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Full text of "Uomini e bestie, novelle"

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Tav.  I. 


Bestie  e  Cristiani  -  Pag.  9. 

Picchia  una  schioppettata.  La  volpe  sparisce,  la  gallina 
resta  morta  però.... 


UOMINI    E    BESTIE 


U\C>u 


FERDINANDO  PAOLIERI 


UOMINI  E  BESTIE 


NOVELLE 


FIRENZE 

LUIGI  BATTISTELLI,  Editore 

1920. 


PROPRIETÀ    LETTERARrA 


Sancasciano-Pesa.  Stab.  Tipo-Lit.  Stiantù 


BESTIE  E  CRISTIANI 


BESTIE   E  CRISTIANI. 

Come  ai  vecchi  i  quali,  ormai  fuori  di 
combattimento  riguardo  alle  belle  donne,  si 
sbizzarriscono  a  raccontare  le  avventure  del 
tempo  che  fu,  mi  sia  perdonato  questo  piccolo 
sfogo  consistente  nella  rievocazione  di  qualche 
ii  tipo  n  conosciuto,  di  qualche  curioso  fatto 
accaduto  in  una  dozzina  d'anni  d'assiduo  eser- 
cizio di  caccia 

Ho  conosciuto  un  bracconiere,  un  giova- 
notto alto,  fortissimo,  che  poteva  beversi  a 
garganella  un  fiasco  di  vino  a  digiuno.  Mori, 
pare  impossibile  tubercoloso.  Era  capace  di 
cose  enormi.  Una  sera  si  decise  d'andare  a 
a  frugnolo  n  colla  neve;  siccome  faceva  un 
freddo  da  mozzare  il  fiato  ci  si  riscaldò  prima 
con  una  cena  formidabile....  a  rischio  di  bu- 
scarci una  congestione!  Roba  da  pazzi. 

Quando  si  usci  fuori  il  Moro  (lo  chiama- 
vano cosi)  era  briaco  fradicio.  Lo  credereste? 
Si  buttò  in  una  siepe  a  dormire  sulla  neve,  e 
quando  ripassammo  dopo  qualche  ora  a  ripren- 


derlo  saltò  in.  piedi  contento  come  una  pasqua. 
Grli  era  passata  la  sbornia! 

Mi  rammento  le  gioconde  cacciate  di  quei 
tempi  !  Si  partiva  in  quattro,  cinque  dall'  Im- 
pruneta  e,  a  piedi,  s'andava  sui  monti  del 
Valdarno.  Si  dormiva  da  un  contadino,  tutti 
in  un  letto  grande  come  un'aia.  In  un  altro 
lettino  dormivano,  accatastati  i  contadini  ;  anche 
la  donne,  che  si  spogliavano,  al  buio,  dopo 
che  s'era  entrati  nel  letto  noi  altri.  Una  notte 
si  cominciò  a  litigarci  la  coperta,  insufficente, 
e  pigia  di  qua,  tira  di  là,  fui  buttato  di  sotto 
al  letto  altissimo.  Io,  sentendomi  cascare,  an- 
naspai colle  mani,  agguantai  roba,  m'attaccai.... 
Erano  spannocchie  di  granturco  che  pendevan 
dal  soffitto  basso  a  travicelli  !  Naturalmente 
ruzzolai,  ma  siccome  non  avevo  abbandonato 
la  coperta  del  letto,  tutti  gli  altri  rimasero  a 
tremare,  mentre  io  accortomi  da  violenti  do- 
lori in  varie  parti  carnose  d'esser  cascato  so- 
pra un  mucchio  di  patate  cominciai  alla  cieca 
a  tempestare  con  quei  proiettili;  ma  li  tiravo 
alti  e  andavo  a  colpire  i  contadini  che  dormi- 
vano in  fondo  alla  stanza. 

—  Ohi  !  sentivo  urlare  ogni  pochino.... 

A  farla  corta,  quando  la  mattina  ci  s'alzò 
per  venir  via  dovetti  ripagare  tutti  i  vetri  dei 
santi  che  stavano  appesi  ai  muri  della  camera  ; 
ma  non  basta!  siccome  m'ero  rinvoltato  nella 


coperta  e  avevo  finito  coli 'addormentarmi  in 
cucina  nel  canto  del  fòco,  mi  accorsi  in  breve 
che  non  ero  più  solo.... 

Non  so  se  mi  spiego;  si  vede  che  li  usavano 
andare  a  riposarsi  i  poveri  o  i  a  fuorusciti  n 
di  passaggio  e  non  avendo  nulla  da  lasciare 
in  ricordo,  lasciavano  quelli....! 

Su  codesti  poggi,  una  mattina,  invece  d'an- 
dare a  caccia  con  gli  altri,  m'ero  indugiato  in- 
torno casa  per  via  d'una  ragazza  che  aveva 
gli  occhi  celesti  e  le  risate  all'ordine  del 
giorno....  Era  tutto  un  ridere;  bastava  che  la 
chiamassi  per  nome  :  Beppinaaaa  !  e  giù,  perle 
che  si  sgranavano,  solfeggi,  trilli,  una  risata 
semitonata  che  durava  cinque  minuti  ! 

Dunque  m'ero  trattenuto  intorno  casa  e  fi- 
gurando di  voler  tirare  ai  merli,  guardavo 
cautamente  se  c'era  verso  di  trovar,  sola,  la 
venere  agrejte.... 

Ann  tratto  sento  un  grand' urlio:  Rendimi 
la  gallina!  rendimi  la  gallina! 

Sbuco  di  dietro  la  macchia,  dov'ero  appiat- 
tato, sulla  viottola  e  (fu  un  attimo,  un  lampo, 
una  visione)  veggo  una  volpe,  enorme,  con  una 
gallina,  viva,  in  bocca. 

Picchia  una  schioppettata.  —  La  volpe 
sparisce,  la  gallina  resta  morta,  però....  L'avevo 
ammazzata  io! 

Una  volta  s'entrò  in  bandita.  Si  spadella- 


-  10  - 

ron  le  starne,  si  spadellò  uaa  lepre,  finalmente 
eccoti  un  guardacaccia  e  due  uomini. 

I  miei  compagni  eran  giovinotti  del  popolo, 
un  po'  lesti  di  lingua. 

—  Signori  hanno  il  permesso  ? 

—  Sulle  bocche  del  fucile! 

—  Bisogna  che  vadan  via!  capiranno,  se 
no  io  perdo  il  pane,  glielo  chiedo  per  piacere... 

—  Cosi  sta  bene.  Di  dove  s'esce? 

—  Mah  !  di  dove  son  venuti.... 

—  Allora  di  qua....  E  s'avviano  in  su. 

—  Ma  no,  di  sotto,  di  sotto.... 

—  Allora,  da  questa  parte....  E  fanno  un 
altro  metro  avanti.... 

II  guardacaccia,  un  uomo  grande  e  grosso, 
dalla  stizza,  soffiava  camminando  dietro  a  noi. 

A  un  tratto  un  certo  Pozzesi  si  rivolta 
bruscamente  e  gli  dice  in  pretto  vernacolo: 

—  0  icchè  la  fa?  che  è  pazzo,  a  soffiare 
in  codesto  modo?  La  un  lo  vede  son  tutto 
sudato.... 

Un  medico,  mio  compagno  d'avventure, 
vent'anni  or  sono  entrò  nella  tenuta  di  Leccio, 
di  cui  è  oggi  proprietario  il  mio  amico  avv. 
Landò  Landi,  e,  guardando  ferocemente  il 
guardia  che  voleva  sapere  le  generalità,  disse 
sdegnoso:  Sono  il  Sindaco  di  Prato! 

Il  fratello  dello  scultore  Raffaello  Romanelli, 
il  compianto  Romano,   uomo  dotato   di   forza 


—  11  — 

addirittura  fenomenale,  ad  un  u  guardia  n 
che  gli  contestava  la  contravvenzione  strinse 
un  braccio  con  tal  violenza  da  far  vedere  al 
pover'uomo  le  stelle  e  nello  stesso  tempo  lo 
costrinse  a  ballare  una  farandola   scapigliata. 

Il  guardacaccia  che  credè  d'essersi  imbat- 
tuto in  un  pazzo^furioso  ebbe  a  morire  dalla 
paura. 

Queste,  si  capisce,  sarebbero  prepotenze 
belle  e  buone;  ma  invece  eran  prepotenze  ri- 
pagate, dopo,  con  fogli  da  dieci  lire  e  sigari, 
e  finivano  in  risate  generali. 

Invece  ci  sono  i  bracconieri  i  quali  son 
convinti  che  in  tutti  i  boschi,  anche  recinti, 
ciascuno  abbia  diritto  di  cacciare  e  che  il  di- 
vieto sia  un  sopruso  feudale,  un  avanzo  del 
medioevo  ! 

Ne  ho  conosciuto  uno  (un  bracconiere,  non 
un  avanzo  del  medioevo)  al  quale  il  padrone 
d'una  bandita  uccise  il  cane  da  lepre.  Bene! 
per  evitare  guai,  quegli  fu  obbligato  a  per- 
mettergli di  cacciare  nella  tenuta  a  patto  che 
non  tenesse  più  animali. da  seguito. 

Questi  cacciatori  u  di  mestiere  v  sono  ter- 
ribili. Conoscono  bene  i  boschi  e  meglio  le 
astuzie,  le  scappatoie  del  contrabbando.  Spesso 
non  hanno  licenza  e  in  tempo  di  divieto  ten- 
dono lacci,  pignòle,  vanno  colla  balestra,  col 
diavolaccio    o   cercano   faine,   donnole,   volpi. 


—  12  — 

martore,  ghiri,  che   rivendono   ai  pellicciai  in 
città. 

I  carabinieri  poco  pratici  della  foresta  sono 
impossibilitati  a  chiapparli.  Una  notte,  da  ra- 
gazzo, presi  parte  a  una  cacciata  col  diavolaccio. 

Sapete  cos'è.  Un  enorme  ombrello  di  giun- 
chi impaniati,  una  lanterna  cieca  in  cima,  e 
dietro  qualcuno  col  campanaccio  che  imitando 
il  don-don  della  mandra  al  pascolo  toglie 
agli  uccelli  dormienti  il  sospetto.  Spalancata 
la  lanterna,  quelli  accecati  dalla  luce  si  pre- 
cipitano dall'albero  battuto  con  la  pertica  e 
vanno  a  impaniarsi  nel  u  diavolaccio  n  che 
vien  proteso  verso  di  loro. 

I  carabinieri,  messi  sull'avviso  da  qualche 
spia,  ci  diedero  la  caccia.  Fu  divertentissimo, 
perchè  fatti  pochi  passi  ci  si  fermò,  chi  dietro 
un  albero,  chi  dietro  una  macchia,  nell'oscurità 
più  completa,  mentre  i  benemeriti  militi  ruz- 
zolavano, battevano  negli  alberi,  e  s'aggiravano 
alla  cieca,  bestemmiando,  nel  folto  dove  non 
raccapezzavano  più  nulla. 

Un'altra  volta  alcuni  bracconieri  inseguiti 
da  dei  guardacaccia,  tornarono  la  notte  seguente 
nella  boscaglia,  segarono  un  asse  d'  una  paran- 
cola  sopra  un  fosso,  poi  spararono  due  colpi 
di  fucile. 

Le  guardie  corsero,  i  bracconieri  saltarono 
il  fosso  a  pie  pari,  le  guardie    si   inoltrarono 


—   lo  — 

sulla  paranco  la  pencolante  e  capitombolarono 
coscenziosamente  nel  fondo,  senza,  per  fortuna 
prodursi  gravi  ferite. 

Incurante  del  freddo,  dell'acqua,  della 
guazza  che  penetra  da  per  tutto  il  bracconiere 
è  una  specie  d'uomo  selvaggio  il  cui  tipo 
s'avvia  a  sparire  lentamente  anche  da  noi. 

Peccato  !  perchè  i  loro  racconti,  le  loro  abi- 
tudini, la  loro  resistenza  fisica  hanno  fornito 
oggetto  di  studio  e  materia  a  novelle,  comme- 
die, romanzi. 

Il  bracconiere  non  è,  in  generale,  un  gi- 
gante. S'ingannerebbe  chi  se  lo  immaginasse 
alto,  muscoloso  roseo....  Son  gente,  per  lo  più, 
tutta  pelle  e  ossa,  finiti  dalla  fatica  bestiale, 
laceri,  pallidi  giallastri,  dediti  all'alcool  e  mai 
sprovvisti  d' una  pipa  grumosa  che  guasterebbe 
gli  stomachi  più  sani. 

Eppure  camminano  giorno  e  notte,  a  tutti 
i  tempi,  per  boscaglie  desolate,  senza  un  aiuto, 
senza  un  compagno,  fuori  che  il  cane  il  quale 
spesso  torna  a  casa  colle  orecchie  buttate  in- 
dietro e  la  coda  bassa  a  raccontare  la  misere- 
vole fine  del  padrone. 

Bisogna  aver  provato  a  andare  a  caccia  dav- 
vero, per  poter  dire  cosa  è  la  vita  del  bosco. 

Senza  essere  mai  stato  un  gran  cacciatore, 
ho  potuto  studiare  molto  da  vicino  cotesta 
vita  aflfasciuante  e  posso  dire  di  aver  provato 


—  14  — 

certe  sensazioni  alle  quali  ora  mi  rincresce- 
rebbe d'espormi,  salvo  il  caso  di  necessità 
imprescindibili.... 

Chi  può  dire  l' effetto  che  fa,  nel  Dicembre, 
prima  che  si  levi  il  sole,  quando  i  boschi  sono 
azzurri  d'una  brinata  più  gelida  dell?  neve 
stessa,  a  tuffarsi  (è  la  parola  !)  nelle  scope  più 
alte  di  un  metro!  E  come  entrare  vestiti  in 
un  pozzo  gelato  ! 

Lo  stomaco  reclama  il  sussidio  àeìV alimento 
di  risparmio^  dell'alcool,  che  guasta  e  sciupa 
il  sistema  nervoso,  ma  del  quale  non  si  può 
fare  a  meno  a  rischio  di  cadere  congestionati 
o  basiti. 

Ed  è  necessario  usare  calze  di  lana  e  por- 
tarne di  ricambio  ;  tutti  i  vecchi  cacciatori  sono 
dei  reumatici  o  degli  artritici. 

Una  volta  (beata  età!  avevo  diciassett'an- 
ni....)  vicino  alla  Panca  in  Valdarno  bevvi 
molta  acqua  da  una  sorgente,  ed  era  cosi  lim- 
pida e  cristallina  che  appannava  subito  il  ve- 
tro ;  dovetti  però  durar  fatica  a  raggiungere 
i  compagni  e  fui  preso  da  sudori,  vertigini, 
accompagnati  da  una  piccola  febbre. 

Una  vecchia  contadina  mi  fece  spogliare,  mi 
mise  in  un  gran  letto,  mi  copri  con  pannilani 
pesantissimi,  poi  mi  fece  bere  un  bicchiere  di 
vino  bollente  con  dentro  un  dito  di  pepe  e  in 
cui  era  stato  un  ferro  arroventato  a  bianco. 


-  15  - 

La  contadina  si  chiamava  la  Lucia  (non 
Lucia)  cioè  a  la  tacchina  n  e  la  sua  u  fattura  n 
mi  fece  tanto  bene  che  essendomi  ammalato  alle 
dieci  del  mattino,  alle  cinque  di  sera  potei 
riprendere  la  via  di  casa  e  arrivato  a  Strada 
in  Chianti,  mangiare  del  pane  con  del  salame 
e  bere  un  bicchiere  di  vino  generoso  che  fini 
di  rimettermi  in  gamba. 

Sui  poggi  ho,  del  resto,  assistito  a  ben  altre 
scene  di  medicamenti....  primitivi. 

Ho  visto  i  boscaioli  cacciarsi  un  ferro  da 
calza  arroventito  in  un  dente  cariato  !  Eppure 
quella  cauterizzazione  crudele  tal  volta,  li  gua- 
risce ! 

Nel  Chianti,  nel  Valdarno,  non  sono  vere 
e  proprie  foreste  come  in  Maremma,  però  vi 
sono  boscaglie  folte  di  querci  e  castagni  dove 
è  impossibile  per  un  poco  cercare  un  indivi- 
duo, finche  la  fame  non  lo  fa  uscire,  come  il 
lupo....  dal  bosco! 

Una  mattina,  saranno  dieci  o  dodici  anni, 
sotto  il  castello  di  Mugnana,  un  uomo  male 
in  arnese  sbucò  sulla  via  maestra  dove  io  me- 
lanconicamente  insieme  a  un  bracconiere  e  a 
una  cagna  da  lepre  mi  affrettavo  verso  la  fat- 
toria e....  la  trattoria,  sotto  un  acquerugiola 
autunnale  fitta  e  gelata  come  nevischio. 

L'uomo  salutò  il  bracconiere  che  mi  disse 
sotto  voce:  Gli  dia  da  fumare....  Io  stavo  ca- 


—  le- 
vando il  portasigari,  quando  alla  svoltata,  sotto 
un    grande    ombrello   verde   di    tela    incerata, 
sbucarono  due  cappuccini. 

Fu  un  lampo!  l'uomo  scomparve,  saltò  la 
macchia  bassa,  come  un  daino  e  dileguò  men- 
tre i  frati,  buttavan  via  ombrello  e  cappuccio, 
e  sollevandosi  la  tonaca,  si  davano  all'  insegui- 
mento. 

Era  un  ricercato;  ma  non  lo  poterono,  al- 
lora, pigliare,  perchè  ben  presto  si  nascose 
dietro  gì'  insidiosi  poggetti  d'onde  raggiunse 
i  boschi  foltissimi  di  corbezzole  e  aspri  di 
macigni  che  si  stendono  sotto  il  monte  della 
Bardella. 

Non  aveva  ucciso  nessuno,  ma,  in  tutto, 
aveva  accumulato  per  qualche  lustro  d'anni 
di  carcere  e  scorazzava  le  campagne  terroriz- 
zando i  nostri  mitissimi  contadini,  senza  de- 
cidersi a  costituirsi. 

Il  bracconiere,  Foffo,  mi  raccontò  poi  dove 
dormiva  quel  malandrino  che  era  stato  un  tempo 
suo  onesto  (allora!)  compagno  di  lavoro  a  una 
fopnace. 

Dormiva  nella  stanza  mortuaria  del  piccolo 
cimitero  di  Serzate  di  cui  aveva  scassinata  la 
porta  e  di  cui  scavalcava  il  muro  ogni  sera  ! 

Vi  figurate  quelF  uomo  che  dorme  nel  cata- 
letto^ in  una  stanzuccia  mortuaria,  mentre  di 
fuori  la  luna  splende    sopra  le  croci   e  stride 


-  i:  - 

la  civetta,  o  il  vento  urla,  fischia,  mugola  e 
scuote  le  pareti  della  stamberga,  o  la  pioggia 
e  i  fulmini  scrosciano  e  rombano  nelle  gole 
della  montagna? 

Ma  i  più  belli,  i  più  poetici,  i  tipi  veri 
del  buon  tempo  antico  che  piacciono  tanto  a 
me  ormai  un  po'....  passatista  nonostante  i  miei 
quarant'  anni  sono  i  preti  di  campagna  e  quei 
cacciatori  dei  monti  che  non  hanno  mai  sa- 
puto cosa  sia  un  porto  d'arme! 

Ho  conosciuto  uno,  dei  primi,  assai  vecchio, 
i  contadini  del  quale  presentavano  la  strana 
caratteristica  (i  più  giovani)  di  somigliare  tutti 
a  lui!  Ed  erano  parecchi.... 

Un  altro  portava  in  tasca  una  boccetta  di 
laudano  perchè  il  suo  cane  soffriva  di  coliche 
e  spiegava  il  vangelo,  dall'altare,  ai  popolani 
con  paragoni  di  questo  genere:  Volete  avere 
una  idea  della  santissima  trinità?  Pigliate  il 
forcone  del  a  concio  n  ;  ha  tre  denti  e  un  ma- 
nico solo....  Ecco  le  tre  persone  in  una! 

Dei  secondi  ricorderò  sempre  u  Rigo  ??.... 

Cosa  ne  sarà  successo?  Aveva  uno  schiop- 
po a  bacchetta  a  una  canna;  ma  sul  calcio 
del  fucile,  a  furia  di  coltello,  Rigo  era  riu- 
scito a  intagliare  una  testa  di  lepre  che 
un  amatore  di  cubismo  pagherebbe  oggi  chi 
sa  quanto. 

•Povero  Rigo!  Cantava  di  poesia  e  sapeva 


•    —  18  — 

a  memoria  i  Reali  di  Francia  e  il  Guerrin 
Meschino. 

Non  è  una  posa,  lo  giuro;  ma  udendolo, 
una  sera,  nel  canto  del  fuoco,  raccontarci  la 
vita  di  Buovo  d'Antona,  ho  travisto,  per  un 
istante,  un  mondo  cosi  meraviglioso  e  affa- 
scinante che,  pensando  al  dimani  quando  sarei 
disceso  verso  la  città  e  gli  uffici  del  mio  gior- 
nale, ho  represso  a  stento  le  lacrime. 

In  questo  libro  ho  riunito  qualcuno  dei 
miei  vecchi  amici  degli  anni  più  dolci;  ho 
rievocato  qualche  figura  bizzarra,  qualche  aned- 
doto caratteristico,  dei  paesaggi,  che  ride- 
steranno la  nostalgia  a  parecchia  gente,  ma 
specialmente  a  chi  s'accorge  che  il  tempo 
passa.... 


Tav.  II. 


Caccia  grossa  -  Pag.  31. 

Un  magnifico  zingaro...  cullava  fra  le  braccia...   uno 
stupendo  scimmione  moribondo. 


CACCIA  QKOSSfl 


caccia    GROSSA. 

—  Ma  è  lina  cosa  grave! 

Cosi  disse  il  dottore,  rialzandosi  dopo  la 
auscultazione,  e  guardando  in  faccia  noialtri 
che  ci  si  stringeva  in  gruppo,  ansiosi  e  stupe- 
fatti, intorno  al  lettuccio  dove  Guglielmo,  il 
capoccia,  giaceva  esanime  col  largo  petto  vil- 
loso scoperto  che  si  alzava  e  si  abbassava  rit- 
micamente nel  sonno  profondo,  una  specie  di 
tt  coma  n  simile  a  quello  in  cui  cadono  i  cloro- 
formizzati. 

Dalla  tempia  destra  sotto  una  ciocca  di 
capelli  grigi  scendeva  un  tenui  filo  di  sangue 
raggrumato  e  si  fermava  a  metà  della  guancia 
tagliandola  in  due,  come  una  gran  ferita. 

Il  medico  intanto  toglieva  in  mano  l'astuc- 
cio, ne  estraeva  una  fiala  di  caffeina,  la  rom- 
peva in  cima,  la  versava  nella  siringa  e  faceva 
un'iniezione  al  paziente. 

