell'ombra, la figliola
die piangeva col capo appoggiato al cassettone
e accanto il fratello corrucciato, e interrogò co-
gli occhi ansiosi la sua vecchia che gli si chi-
nava amorosaniente sul viso.
— Ma ditemi la verità ! 0 cosa è successo ?
— E' la Madonna santissima che ci ha fatto
la grazia! Da un male invece è nato un gran
bene! La Liduina, sapete? farà la signora...
— Come avete detto?
— Capite? la sposa!
— La sposa? Dio Eterno! Lui? il.... si-
gnorino?!
E si alzò sul letto annaspando, frenetico
dalla commozione; ma la moglie fu pronta a
ghiacciargli l'eccesso dell'entusiasmo:
— ■ Ma che signorino d'Egitto! o non avete
capito ancora di chi si tratta? Si tratta di quello
che portai gambali gialli.... insomma lui... lo
« scioffè ». Ma l'è quasi la stessa....
Emilio rimase un poco interdetto, scrollò la
testa arruffata, poi, come chi piglia un partito,
con convinzione, concluse: Ci ho piacere anche
cosi, ma specialmente per le galline....
IL FALCONE
!••
IL PrtLCOMC.
Enorme, la tenuta di Gabbiano si stende,
come un gran mare di pini, a sinistra di chi
vada verso la Val di Greve, l'antico feudo dei
Buondelmonti, dove ancora troneggia, rotondo,
nella sua pietra forte {morta come la chiaman
laggiù) oggi tutto bucherellato d'abitazioni
come un alveare, il castello di Montefioralle ; e
di fronte, ampio scenario, si stendono le grandi
montagne del Valdarno superiore e dell'alto
Chianti, la Panca, Gaville, San Michele Vis
Domini, Dudda, la Golpaia, Radda..
Quanti sogni ho sognati, giovinetto, nella
vasta tenuta solitaria, al sonoro urlo del libec-
cio, aspettando le lepre alla posta della ci-
pressa, d'onde non vedevo che un confuso
rovesciarsi di acute fronde di pino costrette e
tormentate dalla raffica implacabile!
Quanti sogni!...
Una sera, stanco e affamato, mi avvicinavo,
col carniere vuoto, alla storica osteria del
u Passo dei Pecorai «
— 158 —
Passano di là, colle greggi lente accennate
dal campano di bronzo che rintocca, i pecorai
irsuti, feroci nello sguardo reso acuto e vaneg-
giante dalla gran solitudine, i pecorai adusti
dalla pelle risecchita per le intemperie come
quella delle mummie per il tempo, i pecorai
che la selvaggia libertà atavica goduta a pieni
polmoni nelle selve rende anche capaci di de-
litti come quello, che, non è molto, fu com-
piuto da un di loro, vicino alla badia a Passi-
gnano, dove i G-hirlandai dipinsero e un d'essi
ruppe col piatto il muso arcigno a un frate
che li faceva patire di cibo e di bevanda.
Mi affrettavo sotto lo scirocco che pareva
minacciasse di cedere a un acquazzone torren-
ziale, di quelli che, secondo dicono i cacciatori,
fanno piovere l'acqua grossa come le schegge,
quando, sul limitare del bosco, al di sopra del
velluto mobile dei pini agitati, richiamò la mia
attenzione un gracchiare acuto e uno svolo di
uccellacci neri,
I corvi, precursori delle nevi, fuggivano
per il cielo livido, cacciati innanzi dalla tem-
pesta e dal freddo, come tante anime dannate;
ma era poi la tempesta sola che si li incalzava
alle spalle?
Ed ecco io vidi, di contro a uno strappo
giallo di nuvole, nera croce oscillante sugli
invisibili flutti del vento, un falco, un falco
- 167 -
come non ne avevo visti mai, enorme, e 1 corvi
e il falco venivano verso di me colla velocità
della vertigine, soffiati quasi dalla furia del-
l'uragano.
Istintivamente mi nascosi dietro il tronco
di un altissimo pino e aspettai, in ginocchio,
cogli occhi rivolti alle nubi.
Il tronco, poi che la gran chioma irsuta
era squassata dalla mano formidabile del vento
che vi aveva introdotte per entro le invisibili
dita e l'arruffava e la sbatacchiava a sua posta,
andava torcendosi e scricchiolando fin nelle in
time fibre, mentre, come per lo spasimo, la
crime acri di resina parevano colate allora
lungo la scorza.
E i corvi passarono, sfiorando la cima, col
fragore d' un traino fuggente, e dietro a loro
apparve il largo petto dell'astore, giallo e nero,
librato sull'ali remiganti e guidato dalla gran
testa .piatta col becco ricurvo.
Un tonfo secco; e il falcone balenò, non
cadde ; (la carica s'era smorzata contro le pro-
digiose piume del petto) un altro colpo, e una
ala penzolò come una mano inerte, e la gran
bestia, seguendo l'impeto del volo, precipitò in
avanti, fino ai miei piedi.
Ora giaceva, l'uccello superbo, prono, ad
aie aperte, la testa eretta, l'occhio rotondo or-
__ 158 —
ribilmente flammeo, il becco spalancato, gli
artigli rattratti.
Come ucciderlo? Sparare ancora, sull'iner-
me, sul caduto?
Calpestare col tacco ferrato quel re del-
l'aria, ancora sì formidabile nell'atteggiamento
magnifico col quale pareva prepararsi a morire?
Ristavo, poggiato al fucile, compreso d'am-
mirazione e d'angoscia, finche un rumor roco
mi giunse, un rumore affannoso e rabbioso che
si faceva sempre più lento ; il suo rantolo, il
rantolo del barbaro signore della selva che mi
agonizzò e mi spirò ai piedi senza mai disto-
gliere dalla mia la sua terribile pupilla piena
di' sanguigni riflessi de' tramonti.