Questi  dopo  un  istante,  sospirò  con  forza, 
apri  gli  occhi,  li  richiuse,  contrasse  i  muscoli 
poderosi  e  ricadde,  abbandonato,  sul  letto. 


_  22   - 

—  Meno  male,  esclamava  il  dottore  rispon- 
dendo alla  nostra  interrogazione,  meno  male! 

—  C'è  speranza? 

—  Crederei  di  si.  —  Chi  ha  del  cognac? 
Io  gli  porsi,  in  silenzio,  la  mia  fiaschetta  ; 

il  medico  si  fece  dare  un  cucchiaino,  forzò 
col  manico  ad  aprirsi  le  labbra  spasmodica- 
mente serrate  del  contadino,  gli  versò  in  gola, 
a  viva  forza,  l'alcool. 

L'effetto  fu  quasi  immediato,  Guglielmo  si 
riscosse  e  si  svegliò,  borbottò  alcune  parole 
incomprensibili,  poi,  curvando  la  testa  sul 
petto:  Ho  sonno...  mormorava,  e  riabbassò  le 
palpebre. 

Ormai  però  il  pericolo  della  congestione 
pareva  eliminato  e  il  medico  cominciò  a  lavare 
il  taglio  profondo  col  sublimato,  a  spennellarlo 
coir  iodio  a  fare  insomma  tutte  le  operazioni 
solite  a  farsi  in  certe  circostanze;  intanto  si 
sentirono  per  fa  scaletta  dei  passi  pesanti  e 
di  li  a  un  momento  le  fiamme  pallide  delle 
lucernine  a  tre  becchi  illuminarono  i  bottoni 
lustri  e  gli  u  sciaccò  n  dei  carabinieri. 

—  Possiamo  interrogare  il  ferito? 

—  Non  ancora,  abbia  un  po'  di  pazienza, 
brigadiere.... 

—  Egli  è  che  vorrei  mettermi  subito  a 
battere  il  bosco... 

—  Veda,  c'è  qui  questo  signore  (e  il  me- 


-  2B  - 

dico  accennava  ine)  che  può  dirle  subito  qual- 
cosa, e  il  suo  uomo  che  forse  può  dirle  anche 
di  più... 

—  Perbacco!  ma  allora,  animo!  mi  dicano 
tutto.... 

—  Io,  cominciò  Foffo  con  enfasi,  ho  più 
coraggio  d'un  leone  e  credo  di  averne  date 
anche  le  prove....  lei  si  deve  figurare  signor 
brigadiere,  che  dieci  anni  fa  nella  macchia  di 
Malafrasca.... 

—  Per  carità  intervenni  io,  se  si  comincia 
in  questo  modo  domattina  siamo  sempre  al 
medesimo  punto....  mi  permette? 

—  Bravo!  parli  lei. 

—  Mi  sbrigo  in  due  parole.  S' eran  rotte  le 
starne,  si  battevano  e  si  ribattevano,  senza  riu- 
scire a  fermarle  ;  sono  indiavolate,  non  so  co- 
s'abbiano addosso.... 

—  Sono  ammalizzite  per  via  de'  cani  da 
lepre.... 

—  Sarà  come  dice  Foffo;  fatto  sta  che  a 
furia  di  giri  e  rigiri,  di  mezze  puntate,  ci 
hanno  condotto  nel  folto  della  selva....  lei  ha 
capito,  quel  bosco  tutto  di  pini  vecchi,  altis- 
simi.... cieco,  nero,  dove  le  scope  arrivano  alla 
cartuccera.... 

—  Vada  avanti. 

—  Bene,  prima  di  entrare  in  codesto  labi- 
rinto io  dico   a  Foffo:  tu   vai  di   sotto,  dalla 


-  M  -, 

parte  di  fuori  del  bosco,  e  fammi  la  contro- 
posta so  mai  le  starno  frullassero  a  mó  e  non 
mi  riuscisse  di  tirare  per  via  del  fitto....  E 
Foifo  ci  va.  Io,  invece,  mi  caccio  nel  forte  e 
non  perdo  d'occhio  la  cagna.  Questa,  a  un 
tratto,  rizza  gli  orecchi,  si  schiaccia  e....  ci 
siamo,  dico  dentro  di  me,  e  m'imbraccio.  Ma 
la  cagna  rizza  il  pelo,  ringhia,  fiuta  da  tutte 
le  parti,  poi  alza  il  capo  in  alto  e  avventa.... 
in  su,  per  aria,  capisce  ? 

—  Capisco....  ossia  non  capisco  nulla! 

—  E  nemmeno  io,  glielo  assicuro!  Insomma, 
nel  mentre,  a  costo  di  sciupare  un  tiro,  preso 
dalla  curiosità,  sto  per  ordinare  alla  cagna  di 
dare,  cioè  di  buttarsi  ;  e  badi  che  è  una  bestia 
finissima,  non  lo  fa  mai.... 

—  Per  carità,  venga  al  fatto. 

—  Scusi,  ci  sono;  nel  mentre  sto  in  quel 
procinto,  sento  uno  sfrascheggiare  terribile; 
come  il  rumor  d'una  corsa;  qui  cignali  non 
ce  ne  fanno....  caprioli  neppure....  la  volpe,  il 
tasso....  non  avrebbero  a  far  quel  brusio  !  Cosa 
vuole  pensassi?  Mi  metto  in  ascolto  col  fucile 
pronto  ;  la  cagna  ringhia  e  dà  addietro,  dà  ad- 
dietro, finche  viene  a  rifugiarsi  tra  le  mie 
gambe;  contemporaneamente  sento  Foffo  che 
urla  ;  corro,  incespico,  casco,  senza  raccapezzar 
nulla  in  quel  fittume,  finche  fra  due  tronchi 
di  pini,  rompendo  le  scope  col  petto,  graffian- 


-  25  - 

domi,  lasciando  lembi  di  cacciatora  a  tutti  i 
pruni,  esco  alla  luce  e  ti  trovo  il  mio  uomo 
che  tremava,  tremava.... 

—  0  cosa  era  successo? 

—  Foffo  diglielo  te. 

u  Era  successo,  che,  appena  m'ero  fermato 
per  aspettare  il  frullo  delle  stame,  sentii  un 
grand'  urlo  lontano,  dalla  parte  dei  campi  ;  un 
urlo  come  di  uno,  salvando  tutti,  che  mòia 
ammazzato,  e  di  li  a  poco  un  rumore  di  rami 
stroncati  e  poi  vedo  venire  di  corsa  un  uomo  ; 
ma  che  uomo  !  una  bestia  feroce,  signor  bri- 
gadiere, un  coso  tarchiato,  nero,  coi  capelli 
lunghi  sulle  spalle,  la  barba  fin  qui,  gli  occhi 
accesi  che  parevan  carboni,  la  bocca  aperta,  più 
rossa  del  fuoco,  vestito  di  verde  con  certi 
affari  d'oro  sul  petto  che  brillavano  al  sole 
come  le  fiamme...  e  andava!  non  glielo  so 
descrivere....  l'ha  vista  la  lepre,  lei?  tale  e 
quale  !  Appena  mi  vede  fa  un  salto  di  sbieco, 
grida  qualcosa  somigliante  allo  sgnaulio  di 
di  un  gatto  selvatico  e  si  tuffa  nel  bosco.  Io 
il  fegato  di  sdraiarlo  ce  l'avrei  avuto,  ma  bi- 
sognava che  avessi  saputo  a  quel  che  tiravo, 
ne  conviene?  0  cosa  sarà  stato,  me  lo  dice  lei, 
quell'animale? 

—  Probabilmente,  un  uomo. 

—  Sarà  come  dice  lei,  ma  a  me  parve  una 
bestia.  Insomma  caccio  un  urlo  per  avvertire 


—  26  — 

il  sor  Ferdinando,  lui  arriva,  gli  racconto  il 
fatto  ;  si  fruga,  si  cerca,  si  guarda  e  j&nalmente 
sul  confine  dei  campi,  proprio  sotto  l'ultimo 
pino,  si  trova  Guglielmo  moribondo  col  sangue 
che  gli  usciva  dal  capo  a  fontana.  S'è  chia- 
mato soccorso,  ci  hanno  sentito,  sono  scesi  givi 
da  tutte  le  parti  e  eccoci  qui. 

—  0  che  pasticcio  è  questo? 

—  Il  pasticcio  è,  disse  il  figliolo  maggiore 
di  Guglielmo  che  aveva  ripreso  fiato  e  voce 
vedendo  riaversi  pian  pianino  il  suo  babbo,  il 
pasticcio  è  che  se  non  ci  fossero  lor  signori, 
mi  saprei  far  giustizia  da  me  ! 

—  Smettiamo  di  fare  il  gradasso  e  non 
diciamo  sciocchezze.  Voi  pensate  subito  a  male  : 
e  andate  sempre  a  ricercare  le  questioni  di 
vent'anni  fa! 

—  Sicuro  !  Perchè  a  me  non  mi  si  leva  di 
capo;  chi  fu  che  dette  il  malocchio  a  Giot- 
tino?  Quella  strega  della  mamma  di  Gigi! 
Chi  fu  che  ci  avvelenò  Tombolo,  l'anno  pas- 
sato? Gigi!  Chi  c'è  che  sia  capace  di  tirare 
un  sasso  con  quella  forza,  con  quella  preci- 
sione e  di  lontano  da  non  esser  visto?  Il 
figliolo  di  Gigi.  —  Ecco,  e  proprio  per  via 
delle  questioni  di  venti  anni  fa. 

—  Se  non  c'è  sotto  qualcosa  di  peggio! 
sentenziò  Foffo  guardando  il  ferito  che  ripi- 
gliava  colore  a   vista   d'occhio,  perchè  a  me, 


-  27  - 

nelle  cose,  mi  piace  di  leggerci  chiaro,  e  qui, 
invece,  c'è  del  buio  e  di  molto. 

—  Vedremo;  concluse  il  brigadiere;  e,  scuo- 
tendo la  testa  picchiò  sulla  spalla  del  bollente 
Torello  dicendogli:  calma,  calma,  giovinetto! 
Quindi  rivolgendosi  al  medico:  si  tratta  poi 
di  un  sasso  davvero  ? 

—  E  chi  lo  sa?  un  corpo  contundente  di 
certo;  ma  più  rotondo  che  acuminato....  a  lei, 
guardi  che  cerchio  livido  intorno  alla  ferita.... 

Si  rifece  circolo  giro  giro  al  letto,  mentre 
Guglielmo  apriva  gli  occhi  e  ci  guardava  in- 
tontito di  veder  tutti  quei  visi  nuovi  dei  cac- 
ciatori e  dei  carabinieri  curvi  su  lui.... 

—  Vi  ricordate  di  nulla?  potete  discorrere? 

—  Ero  a  vangare....  ho  sentito  una  gran 
botta  nella  tempia....  son  cascato  nel  solco  a 
capo  all'in  giù....  io  non  so  altro  davvero. 

—  C'è  la  luna? 

—  E  come  !  quasi  piena.... 

—  Andiamo  sul  posto,  venga  anche  lei, 
dottore.... 

—  Vuole  il  mio  fucile?  disse  Foffo. 

—  E  tu  vieni  senza? 

—  Io  resto  qui,  a  veglia,  se  mai  ci  fosse 
bisogno.... 

—  0  non  avevi  più  coraggio  d'un  leone? 

—  Allora  vengo!  guardino  come  si  fa....  e 
caricò  le  canne  colle  cartucce  del  dieci. 


-  S8  -- 

Cantavano  i  grilli  e  splendeva  la  Itinà 
sulle  ondulazioni  della  campagna  dormente, 
mentre  si  scendeva  in  fila  indiana  per  il  sen- 
tiero scosceso  parallelo  alla  boscaglia. 

Il  brigadiere  apriva  la  marcia,  l'altro  mi- 
lite la  chiudeva.  Foffo  nel  mezzo,  fra  il  me- 
dico e  me,  sbraitava  che  avrebbe  tirato  anche 
all'ombre;  ma  gli  fu  imposto  silenzio. 

Si  era  deciso  di  cominciare  dal  luogo  del 
delitto  di  cui  la  remota  causale,  benché  accen- 
nata da  Torello,  ci  pareva  sproporzionata  agli 
effetti  i  quali  non  erano  stati  funesti  per  un 
prodigio.  Tanto  più,  che,  dopo  una  questione 
di  confine  avvenuta  venti  anni  prima,  non 
erano  successe  altro  che  quelle  disgrazie  impu- 
tabili al  caso  e  la  famiglia  nemica  non  aveva 
ricevuto  oltraggi  di  sorta  veruna  da  quella 
di  Guglielmo. 

Via  via  che  ci  si  avvicinava  all'estremo 
limite  della  foresta  le  voci  si  facevano  più 
sommesse,  i  passi  più  cauti:  si  camminava 
dissimulati  nell'ombra  delle  piante,  appoggian- 
doci col  calcio  dei  fucili  alle  anfrattuosita  del 
terreno  che  variava  aspetto  per  le  bizzarre 
strisce  lunari,  soffermandoci  ogni  momento  a 
scrutare  intorno  :  finché  arrivati  al  posto,  ci  si 
fermò  uno  dietro  l'altro,  quasi  timorosi  d' inol- 
trare traverso  il  vivo  lembo  di  luce  che  la  viot- 
tola, illuminata  metteva  fra  il  bosco  ed  i  campi» 


-  29  — 

Nella  enorme  pace  nolturna  il  cielo  si 
stendeva  come  un  gran  manto  di  velluto  az- 
zurro con  quella  lontana  e  fioca  lampada  silen- 
ziosa nel  mezzo,  da  cui  piovevano  morbidi 
raggi  di  latte  e,  soli,  dall'ombre  verdi  emer- 
gevano i  profili  velati  dei  monti  assorti  in 
una  nebbiolina  d'argento,  le  sagome  nere  e 
paurose  degli  alberi  immobili  e,  sul  sonno  ap- 
parente di  tutte  le  cose,  le  tremule  tirate  dei 
grilli  e  i  ritornelli  beffardi  delle  lontanissime 
rane  misurati  ai  tenui  respiri  che  venendo 
dal  fiume  invisibile  traverso  i  campi,  ci  alita- 
vano in  faccia  freschi  e  profumati  di  fieni. 

Tacevamo,  dominati,  se  non  tutti  compresi, 
dalla  maestà  di  quella  solitudine  meravigliosa 
di  cui  hanno  il  segreto  le  notti  toscane,  e  gli 
occhi  abituandosi  all'oscurità,  distinsero  al  fine 
i  sassi,  le  pagliuzze  splendenti,  l'ombre,  le 
buche,  i  cespugli,  l'argine  del  podere,  il  solco 
cinereo  e  qualcosa  che  lo  maculava  nel  mezzo  ; 
il  sangue  rappreso  che  il  lume  di  luna  fa- 
ceva nero. 

Ciascuno  di  noi,  al  tempo  stesso,  per  quel 
fenomeno  visivo  a  cui  ho  già  accennato,  di- 
stinse tutto  -ciò  ed  anche,  contemporaneamente 
un  oggetto  rotondo  che  giaceva  fra  quelle  zolle. 

Allora  uscimmo  tutti  insieme  dall'ombra, 
e,  superata  di  un  balzo  la  viottola,  ci  affol- 
lammo  sull'argine   intorno   al   brigadiere   che 


-  3Ò- 

aveva  raccolto  l'oggetto  e  l'esaminava  curio- 
samente :  una  giovane  pina,  durissima,  nocchie- 
ruta, ancor  gocciolante  di  resina  e  macchiata 
di  sangue  alla  sommità! 

Per  istinto,  sempre  insieme,  ci  venne  fatto 
di  levare  gli  occhi  all'ultimo  pino  del  bosco, 
situato  però  ad  una  distanza  assai  rispettabile, 
e  fu  ventura,  perchè  nel  medesimo  istante 
un'altra  pina  e  più  grossa  della  prima  volò 
dal  fitto  vellutato  della  chioma  dell'albero  e, 
fischiando  per  aria,  rasentò  le  teste  di  noi  si 
che  si  fece  appena  a  tempo  a  schiacciarci  in 
terra,  contro  il  greppo,  e  scamparla. 

Si  rimase  cosi  qualche  minuto  col  respiro 
mozzo  in  gola,  il  viso  prono  contro  l'odore 
acuto  delle  zolle,  mentre  d' intorno  piovevano 
rabbiose,  vibrate  a  furore,  l'una  dietro  l'altra 
pine  su  pine;  finché  i  tiri  furono  meno  pre- 
cisi, e  i  duri  frutti  selvatici  ruzzolavano  a 
distanza  da  noi  giù  per  la  viottola,  fra  le  scope, 
come  se  le  mani  che  li  scagliavano  li  strap- 
passero, via,  via  dagli  alberi  più  lontani  ;  al- 
lora, in  un  intervallo,  durante  il  quale  udii 
benissimo  Foffo,  che  storpiava  il  «  confiteor  n 
in  modo  assolutamente  speciale,  i  due  carabi- 
nieri lasciarono  andare  in  direzione  dei  pini 
due.  tre  scariche  di  moschetto.  E  la  pericolosa 
pioggia  cessò. 

Ci  slanciammo  su  per  l'erta,  di  corsa,  tenen- 


-  31   - 

doci  pronti  a  saltare  nel  campo  al  primo  segno 
di  pericolo,  mentre  le  case  sparse  qua  e  là 
per.  le  alture  illuminavano  finestre  curiose  e 
si  udivano  i  cani  abbaiare  furiosamente  dalle 
aie  vicine  e  remote  e  voci  e  richiami  incro- 
ciarsi, resi  più  vivi  dalla  quiete  notturna;  ma 
non  avemmo  a  correr  molto. 

A  un  tratto  Foffo  che  si  nascondeva  dietro 
di  me,  cacciò  un  grido  di  terrore  esclamando  : 
Eccolo  !  eccolo  !  e  saltò  dall'argine  nelle  zolle 
con  un  balzo  da  lepre. 

In  cima  alla  viottola  dove  noi  ci  arrestammo 
stupiti,  riverberato  dalla  piena  luce  lunare, 
un  magnifico  zingaro  barbuto,  dal  vestito  biz- 
zarro e  dai  pendenti  d'oro  alle  orecchie,  coi 
bottoni  d'oro,  colle  fibbie  d'oro  (un  avanzo, 
secondo  ogni  probabilità,  di  qualche  fiera  re- 
cente) inginocchiato  a  pie'  d' un  pino  cullava 
fra  le  braccia,  soffiandogli  sul  muso  il  proprio 
respiro,  uno  stupendo  scimmione  moribondo  a 
cui  dalla  caviglia  inerte  pendeva  un  lembo 
di  catenella  strappata. 

La  povera  bestia,  colpita  da  una  pallottola, 
spirava  gemendo  come  un  cristiano  e  volgendo 
due  bellissimi  occhi  imperlati  di  lagrime  verso 
il  desolato  padrone  il  quale  gridava  dispera- 
tamente parole  a  noi  incomprensibili,  invo- 
cando forse  il  compagno  diletto  e  il  patrimo- 
nio perduto. 


Tav.  ih. 


//  Mugherini  -  Pag.  36. 

Qui  dentro....  sbaglierò,  ma  questa  volta  ci  ho  messo  da 
campar  bene  tutta  la  vita, 


IL  nUQHEKINI 


IL    P1UGHERINI. 

Un  tipo  uguale  a  quello  non  lo  troverò  .più, 
vivessi  mill'anni. 

Nessuno  seppe  mai  il  suo  vero  nome;  lo 
chiamavano  Mughet'inì  e  basta. 

Aveva  sempre  campato,  era  sempre  stato 
felice,  e  contento,  e  non  aveva  fatto  mai  nulla. 

Viceversa,  durava  più  fatica  lui  che  cen- 
t'o£re. 

La  sua  occupazione  consisteva  nel  tender 
lacci  agli  uccelli,  raccattar  funghi,  cercar  sassi, 
e  chiappar  farfalle. 

Sassi?  Si,  sassi.  Chi  lo  vedeva  doveva  do- 
mandarne alle  lavandaie  della  Greve,  per  il  cui 
greto  asciutto  andava  e  veniva,  anche  di  notte. 

L'ho  trovato  io  una  sera,,  su  per  l'erta  del 
Ferrone,  che  ansimava  come  un  asino  troppo 
carico. 

—  Cosa  ci  avete,  costi  dentro  ?  Chiesi  toc- 
candogli la  cacciatora  di  pelle  di  diavolo,  usa- 
ta, stinta,  tutta  gonfia  di  roba  dura. 

—  Qui  dentro,   mi  rispose,    sbaglierò,  ma 


—  36  — 

questa  volta  ci  ho  messo  da  campar  bene  tutta 
la  vita. 

—  Si  potrebbe  vedere? 

—  Se  non  vuol  altro  !  Scusi,  ci  avrebbe  una 
ciccliettina?  Grazie  tante....  sa,  è  per  la  pipa, 
quella  di  radica  che  m'ha  regalato  il  dottore... 
o  guardi! 

E  rovesciava  sul  margine  erboso  della  stra- 
da la  carniera  tutta  piena  di  sassi,  ciottoli 
tondi  di  fiume,  bianchi,  azzurri,  rosei,  neri. 

—  0  che  cos'è  codesta  roba  ? 

—  Lei  ride?  Lei  scusi  ride  perchè  non  s'in- 
tende di  scienza.  Ma  io,  veda,  con  tutta  questa 
roba,  mi  reco  a  Firenze  alla  Specola,  e  li,  scel- 
gono e  mi  pagano  a  secondo  dei  pezzi  che  li 
interessano. 

—  E  ve  ne  pigliano? 

—  Sa,  ora  per  esempio  è  qualche  anno  che 
non  ne  azzecco  una,  ma  la  girata  a  vóto  non 
me  la  fanno  far  mai  e  un  trentino  lo  rimedio 
sempre.  E  poi  gli  porto  serpi,  uccelli  d'acqua, 
grilli,  farfalle,  lei  m'ha  bell'e  capito,  tutta 
roba  di  scienza. 

Ne  aveva  sempre  qualcuna  da  raccontare 
di  quelle  grosse. 

Mi  diceva:  Avevo  trovato  una  lepre  a  un 
laccio;  che  ti  fo?  l'agguanto,  le  do  due  botte 
sugli  orecchi,  e,  cosi  morta,  me  la  ficco  in  car- 
niera. Avevo  una  cacciatora   nova  regalatami 


—  B7  - 

dal  figliolo  del  Conte  che  nou  la  portava  più, 
che  era  una  bellezza!  Arrivalo  al  borro  della 
Calosina,  per  via  del  caldo  grande,  mi  butto 
a  giacere  all'ombra  dei  pini,  fra  le  scope  ;  ma 
innanzi  mi  levo  la  cacciatora  e  la  scaravento 
da  una  parte.  Poi  m'addormento.  Quando  mi 
svegliai  la  cacciatora  non  c'era  più.  La  lepre, 
che  non  era  morta  bene,  aveva  preso  il  volo 
con  la  cacciatora  e  ogni  cosa! 

Una  volta,  però,  ebbe  fortuna  davvero. 

Trovò,  sopra  Strada  in  Chianti  una  specie 
di  grande  sasso  liscio,  piatto,  leggèro. 

Glielo  dissero  tutti,  subito:  Codesto...  non 
è  un  sasso;  è  un  osso  e,  se  non  fosse  per  la 
grandezza,  parrebbe  una  enorme  lisca  di  pesce. 

Lo  trovò  a  una  grandissima  profondità  nel 
terreno  scavato  per  cercarvi  la  mota  adatta  a 
una  fornace  di  mattoni. 

Alla  Specola  gli  dettero  cento  lire.  Un  pa- 
trimonio per  il  Muglierini  che  seguitò  un  mese 
a  chieder  consiglio  a  tutti  sul  come  dovesse 
spendere  tutto  quel  denaro. 

Pare  che  quel  frammento  fosse  di  una  di 
quelle  piastre,  o  corazze  del  palato  di  certi 
pesci  antidiluviani  i  quali  vivevano  nell'acqua 
bollente,  sottoterra. 

Non  mi  provo  nemmeno  a  parodiare  il  rac- 
conto del  Mufiherini  il  quale  coloriva  a  modo 
suo  la  discussione  che  egli  immaginava  d'aver 


—  38  - 

avuto  col  professore  del  Museo.  Mi  ricordo 
solamente  cho  finiva  col  dire  :  Da  ultimo,  fra 
noi  scienziati^  ci  si  trovò  perfettamente  d'ac- 
«ordo . 

Povero  Mugherini  !  colla  sua  barba  rossic- 
cia, il  cappelluccio  unto  e  sfondato,  la  caccia- 
tora che  non  ne  poteva  più,  le  scarpe  ricucite 
che  ridevano  da  tutte  le  parti,  e  le  tasche 
vuote  di  quattrini  e  piene  di  sassi,  era  un 
uomo  assolutamente  felice. 

Per  esser  felici  bisogna  ignorare  il  mondo  ; 
per  questo  v'ha  chi  cammina  coll'occhio  volto 
alle  stelle  e  chi  cammina  coll'occhio  rivolto 
alla  terra. 

Son  due  modi  uguali  per  non  vedere  in 
faccia  gli  altri  uomini. 

E  poi  il  vagabondo  è  l'unico  grajide  filo- 
sofo che  esista,  perchè  il  vagabondo  è  colui 
il  quale  può  vantarsi  d'essere  il  più  ricco  della 
terra  poiché,  nulla  possedendo,  possiede  tutto. 
Sue  sono  le  grandi  strade  dove  cammina,  a 
caso  godendo  il  sole,  suoi  i  campi  e  i  boschi 
dove  s' infolta  quando  desidera,  sua  la  solitu- 
dine agreste  che  egli  riempie  di  canti,  sue  le 
fontane  limpide,  suoi  i  prati  soffici  d'estate,  i 
fienili  caldi  nell'inverno,  dove  dorme  i  più 
bei  sonni. 

■  Il  Mugherini  provò  tutte  le  delizie.  Sdraiato 
sopra  una  brughiera  guardando  il  cielo  formi- 


—  3fi  - 

colare  di  stelle  appicicava  loro  dei  nomi  fan- 
tastici e  gli  pareva  d'esser  diventato  Galileo. 

Curvo  sul  greto  del  fiume,  vedeva  V  intima 
vita  delle  creature  inferiori  svolgersi  tra  il 
fango  e  non  invidiava  le  grandi  scoperte  del 
Swamraerdam. 

Se  tutto  è  illusione  quaggiù,  il  vagabondo 
è  un  mago  straordinario  che  riesce  a  fingere, 
apposta  per  sé,  qualunque  meraviglioso  mondo 
ideale. 

Il  Mugheìnni  senza  saper  legger  ne  scri- 
vere, senza  aver  mai  posseduto  una  zolla,  ci 
guardava  tutti  dall'alto  in  basso  con  un  senso 
di  compatimento  mal  celato  in  fondo  agli  oc- 
chi, da  far  rabbia!  Mentre  noi  inseguivamo  le 
chimere  fallaci  della  nostra  introvabile  gioia, 
egli  riusciva  a  chiappare  a  volo  col  cappellac- 
cio sfondato,  le  Vanesse  Atlante  dai  fiammeg- 
gianti colori  e  a  vedere  in  un  rotondo  sasso 
di  torrente  le  forme  più  divine  a  consolazione 
dei  propri  sensi.  Egli  che  nel  nulla  trovava 
tutto  fu  veramente  un  ricco  e  un  creatore, 
mentre  noi  non  siamo  che  dei  poveri  e  dei  di- 
sgraziati impotenti. 


CONTRABBANDO 


CONTRi^BBaNDO. 

Il  terribile  dissidio  fra  il  sor  Giuseppe, 
ufficiale  di  dogana,  il  sergente  di  servizio  e 
Don  Ambrogio,  il  pievano,  aveva  delle  ori- 
gini umili. 

Lungo  l'argine  del  canale  erano,  in  riga,  le 
garette  cenerognole  delle  guardie  di  finanza; 
sullo  stradone,  in  una  casetta  bianca,  era  la 
parrocchia,  più  avanti,  il  corpo  di  guardia  e, 
in  fondo  all'orizzonte  si  stendeva  la  riserva 
famosa. 

Una  notte  in  cui  l'acqua  veniva  a  rove- 
sci, come  Dio  solo  la  sa  mandare,  fra  mezzo 
a  schianti  secchi  di  folgori,  a  raffiche  urlanti, 
a  ruscelli  gorgoglianti  da  tutte  le  parti,  u  Nic- 
che  n,  il  famoso  contrabbandiere,  aveva  fatto 
saltare  il  fosso  a  un  bue  vivo,  un  bue  delle 
chiane,  alto  due  metri,  che  i  finanzieri  videro 
soltanto  sfumare  nel  pulviscolo  fitto  della  piog- 
gia al  fulgor  d'un  baleno,  come  una  fantasma 
bianca. 

Un  altro  giorno,  sur  una  chiatta,  passò  la 


-  ^4  - 

carogna  d' un  ciuco  enorme,  smisuratamente 
gonfio,  morto  affogato  nel  padule  ;  dietro  al 
carretto,  tirato  a  fatica  da  un  ragazzuccio,  pia- 
gnucolava una  donna.... 

Ma  nel  ventre  del  ciuco  eran  cuciti  fagiani 
e  beccacce  e  la  donna  piangente  era,  viceversa, 
un  uomo. 

Tutte  e  due  le  volte,  per  dire  il  vero,  il 
terribile  capo-dogana,  un  uomo  dai  baffi  e  dai 
capelli  neri  come  il  carbone,  era  assente. 

Invitato  dal  pievano  a  una  partita  alle  pri- 
miere, non  aveva  saputo  resistere  alla  tenta- 
zione, tanto  più  che  Don  Ambrogio  teneva 
chiusi  in  dispensa  certi  fiaschi  d'un  vino  da 
far  risuscitare  i  morti. 

Però,  la  seconda  volta,  il  sor  Giuseppe, 
uscito  dai  gangheri,  se  la  rifece  anche  col  pie- 
vano bontempone,  il  quale  non  istiè  sulle  sue 
e  disse  quel  che  aveva  da  dire  sullo  zelo  e 
sull'oculatezza  del  funzionario,  il  quale  giurò 
e  spergiurò  che,  sacramento  !  avrebber  visto  chi 
fosse;  e  lo  gridò  ben  forte  perché  sentisse  chi 
doveva  sentirlo,  vale  a  dire  il  sergente  che 
aveva  sempre  sui  labbri  un  certo  sorrisetto.... 

Intanto  si  guardò  bene  dal  metter  piede 
in  casa  di  quell'unto  del  diavolo  che  gli  por- 
tava l'jettatura;  ci  sarebbe  tornato  a  battaglia 
vinta  e  col  trofeo  della  vittoria  in  mano;  cosa 
di  cui  il  sergente  ridicchiando  tra  se  e  sé,  du- 
bitava moltissimo! 


—  45  - 

Una  mattina,  era  d' inverno,  una  di  quelle 
mattinate  di  paradiso  nelle  quali  il  cielo  è 
d' un  azzurro  da  sembrar  dipinto  e  le  case 
paion  tutte  imbiancate  di  fresco,  il  sor  Giu- 
seppe passeggiava  in  su  e  in  giù,  nervosa- 
mente, sotto  la  tettoia  bassa,  guardando  con 
ira  il  sergente  delle  guardie  che  se  la  fumava 
come  se  fosse  stato  in  villeggiatura,  quando  una 
specie  di  vagabondo  tutto  strapanato  che  s'ab- 
batteva a  passar  di  li,  si  fermò,  dando  un'oc- 
chiata in  giro,  e  figurando  d'accendere  un  moz- 
zicone che  s'ostinava  a  non  pigliare,  disse, 
adagio:  Dei  lumi  di  lana  come  stanotte...  mai 
visti  !  E  tirò  diritto  fischiettando. 

Il  sor  Giuseppe,  diventato  di  porpora,  si 
fregò  le  mani  ;  poi  chiamò  il  sergente  e  gli 
disse:  Mi  dica  la  verità,  ci  ha  capito  nulla,  lei? 

—  Io?  no. 

—  Vede,  sacramento  !  cosa  vuol  dire  l' intel- 
ligenza... sa  lei  cosa  c'era  sotto  a  quella  frase? 

—  Io?  no. 

—  E  10  invece,  sacramento  !  lo  so  benone. 

—  Belle  forze!  se  hanno  combinato.... 

—  Macché  combinato  !  o  la  logica,  scusi  ? 
voleva  dire  :  Stanotte  sarà  lume  di  luna  e  i 
bracconieri  vanno  all'aspetto  ad  ammazzare 
un  capo  grosso  !  ecco,  caro  lei  ;  e  ora  in  gamba 
e  stanotte,  sacramento  !  ci  guadagneremo  la 
promozione.  — 


—  46  — 

E  andarono  a  bere,  contenti  come  se  aves- 
sero bell'e  fatto  il  colpo. 

Anche  quella  sera  Don  Ambrogio,  rimasto 
senza  il  compagno  per  la  consueta  partita, 
s'era  bell'e  rassegnato  a  andare  a  letto,  per 
dir  la  frase  sua,  come  le  bestie,  quando  senti 
bussare  discretamente  alla  porta  di  strada. 

Corse,  lesto,  da  se,  ad  aprire  tutto  con- 
tento, imaginandosi  che  il  sor  Giuseppe  si 
fosse  pentito,  ma  rimase  stupito  vedendosi 
dinanzi  un  brutto  ceffo  male  in  arnese  e  dal 
contegno  sospetto. 

Il  pievano  riconobbe  subito  con  chi  aveva 
da  fare;  pur  troppo  nella  sua  parrocchia  ce 
n'aveva  di  quei  malanni! 

—  Che  c'è?  domandò  brusco. 

—   Una   parola,   in  segretezza  e  in   furia, 
sor  pievano.... 

—  Passate...  e  lo  introduceva,  a  malincuore 
colla  mano  sempre  sul  paletto  dell'  uscio. 

—  Senta....  s'era  all'aspetto....  ma  mi  rac- 
comando ! 

—  Sigillo  di  confessione!  con  chi  credete 
di  parlare? 

—  Lo  so;  lei  è  un  prete  galantuomo...  dun- 
que, dia  retta  a  me  :  s'era  al  cinghiale,  s'è  sen- 
tito sfrascheggiare,  uno  ha  tirato.... 

—  Per....  micio  bacco  !  e  chi  ha  colto,  invece? 

—  Lo  u  Stanga  n....  è  a  due  miglia  di  qui, 


-  47  — 

quasi  sulla  strada....  se  campa  un'ora  è  un  mi- 
racolo.... la  grande  emorragia...  lei  lo  sa,  siamo 
bestiacce,  ma  in  certi  momenti.... 

—  Lo  credo  io,  preme  riconciliarsi  col  Si- 
gnore ! 

Don  .Ambrogio,  svelto,  disse  una  parola  alla 
donna,  pigliò  la  sacchetta  dell'olio  santo,  poi 
brontolando  fra  se.  u  E  meglio  tenersi  amici 
tutti....  77,  scese  in  istalla  e  cominciò  a  attac- 
care la  cavallina  aiutato  dal  bracconiere  che 
pareva  avesse  l'elettricità  nelle  mani. 

—  Badi,  avverti  questi,  che  stanotte  è  un 
freddo  da  morire....  si  copra  bene.... 

—  Già,  quel  freddo  asciutto  eh?....  se  attac- 
cassi la  giardinierina  coperta? 

—  È  una  polmonite  risparmiata  di  certo. 
In  dieci  minuti  la  cavallina  baia  scalpitava 

fra  le  stanghe  di  una  vetturetta  graziosissima, 
orgoglio  del  pievano  e  lusso  che  si  poteva  per- 
mettere il  titolare  di  una  chiesa  come  la  sua 
a  due  passi  da  un  luogo  di  bagnature,  dove 
piovevano  le  messe  da  venti  lire. 

Don  Ambrogio  prese  le  redini,  scruttuido 
la  strada  per  l'apertura  della  vetràge  da  in- 
verno, poco  più  che  bastante  a  far  passare  le 
guide  elegantemente  appoggiate  a  un  cilindro 
d'ottone  lucente,  mentre  il  compagno  si  ran- 
nicchiava in  un  cantuccio,  formando  un  corpo 
solo   coll'ombra  del    mantice   duro,  completa- 


—  48  — 

mente  u  montato  n  a  vettura  chiusa;  e  par- 
tirono. 

-Passando  davanti  al  corpo  di  guardia,  il 
sor  Giuseppe  che  s'era  precipitato  fuori  come 
un  razzo,  -urlò  al  pievano:  Malati  gravi? 

Ma  non  gli  rispose  che  il  ruzzolìo  delle 
ruote  che  volavano  sul  piano  levigato  e  sonoro 
della  strada  gelata  e  liscia  come  un  pallaio 
sotto  la  luna  tonda. 

—  L'ha  proprio  presa  co'  denti,  brontolò 
il  sor  Giuseppe  ravvolgendosi  in  una  nube  di 
fumo  ;  ma  sacramento  !  stanotte  gliela  farò 
veder  io...  però  dopo  aver  camminato  in  su  e 
in  giù  un  bel  pezzo  per  riscaldarsi,  fini  col 
ritornare  accanto  al  fuoco,  in  mezzo  al  fumo 
asfissiante  delle  pipe  dei  doganieri  e:  Sacra- 
mento !  non  si  vede  nessuno  !  disse,  assiden- 
dosi,  di  malumore. 

—  Avranno  sbagliato  il  colpo  !  rispose  bru- 
sco il  graduato  rizzandosi  di  malavoglia  per- 
chè il  sor  Giuseppe  lo  guardava  con  occhio 
espressivo  e,  ammantellandosi,  prese  ingru- 
gnato la  via  dell'  uscio  per  non  lasciar  la  strada 
inesplorata. 

La  luna,  via  via  che  saliva  sull'orizzonte, 
spandeva  un  lume  più  chiaro  e  il  freddo  pareva 
aumentasse  d'intensità  con  la  luce;  ormai  tutto, 
la  strada,  i  campi,  le  macchie,  le  case  bianche, 
scintillava    come    d'argento    e    il    pover   uomo 


Tav.  IV. 


//  Giogo  -  Pag.  59. 
I  lupi. 


-  49  — 

marcava  il  passo  alla  bersagliera,  avanti  e 
indietro,  contando  mentalmente,  per  passare  il 
tempo,  gli  anni  che  avanzavano  ancora  per 
trovarsi  un  impieguccio  e  andare  in  pensione. 

Suonò  la  mezzanotte,  suonò  il  tocco;  il 
tempo  non  passava  mai;  passò  invece  di  trotto 
serrato  il  calessino  del  pievano  che  il  sergente 
salutò  piantandosi  sugli  attenti;  ma  Don  Am- 
brogio non  rispose  al  saluto. 

L'occasione  di  ritornare  intorno  al  fuoco 
non  poteva  esser  migliore,  e  di  li  ad  un  minuto 
tutto  il  corpo  di  guardia  sapeva  che  Don  Am- 
brogio dalla  gran  bile  d'esser  stato  abbando- 
nato, aveva  fatto  il  muso  anche  al  sergente, 
e  per  una  mezz'ora  fu  tutto  un  ridere  e  uno 
scherzare  sul  prete  a  cui  neanche  il  vino  era 
buono  a  levar  la  stizza  di  dosso. 

Però  il  sor  G-iuseppe,  il  quale  era  agitato 
da  un  leggero  tremito  nervoso  tutte  le  volte 
che  sorprendeva  un  fugace  sorriso  errante  sui 
baffi  del  finanziere,  stava  per  ritornare  brava- 
mente in  vedetta,  quando  sull'uscio  incrociò 
con  la  Menica  che  entrava  come  una  bomba 
rinvoltata  in  uno  sciallino  a  fiorami  e  a  pèneri 
che  in  tutt'altra  circostanza  avrebbe  mandato 
in  visibilio  l'intera  brigata. 

—  Ah!  sor  Giuseppe!  la  gran  disgrazia! 

—  Che  c'è? 

—  Ma  non  sa  nulla? 


-  50  - 

—  0  che  volete  ch'i'  sappia. 

—  Mi  dia  da  sedere,  per  carità,  mi  sento 
male....  è  successo  una  gran  disgrazia  al  pie- 
vano.... 

—  Sacramento!  dove'?  come?  quando?... 

—  Non  lo  so....  grossa  di  certo.... 

—  Ma  se  non  lo  sapete  voi  !  !  che  rebus  è 
questo? 

—  0  sentano  ;  io  ero  rimasta  levata  perchè 
anche  quando  il  pievano  è  fuori,  capiranno.... 
e  poi  ci  avevo  da  rimendargli.... 

—  Ma  andate  avanti,  sacramento! 

—  Fatto  sta  che  ho  sentito  passare  un  ca- 
vallo, che,  al  trotto,  mi  pareva,  viceversa,  la 
cavalla  del  pievano.... 

—  Non  vi  pareva  ;  era  —  perchè  il  pievano 
l'ho  visto  io,  coi  miei  occhi,  tornare  a  casa. 

—  Lei  ha  visto  il  pievano,  signor  sergente  ? 

—  Come  vedo  voi,  e  l'ho  anche  salutato, 
ma  non  mi  ha  risposto.... 

—  Dio  di  misericordia!  per  forza  non  ha 
risposto  ;  l'anno  assassinato  ! 

—  Assassinato?!  ! 

E  tutti  si  levarono  in  piedi,  tumultuo- 
samente. 

—  O  cosa  voglion  che  gli  sia  successo, 
se  giù  all'uscio,  ho  sentito,  dopo  mezz'ora,  il 
trotto   della   cavalla,    che   si   fermava   e    sono 


-  5i  - 

scesa  giù....  e  ho  trovato....  Oh!  signori  miei, 
di  quelli  spaventi! 

—  Ma  cosa  avete  trovato    sacramento? 

—  La  cavalla,  il  calesse  e  il  vestito,  capi- 
scono? il  vestito  di    Don  Ambrogio! 

—  Il  vestito?! 

—  La  tonaca,  proprio. 

—  Sacramento!  c'è  un  delitto  di  certo  e 
un  bel  delitto,  esclamò  il  sor  Giuseppe  che  leg- 
geva le  geste  del  poliziotto  dilettante;  e...  non 
avete  trovato  altro? 

—  Ah  !  mi  dimenticavo  del  meglio.  Rinvol- 
tato nella  tonaca,  indovini  cosa  c'era? 

—  Cosa? 

—  Gliela  dò  in  mille! 

—  Non  ci  tenete  sulla  gruccia! 

—  C'era  un  cosciotto  di  cervo. 

Il  sor  Giuseppe,  congestionato,  fulminò  il 
sergente  che  questa  volta  si  mangiava  i  baffi 
addirittura;  poi  esclamando:  a  Ah!  ma  Don 
Ambrogio  ci  spiegherà....  n  balzò  fuori  dalla 
stanzuccia  seguitò  dall'intero  picchetto  e  dalla 
Menica  che  si  torceva  le  mani  e  soffocava  i 
singulti  nello  sciallone  alla  rococò. 

Non  erano  arrivati  alla  parrocchia  che 
sull'uscio  videro  Don  Ambrogio  ridotto  in  uno 
stato  da  far  compassione  ai  sassi  e  scoppiò 
una  tempesta  di  domande. 

Ma  il  prete,    smozzicando  le   parole  e  bai- 


—  52  — 

bettando:  u  A  lei  solo....  a  lei  solo....  n  trascinò 
il  sor  Giuseppe  in  camera  sua  e  chiuse  la 
porta. 

—  0  senta,  gli  disse  appena  furono  ben 
soli,  nomi  non  ne  faccio,  neanche  se  mi  am- 
mazzassero ;  ma  il  fatto,  cosi  com'è  successo,  è 
questo  qua. 

E  cominciò  a  raccontare,  colla  voce  tanto 
bassa  che  il  sor  Giuseppe  era  costretto  a  te- 
nersi una  mano  all'orecchio,  e  interrompendosi 
ogni  tantino  per  dare  un'occhiata  all'uscio,  da 
quando  fu  chiamato  per  l'olio  santo  fino  al 
punto  in  cui  si  trovò  sulla  strada  in  mezzo 
alla  macchia  a  due  miglia  dall'abitato. 

—  Cominciavo  a  impensierirmi,  quando 
quella  persona  che  aveva  preso  le  redini,  voltò 
a  sinistra.  La  macchia  s'apri  come  uno  scena- 
rio e  apparve  il  cielo  tutto  bianco,  contro  il 
quale  sfumavano  le  sagome  degli  alberi  alti, 
e  un  prato  acquitrinoso,  tutto  sprazzi  e  scin- 
tilli, su  cui  era  un  gruppo  di  gente  e  fui  aiu- 
tato a  smontare  dal  predellino  e  fatto  segno  a 
mille  garbatezze.  Io  cercavo  del  ferito  e  allora 
mi  portarono  in  fondo  alla  radura,  s'aprirono, 
rispettosamente,  io  mi  chinai  e  vidi....  un  ma- 
gnifico cervo  sdraiato  di  quarto  sull'erba  colle 
quattro  zampe  irrigidite! 

—  Ma  questo,  urlai,  è  un  tradimento  !  Dove 
volete  andare  a  cascare? 


—  5B  - 

—  O  senta,  mi  risposero,  questa  bestia, 
salvo  le  corna,  deve  passare  in  città  bella  e 
intera  come  la  vede.... 

—  0  cosa  c'entro  io'? 

—  Lei  c'entra  e  come  !  ora  vedrà.... 