Spazzate le nuvole, il vento cedette al
trionfo d'un raggio, tutto il bosco si placò nel
sopore d' un'estasi ineffabile, e sulla campagna
tornò ad incombere l*afa di quel pomeiriggio
di primo autunno, un'estate di San Martino
foriera di piovaschi e di beccacce...
Intanto io mangiavo nel cantuccio oscuro
dell'osteria, sgranavo le bruciate odorose e le
annaffiavo con quel vino frizzante che ha il
profumo dei fiori, mentre, d'intorno a me, una
diecina di cacciatori, barbe incolte, capelli un-
ti, giubbe verdognole, mani nodose come ceppe
di querciolo, palpavano, soppesavano, ammira-
— 169 -
Vaao il falcone ucciso, ammonendomi ch'io
avevo ammazzato a dieci cacciatori n.
Fu la mia volta allora di spiegare a quella
turba come si trattasse di un raro esemplare
di sparviero, di falco Perugino, di quelli che
s'adoperavano nel Medio-evo per la caccia delle
starne, e come e' fosse raro nei posti nostri,
e come l'arei fatto impagliare...
Vedo ancora la meraviglia dipinta su tutti
1 volti, mentre io seguitavo, spiegando cosa
fosse e dove s'appiccasse il geto o lacciuolo
delle gambe, e dove il cappuccio, e come il
falcone si lanciasse dal pugno ch'ei ghermiva
sul guanto, coi grandi artigli, non appena il
falconiere aprisse, con un moto rapidissimo
della mano, le cinque dita a ventaglio.
E ricordo, sopra tutto, l'incredulità alla
spiegazione ch'io fornivo a que' buoni moderni
selvaggi del modo di richiamare il falcone sul
pugno chiuso per mezzo del logoro, l'arnese
di cuoio e di penne che quei cacciatori medio-
evali erano cosi esperti in far frullare a gui-
sa d'ala.
Ma, pure increduli, mi eran grati e io do-
vevo, quasi per forza, bere a* que' loro bicchieri
il vino arzente che mi dava, l'entusiasmo e
l'eloquenza, mentre dipingevo colla parola e
colla fantasia, all'attonito gruppo oscuro river-
berato dalla fiammata del camino, chiara ai
— Ì6() —
tniei occhi come se l'avessi avuta dinanzi in
un arazzo, la cacciata alle starne descritta dal
Magnifico, in piena state, quando u pare appic-
cato il foco in ogni stoppia n allora che u il
mondo ardeva in guisa d' una torcia v.
Infine, acclamato, trionfante, pieno di vino
e di forza, uscii colla mia preda e mi parve
che d'attorno a me la giocondità, la gaiezza,
la vita, si effondessero dalle macchie, dai tor-
renti, che, fatte persone, balzassero fuori delle
cortecce come le finzioni mitologiche dell'an-
tica poesia pastorale; e, così infiammato di
furore e di delizia, sognando di Pan l'eterno
e ascoltando la voce di Siringa in ogni avena,
mi fermai a respirare in una radura ampia,
dove poche pecore brucavano silenziose, più
qua e più là, il terreno avaro, e una pastora,
classica, dall'anche possenti, i capelli brevi e
scarduffati, le narici larghe, i denti bianchis-
simi come gelsomini e gli occhi neri come le
more, filava facendo ogni poco prillare il fuso
con un gesto che Sandro Botticelli le avrebbe
rapito....
E mi parve che qualche Morgana miraco-
losa tramutasse troppo facilmente in verità
palpabile le mie visioni e mi parve il tempo
di levar fuora il grande sparviero, sicché, im-
pugnatolo alla meglio per le zampe rattratte.
nello spasimo dell'agonia, gettato il fucile, mi
- 161 —
posi a declamape non so che di monti e foreste,
di bocche ardenti e di immense solitudini sotto
cieli più liberi, di natura e d'amori silvani....
Ahi! che, radunate, colla verga che faceva
da manico alla rócca, le scarse pecore, la pa-
stora, tra spaventata e ridente, riduceva ora
la greggia su per l'erta del monte verso il
fumo d'un casolare, e il tramonto urgeva, pau-
roso come non mai, carico di vapori fumanti
e di valanghe di fuoco che crollavano in silen-
zio ne' cieli.
Tornava a ululare il vento tra i grandi
pini della selva, e l'ombra fasciava tutte le
cose con una nebbia violetta sempre più cupa
e densa.
11 falcone giaceva in terrà con un'ala tesa
e l'altra ripiegata su sé stessa, come una
gamba tronca.
Anco nell'ebbrezza, travidi il mio destino
e mi si gelò il sangue nelle vene, e, rifluen-
domi improvviso al cuore, mi fermò il riso e
la voce sul labbro.
Perchè la bella e pura forma era scomparsa
nell'opaco languore del crepuscolo, e il grande
sparviero, dominatore di spazii, giaceva li, sul
terreno ignudo, rigido, spennacchiato, con quel-
l'ala mutilata che io stesso avevo infranto in
un delirio orgoglioso d'inutile conquista.
indice:
Bestie e cristiani Pag- 7
Caccia grossa » 21
II, MlGHERINI n 85
Contrabbando » 43
Il giogo » 5',)
Un uomo felice •» 75
La zanzara . !» 89
Un'avventura di venti anni fa n 103
I DELFINI !» 115
Storia d'un gatto i» 131
Lo SCIOKFÈ '» 141
II falcone » 155
3
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