—  C'era  poco  da  dire,  sa?  dietro  le  parole 
melate,  capisce?  spuntavano  i  musi  duri  de' 
contrabbandieri....  i  quali,  ora,  mi  tenevano 
stesa  dinanzi  una  casentinese  col  pelo  mentre 
qualcuno  mi  alleggeriva  della  tonaca  lunga 
da  inverno.... 

—  Lesto,  s' infili  questa,  se  no  piglia  un 
malanno.... 

—  Ma  cosa  fate?  cosa  volete?  la  sacchetta 
dell'olio  santo.... 

—  Eccola....  a  me  il  nicchio....  si  calchi  in 
capo  questo  berretto...  se  lo  tiri  giù...  bravo... 
cosi....  sta  caldo  sor  pievano? 

—  Io  balbettavo,  battevo  i  denti  nonostante 
la  cappa  grave,  mentre  due  di  quei  malanni 
alzavano  il  cervo  e  due  gì' infilavano  la  to- 
naca, la  mia  tonaca  capisce?  per  le  maniche 
nelle  zampe  anteriori,  l'abbottonavano  con  uno 
sforzo  (sentii  il  crac  della  stoffa!)  sul  grop- 
pone della  bestia,  le  attaccavano  il  talare  sotto 
il  colletto,  poi  la  cacciavano  in  vettura  ripie- 
piegandola  nel  mio  posto  a  furia  di  pugni 
nella  pancia! 

—  Sacramento! 


—  54  — 

—  Infine  curvarono  il  muso  dell'animale 
sul  petto,  gli  cacciarono  in  testa  il  mio  nic- 
chio tirandoglielo  giù  fin  sul  naso,  Nicche.... 
maledetto!  m'è  scappata.... 

—  Nicche?! 

—  In  persona,  montò  accanto  al  cervo, 
prese  le  redini,  e  la  cavallina  baia  tutta  rav- 
volta in  una  nuvola  di  nebbia  per  il  pelo  che 
le  fumava  sotto  quel  freddo  acuto,  squassò  la 
criniera  e  parti  di  galoppo. 

—  E....  lei? 

—  Io,  me  ne  son  dovuto  tornare  a  piedi, 
in  quell'arnese....  lo  creda  a  me,  sulla  mia  co- 
scienza ;  io  son  vivo  per  un  prodigio  del  Cielo  ! 

—  E  ora?  chiese  il  sor  Giuseppe,  comple- 
tamente disfatto,  e  ora? 

—  Ora...  prima  di  tutto  direi  di  stare  zitti... 

—  Sacramento! 

—  Zitti  come  l' olio....  per  me....  ma.... 
anche  per  lei....  ci  pensi  bene....  e  poi....  si 
potrebbe  mangiare  insieme  quel  cosciotto  di 
cervo....  ci  pensi  bene.... 

—  Sacramento!  ci  ho  bell'e  pensato.  Invi- 
tiamo anche  il  sergente? 

E  lo  invitarono,  e  quando  ebbero  mangiato 
e  bevuto  e  furon  certi  che  anche  lui  era  satollo 
di  carne  di  contrabbando,  gli  dissero  la  verità. 

Il  sergente  ascoltò,  mordendosi  i  baffi,  poi 
si  rivolse  all'ufficiale  di  dogana  con  mal  celata 


soddisfazione:  In  fin  de'  conti,  insinuò  stropic- 
ciandosi le  mani,  mi  pare  che  gliel'abbiano 
accoccata....  gliel'hanno  passato  intero! 

—  Sacramento!  urlò  il  sor  Giuseppe,  scat- 
tando trionfante,  ma  lei....  gli  ha  anche  fatto 
il  saluto! 

E  poiché  Don  Ambrogio  si  alzava  col  calice 
in  mano,  si  levarono  in  piedi  anche  loro  due 
e  toccarono  insieme  i  bicchieri,  riconciliati. 


IL  QIOQO 


IL    GIOGO. 

Il  Rosso  spalancò  gli  occhi  verdi,  a  un 
tratto,  e  a  un  tratto  li  richiuse. 

Una  luce  sfolgorante  l'aveva  abbacinato, 
che  il  disco  giallo  di  una  enorme  luna  piena 
levandosi  sulle  colline  basse  di  fronte,  veniva 
quasi  a  empire  la  bocca  rotonda  della  tana 
oscura  e  calda  nella  quale  il  bandito  dormiva 
a  metà  della  montagna. 

Tuttavia  si  fece  forza,  apri  e  serrò  sbadi- 
gliando le  mascelle  d'acciaio,  poi  cacciò  fuori 
della  buca  le  zampe  anteriori  e  vi  si  appun- 
tellò, tornando  a  sbadigliare,  mentre  si  stirava 
voluttuosamente  e  scuoteva,  con  gli  orecchi, 
il  torpore  del  luHgo  sonno. 

La  notte  era  rigidissima  ;  il  cielo  levigato 
come  un  cristallo  e  nella  valle  lontana  dove 
neanche  un  lume  splendeva,  i  tetti  dei  due  o 
tre  abituri  sparsi  emergevano  cupi  in  mezzo 
alla  neve  turchina  che  imbambagiava  tutto  il 
gran  vano  racchiuso  fra  le  montagne  pallide 
screziate   di  nero  dalle  rocce   e  dalle  abetaie. 


_  60  - 

Il  Rosso  si  penti  subito  d'essersi  svegliato. 
Il  freddo  intenso  gli  faceva  sentire  più  atroci 
i  morsi  lunghi  e  rabbiosi  della  fame  che  gli 
dilaniava  le  viscere  e,  a  testa  bassa,  cercando 
invano  l'odore  d' una  traccia  cominciò  a  calare 
a  caso  per  la  china  senza  sentiero  evitando 
con  l'istinto  e  con  l'abitudine  i  burroni  ma- 
scherati da  parapetti  di  ghiaccio  e  Cercando 
di  riuscire  a  contare  da  quanti  giorni  avesse 
digerito  il  magro  agnello  perduto  da  chi  sa 
qual  branco  nel  rovinio  di  una  fuga  disperata 
davanti  alla  tormenta  che  aveva  invaso  i  gio- 
ghi seppellendo  uomini  e  cose  sotto  le  sue  ali 
sconvolte. 

Ora  il  sereno  tornava,  il  torribii  sereno 
che  spinge  lunghe  file  di  persone  a  spalare  in 
mezzo  ai  piani,  a  rompere  il  ghiaccio  lungo 
i  torrenti  e  tappa  le  maiidre  nei  presepi  fu- 
manti, che  belano  tutta  la  notte  lunga  da;lle 
finestruccie  rosse,  in  mezzo  al  paesaggio  az- 
zurro. 

Ma  non  riusci  neanche  a  distrarsi,  contando, 
né  a  determinare  con  esattezza  uno  spazio  di 
tempo  qualunque;  ricordava  solo  che,  addor- 
mentatosi, dopo  il  pasto,  aveva  visto  buio  e 
udito  i  boati  della  montagna  ;  che  aveva  divo- 
rato anche  gli  ossi,  poi  i  brani  di  pelle  dura 
come  il  corno  e  che,  infine,  s'era  addormentato, 
annullato  in  un  letargo  che  pareva  non  avesse 


-ri- 
avuto  principio  e   non  dovesse  aver   fine,  coi 
naso  nascosto  sotto  una  giuntura  e  un  orecchio 
scartocciato   verso  la   bocca  delia   tana,   dalla 
parte  del  vento. 

Cosi  riflettendo  e  lamentandosi,  col  pelo 
irto,  i  fianchi  ansanti,  le  costole  sporgenti 
come  i  denti  d'  un  rastrello,  la  lingua  penzo- 
loni, stracco  e  accaldato  peggio  che  di  agosto, 
arrivò  nella  pianura  e  si  fermò  a  sedere  sul- 
l'anche magre,  tirando  di  naso  e  leccandoselo 
e  inumidendolo  per  sentir  meglio. 

C'era  odore  d'uomini,  da  quella  parte,  e 
odore  d'uomini  voleva  dir  trappole,  bastoni, 
fucilate;  ripensò  all'eroismo  di  suo  padre  il 
quale  piuttosto  che  rimanere  in  una  tagliola 
s'era  rosicato  lo  stinco,  rabbiosamente,  ed  era 
fuggito  su  tre  gambe  rigando  di  sangue  la 
neve  per  lungo  tratto;  ma  a  nulla  gli  era 
valso  il  sacrificio  che  il  sangue  aveva  guidato 
i  cacciatori  fino  alla  bocca  dell'antro  dove, 
dopo  una  battaglia  onorevolmente  sostenuta, 
cadde  per  non  più  rialzarsi,  mentre  la  vecchia 
lupa  metteva  in  salvo  lui,  il  diletto  della 
covata,  buttandoselo  sul  collo,  con  le  ma- 
scelle che  sapevano  afferrare  con  delicatezza  e 
galoppando  con  una  velocità  ignota  ai  cavalli. 

Il  Rosso,  come  si  vede,  aveva  conosciuto 
presto  le  peripezie  della  vita  errante. 

Mentre  riandava  cosi  la  sua  vita  trascorsa. 


—  62  - 

un  odore  strano  lo  fece  trasalire  e  scattò  sulle 
quattro  zampe  coi  peli  del  dorso  rigidi  scuo- 
prendo  i  denti. 

Incontro  a  lui  galoppava  un  altro  lupo, 
della  sua  stessa  razza  di  certo,  ma  più  piccolo 
di  statura  e  più  scuro  di  pelame. 

Come  furono  a  cento  metri  si  riconobbero  : 
eran  fratelli  !  Ma  quale  differenza!  Il  nuovo 
venuto  era  grasso,  fresco,  assestatino,  non  pen- 
deva un  pelo  ;  liscio,  rotondo,  cogli  occhi  sfa- 
villanti, la  coda  elegantemente  arcuata,  gli 
orecchi  dritti,  l'accento  cortese. 

—  Rosso! 

—  Grigio  ! 

—  Come  stai? 

—  Male....  ho  una  fame  spaventosa,  incre- 
dibile.... e  tu  come  te  la  ripassi? 

—  Ma....  benone,  come  vedi.  Ho  fatto  or 
ora  una  satolla  di  ossi  con  certi  pezzi  di  ciccia 
fresca  attaccata....  e  poi  ho  moglie,  figliuoli.... 
di  bei  figliuoli....  vuoi  vederli?  vieni. 

Il  rosso  lo  guardava  con  diffidenza  ragliando 
sordo. 

—  Ma  dove  mi  porti?  dove  li  hai  i  tuoi 
figliuoli  ? 

—  Non  ci  pensare  —  Hai  paura  che  ti 
imbocchi  in  un  tranello  ?  T' invito  a  cena  con 
me  —  una  buona  zuppa  d'ossi  con  degli 
avanzi  di  brodo  e  d'ortaggi  cotti.... 


-Ga- 
li   Rosso  mandò    un  lampo    dagli  occhi  e 
fece  un  salto  innanzi. 

—  Che  cos'è  questo  che  tu  rammenti,  pro- 
ruppe con  isdegno,  non  sai  eh'  io  sono  carni- 
voro? per  farmene  che,  di  grazia,  della  tua 
minestrina  da  convalescenti  ?  aspetta  a  prima- 
vera e  ti  farò  trovare  ben  io,  in  una  grotta 
fresca  e  sicura,  qualche  coscia  di  montone  dal 
sapore  dolce  ed  acre,  il  sapore  del  sangue  che 
inebria  e  mette  addosso  la  voglia  di  mordere 
e  d'assalire.  E  poi  (e  s'accostava  annusandolo) 
tu  puzzi  d' uomo,  maledettamente.... 

—  Ti  giuro.... 

—  Perchè  hai  i  peli  del  collo  consumati? 
chi  ti  ha  fatto  questo  solco  profondo,  qui?  È 
inutile  che  tu  neghi....  lo  riconosco...  è  il  se- 
gno del  collare  ! 

—  E  sia;  è  meglio  dir  tutta  la  verità.  Ero 
stanco  di  andare  errando  per  la  foresta  sempre 
nell'incertezza  dell'oggi  e  del  domani,  stanco 
di  dormire  con  un  occhio  aperto  un  sonno 
agitato  e  pieno  d' incubi,  timoroso  sempre  di 
vedermi  assalito  da  turbe  di  cani  furibondi  o 
di  cascare  in  qualche  trappola  nascosta  sotto 
le  frasche,  e  decisi  di  andare  dall'  uomo. 

—  Ti  sei  venduto? 

—  Ma  sto  bene. 

—  E  la  libertà? 

—  Bella  libertà  la  tua!  una  morte  garan- 


-  64  - 

tita!  —  Ma  smettila  con  co  testa  esistenza  ar- 
rabbiata, vieni  anche  tu  e  facciamola  finita  — 
vedrai  che  bel  pelame!  e  ohe  cagne!  Scozzesi! 
che  somigliano  tutte  a  noi.... 

Il  Rosso  sempre  a  sedere  sull'anche  ango- 
lose, rifletteva  profondamente;  a  vederlo  cosi, 
vicino  al  suo  compagno,  pareva  anche  più 
secco,  più  grinzoso,  più  miserabile  che  mai; 
ma  non  istette  molto  a  pensare  e,  a  un  tratto, 
rizzando  risolutamente  il  muso,  disse  a  suo 
fratello  : 

—  Sei  un  vigliacco,  tu  tradisci  la  nostra 
razza  e  sporchi  il  nostro  nome;  ma  son  sicuro 
che  te  ne  dovrai  pentire. 

—  Mai! 

—  Ah!  ne  son  certissimo:  le  catene,  è 
storia  vecchia,  son  catene  anche  dorate  e  non 
v'ha  ricchezza  che  uguagli  la  libertà.  —  Per 
mio  conto  tollero  più  volentieri  una  indipen- 
denza mal  sicura  che  una  servitù  tranquilla. 
Son  figliuolo  di  mio  padre,  io! 

E  dando  al  Grrigio  un'occhiata  di  sprezzo 
si  allontanò  tranquillamente  con  qiiel  trotto 
uguale,  elastico,  che  nessun  essere  vivente 
può  sperare  di  raggiungere,  e  in  un  momento 
scomparve  in  mezzo  alla  distesa  di  neve. 

Prese  la  via  della  foresta,  perché  non  gli 
garbava  di  aver  lasciato  delle  traccio  così  vi- 
cine    all'abitazione  dell'uomo,    e   si    addentrò 


Tav.  V. 


Uu  uomo  felice  -  Pag.  78. 

Come  va  dottore?  La  scienza  battuta  dalla  natura? 


—  65  — 

nel  folto  degli  abeti,  tra  viottoli  lunghi  © 
bui  sui  quali  le  fronde  distese  come  braccia 
che  si  ricercassero  da  tronco  a  tronco  sorreg- 
gevano una  cappa  densa  di  neve  che  faceva 
quei  meandri  tiepidi  e  odorosi  d' umidità  come 
certe  caverne. 

Il  Rosso  piuttosto  che  risalir  la  montagna 
preferi  di  stabilirsi  in  quel  bosco  dove  poteva 
sperare  di  raccapezzar  qualche  cosa  da  rodere 
e  dove  trovò  subito  una  compagna  magra  e 
affamata  come  lui,  ma  fiera  e  decisa  a  tutto, 
e,  sopra  ogni  cosa,  delle  medesime  idee;  e 
così  la  famiglia  del  bandito  fu  formata  e  visse 
e  prolificò,  sola,  in  mezzo  alla  foresta,  lontana 
dalle  altre  bestie  e  dagli  uomini,  insegnando 
ai  lupatti  il  disprezzo  della  società  civile  come 
di  quella  barbara,  ma  sopra  tutto  l'odio  contro 
gli  animali  a  cui  un  ingiusto  decreto  della 
natura  concedeva  l'agiatezza  e  il  pasto  senza 
fatica. 

Bandito  e  cacciatore  di  furto,  il  Rosso  non 
capiva  perchè  ci  potesse  esser  della  gente  che 
gli  dava  la  caccia,  a  lui,  che  non  era  buono 
neanche  da  mangiarsi  !  e  per  protestare  contro 
la  viltà  del  più  forte  insegnava  ai  figli  le 
astuzie,  gli  strattagemmi  ed  i  modi  per  rubare 
agli  usurpatori  le  provvisioni  sovrabbondanti 
acciocché  il  corpo  non  oltrepassasse  mai  quel 
periodo    di  digiuno    al  di    là  del    quale  è    la 


-  66  - 

rabbia,  lo  spavento  delle  superficì  lucenti,  la 
pazzia  cieca  e  furibonda  di  mordere,  il  terribile 
castigo  che  vedono  uscire  dalle  foreste  o  errare 
pazzamente  per  le  vie  gli  uomini  colpevoli 
d'aver  lasciato  in  preda  alla  fame  un  essere 
vivente  ! 

Si  era  sul  finire  di  primavera;  la  neve  si 
scioglieva  cbiaccMerando  nei  ruscelli  e  disam- 
mantava i  clivi  che  scuoprivano  le  prode  tutte 
verdi  d'erba  novellina;  un  profumo  acre  si 
levava  dal  terreno  dove  pareva  che  il  marciume 
delle  barbe  e  delle  ramaglie  morte  rivivesse 
d'una  vita  misteriosa,  formicolante  e  larga, 
che  pigliava  tutta  la  selva,  s'insinuava  nei 
ciuffi,  nei  talli,  nelle  macchie,  saliva  lungo  gli 
alberi  sotto  le  corteccie  madide,  stillava  in  la- 
crime da'  rami  e  da'  fuscelli,  fremeva  nelle 
frasche,  pispigliava  sulle  cime  e  s'involava 
nel  sole. 

La  lupa  madre,  robusta,  elegante,  col  pe- 
lame ravviato  per  numerose  mangiate  di  polli 
strappati  alle  volpi,  di  lepri  giovani  e  di  ca- 
prioletti  inesperti,  insegnava  ai  giovanissimi 
figli  a  cercarsi  il  cibo  a  una  distanza  di  almeno 
sei  miglia  per  non  tradire  il  segreto  del  covile, 
a  mantener  la  parola  e  a  dare  aiuto  agli  altri 
lupi,  a  riconoscer  le  armi  da  fuoco  dalle  falci, 
o  dalle  vanghe,  a  non  lasciarsi  sedurre  da 
agnelli  o  da  quarti  di  carne  fresca  posti  troppo 


—  67  — 

vicini  airabitato,  a  dare  il  cambio,  l'uno  con 
l'altro,  davanti  alla  muta  dei  bracchi,  a  correr 
sempre  in  linea  retta  per  moltiplicare  gli  osta- 
coli ai  cacciatori  a  cavallo,  a  salvarsi  dalle 
trappole  e  a  riconoscerle  sotto  gl'inganni  di 
fronde  o  di  zolle. 

Tutte  le  notti  la  lezione  si  svolgeva,  rego- 
larmente, in  una  grande  radura  sul  limitare 
della  foresta,  vicino  a  un  pozzo  di  acqua,  so- 
pra un  prato  delizioso  per  le  capriole  e  i  salti, 
ne  terminava  finché  il  sole  dorando  il  cielo 
dietro  gli  abeti,  neri,  non  ricordasse  alla  schiera 
esser  tempo  d'andare  a  pigliarsi  un  meritato 
riposo,  che  i  lupatti  s'accingevano  a  recarsi 
a  godere,  camminando  l'uno  dietro  l'altro  e 
procurando,  sotto  l'occhio  vigile  della  madre, 
di  porre  ciascuno  esattamente  la  propria  im- 
pronta in  quella  dell'altro,  mentre  schiere  gio- 
conde di  scoiattoli  li  guardavano  dalle  cime 
più  alte,  sbellicandosi  dal  ridere,  attaccati  ai 
rami, per  la  coda,  colla  testa  all'in  giù. 

Quella  mattina  per  l'appunto  i  cinque  lupi 
traversavano  cosi  la  parte  limacciosa  del  prato, 
neri  contro  il  piano  violetto  sotto  la  luce  diac- 
cia d' un'alba  nuvolosa,  quando,  prima  fra  tutti 
la  vecchia  lupa,  si  fermarono  di  scatto  colla 
zampa  alzata,  gli  orecchi  ritti  lo  sguardo  fisso, 
e    un   fremito  di  terrore    pervase  la  schiera. 


—  68  — 

Non   era  possibile  dubitarne.  —  La   caccia  si 
precipitava  da  quella  parte. 

Che  fare,  in  tal  frangente  ?  La  madre  schiac- 
ciata per  la  fuga,  già  pronta  al  primo  balzo 
ascoltava  attentamente,  perchè  i  lupi,  come 
tutti  i  cacciatori,  non  perdono  mai  la  calma; 
quando  il  Rosso  saltò  fuori  d' una  foschia 
d'abeti  con  uno  slancio  elegante. 

—  Fuggite!  ordinò.  Non  c'è  più  nulla 
da  fare. 

—  Oh!  se  questi  erano  più  grandi!  sclamò 
con  ira  la  femmina  accennando  ai  figliuoli. 

—  Fuggite  sulla  montagna,  riprese  il  lupo, 
faticando  a  discorrere  perchè  i  fianchi  gli 
sobbalzavano  dalla  gran  corsa  fatta,  fuggite 
e  tu,  messi  i  piccini  al  sicuro,  piantati  in  qual- 
che punto  da  dove  si  possano  vedere  le  fasi 
della  lotta  e  la  mia  morte,  per  descriverla, 
poi,  a  loro.... 

—  Ma  non  c'è  modo  d'ingannare  i  cani? 
non  potrò  avere  il  tempo  di  tornare  a  darti 
il  cambio? 

—  No.  —  La  muta  è  diretta  da  chi  sa 
bene  il  fatto  suo  ;  vorrei  ingannarmi,  ma  temo 
di  aver  rinono  scinto  l'odore  di  mio  fratello. 

—  Impossibile!  un  lupo  non  da  la  caccia 
a  un'altro  lupo.  —  Non   s'è  mai  sentito  dire. 

—  Quello  non  è  più  un  lupo  ;  abita  fra  gli 


—  69  — 

uomiai  da  un  anno;  dunque  è  diventato  un. 
cane.  —  Fuggite! 

Il  comando  fu  dato  con  tono  cosi  imperioso 
che  la  vecchia  e  i  piccini  a  galoppo  serrato  si 
persero  in  un  batter  d'occhio  dietro  gli  innu- 
merevoli intercolonni  della  selva. 

Allora  il  Bosso,  dopo  essersi  riposato  qual- 
che istante  come  riflettendo,  piegò  a  sinistra 
e  corse  fuori  del  bosco,  in  un  tratto  libero, 
per  qualche  migliaio  di  metri. 

Si  sentiva  l'orrendo  fragore  della  muta 
lontana  che  cercava  abbaiando  qua  o  là,  ma 
avanti  alla  muta  galoppavano,  molto  avanti, 
due  cani  enormi  dal  fiuto  deciso,  il  secondo 
dei  quali,  indubbiamente,  era  un  lupo. 

Tal  vista  serrò  dolorosamente  il  cuore  del 
Rosso,  che  nonostante,  raccolse  tutte  le  sue 
forze  e  si  arrestò,  facendo  fronte,  in  posizione 
di  combattimento. 

Si  avvicinavano;  si  distinguevan  benissimo 
le  fattezze  brutali  di  un  colossale  limiero  di 
cui  il  sibilo  uscente  dalle  narici  riarse  per  la 
corsa  tradiva  la  voluttà  d'aver  sentito  la  preda. 
Dietro,  il  Grigio  (proprio  lui)  ansimante,  a 
grandi  sbalzi,  guadagnava  terreno. 

A  un  tratto  raggiunse  il  cane,  gli  si  accostò, 
lo  dinanzò,  lo  prese  improvvisamente  per  la 
gola,  con  feroce  disperazione,  mentre  il  Rosso, 
sbalordito,  accorreva  senza  saper  pensare  altro 


-  to  - 

elle    una    cosa,    che    bisognava    pigliar    parte 
alla  lotta. 

Sul  terreno  giallo  fu  un  rotolio  fulvo  di 
pelame,  tra  rantoli  sordi,  poi  il  limiero  fuggi 
dalla  parte  della  muta,  zoppicando,  urlando, 
seminando  il  sentiero  di  larghe  tracce  di 
sangue. 

—  Di  carriera,  fratello  !  —  ansò  il  Grigio 
—  la  muta  vedendo  il  guerriero  ritornare  in 
quello  stato  s'arresterà,  non   oserà  inseguirci. 

Ora  i  due  lupi  volavano,  saltando  fratte, 
burroni,  fiumiciattoli  e  staccionate,  sempre 
diritti. 

—  Ma,  fratello,  mugolò  il  Eosso  stupito, 
tu  ritorni  a  noi? 

—  Ritorno  nel  bosco  —  Ne  ho  fin  su  gli 
occhi  della  cuccia  di  legno  e  dell'acqua  in- 
zolfata. 

—  Ma  i  tuoi  cuccioli? 

—  Quei  bastardi?  li  ho  strozzati. 

—  E,...  la  cagna  scozzese? 

—  Mi  ha  tradito....,  mi  ha  tradito  col  li- 
miero...., bella  razza  ne  uscirà  fuori  !  e  per 
darci  la  caccia....,  capisci?  ma  ci  troveremo  di 
fronte  a  quest'altra  stagione, 

—  Quando  i  miei  saranno  grandi.... 

—  Vedrai  che  strage! 

Erano  a  metà  del  monte,  su  certe  rupi 
scoscese  in  fondo  alle   quali  rombava  un  tor- 


-Vi- 
rente   schiumoso;  e    si  fermarono,   colle   gole 
ardenti  da  cui  sfuggiva  il  respiro  corto  e  fre- 
quente,   facendo  muovere    in  su    e  in    giù   le 
lingue  rosse  come  il  fuoco. 

La  muta  senza  la  guida  del  Grigio  e  del 
limiero  si  accaniva  sempre  nello  stesso  punto 
girando  pazzamente  avanti  e  indietro,  si  udi- 
vano i  comi  suonare  ad  un'  immensa  distanza. 

Il  Grigio  dètt«  in  un  riso  di  scherno:  so 
le  loro  abitudini  (aggiunse  con  un  fremito  di 
gioia  che  gli  commosse  il  pelame  come  il  vento 
increspa  l'onde),  so  le  loro  abitudini,  di  giorno 
e  di  notte;  faremo  un  colpo  magnifico,  straor- 
dinario..., agnellini  di  latte  teneri  e  grossi 
tanto  !  Ah  !  fratel  mio,  che  roba  il  cibo  bell'e 
scodellato!  ti  fa  un  nodo  qui  allo  stomaco 
come  se  tu  avessi  ingoiata  la  stoppa.  —  La 
lezione  è  stata  salata,  ma  da  ora  in  poi 

—  Basta,  interruppe  il  Rosso  che  non  co- 
nosceva abitudini  borghesi,  quand'è  che  ru- 
biamo questi  agnelli? 

—  Diamine,  stanotte  subito.  Bisogna  bene 
ricominciare  a  guadagnarci  la  vita  onesta- 
mente. 


UN  UOnO  FELICE 


UN  U0P10  PCLICC- 

Non  so  come  mai  ci  sia  della  gente  clie 
scrive  le  novelle,  e  io,  un  tempo,  fui  di  cos- 
toro. 

Perchè  inventare?  Che  sugo  c'è,  quando, 
guardandoci  intorno,  si  trovano  da  descrivere 
tanti  argomenti,  tante  persone,  tanti  paesi,  più 
interessanti  di  qualunque  racconto  artifizioso? 

Statemi  un  po'  a  sentire  e  ditemi,  dopo, 
se  Tappo  non  fosse  un  u  tipo  n  divertente. 

L'ho  conosciuto  già  vecchio,  anzi  vecchis- 
simo, proprio  nell'  isola  nativa,  quella  delle 
pesche  miracolose  e  delle  sbornie  da  olio  santo. 

A  ottantasei  anni  era  solido  come  i  suoi 
graniti  u  le  còti  n  cosi  diceva  lui,  e  col  naso 
impeperonito,  l'occhio  vispo  sotto  le  ciglia 
aoerpelline,  il  colorito  rosso -mattone,  le  mani 
bernoccolute  come  canapi,  il  berretto  a  tettoia 
sulle  ventitré  da  cui  sporgeva  ancora  un  ciuffo 
bianco,  metteva  allegrezza  a  guardarlo. 

Feci  conoscenza  con  lui  in  un  modo  buffo  ; 
mettendomi  a  computare  quanti  quattrini  avreb- 


-  76  - 

be  potuto  raggranellare  in  tutta  la  sua  vita, 
se,  invece  di  spenderli  in  vino  li  avessi  ver- 
sati a  una  cassa  di  risparmio. 

Intervennero  ad  aiutarmi  il  parroco  e  un 
brigadiere  di  dogana.  Tappo  lasciava  fare  e 
rideva  sotto  sotto  (stavo  per  dire  sotto  i  baffi, 
ma  Tappo  se  li  radeva  perchè  i  baffi  bianchi 
li  aveva  a  noia)  accendendo  continuamente 
una  pipettina  corta  che  non  tirava  mai. 

Picchia  e  mena,  ci  si  mise  d'accordo  sulla 
cifra  di  centomila  lire.  Dovevano  essere  di  più, 
ma  noi  gli  s' abbuono  tutto  il  vino  rubato 
quando  lo  navigava  e  si  fece  una  cifra  tonda  ; 
e  poi,  ai  tempi  di  Tappo,  quando  lui,  cioè, 
era  nei  suoi  cenci,  il  vino  costava  meno. 

—  E  faceva  meno  male! 

Questa  era  la  frase  classica  del  vecchio 
pescatore  quando  si  discorreva  delle  bevute 
di  mezzo  secolo  fa.  La  ripeteva  due,  tre  volte, 
con  la  mano  tesa  e  l'indice  puntato  come  una 
minaccia,  verso  la  costa  azzurra  dell'Argen- 
tario, laggiù,  lontana,  cullata  dai  flutti  tur- 
chini del  Tirreno  capriccioso. 

Egli  è  che  c'era  un  vecchio  conto  fra  Tappo 
e  il  medico  di  Porto  Santo  Stefano.  Conto,  del 
resto,  bell'e  saldato. 

Si  trattava  di  questo:  fra  Tappo  e  il  me- 
dico, vecchio  anche  lui,  s'accendevano  discus- 
sioni, rimaste  famose,  a  proposito  della  neces- 


—  77  - 

sita,  no  meno,  di  bere  il  vino  e  specialmente 
l'ausonico,  traditore,  color  di  rosa,  abbac- 
cato,  con  l'asprigno,  asciutto,  leggero  ma  gra- 
duato a  diciotto  che  a  un  tratto  ti  piglia 
e  ti  butta  nel  muro. 

Diceva  il  dottore  :  Siete  matti,  qui  all'  i- 
sola,  a  bere  in  codesta  maniera!  Finirete  tutti 
cirrotici  ! 

Tappo  scoteva  la  pipa  e  sogghignava  :  Ho  ! 
he!  bisogna  vedere  a  che  età,  signor  dottore 
mio  bello  ! 

—  A  che  età?  Ma  se  Michelaccio  è  morto 
di  settanta,  chi  vi  dice  che  non  avrebbe  cam- 
pato cento?  e  se  Schiantacatene  non  tira  le 
còia  si  è  perchè  l'ho  messo  a  dieta  e  se  ne 
veggono  gli  effetti.... 

—  A  dieta?  signor  dottore  mio  bello?  Ci 
credete  proprio  che  Schiantacatene  non  ci  ab- 
bia il  boccale  dentro  al  canterano.?  E  la  Ro- 
setta, povera  figlia,  che  è  morta  a  diciott'anni, 
senz'avere  assaggiato  altro  che   acqua? 

—  Ma  se  è  morta  di  petto  ! 

—  E  86  beveva  vino  questo  non  le  sarebbe 
accaduto  signor  dottore  mio  bello,  sarebbe  stata 
sana  fresca  e  robusta  come  me  !  Ci  credete  voi 
nel  Signore  ? 

—  Io  no!  Mi  strafischio  di  lui  e  di  tutti 
i  suoi  santi  ! 

—  Vedete  resia,  signor  dottore  mio  bello... 


-  78  — 

il  vino  è  un  dono  del  Signore   e  chi   lo    dis- 
prezza, disprezza  anche  lui! 

—  Altra  cosa  è  disprezzare  i  doni  della 
natura,  altra  cosa  è  abusarne... 

—  Ma  come  fate  voi,  dottore  mio  bello,  a 
stabilire  quando  uno  abusa  e  non  abusa?  A 
voi  vi  può  far  male  un  boccale'  mentre  a 
me  ce  ne  vogliono  due  fiaschi.  Voi  ci  avete 
l'ansimo  e  io  me  la  fumo  in  questa  pipa  roc- 
ciosa; voi  siete  sempre  arrabbiato  e  io  mi  sento 
sempre  in  grazia  del  cielo  e,  signor  dottore  mio 
bello,  tengo  vent'anni  quasi  più  di  voi!  he!  he...! 

Il  medico  s'alzava  sbuffante  e  il  parroco 
interveniva  stropicciandosi  le  mani: 

—  Come  va,  dottore?  la  scienza  battuta 
dalla  natura?  la  filosofia  sconfitta  dal  Vangelo? 
Com'è?  Com'è? 

—  Mi  lasci  stare  anche  lei  e  non  be- 
stemmi a  cacciare  il  Vangelo  tra  il  vino  e  i 
rutti  di  questi  briachi... 

—  Sor  dottore  non  si  arrabbi  cosi  !  Nostro 
Signore  lasciò  anche  il  vino  per  suo  rappre- 
sentante... 

—  Ma  se  trovava  tutti  Cristiani  come  voi- 
altri, benché  incommensurabile,  a  quest'ora 
l'avreste  finito  ! 

—  Su,   Tappo!  Andiamo  a  far  pace! 

—  Io,  reverendo,  non  bevo  !  —  urlò  il  me- 
dico inorridito. 


—  79  ~ 

—  Un  goccetto,  uno  solo... 

—  Tantino,  cosi... 

—  Te,  Tappo,  non  tentarmi! 

—  E  rosso  scelto  della  vigna  di  Placido! 

—  Di  quello  che,  con  rispetto  vostro... 

—  Eppoi,  semel  in  anno... 

—  Su  !  prima  di  rimontare  in  legno,  che  s'è 
messo  maretta... 

—  E  andiamo,  e  che  Bacco  vi  subissi  tutt'e 
due! 

—  Anita!  Giuseppina!  Pigliate  una  bottiglia 
di  quelle  che  perdono  il...  (come  avrà  detto 
Tappo  ve  lo  immaginate)  da  se! 

—  E  scacciate  i  polli  di  sul  sacrato  che 
vanno  a  scaconzarmi  anche  in  chiesa! 

Ed  entrarono  in  canonica  tutti  e  tre. 

Tappo  mesceva.  Nella  stanzuccia  bassa 
entrava  dalla  finestra  il  soffio  fresco  del  mare. 
Non  si  sentiva  che  il  gran  respiro  affannoso, 
non  si  vedevano  che  le  antenne  dei  grossi  bat- 
telli da  pesca  cullati  dalla  risacca  nel  porto. 

Il  prete  aveva  detto: 

—  Bisogna  beverie  con  raccoglimento. 
Tappo  aveva  schioccato  la  lingua  alzando 

gli  occhi  al  soffitto.   Poi  aveva   cominciato   a 
versare  in  mezzo  a  quel  silenzio  religioso. 

n  medico  guardò,  come  una  medicina,  il 
gran  bicchiere  pieno  di  vino  rosso,  senza  de- 
cidersi a  toccarlo. 


—  80  — 

Ma  Tappo  alzò  il  suo,  lo  mise  contro  alla 
fiiiestra,  si  deliziò,  prima  d'assaporarlo,  a  go- 
derne i  riflessi  traverso  il  nitore  del  cristallo 
e  dell'aria. 

Il  parroco  lo  bevve  con  la  mano  destra  sul 
cuore,  interrompendosi  a  mezzo  per  dire  co- 
sternato : 

—  Domine  non  sum  dignus... 

Poi  vuotò  il  calice  d'un  colpo  e  lo  al- 
lungò a  Tappo  implorando  umilmente: 

—  Nobis  quoque  peccaiotHbus... 
E  Tappo  mesceva. 

Il  medico  assaggiò,  centellinò,  approvò.  Non 
potè  ristarsi  dal  lodare  la  squisitezza  e  l'aroma, 
poi  concluse  vuotando  il  bicchiere  e  posan- 
dolo sul  tavolino,  quasi  con  rabbia: 

—  Dio  mi  danni!  ma  questa  gente  è  fe- 
lice! 

—  Signor  dottore  mio  bello  —  disse  Tappo, 
parlando  senza  complimenti  anche  a  nome  del 
prete,  —  noi  non  abbiamo  mai  fatto  male  a 
persona.  La  domenica  mi  metto  sul  porto  e 
comincio  a  far  visita  ai  miei  compari.  Un  bic- 
chieretto  bianco  di  quello,  un  bicchieretto  rosso 
dell'altro,  un  bicchieretto  rosa  del  terzo,  e  poi 
si  ricomincia  per  non  cascare  nel  numero  pari 
perchè  porta  disgrazia,  che  se  Dio  liberi  vi 
succede  di  contare  lino  a  tredici,  arriverete  a 
venticinque  almeno,   se  no,  a   passarla   liscia, 


Tav.  vi. 


La  Zanzara  -  Pag.  97. 

Un'ombra  umana ...  schizzò  di  sotto  il  letto....  scomparve.... 


-Bi- 
ci rimetteresti  la  barca.  Quando  si  leva  la  luna, 
ci  s'alza  per  provare  un  po'  come  va.  La  strada 
è  buia,  ci  sono  i  pioli  dei  canapi,  gli  arnesi 
del  calafato  sparpagliati  qua  e  là,  qualcun 
altro  che  senta  un  po'  di  mareggiata,  c'è  il  caso 
di  perder  la  rotta...  e  allora  comincio  a  bor- 
deggiare. Con  la  mia  mezza  veletta,  comincio  a 
bordeggiare.  Prima  ti  metto  la  prua  dalla  Po- 
lita, fincbè  trovo  l'angolo  della  strada  che  mena 
alla  chiesa  nova.  Allora  mi  raccolgo,  gli  dò  una 
mano  di  terzaruoli,  piglio  un  po'  di  vento  e  taf- 
fete !  ti  vo  a  sbattere  nel  muro  di  faccia.  Di  li, 
con  un  altra  bordata,  ammainando  piano  piano, 
mi  conduco  fino  alla  scala  della  Giovannina,  e 
qui,  siccome  son  vicino  al  porto,  butto  giù  tutte 
le  vele  e  ti  principio  a  lavorar  di  remo.  Ada- 
gino adagino,  tastando  col  braccio  sinistro, 
giro  la  scala,  faccio  due  passi,  sento  la  porta, 
alzo  il  piede,  salgo  il  gradino,  entro  in  casa, 
agguanto  la  madia,  mi  strùcino  col  groppone 
muro  muro  fino  in  tinello,  trovo  l'uscio  di  ca- 
mera, butto  giù  l'ancora  e  mi  fermo  sul  letto. 

u  Ma  che  sonno,  signor  dottore  mio  bello, 
tutto  filato,  a  pugni  chiusi  che  nemmeno  una 
creatura  ! 

—  Vuumm....  vuumm....  vou...  uh!  uh! 

La  sirena  del  vecchio  piroscafo  in  lotta  con  la 
boa  che  lo  tratteneva,  piccola,  a  sballottarsi  sui 
flutti,  aveva  chiamati  i  passeggeri  alle  barche. 


—  82  — 

TI  dottore  s'alzava,  puntellandosi  al  ta- 
volo, cacciando  un  urlo. 

—  Cos'ha? 

—  Vecchiaia  che  avanza....  uricemia....  reu- 
matismi... 

—  Zi  prò  che  brutte  parole  !  con  tutta  l'ac- 
qua che  m'ha  ammollato,  col  sudore  che  mi 
s'è  tante  volte  diacciato  in  dosso,  con  tanti 
tuffi  improvvisi,   io  nemmeno  un  dolore!  mai! 

—  Si  capisce...  è  il  vino  che  li  scioglie... 

—  E  accidenti  a  chi  ve  lo  mesce  —  urlava 
il  medico  arrancando  verso  la  banchina. 

—  Ve',  come  cammina  più  svelto,  oggi,  con 
quel  bicchieretto  in  corpo  zi  prè  ! 

—  Si?  ma  anche  l'acqua  —  si  rivoltò  in- 
viperito il  medico  al  prete,  tanto  per  ricacciar- 
gliene una  —  non  è  un  dono  del  vostro  Dio? 

—  E  chi  lo  nega?  non  mi  ci  lavo  forse  il 
viso  e  le  mani  ? 

Tappo  si  crogiolava  sopra  un  rotolo  di  ca- 
napi con  la  pipa  di  traverso,  sbattendosi  il 
berretto  sulla  pancia,  mentre  il  dottore  imbar- 
cava, filando  via  tutto  ingrugnato  a  poppa 
senza  neanche  rivolgersi  indietro. 

Ma  venne  un  giorno  ia  cui  il  medico  potè 
credere  alla  rivincita.  Il  giorno  in  cui  Tappo, 
cascato  in  mare  un'ora  dopo  cena  con  una  sbor- 
nia a  campana,  si  prese  un  mal  di  petto. 

—  Questa  volta  ci  siamo  —  disse  il  dottore 


—  83  — 

al  parroco  —  se  non  si  trattava  d' un  bevitore 
avrei  garantito,  ma  un  cuore  sfiancato  dall'al- 
cool come  questo  non  può  resistere.  Tappo  è 
condannato. 

—  Eppure,  scusi  veh!  ancora  non  mi  par 
tanto  grave  ! 

—  Ma  lo  guardi,  Don  E-occhino!  e  poi 
senta  me:  prima  di  tutto,  innanzi  che  lo  sa- 
pessi, potessi  pigliare  il  piroscafo  e  arrivassi 
qui  sono  passati  tre  giorni...  È  una  gran  brutta 
faccenda,  questa  di  non  averci  il  medico  sul 
posto  !  Vergogna  !  un  Comune  italiano,  a  poche 
ore  da  Roma,  senza  medico,  senza  farmacia! 
E  sa  di  chi  è  la  colpa?  del  Governo! 

—  Badi  però  che  qui  muore  tre  persone 
l'anno  e,  per  lo  più,  di  vecchiaia... 

—  Allora  si  diceva  che  son  passati  tre 
giorni  e  la  malattia  ha  fatto  strada.  Poi  non 
gli  posso  levar  sangue  perchè  è  troppo  vecchio  ; 
bisogna  fargli  la  cura  tonica,  ma  qui  cognac 
non  se  ne  trova  e  se  gli  lascio  bere  il  vino 
commetto  un  omicidio... 

—  Non  si  confonda,  dottore  ;  allora  Tappo 
ha  passato  la  vita  a  suicidarsi...  ma,  come  vede, 
è  sempre  vivo  ! 

Per  farla  breve  Tappo  non  mori.  Lo  tro- 
varono sul  letto  addormentato,  sudando  copio- 
samente, per  aver  vuotato  mezzo  fiasco  d'anso- 


—  84  ~ 

nico  che  teneva  nel  canterano.  La  polmonite 
gli  si  sciolse  in  quel  modo. 

Quando  mori  davvero  fece  la  confessione 
pubblica.  Aveva  rubato.  Vino  s' intende  !  A' 
tempi  ne'  quali  trasportava  le  botti  con  la 
barca.  Ma  è  una  cosa,  diceva,  che,  scometto, 
anche  nostro  Signore  s'è  messo  a  ridere  quando 
l'ha  saputo  (dei  contrabbandi  non  se  ne  con- 
fessò; quelli,  per  lui,  erano  affari)  e  non  ci 
ha  dato  peso  ! 

Per  consumare  il  furto  del  vino,  usava  cosi. 
In  alto  mare  apriva  il  cocchiume  di  un  vaso, 
pigliava  un  fiasco  d'acqua  dolce  e  lo  rovesciava 
a  perpendicolo,  rapidamente,  nel  foro,  finché 
la  bocca  del  collo  toccasse  il  vino.  Per  la 
legge  dei  liquidi  l'acqua,  più  pesante,  usciva 
tutta  e  nel  suo  posto,  dalla  pressione,  veniva 
respinto  il  vino.  Faceva  buon  tempo;  Tappo 
dava  il  timone  e  un  bicchier  di  vino  al  ra- 
gazzo, pigliava  una  sbornia  e  s'addormentava 
in  coperta. 

Molti  credettero  che  al  prete,  in  un  orec- 
chio, avesse  confidato  le  sue  ultime  volontà. 
Nemmen  per  idea!  se  ne  avvidero  la  sera  del 
trasporto  funebre,  quando,  prima  di  sotterrarlo 
i  quattro  portatori  e  il  becchino  succhiarono 
due  fiaschi  di  quello  vecchio  sulla  fossa  del 
marinaro  contrabbandiere,  gran  bevitore  e  per- 
sona felice. 


-  85  — 

—  Dalla  fossa  (aveva  sussurato  prima  di 
spirare  a  Don  E-occhino)  risponderò  al  brindisi 
con  una  bottiglia  di  quello  speciale  che  lei 
farà  seppellire  con  me  ;  ma  non  lo  dica  a  nes- 
suno, perchè,  nell'  incertezza  eh'  io  possa  beverlo 
sarebbero  capaci  di  venirmi  anche  a  rompere 
il  sonno  etemo  per  portarmelo  via;  e  ci  man- 
cherebbe altro,  io  che  ho  dormito  sempre  tutto 
d'un  fiato,  da  vivo,  dovessi  essere  svegliato 
da  morto!  n. 


La  zanzaKa 


Lo  cercava,  lo  voleva  trovare,  a  tutti  i  costi. 

Passò  fra  mezzo  ai  banchi  dei  venditori, 
urtandoli  e  facendosi  urlar  dietro  un  sacco  di 
vituperi,  cozzò  ne'  gruppi  de'  sensali  e  de' 
contadini  che  si  troncavano  le  mani  per  con- 
cludere i  pateracchi  e  i  negozii,  rovistò  il  mer- 
cato delle  bestie  e  quello  delle  pannine,  ruppe 
a  gomitate  la  folla  che  faceva  cerchio  intorno 
a  una  sonnambula  bendata,  fece  ai  pugni  e 
buscò  una  legnata  in  un  braccio;  ma  non  gli 
riesci  di  scoprire  il  su'  omo 

Finalmente  dopo  le  due,  stracco,  sudato, 
inferocito,  lo  scovò  in  fondo  a  un'osteria  dove 
digeriva  un  fiasco  di  vino  fumando  a  pipa  e 
giocando  a  scopone. 

Vederlo  e  saltargli  addosso  fu  un  punto 
solo. 

—  Esci  fuori,  che  ti  voglio  ammazzare! 

—  Adagio!  o  cosa  vi  piglia? 

—  M'hai  abbindolato  come  un  citrullo! 

—  Io? 


—  90  -^ 

—  1?e! 

—  Prima  avrò  diritto  di  discorrere... 

E  si  ritirarono  in  disparte  e  quando  Gu- 
glielmo gliene  ebbe  dette  di  cotte  e  di  crude, 
Faina  spiegò  tranquillamente  la  cosa. 

—  Vediamo...  a  che  ora  siete  ritornato  a 
casa? 

—  A  mezzanotte. 

—  Avete  fatto  rumore? 

—  Un  poco...  ma  poco. 

—  E  lei? 

—  Dormiva  della  più  grossa. 

—  E  la  finestra? 

—  Come,  la  finestra? 

—  Si,  la  finestra,  com'era? 

—  Oh!  bella!  aperta...  siamo  d'agosto. 

—  Voi  siete  un  imbecille. 

Il  mugnaio  a  sentirsi  dare  dell' iaibecille 
sul  muso,  con  quella  sicura  tranquillità,  perse 
le  staffe  ;  tutta  l' ira  gli  sbolli,  non  fu  più  lui 
e  il  dubbio  atroce  lo  riattenagliò,  da  capo  : 
che  avesse  avuto  ragione  Faina? 

—  Voi  siete  un  imbecille,  perchè  non  avete 
calcolato  uaa  cosa,  questa:  dalla  finestra  a 
terra  è  un  salto.  Se  corre  lungo  il  muro  della 
gora,  un  uomo  non  si  vede,  nascosto  com'è 
dall'ombra  degli  ontani...  poi  trova  il  canale 
che  sbocca  nel  fiume,  in  fondo  al  canale  fa 
una  tura  di  sassi,  ci  mette  due  bertuelli,  av- 


-  91  - 

veiena  l'acqua  col  cloruro   e   vi   piglia   tre   o 
quattro  chili  di  pesci! 

—  Anche  i  pesci  ?  ! 

—  Si.  Come  nel  vostro  canale,  non  ci  fanno 
neppure  nel  fiume,  eppoi  il  fiume  è  asciutto, 
dove  sou  pesci  invece  è  tutto  buche  profondis- 
sime e  lui  non  sa  nuotare.  Capite,  ora? 

—  Se  ho  capito?  —  L'ammazzo! 

—  Adagio  !  —  Io  non  ci  voglio  essere  a 
niente  ;  io  ve  l'ho  detto  perchè  vi  voglio  bene  e 
siamo  amici  ;  ma  non  mi  avete  a  compromettere.., 

Guglielmo  non  lo  sentiva  più. 

Di  li  a  poco,  ritto  sul  barroccio  vuoto,  a 
gambe  larghe  per  via  delle  scosse,  picchiava 
col  bacchetto  della  frusta  sulle  groppe  del 
mulo  che  galoppava  furiosamente  sofi'erman- 
dosi  un  istante  a  sparare  una  coppia  di  calci 
e  poi  si  ributtava  a  quella  carriera  pazzesca. 

Sulla  piazza  dove  il  mercato  sfollava  fu 
un  fuggi  fuggi  generale;  ciascuno  faceva  a 
gara  a  mettere  in  salvo  le  proprie  merci  e 
se  stesso  riparandosi  sotto  i  loggiati,  e  il  fan- 
tastico barroccio  col  mulo  che  pareva  impaz- 
zito traversò  il  paese  come  una  versiera  e  si 
perse  in  una  nube  di  polvere  lungo  la  via  pro- 
vinciale. 

La  strada  era  lunga,  la  canicola  atroce  e 
quando  Guglielmo  consumato  dalla  rabbia  e 
il  mulo  esausto  dalla  fatica  arrivarono  in  cima 


-  92  - 

al  monte  di  dove  si  vedeva  il  molino  accanto 
alla  striscia  argenta  del  fiume  fra  le  due  pa- 
reti a  picco  tutte  verdi  e  tutte  frescura,  la 
notte  era  calata  da  varie  ore. 

Allora  Guglielmo,  mentre  la  bestia  ripi- 
gliava fiato,  si  cavò  le  scarpe  e  le  buttò  nella 
cesta  sotto  il  veicolo;  poi  levò  la  martinicca 
a  risico  che  ogni  cosa  capitombolasse  di  sotto, 
barroccio  e  mulo,  tolse  a  questo  le  sonagliere, 
strappò  il  bubbolo  dall'  uncino  della  sella  tutta 
brillante  di  chiodi  di  ottone,  spense  la  pipa, 
e,  preso  a  mano  l'animale,  cominciò  a  calare 
adagino,  come  camminasse  suU'ova 

Ma  ogni  tanto  le  ruote  incespicavano  in 
un  sasso  e  il  barroccio  ricascava  con  un  rim- 
balzo tremendo,  o  i  ferri  del  mulo  sgriglio- 
lavano  sopra  una  pietra  liscia  e,  sdrucciolando 
sprizzavan  faville  ;  insomma  era  una  pena  che 
il  mugnaio  cercava  d'alleggerire  giurando  e 
spergiurando  a  fior  di  labbra  per  tutti  i 
santi  del  calendario. 

Per  fortuna  si  levò  un  vento  leggero  e 
gli  ontani  cominciarono  a  commuoversi  a  mor- 
morare e  a  sfrusciare  con  un  crollar  di  foglie 
lungo  e  continuo  che  attutiva  tutti  i  romori. 

E  come  Dio  volle,  Guglielmo  arrivò  in 
fondo,  lungo  il  fiume  grigio  che  d'estate  non 
aveva  parole;  era  quasi  asciutto,  salvo  le  so- 
lite buche  profonde. 


—  93  — 

Il  mugnaio  buttò  una  coperta  addosso  al 
mulo,  senza  staccarlo,  poi  sali  la  scaletta  di 
casa,  come  uno  scoiattolo  salirebbe  lungo  una 
quercia;  apri  colla  ckiave  e  d'un  balzo  fu 
alla  porta  di  camera...  maledizione!  era  chiusa 
di  dentro! 

Dette  una  spallata  all'  uscio  e  lo  sghangherò. 

La  luna  non  c'era,  il  lume  era  spento,  ma 
allo  spolverio  fioco  delle  stelle  Guglielmo 
discerneva  il  biancicore  delle  coperte,  il  lucci- 
chio velato  dei  vetri  de'  santi  lungo  le  pareti 
e  il  profilo  della  moglie  che,  seduta  sul  letto, 
urlava  disperatamente:  chi  è!'?. 

—  Margherita! 

Il  respiro  affannoso  della  donna  si  spandeva 
ora  per  tutta  la  stanza  e  di  fuori  pareva  che  il 
vento  rispondesse  colla  ritmica  armonia  degli 
ontani  che  si  crollavano,  si  crollavano,  si  crol- 
lavano, quasi  chiacchierassero,  basso  basso,  di 
tante  cose  fra  loro. 

—  Margherita  ! 

—  Cos'è  successo? 

—  Lo  domanderò  a  te  ! 

—  A  me?  sei  ubriaco  ?  e  perchè  sei  tornato? 

—  Cosa  ci  dovevo  fare,  a  dormire  sull'o- 
steria? 

—  Finirai  per  isfiancare  il  mulo... 

—  Ti  preme  più  il  mulo  di  me,  da  un  pez- 
zo a  questa  parte! 


—  94  — 

—  Faresti   meglio    a    lasciarmi    dormire... 
annacg;ualo  ! 

—  Falla  finita  !  se  non  ho  mangiato  ! 

—  In  dispensa  ce  n'è  fin  che  ne  voi! 

—  Perchè  hai  chiusa  la  porta? 

—  Perchè  quando  son  sola  ho  pensato  ohe 
è  meglio... 

—  E  perchè  hai  aperto  la  finestra? 

—  Si  schianta,  stanotte!  Ma  cosa  ti  piglia 
ora  ? 

—  E  io  ti  dico  che  quando  non  ci  sono  la 
finestra  deve  star  chiusa...  chiusa  capisci? 

—  Si  !  che  non  entri  qualcuno    a  portarmi 


via! 


—  Rispondi  a  tòno  !....  eppure,  te  lo  avevo 
detto... 

—  E  se  mi  fossi  sentita  soffocare? 

—  Ma  se,  prima,  avevi  paura  delle  zanzare  ! 

—  Le  zanzare? 

—  Le  zanzare,  si! 

—  Io  non  l'ho  sentite. 

—  Ah  !  non  l'hai  sentite  eh  ?  non  l'hai  sen- 
tite? 

—  No. 

—  Sta'  zitta  ! 

—  Ma  io  dico... 

—  Sta  zitta  sai?  o  ti  rompo  la  faccia! 
La  donna  si  tacque  borbottando,  sbollendo 

pian  piano,  come  fa  l'acqua  nella  pentola,  ti- 


—  95  — 

rata  via  dal  fuoco;  poi,  nella  stanza  non  si 
udì  più  che  il  monotono,  ritmico  sfrusciare 
degli  alberi  che  crollavano,  si  .  crollavano,  si 
crollavano,  al  venticello  leggero  quasi  chiac- 
chierassero basso  basso  di  tante  cose  fra  loro, 
e,  acuto,  e  distinto  arrabbiato  entrò  dalla  fi- 
nestra e  si  sparse  per  tutta  la  camera  il  sibilo 
molesto  d'una  zanzara. 

—  La  senti? 

—  Bada  li,  per  una  zanzara! 

—  E  come  entra  quella,  cosi  n'entrano 
cento.  —  La  senti? 

—  La  sento?  Embè?  che  vuol   dire? 

—  Vuol  dire  (e  Gruglielmo  arrotava  i  denti) 
vuol  dire  che  la  gora  è  piena  ed  è  lei  che  ce 
le  manda,  le  zanzare;  vuol  dire  che  se  tu 
vuoi  tenore  la  finestra  aperta  io  non  vo- 
glio le  zanzare.... 

—  Cosa  vuoi  fare,  cosa  vuoi  fare? 

E  la  donna  si  alzò  a  sedere  sul  letto  coi 
capelli  sciolti  sulle  spalle  e  il  seno  che  le  sob- 
balzava sotto  la  camicia  bianca. 

—  Cosa  vuoi  fare? 

—  Nulla...  (e  il  marito  sghignazzava)  nulla! 
Riempio  la  gora... 

—  Sta  fermo  sai! 

—  Perchè? 

—  Tu  non  facessi  una  cosa  simile!  —  E 
scese  dal  letto. 


—  96  — 

—  Ma  di  cosa  hai  paura? 
--  Come  farò  a  lavare? 

—  Con  quell'acqua  sudicia? 

—  E  l'anatre?  e  l'oche? 

—  Anderanno  al  fiume... 

La  donna  accumulava  ragioni  su  ragioni, 
discorrendo  a  precipizio,  imbrogliandosi,  bal- 
bettando, e  l'uomo  s'avviava  all'uscio,  ma 
quella  si  accostava  al  marito,  gli  cingeva  il 
collo  colle  braccia  grasse  e  nude... 

—  Sta'  bono,  sta'  bono... 

—  Lasciami  fare  o  ti  strozzo! 

—  bo  Sta'no...  vien  via...  o  cosa  ti  salta,  a 
quest'ora  ? 

—  Lasciami  andare... 

—  Non  voglio...  non  voglio... 

—  Lasciami  per  Cristo  Dio  ! 

L'uomo  si  era  strascicato  fino  alla  soglia 
della  camera  con  la  moglie  sempre  aggavi- 
gnata  addosso  ;  la  percoteva  de'  pugni  ne'  fian- 
chi senza  riuscire  a  staccarsela  ;  pervenne  a 
spalancare  l' uscio  ;  cercava  ora  con  un  braccio 
la  maniglia  della  cateratta  sul  pianerottolo  e 
l'altra  sempre  ostinata,  a  raccomandarsi  :  no  ! 
no  !  no  ! 

Ma  finalmente  Guglielmo  con  una  mossa 
violenta  riusci  ad  agguantare  la  campanella  e 
a  tirarla  a  se,  con  uno  sforzo  supremo. 

La  Margherita  s'attaccò  al  marito  con  tutto 


Tav.  vii. 


Un'  avventura  di  venti  anni  fa  -  Pag.  106. 
E  il  pranzo  fu  coi  fiocchi  ! 


—  97  — 

il  peso  del  corpo,  cercò  di  strappargli  la  mano 
dalla  presa,  gliela  morse,  si  rotolarono  tutti 
e  due  sui  mattoni  come  bestie  selvatiche  an- 
sando, bestemmiando,  urlando. 

Ma  il  rombo  dell'acqua  che  dalla  cateratta 
sollevata  si  precipitava  nel  canale  fra  scrosci 
e  gorgoglii  furibondi  attutì  ogni  romore,  co- 
pri ogni  voce... 

Allora  il  mugnaio  potè  districarsi,  levarsi 
in  piedi  e  lanciando  ferma  e  piangente  la  Mar- 
gherita che  singhiozzava  in  camicia  sul  pavi- 
mento, si  precipitò  per  la  scala,  fuor  della 
casa,  a  salti  di  lupo. 

E  quasi  subito  un'ombra  umana  con  un 
fardello  in  braccio  schizzò  di  sotto  al  letto, 
traversò  d'un  balzo  la  camera,  disse  qualcosa 
alla  donna  che  s'alzava  da  terra  un  po'  rinton- 
tita, e  scomparve  di  dove  era  uscito  il  mu- 
gnaio. 

Quando  questi  ritornò,  fradicio  intmto,  la 
Margherita  si  era  ricacciata  nel  letto  e  figu- 
rava di  dormire  voltata   dalla  parte  del  muro. 

Guglielmo  la  chiamò,  con  voce  dolce. 
Margherita?...  Margherita?... 

—  Insomma?  cosa  c'è?  non  t'è  passata  an- 
cora ? 

—  Questa  volta  l'ammazzo  ! 

—  Chi? 


—  98  ~ 

—  Faina,  quel  mascalzone!  mi  ha  fatto 
tornare  apposta,  capisci?  apposta! 

—  Per  via  di  che? 

—  Perchè  (dice  lui)  la  notte  mi  pescavano 
i  pesci  nel  canale  della  gora  mettendo  i  ber- 
tuelli all'imbocco  del  fiume. 

—  E...  invece? 

—  Nulla  di   nulla  ! 

—  Ammazzalo  ;  ma  lasciami  dormire.  Sei 
contento,  ora,  d'aver  buttato  via  l'acqua  della 
gora  e  di  avermi  sciupato  il  bucato,  di  farmi 
sbandar  l'anatre  e  d'avermi   macolata   mezza? 

—  Ma  perchè  non  m'hai  lasciato  far  subito  ? 

—  Oh!  bella!  dovevo  esser  contenta  ohe  tu 
vuotassi  la  gora?  Se  tu  me  l'avevi  detto,  ap- 
pena entrato,  ti  lasciavo  fare  e  peggio  per 
chi  affogava. 

E  dir  questo  e  rivoltarsi,  tutta  imbronciata, 
dalla  parte  del  muro  fu  un  punto  solo. 

Nella  camera  si  rifece  un  gran  silenzio. 

Soltanto  la  zanzara  ronzava  sempre  con  un 
sibilo  cosi  acuto  che  pareva  una  vaporiera 
lontana. 

Guglielmo  si  accostò  al  letto,  si  grattò  la 
testa,  indeciso,  poi  provò  a  chiamare  ancora  : 

—  Margherita? 

—  Ma,  insomma?!. 

—  Margherita,  facciamo  la  pace? 

La  donna  non  rispose.  Dall'aperta  finestra 


—  99  — 

si  vedevano  scintillare  le  stelle  come  occhi 
curiosi  nel  cielo  che  battesser  le  ciglia,  gli 
alberi  lungo  la  gora,  ormai  asciutta,  si  crolla- 
vano, si  crollavano,  si  crollavano  al  venticello 
leggero  quasi  chiacchierassero  basso  di  tante 
cose  fra  loro,  allegramente,  ridicchiando  in 
sordina,  e  la  zanzara  fischiava  sempre. 


UN'A^^EMfURA  DI  20  ANMl  FA 


UM'/^VVCMTUR?S  DI  20  ^NNI  ra, 

Un  caae  scagnava  la  lepre,  nel  borro,  io  ero 
alla  pòsta,  sul  poggio. 

Avrei  dunque  secondo  le  regole  imprescin- 
dibili della  caccia,  ammazzato  l'animale  per 
conto  d'un  altro? 

Vinsi  subito  l'incertezza,  perchè  a  questi 
lumi  di  luna  un  tiro  sicuro  non  è  mai  da  di- 
sprezzarsi, e  la  lepre  arrivò  adagio  adagio  sof- 
fermandosi ad  ascoltar  la  canizza  ad  ogni  pic- 
colo salto.  Abbacinata,  com'è  sua  abitudine, 
aveva  orecchi  per  udire,  non  occhi  per  vedere, 
e  camminò  dritta  sulle  bocche  del  mio  fucile. 

Sparai,  l'uccisi,  poi  mentre  le  spremevo  la 
pancia,  alzai  la  testa  e  vidi  il  cane  che  arri- 
vava come  una  saetta,  un  cane  rossiccio  grigio, 
col  pelo  irto  e  un  gran  filo  di  bava  d'argento 
che  gli  circondava  due  volte  il  muso  affilato 
da  cui  penzolava  la  lingua  rossa  fino  all'in- 
verosimile. 

Naturalmente  dopo  il  cane  doveva  arrivare 
il  cacciatore,  e  questi  era  un  magnifico  prete, 


—  104  — 

molto  anziano,  molto  rubicondo,  molto  ridicolo 
colla  cacciatora  di  frustagno  sui  calzoni  corti 
e  le  c§lze  nere  profanate  da  un  alto  par  di 
scarpe  da  caccia,  gli  occhiali  sul  naso  color 
peperone  e  una  paglietta  di  traverso  col  nastro 
nero  che  gli  dava  l'aspetto  d'una  caricatura 
da  operetta... 

Arrivò  ansando,  e  non  poteva  spiccicar  pa- 
rola col  fucile  nella  sinistra  e  il  fazzoletto  nella 
destra,  annaspando  per  aria  come  se  si  sen- 
tisse affogare....  Ma  lo  tirai  subito  a  galla. 

—  A  lei,  reverendo.  Questa  lepre  è  sua, 
conosco  le  regole  della  caccia,  so  qual'è  il  mio 
dovere. 

E  gli  porgevo  la  bestia  calda  e  sangui- 
nante verso  la  quale  il  cane  si  lanciava  con 
salti  fantastici  ricascando  a  terra  sulle  quattro 
zampe  colla  bocca  ripiena  di  pelo. 

—  Ah!...  Ah!...  Ahi...  gemeva  il  prete  di- 
vincolandosi tutto  senza  riuscire  ancora  a  spie- 
garsi per  bene,  e  buttato  via  il  fazzoletto  si 
tolse  il  cappello  e  rimase  con  la  testa  pelata 
e  lo  zuccotto  nero  sulla  chierica  in  attitudine 
di  straordinario  rispetto. 

—  Ah!  Ah!  Si....  signore,  quanta  bontà! 
Scusi,  sa,  abbia  pazienza,  mi  perdoni....  questa 
è  la  cartuccia....  ci  avrebbe  un  coltello? 

—  Ma  per  che  farne  ?  Si  tenga  la  cartuccia, 
si  tenga  la  lepre,  ma  non  la  sbuzzi  sa?  Che  le 


-    106  - 

pare  ch'io  la  voglia  rimandare  alla  pievania 
colla  lepre  sbuzzata  e  steccata  col  ramerino? 
Nemmeno  per  idea! 

Quel  che  successe  allora  è  più  facile  a  im- 
maginarsi che  trascriversi. 

—  Lei  è  un  gentiluomo!  esclama  il  prete 
buttandosi  via  a  furia  di  gesti,  lei  è  un  gran 
galantuomo  !  Si  vede  subito  !  l'avevo  capito  da 
lontano!  E  quest'onore  è  toccato  a  me!  Ma 
ora  mi  deve  fare  un  altro  piacere!  Deve  cac- 
ciare con  me,  e  con  Lampino,  finche  non  se 
ne  è  ammazzata  un'altra,  e  poi  deve  venire  a 
gradire  un  boccone.... 

—  Ma  che  le  pare! 

—  E  non  mi  dica  di  no,  o  lei  mi  da  il  più 
gran  dispiacere  della  mia  vita!  Un  boccone  con 
me!  la  coratella  insieme  s'ha  da  mangiare!  Ma 
che  le  gira?  lo  sa  che  chi  non  mangia  la  co- 
ratella non  ammazza  più  una  lepre  perfin  che 
campa? 

—  Non  ci  mancherebb'altro  ! 

—  Allora,  accettato? 

—  Accettato! 

_  Lei  è  un  gran  gentiluomo!  Lampino! 
Lampino!  Uh!  dai!  Uh!  dai!  giù  lesto!...  Uh; 
dai  !  Lampino  !  bisogna  farsene  onore  ! 

Ma  se  ne  fecero  pochissimo,  cane  e  pa- 
drone, tanto  che  dopo  un'oretta  il  pievano  che 
intanto  mi   aveva   raccontato   metà  della   sua 


—  106  — 

vita,  mi  accennò  di  guardare  una  chiesina 
bianca  accanto  a  un  olmo  gigantesco  in  cima 
al  poggio  che  si  stava  salendo  e  mi  fece  ca- 
pire che  si  era  arrivati, 

E  il  pranzo  fu  coi  fiocchi. 

Si  bevve  un  vino  che  pareva  lacrimato  dagli 
angioli  (il  prete  veramente  adoprava  un'espres- 
sione più  energica)  e  si  arrivò  a  quel  punto 
culminante  di  certi  desinari  in  cui  il  padrone 
e  il  commensale  sentono  inumidirsi  le  ciglia, 
e  si  versano  vicendevolmente  nel  seno  tutte 
le  confidenze  più  intime. 

Fu  proprio  in  questo  istante  patologico  che 
il  prete  mi  disse  con'  voce  sospirosa,  ma  che 
tradiva  la  volontà  di  ciarlare  :  Se  lei,  che  scrive, 
sapesse  la  storia  di  questo  cane  !... 

—  Ci  farei  sopra  un  romanzo  ! 

—  Eh  no  !  perchè  questa  storia....  è  un  se- 
greto ! 

—  Scusi....  permette?  (e  mescevo  due  calici 
colmi  di  vino)  scusi....  e  le  pare  ch'io  non  sia 
uomo  da  serbare  un  segreto? 

—  Non  dico  questo  ! 

—  Non  lo  dice,  ma  lo  pensa  !  Dal  momento 
che  non  mi  racconta  nulla.... 

Il  prete  taceva  facendo  oscillare  il  bicchiere, 
poi  ingoiò  il  vino  in  un  sorso  e  battendo  il 
pugno  sopra  la  tavola  :  Lei,  esclamò,  è  un  gen- 
tiluomo! o  stia  attento. 


—  107  — 

u  io  son  sempre  stato  appassionato  per  la 
caccia,  ma  disgraziatamente,  in  ispecial  modo 
per  la  caccia  alia  lepre  col  cane  da  seguito; 
sa,  è  una  caccia  più  comoda,  più  sicura,  più.... 

—  Tiri  avanti!  ho  capito. 

—  Ma  i  cani  da  lepre  corrono....  entrano 
di  qua....  entrano  di  là...,  breve;  me  ne  avve- 
lenarono due,  e  io  mi  rassegnai  a  non  com- 
prarmene un  terzo.  Quando  eccoti  che  una 
bella  sera  mi  capita  alla  pievania  un  bracco- 
niere di  fuori.  Era  stato  sorpreso  dalla  pioggia  : 
il  paese  è  lontano,  non  conosceva  la  strada; 
non  ebbi  difficoltà  a  farlo  passare,  qui  in  casa. 
Gli  detti  da  rifocillarsi,  e,  mangiando,  mi  rac- 
contò la  sua  vita.  Era  maremmano,  la  comare 
(sa?  la  febbre,  come  la  chiaman  laggiù)  gli 
aveva  ammazzato  mezza  la  famiglia:  non  gli 
era  rimasto  che  un  figliuolo  che  s'era  buttato 
alla  cattiva,  lui  era  stato  costretto  a  venirsene 
via  per  non  fare  il  viso  rosso....  Aveva  preso 
quei  pochi,  il  fucile,  Lampino,  e,  cacciando 
passo  passo,  s'indirizzava  cosi  in  cerca  d'un 
po'  di  fortuna.... 

u  Pareva  sincero,  la  faccia  l'aveva  leale.... 
la  Bètta,  povera  donna,  è  un  miracolo  se  ri- 
para a  farmi  quel  boccon  di  minestra;  in  una 
parola,  guardo  fisso  il  mi'  omo  e  gli  domando: 
volete  restare  con  me? 

u  —  Ma....  a  far  che  cosa? 


--  108  - 

a  —  Ma,  farete  il  casiere,  mi  poterete  quelle 
due  piante  nell'orto,  e  verrete,  voi  e  il  vostro 
cane,  a  caccia  con  me  !  Accettò  e  non  gli  parve 
il  vero,  ma  la  Bètta  non  lo  voleva  digerire. 
Quello  è  un  mangiapane  a  ufo,  mi  diceva,  signor 
pievano,  lei  s'è  messo  il  diavolo  in  casa,  lei 
se  ne  pente....  quando  glielo  dice  la  Bètta.... 

u  Invece  per  qualche  mese  tutto  andò  bene. 
Lampino  cacciava  divinamente  e  a  battuta 
finita,  tornava  a  casa,  si  metteva  in  un  can- 
tuccio e  non  c'era  pericolo  che  andasse  a  zonzo 
la  notte.  Chi  educa  una  bestia  cosi,  pensavo 
io,  un  può  essere  che  un  gran  galantuomo! 

u  Una  notte,  saranno  state  le  due,  mi  sveglia 
un  colpo  di  fucile. 

u  Non  so  dirle  se  il  cuore  mi  batteva  nel 
petto!  Ci  sono  i  ladri,  pensai.  Grigi,  si  chia- 
mava cosi,  li  ha  sorpresi,  e  loro  l'hanno  am- 
mazzato. Ma  come  mai  Lampino  non  ha  dato 
segni  di  vita?  Ahi  ecco!  prima  hanno  avvele- 
nato il  cane,  e  poi  m'hanno  ammazzato  il  casiere  ! 

"  Mentre  facevo  questi  ragionamenti,  cari- 
cavo lo  schioppo  colle  mani  che  mi  trema- 
vano.... la  Bètta,  nell'andito,  urlava;  signor 
pievano  è  successo  qualcosa  di  grosso  di  certo  ! 
—  Bètta,  rispondevo,  rientrate  in  camera  e  la- 
sciatemi uscire....  Perchè  capirà  che  non  mi  po- 
tevo far  vedere  alla  Bètta,  ne  la  Bètta  a  me, 
cosi  come  s'era,  appena  scesi  dal  letto. 


—  109  — 

u  Signor  Pievano,  mi  rispondeva  la  Bètta, 
non  esca!  ammazzeranno  anche  lei! 

u  —  Ma  io  non  ho  paura,  sono  armato  e 
voglio  uscire!  rientrate  in  camera  vostra! 

u.  —  Signor  pievano,  mi  rispondeva  quella 
donna  eroica,  lei  non  deve  uscire,  io  rimango 
qui,  in  sentinella  e,  ci  pensi  bene,  signor  pie- 
vano, sono  in  camicia! 

u.  Questo  bastò  a  trattenermi. 

—  Glielo  credo! 

ti  Dopo  la  schioppettata  s'era  rifatto  un  si- 
lenzio di  tomba,  un  silenzio  alto,  opprimente, 
nel  quale  sentivo  pulsare  distintamente  le  vene 
delle  mie  tempie.  E  Lampino,  zitto!  Di  certo 
avevano  ucciso  anche  lui!  Questo  silenzio  an- 
goscioso durò  una  diecina  di  minuti.  Io,  col 
fucile  in  una  mano,  la  candela  nell'altra,  in 
mutande,  fremevo  dall'impazienza  di  misurarmi 
cogli  assassini. ,.  E  chiamai  di  nuovo  la  Bètta. 

u  Signor  pievano,  son  sempre  qui! 

u  Nel  tempo  stesso,  sentii  risuonare  su  per 
le  scale  il  passo  pesante  d'un  uomo  e  il  tonfo 
dell'uscio  e  il  crac  del  paletto  della  Bètta  che 
si  serrava  in  camera  sua  urlando  :  Eccoli,  ven- 
gono! Io  posai  la  candela  sul  cassettone,  mi 
feci  il  segno  della  croce  e  imbracciai  il  fucile. 

u  Non  posso  dirle  quanto  durasse  quell'at- 
timo !  mi  parve  un  secolo  addirittura  !  Poi  una 


-  110  — 

mano  si  posò  sulla  gruccia  dell'uscio,  mentre 
io  davo  con  voce  costernata  il  chi  va  là! 

u  Signor  pievano,  son  io! 

u  __  Chi  io? 

u  —  Gigi,  perbacco  !  o  non  mi  riconosce 
alla  voce? 

■u  —  Avanti,  allora  benedett' uomo  !  che  c'è 
bisogno  di  fare  tanti  casimisdei  ?  E  Grigi  entrò  ; 
pallido,  col  fucile  in  pugno  anche  lui  e  Lam- 
pino  a  orecchi  bassi  che  gli  camminava  sui 
tacchi.  Io  non  credevo  ai  miei  occhi.  Ma  che 
cosa  è  successo,  esclamai,  non  mi  tenete  cosi 
sulla  gruccia,  parlate  dunque  in  nome  di  Dio! 

«  Gigi  posò  il  fucile,  fece  una  carezza  ai 
cane,  poi  mi  disse  molto  seriamente  :  Lei  è  un 
prete?  Bene....  se  uno  si  vuol  confessare,  lei 
può  rifiutarsi  di  contentarlo? 

a  _  Io?  no  certamente....  ma  che  discorsi 
mi  fate! 

—  Senta,  io  ho  bisogno  di  confessarmi! 

a  —  Eh?!...  a  quest'ora?  e  quella  fucilata? 
Oh!  Gigi,  ma  voi  siete  impazzito!  Bètta! 

u  —  Stia  zitto,  sa?  Lei  bisogna  che  mi  con- 
fessi e  subito  anche  ;  se  no,  fo  qualche  pazzia.... 
Mi  dica,  lei,  può  rifiutare  in  coscienza  questo 
favore  a  un  cristiano? 

u  —  Ma  che  lavoro  è  questo? 

a  E  intanto  Gigi,  si  inginocchiava,  si  le- 
vava il  cappello,  si  faceva  il  segno  della  croce. 


—  Ili  — 

Io,  come  smemorato,  posavo  il  fucile,  mi  in- 
filavo la  tonaca,  mi  segnavo  anch'io  senza  cre- 
dere a  quel  che  vedevo,  senza  capire  quello 
che  facevo....  e  intanto:  sapete  il  confìteor." 
No....  lo  dirò  io  per  voi....  quant'è  che  non  vi 
siete  confessato  ?...  quant'anni!  ?  o  come  si  fa, 
Gesù  mio!  c'è  da  farci  l'aurora....  va  bene.... 
comandiate....  bestemmie....  legnate....  contrab- 
bando.... caccia  di  frodo....  solite  cose....  e  per 
questo  mi  siete  stato  a  incomodare?  0  forse 
avete  bevuto  un  po'  troppo? 

tt  Ma  Gigi,  tranquillissimo,  mi  rispondeva: 
(Questi  sono  i  miei  peccati,  fino  a  quello  di 
stanotte,  che  non  è  neanche  un  peccato. 

a  -.  Ma  quest-o  è  un  rebtts.' 

u  Dunque  stanotte,  ho  sentito  ruzzolare 
nel  pollaio,  benché  Lampino  non  abbia  fatto 
segno  neppur  di  ronchiare; 

u  Ho  preso  il  fucile  e  ho  trovato  il  cane 
nell'orto  che  faceva  le  viste  di  nulla.  Ho  aspet- 
tato un  pochino,  poi  l'uscio  del  pollaio  s'è 
aperto  e  al  barlume  ho  visto  scivolare  un'ombra 
con  un  sacco  addossso.  Io  ho  sparato  una  fu- 
cilata mirando  alle  gambe  del  ladro,  questo  è 
cascato  a  bocconi,  io  gli  sono  andato  addosso.... 
e....  sigillo  di  confessione,  n'è  vero  signor  pie- 
vano? ho  capito  subito  perchè  Lampino  non 
aveva  abbaiato....  Il  ladro  era  il  mi'  figliuolo! 

^  L'ha  compresa,   lei,   ora,  la   trappola  in- 


-    112  - 

female  ohe  c'era  sotto  quella  confessione  del 
diavolo?  No?  e  allora  gliela  spiegherò  io. 

u  Mi  toccò  a  tirarmi  in  casa  anche  il  fe- 
rito, senza  denunziar  nulla,  senza  dir  nulla, 
mi  toccò  a  fargli  ungere  la  gamba  impallinata 
dalla  Bètta  qui  presente  e  consenziente;  di- 
ventarono i  padroni  loro  e  tutte  le  volte  che 
cercavo  di  ribellarmi.... 

—  Le  tappavano  la  bocca  col  sigillo  di  con- 
fessione ! 

—  Bravo!  Ma  l'altra  mattina  se  ne  sono 
andati.... 

— .  Ah!  finalmente! 

—  Si!  e  con  loro,  i  calici,  gli  ori,  le  pis;: 
sidi,  i.  piviali,  tutto  il  tesoro  della  sacrestia.... 
E  questa  volta  non  c'è  stato  sigillo  che  te- 
nesse. Li  ho  denunziati  e  cosi  ho  rotto  il  si- 
lenzio che  m'affogava.  0  vadano  a  far  del  bene 
alla  gente.  E  fortuna,  che  m'è  rimasto  Lampino! 


Tav.  Vili. 


/  delfini     Pag.  126. 

....  videro  la  fragile  imbarcazione  che  si  avvicinava. 


I   DELFINI 


I    DCLflNI. 

— Non  si  può,  assolutamente,  più  andare 
avanti  cosi! 

E  dicendo  queste  parole  con  stizza  non  celata, 
padron  Francesco  detto  comunemente  «Schianta- 
catene»  tirò  fin  dentro  all'uscio  dello  stambugio 
che  gli  serviva  di  abitazione,  un  lembo  della 
lunga  rete  che  strascicava  iìiori  sullo  spiazzo 
battuto  del  piccolo  porto,  dietro  la  fila  delle 
alte  barche  nere  che  parevano  intente,  ritirate 
in  secco  sull'alghe,  a  un  perenne  colloquio,  dove 
loro  non  parlavano  e  solo  avea  voce,  voce  pre- 
potente e  terribile,  l'eterno  insonne,  il  gran 
mare. 

Col  lembo  di  rete  miseramente  forato,  da 
cui  era  uscito,  nella  notte  di  pesca  ansiosa  e 
faticosa,  metà  del  pesce  sudatissimo  che  solo  il 
povero  «  Schi anta-catene  »  sapeva  cosa  gli  co- 
stasse, entrò  nella  stamberga  un  filo  di  luce  li- 
vida, che  lo  scirocco  s'era  alzato  sul  serio  e 
tutta  l'insenatura  lunata  dove  le  barche  si  di- 
fendevano traballando  dietro  la  diga  irta  di  ma- 


—  116  — 

cigni  granitici,  tremava  e  rombava  come  se 
mille  demoni  la  scuotessero  a  prova. 

Le  nuvole  pazze  correvano  da  sud  a  nord- 
ovest sfilaccicandosi  in  mille  guise  stranissime, 
la  nebbia  velava  le  cime  dirupate  dell'isola,  la 
foschia  impediva  di  scorgere  la  terra  al  di  là 
del  canale  agitato,  le  donne  colle  pezzuole 
nere  attorno  al'e  teste  bronzee  dai  grandi  occhi 
profondi,  cominciavano  ad  aggrupparsi  sul  molo, 
nascondendosi  dietro  il  muro  per  non  essere 
spruzzate  dall'acqua,  interrogando  il  mare  se 
recasse  sul  dorso  ballonzolante  dei  suoi  verdi 
cavalloni  dalle  criniere  di  spuma  le  barche 
audaci  che  la  speranza  di  buona  pesca  aveva 
spinto  oltre  il  dovere,  al'  largo  o  vicino  alle 
coste  pericolose  dove  le  scogliere  strapiombano 
taglienti  come  rasoi. 

Non  c'era  agiatezza  in  casa  di  «  Schianta-ca- 
tene  »  e  non  c'era  neppure  la  felicità. 

Quel  filo  di  luce  livida  e  dubbia  bastò  a  ri- 
velarlo; la  tavola  non  si  ricordava,  evidente- 
mente d'essere  stata  mai  apparecchiata,  la  piat- 
taia si  frangiava  di  spesse  tele  di  ragno,  un 
magro  gatto  stava  rannicchiato,  senza  fusa, 
accanto  a  un  focolare  dove  non  eran  che  ceneri, 
e  sopra  il  letto  basso,  vigilata  da  un  ragazzetto 
spaurito,  delirava  una  donna  consumata  dalla 
vampa  di  ardentissima  febbre. 

Come  vide  la  rete  strappata  annaspò  con  le 


-in- 
clita magre  accennando  il  gesto  di  cucire,  poi 
lasciò  ricadere  pesantemente  le  mani,  le  abban- 
donò sulla  rimboccatura  del  lenzuolo  bigiastro, 
simili  a  due  povere  cose  morte  e  détte  improv- 
visamente nel  piangere 

€  Schianta-catene  »  che,  sotto  l'aspetto  ter- 
ribile della  sua  figura  tagliata  con  l'accetta  in 
un  blocco  di  sasso,  aveva  un  cuore  tenero  come 
l'acqua,  borbottando  fra  i  denti,  alzò  gli  occhi 
al  cielo  per  imprecare,  poi  subito  si  rimise, 
giungendo  le  mani  sullo  stomaco  enorme  e  nudo 
e  tastò  inconsciamente  il  gruppetto  dei  «  voti  » 
che,  per  un  filo  di  spargo,  gli  pendevano  dal 
collo. 

Stette  un  po'  così,  raccolto  in  sé  stesso,  poi, 
scaraventato  il  berretto  di  lana  contro  la  pa- 
rete, esclamò  :  E  nessuno  che  mi  voglia  aiutare  I 
Di  più  che  cinquanta  libbre  di  pesce,  me  n'è 
avanzato  una  zuss^.  E  la  guerra  s'è  preso  Bep- 
jiino,  e  i  generi  rincarano,  e  siamo  sotto  Natale, 
e  bisogna  mangiare  !  Mi  raccomandai  al  signor 
Comandante,  che  ci  mettesse  lui  un  rimedio  coi 
suoi  soldati....  ma  si!  quel  brigante  mi  ha  fatto 
una  risata  sul  muso!  Cosa  crede,  lui,  di  saperne 
pili  di  noi,  che  non  ha  mai  visto  il  mare  in 
faccia  !  Eppure  son  sicuro  che  una  schioppatata, 
assestata  bene,  basterebbe  a  levare  a  quei  dan- 
nati la  voglia  di  rovinare  la  gente  così 

—  Ma,  babbo  azzardò  con  voce  angosciata 


-  118  — 

il  ragazzetto  che  aveva  subito  quella  tempesta 
di  parole  senza  alzare  il  capo  dal  capezzale  della 
malata,  babbo,  non  avete  detto  che  a  tirare  al 
delfino  se  ne  ricorda  e  c'è  da  avere  (jualche 
brutta  sorpresa? 

—  L'ho  detto,  l'ho  detto....  l'ho  detto  perchè 
me  l'avevano  raccontato  i  miei  vecchi;  ma,  per 
San  Mamiliano  benedettissimo,  quando  a  un 
cristiano  la  gli  va  così,  gioca  di  tutti,  che  tanto 
di  peggio  non  si  potrebbe  aspettare!  —  Sarà 
stata  mezzanotte,  quando  si  è  cominciato  a 
tirare  la  rete  e  intorno  intorno  pareva  l'inferno. 
Contro  uno  strappo  di  nuvole,  ho  visto  la  coda 
a  forca  d'  un  di  quei  dannati  e  mi  son  subito 
detto:  Ci  siamo!  Ma  non  credevo  fossero  tanti.... 
La  povera  «  Clementina  »  scricchiolava  per  il 
gran  peso  mentre  si  davan  l'ultime  bracciate 
e  io  ho  capito  bene  che  s'era  accerchiati.  Meno 
di  cinquanta  non  erano....  finalmente,  un  salto 
di  qui,  una  capriola  di  là,  si  son  tuffati 
e  hanno  dato  il  cozzo.  L'ho  capito  nell'attimo, 
quando  uno  di  loro  s'è  alzato  sopra  un  fran- 
gente e  m'ha  fatto  quel  certo  verso  colla  bocca.... 
Oh!  avessi  avuto  un  fucile!  Ma  il  comandante 
ride,  Dio  lo  mandi  alla  guerra! 

La  malata  (di  cui  la  barca  portava  da  tanti 
lustri  pomposamente  il  nome  che  le  fu  imposto 
quando  era  civettuola  dipinta  in  bianco  e  rosso 
e  calafatata  di  fresco   e   ora   invece   gemeva   e 


-  1Ì9  - 

scricchiolava  per  mille  avarie  nel  fasciame, 
tal  quale  come  quel  povero  corpo)  la  malata 
aprì  la  bocca  e  gemè  :  Chi  la  riaccomoderà  ora, 
la  rete?  Almeno  Beppino  ci  fosse  rimasto!  A 
quest'ora  avrebbe  sposato  la  Caterina  e  ci  sa- 
rebbe una  donna  per  la  casa....  quanta  miseria, 
Vergine  bella,  quanta  miseria! 

Sotto  r  inevitabile  tacquero  tutti  e,  nel  gran 
silenzio  non  si  sentiva  altro  che  il  respiro  furi- 
bondo del  mare  e  l'ansimo  del  petto  secco  e  an- 
gustiato del  povero  «  Schianta-catene»,  quando, 
come  una  folata  di  vento  i  bambini,  i  due  ultimi, 
nati  ad  un  parto,  irruppero  nella  stanza  in  uno 
sventolio  di  gonnellini  multicolori  stinti  e  rat- 
toppati. 

—  Marsilio  ha  detto  che  viene  Natale! 

—  Stanotte  arriva  Ceppo  coU'albero  e  i  lumi  ! 

—  Voglio  lo  zoccolo  per  metterlo  fuori. 

—  Anch'io  lo  voglio! 

—  Lo  zoccolo  ! 

—  Lo  zoccolo  !  lo  zoccolo  ! 

—  Buoni!  buoni!  gemeva  la  malata,  buoni! 
se  no  quell'omo  con  la  barba  bianca  e  il  cap- 
puccio, invece  di  bene  vi  porterà  male,  è  se 
non  sarete  buoni  si  trasformerà  in  un  foròne  (1) 
e  vi  porterà  via  sulla  groppa,  all'  isola  di  Mon- 


(l)  Nel  linguaggio  dei  maremmani  rivieì'aschi  s  foròne  n 
il  soprannome  dato  ai  delfini. 


-  120  — 

tecristo,  dove   ha   una  grotta   che  non  si  vede 
la  fine....  buoni!  buoni! 

—  Io  l'ho  vista  la  grotta  !  saltò  su  il  mag- 
giore, fiero,  nonostante  il  dolore,  di  ostentare 
la  sua  esperienza  di  piccolo  navigatore.  —  Io 
l'ho  vista  e  ho  parlato  con  quelli  che  hanno 
conosciuto  il  Mago. 

—  Il  Mago?  rispose  «  Schianta-catene  »  illu- 
minando il  gran  volto  abbronzato  tutto  grinze 
e  cicatrici  incrociate  in  ogni  senso  —  il  Mago? 
Anch'io  l'ho  conosciuto.  Si  chiamava  David 
Lazzaretti  e  stava  in  quella  grotta  a  pregare..,, 
poi  l'ammazzarono,  laggiù  sotto  Arcidosso!  Ma 
quelli  eran  bei  tempi  di  pesca  e  di  poco  dispen- 
dio e  la  «  Clementina  »  pareva  una  rondine 
quando  soffiava  maestrale! 

Di  nuovo  il  ricordo  degli  anni  passati  prese 
tutte  quell'anime  miti,  di  nuovo  l'ala  del  dolore 
presente  sfiorò  insensibile  quelle  fronti  percosse, 
e  anche  i  bambini  si  tacquero  presentendo  senza 
capirla  l'imminente  sventura. 

Nell'isola  non  si  trovava  un  medico,  non 
una  farmacia,  non  un  conforto  pietoso,  il  pesce 
era  poco  e  i  denari  mancavano  e  la  Clementina 
agonizzava  proprio  alla  vigilia  di  Natale  men- 
tre l'altra  Clementina,  quella  di  legno,  era  tor- 
nata con  un  buco  di  più  nella  vela  e  la  rete 
sfondata  dai  maledetti  foròni,  disperazione  di 
tutti  i  pescatori  del  porto. 


-  121  - 

Guglielmo,  il  ragazzetto  mezzano,  stette  a 
lungo  colla  front©  tra  le  mani,  guardando  tra 
le  dita  il  babbo  che  cercava  l'oblio  iu  fondo  a 
un  boccale  contenente  gli  ultimi  litri  d'ansonico 
gagliardo,  poi,  come  lo  vide  addormentarsi  con- 
tro la  tavola,  data  un'occhiata  alla  mamma 
che  si  assopiva,  usci  sul  porto.  Non  aveva  fatto 
due  passi  che  incontrò  Gabbriella,  la  ragazzina 
della  posta  che  recava  un  telegramma. 

Un  telegramma?!  per  lui?  Difatti  ara  l'u- 
nico, iu  famiglia,  che  sapasse  leggere  e  scrivere, 
ma  le  mani  gli  tremavano  mentre  apriva  l'in- 
volucro giallo  e  come  ebbe  letto  a  stento  non  po- 
teva credere  ai  suoi  occhi. 

Beppino  ritornava!  ritornava  dal  fronte  in 
breve  licenza,  e  a  quest'ora  era  a  Santo  Stefano 
ohe  passeggiava  in  su  e  in  giù  mordendosi  le 
mani  dalla  gran  bile  perchè  il  piroscafo,  la  do- 
menica, non  faceva  servizio  !  E  dire  che,  colla 
sua  venuta  avrebbe  rallegrato  quella  casa  di- 
sperata, salvato  forse  la  mamma  !  E  poi  avrebbe 
portato  qualcosa,  che  lassù,  non  aveva  occasione 
di  spendere  un  soldo,  e  certo,  a  quell'ora  i  pa- 
renti di  Santo  Stefano,  i  quali  odiavano  «  Schian- 
ta-catene  «  per  via  di  questioni  da  giovani,  ma 
adoravan  Beppino,  tanto  laborioso  e  buono,  lo 
avevano  colmato  di  regali  e  di  dolci  per  i  ra- 
gazzi piccini. 

Col  telegramma   spiegazzato   in    tasca,   Gu- 


—  122  — 

glielino  rimase  a  lungo  sulla  spiaggia  taciturno, 
contemplando  la  «  Clementina  »  che  si  cullava 
mollemente  sull'  onde  sempre  decrescenti,  finché 
il  vento  parve  restare  del  tutto  e  nel  cielo  tur- 
chino che  si  sgombrava  di  nuvoli,  alte,  al  di- 
sopra del  profilo  arcigno  del  Castello  piantato 
ferocemente  sulla  cima  granitica  a  picco  sul 
mare,  apparvero  le  bianche  stelle  dell'  Orsa. 


* 

*  * 


«  Schianta-catene  » ,  curvo,  barcollante  irrico- 
noscibile, se  ne  andava  verso  la  chiesa  di  San 
Lorenzo,  trascinandosi  dietro  i  bambini  che  mu- 
golavano chiedendo  il  Ceppo  e  fantasticando 
sullo  zoccolo  messo  sul  focolare  spento,  accanto 
al  gatto  senza  fusa  il  quale  non  s' era  più  mosso, 
mentre  un  gaio  sciame  di  gente  felice  s'  affret- 
tava, tappando  le  bocche  coi  lembi  dei  man- 
telli, verso  la  messa  di  Natale. 

Il  cielo  era  divino,  le  campane  squillavano 
lietamente  annunziando  la  nascita  del  Redentore 
del  Mondo  e  gli  uomini  proni  chiedevano  pace, 
pensando  ai  mali  che  insanguinano  la  terra, 
mentre  Guglielmo,  zitto  zitto  scioglieva  l'ormeg- 
gio, issava  la  vela,  prendeva  il  timone  e  si 
abbandonava  alla  corrente  drizzando  la  prora 
verso  il  gran  promontorio  d'  argento  che  scin- 
tillava nell'  ombra  interrotto  da  insenature  prò- 


—  12:ì  — 

fonde  che  gli  davano  la  strana  parvenza  di  un 
enorme  mostro  marino  addormentato  sul  pelo 
dell'  acqua. 

E  subito  parve  che  un  invisibile  zeffiro  aliando 
sul  placido  pelago  gontiasse  compiacentemente 
la  vela;  certo  il  favore  del  Cielo  e  del  mare 
accompagnava  la  navicella  pietosa  nella  sua 
traversata  santa  per  quel  rito  d'  amore. 

La  barca  nera  scivolava  in  silenzio  in  mezzo 
a  una  scia  lunga  di  liquide  gemme  che  pareva 
segnarle  la  strada.  Era  quella  la  bussola  del 
buon  Guglielmuccio,  era  quella  che  faceva  le 
veci  della  cometa  fatidica  di  cui  gli  avevan 
parlato  accanto  al  modesto  presepio  che  i  fan- 
ciulli più  ricchi  dell'isola  riuscivano  a  fabbri- 
care ogni  anno. 

E  sarebbero  tornati,  lui  e  il  fratello  venuto 
tanto  di  lontano,  da  una  vita  di  sacrifici  e  di 
dolori,  all'  isola  che  già  a  quell'  ora  formicolava 
di  gente  preoccupata  dalla  sorte  di  quel  povero 
fanciullo  sperduto  solo  nel  mire:  sarebbero 
arrivati  uguali  ai  Re  Magi  carichi  di  regali, 
i  Re  Magi  che  affrettavano  nel  presepio  mo- 
desto il  loro  cammino  verso  l' umile  capanna 
dove  aspettava  il  bambino  povero  e  nudò;  la 
madre  sofferente  e  il  padre  commosso  dell'  ina- 
spettato affluire  di  donatori  e  di  doni. 

Il  sublime  sogno  del  piccolo  pescatore  si  fa- 
ceva realtà,  man  maro  che  lo  zeffiro,  incalzando 


-  Ì24  — 

e  raddoppiando  di  tòrza,  lo  spingeva  verso  la 
terra  che  risplendeva  sotto  la  luce  rigida  della 
bianca  luna  di  Natale,  come  un  gran  blocco 
d'  oro  e  d'  argento. 

E  via,  e  via,  e  via  e  via  ...  ma  il  canale  è 
largo,  e  fosse  il  freddo  notturno  o  il  dondolìo 
della  barca,  Guglielmo  cadde  sul  fondo  della 
povera  «  Clementina  »  che  continuava  a  navi- 
gare in  mezzo  a  liquide  perle  e  diamanti^  vi 
giacque,  perdette  a  poco  a  poco  la  conoscenza 
e  si  assopì  profondamente  chiudendo  gli  occhi 
con  dentro  le  pupille  e  V  anima  la  visione  stel- 
lare del  sereno  cielo  di  Ceppo. 

E  gli  pareva  di  essere  come  uno  dei  Re.  Di 
tornare  da  paesi  lontani,  sopra  una  gran  nave 
dal  sartiame  sonoro  esperto  di  ogni  tempesta, 
recando  a  bordo  per  la  sua  buona  mamma,  ora 
vecchia,  tanto  vecchia,  per  il  suo  babbo  stron- 
cato dal  remo  e  dalla  rete,  per  i  fratellini  fatti 
grandi,  d'ogni  sorta  di  ben  di  Dio,  ogni  ge- 
nere di  ricchezze,  di  ghiottonerie,  di  rarità. 

Ed  ecco  giungeva  proprio  la  notte  di  Ceppo, 
e  li  trovava  tutti  dispersi  che  piangevano,  ma 
innanzi  a  lui,  il  vecchio  Natale  incappucciato 
di  blu  e  colla  barba  bianca,  era  corso  avanti  a 
mettere,  dalla  cappa  del  camino,  due  monetine 
d' oro  nello  zoccoletto  di  un  nipotino,  del  fi- 
gliuolo di  Beppe,  il  quale,  poi  che  era  scampato 


—  125     - 

alla  guerra,  aveva  sposato  la  Caterina  ed  era 
a  far  fortuna  per  mare. 

Allora  tutti  gli  pareva  accorressero  alle  grida 
del  bimbo  che  aveva  trovato  il  tesoro  e  mera- 
vigliati esclamassero  gridando  al  miracolo,  finché 
qualcuno,  istintivamente,  apriva  la  porta,  correva 
fuori  a  trovare  lui,  con  le  braccia  cariche  d'ogni 
dovizia,  intirizzito  dal  freddo  che  non  aveva 
forza  d'  entrare  ! 

E  lo  spingevano,  lo  portavano  quasi,  dentro, 
e  mentre  i  più  giovani  esclamavano  giubilanti  alla 
yista  dei  regali,  lui  sentiva  sciogliersi  le  membra 
al  calore  della  fiammata  subito  accesa  nel  vec- 
chio cammino  e  1'  anima  al  calore  di  tanti  effetti 
suscitati  e  ricambiati,  rifioriti,  a  un  tratto,  come 
il  bucaneve  dal  ghiaccio,  su  dal  cuore  di  cia- 
scuno in  quella  santissima  notte  in  cui  tutti 
gli  uomini  buoni  si  senton  fratelli  ;  e  gli  parve 
che  due  tremule  mani  gli  cercassero  il  capo, 
gli  brancicassero  la  faccia,  lo  carezzassero  sui 
capelli  ;  le  mani  della  mamma,  della  mamma, 
della  mamma  ! 

Fece  per  alzarsi  ed  abbracciarla e  si  svegliò. 

Si  svegliò  in  un  letto  caldo,  circondato  da 
gente  curva  amorosamente  su  lui,  primo  fra  tutti 
Beppino,  magro,  abbronzato,  vestito  da  soldato 
italiano,  con  un  fregio  d'  argento  al  colletto.... 

Come  ridire  i  dolci  rimproveri,  le  esclama- 
zioni. £rli  elo^i  y 


—  126  — 

Lo  avevano  trovato  sìil  far  dell'  alba  irrigi- 
dito in  fondo  alla  barca  che  errava  sola  sul- 
l'acque tranquille,  presa  da  una  leggera  corrente 
che  la  portava  lontano  dal  porlo,  ma  lontano 
altresì  dal  pericolo  delle  scogliere  ;  1'  avevano 
rimorchiata  fin  li,  e  ora  la  voce  s'  era  sparsa 
per  tutto,  e  la  gente  era  accorsa,  a  interessarsi 
del  piccolo  eroe,  a  colmarlo  di  doni,  di  chicche, 
di  lodi, 

E  perchè  il  vento  si  alzava  minacciando  di 
rinforzare,  1'  animoiio  Beppino  e  il  bravo  Gu- 
glielmo, appena  questi  si  fu  rimesso  in  piedi, 
essendo  ormai  giorno  chiaro  da  un  pezzo,  deci- 
sero il  ritorno. 

La  «  Clementina  »  ohe  pareva  avesse  ritrovato 
i  suoi  primi  ardori,  gonfiò  la  vela  al  greco-le- 
vante e  doppiata  la  punta  si  slanciò  verso  l'isola 
radendo  1'  onde  dalla  piccola  cresta  bianca,  come 
un  gabbiano  veloce. 

Oltre  metà  del  canale,  rinforzando  il  greco- 
levante  e  preparandosi  a  dar  luogo  alla  tramon- 
tana, che  rende  fulminei  i  grossi  velieri,  ma 
affonda  le  piccole  barche,  gì'  isolani,  i  quali  tre- 
pidanti aspettavano,  videro  la  fragile  imbarca- 
zione che  si  avvicinava  in  una  tragica  alterna- 
tiva di  sobbalzi  che  la  facevano  scomparire  e 
apparire. 

Innanzi  a  tutti,  investito  dalle  ondate  che  lo 
bagnavano  da  capo  a  piedi  nel  suo  vestito  im- 


—  127  - 

permeabile  da  pescatore,  «  Schianta-catene  » , 
sulla  punta  del  molo,  coi  pugni  tesi,  si  racco- 
mandava e  imprecava. 

A  tratti,  nelle  brevi  soste  del  tramontano, 
da  un  gruppo  di  donne  colle  pezzuole  nere  che 
incorniciavano  gli  ovali  dei  volti  cerei,  inginoc- 
chiate tra  due  scafi,  salivano  i  ritmi  delle  li- 
tanie, il  campaniluccio  del  tetto  roggio  squillava 
disperatamente  a  tempesta  e  la  preghiera  e  i 
lamenti  e  le  deprecazioni  si  fondevano  e  dile- 
guavano nel  gran  rombo  senza  riposo  del  vento. 

Subitamente  un  delfino  guizzò,  agile  come 
una  freccia  e  ricadde  nel  grembo  d'  un  maroso 
e  un'  altro  lo  seguì,  e  un  altro  ancora,  e  poi 
cinque,  dieci,  venti... 

«  Schianta-catene  »  non  aveva  più  voce  ;  istu- 
pidito guardava  i  suoi  nemici,  i  foròni,  che 
come  una  scorta  trionfale,  gli  riconducevano 
la  barca  e  due  figli  traverso  la  tempesta  del- 
l' onde. 

E  la  barca  cinta  da  una  siepe  di  pesci  guiz- 
zanti, come  un'  apparizione  soprannaturale, 
entrò  nello  specchio  dell'  acque  più  calme,  dove 
i  delfini  con  un  ultimo  slancio  elegante,  si  ri- 
tuflfarono  e  scomparvero,  mutando,  all' improv- 
viso, la  rotta. 

Ma  il  dolce  Natale  della  famiglia  de'  poveri 
pescatori,  sorriso  dalla  grazia  e  confortato  dal- 
l' eroismo  di  due  figli,  avverò  il  sogno  del  prò- 


-  128  - 

digioso  fanciullo,  il  quale  dieci  anni  più  tardi, 
tornando  in  porto  carico  di  ricchezze  a  bordo 
del  suo  magnifico  veliero  «  Il  foròne  »  che  aveva 
a  prua  la  figura  scolpita  di  un  delfino  armato, 
scioglieva  il  suo  voto  sopra  la  tomba,  nel  bianco 
cimitero  di  tipo  orientale,  della  madre  che  un 
giorno  aveva  salvata,  ottenendone  in  ricompensa, 
dalla  riconoscente  preghiera,  il  favore  dei  mostri 
belli  e  misteriosi  del  mare. 


Tav.  IX. 


Storia  d'un  gatto  -  Pag.  138. 

Il  più  italiano  dei  gatti,  che  affrontò  il  martirio,  piut- 
tosto che  miagolare  in  islavo  ! 


STORIA  D'UN  QflTTO 


STORI/^  D'UN  GSTTO. 

Arrivato  a  Vittorio  alla  vigilia  del  più  bel 
Natale  d' Italia,  dopo  sei  o  sette  ore  di  sbal- 
lottamento in  un  camion  duro  come  una  biga, 
con  nelle  ossa  tutto  il  freddo  umido  e  neb- 
bioso che  ci  regalano  le  sponde  del  Piave 
(veramente  si  direbbe  della  Piave  ma  ormai, 
l'errore  è  stato  consacrato  dai  bollettini  alla 
storia!)  non  mi  misi  le  mani  nei  capelli  pei* 
la  buona  ragione  che  non  ce  li  ho,  ma  mi 
disperai  parecchio  prima  di  poter  trovare  una 
camera  dove  riposare  le  ossa  stroncate.  La 
cercai,  secondo  il  mio  solito,  fuori  dell'abita- 
to e  la  rinvenni  in  una  casetta  decente,  dove, 
al  fuoco  d' un  camino  non  ancora  cosi  moderno 
da  non  potersi  dir  Veneto  ma  neanche  tanto 
poco  veneto  da  potersi  dire  Friulano,  mi  se- 
detti in  compagnia  di  una  vecchia  e  di  un 
gatto. 

Al  gatto  buttai  gli  avanzi  d' una  scatoletta 
di  carne  ohe  mi  divorai  con  appetito  invidia- 


132  — 


bile,  alla  vecchia  una  buona  notte  assonnata, 
e  mi  ritirai  per  dormire. 

Il  gatto  mi  seguì,  la  vecchia  fortunatamente, 


no 


Entrato  a  letto,  il  gatto  mi  si  posò  aggo- 
mitolato sui  piedi  e  siccome  teneva  caldo,  ma 
faceva  delle  fusa  terribili,  lo  pregai  cortese- 
mente di  smettere. 

Aderì,  come  con  uno  sproposito  d' italiano 
si  suol  dire  oggi,  e  si  mise  a  discorrere  affa- 
bilmente con  me. 

lo  sono  stato  il  primo  essere  vivente,  mi- 
disse  il  gatto,  che  abbia  veduto  il  primo  lan- 
cere  italiano  entrato  in  Vittorio.  Gli  devo  aver 
fatto  uno  strano  effetto  perchè  ero....  impiccato. 

—  Impiccato?! 

u  Si.  Gli  austriaci  non  conoscono  altro 
modo  di  dar  la  morte.  La  morte  appare  per 
loro  sotto  le  forme  di  qualche  cosa  che  cion- 
dola. Ma  lasciamo  lo  scherzo.  La  signora  che 
ti  ospita  aveva  una  sorella,  che,  a  sua  volta, 
possedeva  un  gatto,  ma  di  sesso  femminile. 
Le  notti  gelate,  quando  s'affaccia  la  luna  di 
dietro  l'opacità  di  bosco  Cansiglio  e  splende 
sui  tetti  di  Vittorio  addormentato,  io,  che  da 
più  giovane  avevo  una  discreta  voce  di  tenore, 
facevo  delle  serenate  lunghe  insieme  a  codesta 
creatura  dal  pelo  soffice  e  dagli  occhi  verdi, 
come  quelli  delle  donne  che  piacciono  oggi  a 


—  Ì33  - 

Voialtri  uomini.  Cacciavamo  anche  insieme.  Le 
arvicole^  i  terribili  topi  di  questi  paesi,  teme- 
vano molto  la  coppia.  Si  fini  per  amarci  in- 
tensamente e  una  oscura  notte  di  burrasca 
nella  quale  dovemmo  star  confinati  nel  solaio 
senza  poterci  muovere  né  ruzzare,  finimmo 
nelle  braccia  l'uno  dell'altra  e  ci  giurammo 
di  non  dividerci  più. 

a  Assistemmo  al  ripiegamento  del  '17  e,  se- 
guendo l'esempio  delle  nostre  due  padrone,  ci 
guardammo  bene  dall'uscire  di  casa,  dove  ogni 
giorno,  andavano  ed  arrivavano  ufficiali  italiani 
coi  loro  attendenti.  C'erano  in  paese  polli,  uova 
e  vino.  Noi  ci  facemmo  delle  spanciate  cogli 
avanzi  dei  pasti,  dei  ranci  e  via  dicendo.  Ti 
dirò  francamente  che  io  sento  .profondamente 
la  pàtria.  Non  ridere.  Lo  so  ;  ci  sono  degli  uo- 
mini, tra  voialtri,  i  quali  in  base  a  certe  teo- 
rie che  chiamano  filosofiche,  hanno  perduto 
questo  sentimento.  Ma  forse  non  sanno,  o  se 
lo  sanno  peggio  per  loro,  che  essi  commettono 
un  peccato  contro  natura  più  che  contro  l'e- 
tica. In  una  parola  (non  ti  meravigliare  se 
parlo  pulito  come  si  dice  nel  Veneto;  ma  ho 
studiato  per  diletto  qualche  poco)  io  l'amore 
alla  Patria  lo  credo  una  specie  di  stimmate 
particolare  ad  ogni  razza;  è...  fisiologico,  prima 
che  psicologico.  Anzi  io  che  vivo  di  rapina  e 
quindi  dovrei  essere  futurista,  sono  uientedi- 


—  Ì'ÒÀ  - 

meno  che  campauilisla,  quindi  passatista;  anzi 
non  c'è  epiteto  capace  di  qualificarmi  perchè 
io  sono  addirittura  Tnuralista,  vale  a  dire  m'at- 
tacco alle  mura  dell'abitazione  dove  sono  nato  e 
cresciuto.  Questa  candida  e  simpatica  qualità 
di  noi  gatti  fu  quella  che  perdette  la  mia 
amata  compagna;  la  chiamo  cosi  perchè,  come 
tu  sai,  mentre  voialtri  uomini  v'afifannate 
tanto  a  codificare  l'amore  e  a  trovare  il  modo 
di  renderlo  libero  e  discutete  intorno  alle 
questioni  legali  e  religiose,  noi  bestie  abbiamo 
invece  superato  da  tempo  queste  convenzio- 
nalità e  l'amore  libero  per  noi  è  una  legge 
assoluta,  non  conosciamo  il  divorzio  e  le  corna 
non  le  vediamo  altro  che  sulla  testa  de'  bovi  ! 

u  Ma  io  mi  divago  ;  scusa  se  qualche  volta, 
nel  parlare,  vado  forse  oltre  la  tua  stessa 
cultura  (io  ringraziai  con  un  cenno  del  capo) 
e....  procediamo  con  ordine. 

u.  Appena  partito  di  qui  l'ultimo  soldato  ita- 
liano e  arrivati  gli  austriaci,  mi  sentii  gelare. 
E  non  soltanto  perchè  sono  profondamente  ve- 
neto, di  qui,  di  questa  casa,  quindi  italiano, 
ma  perchè  l'odore  di  noialtri  italiani  è  troppo 
differente  da  quello  degli  austriaci. 

u  Gli  austriaci,  ma  sopra  tutto  i  Croati,  puz- 
zano di  selvatico.  Credi  però  che  il  puzzo  dei 
Croati  è  tale  da  farti  svenire.  Sei  mai  entrato 
in  un  serraglio  di    bestie    feroci?    Sentendoti 


—  135  — 

parlare  così  beue  il  nostro  linguaggio  guttu- 
rale parrebbe  di  si;  dunque,  figurati  quell'o- 
dore acuto  di  roba  fetida  e  marcia  che  ti  mozza 
il  respiro  e  avrai  l'idea  della  dolce  ondata  di 
profumo  che  precedette  l'arrivo  degli  Austriaci. 

u  Poi  ci  fu  il  secondo  colpo,  o,  come  dicono 
quei  ciarlatani  degli  scenziati,  (sai  che  alla 
scienza,  noi  bestie,  non  ci  crediamo)  il  traum^ 
psichico,  e  questo  consistè,  per  noi  gatti,  nel 
l'odore  del  rancio  austriaco. 

u  Sentimmo  subito  che  si  trattava  di  gente 
arrivata  all'estremo  delle  loro  risorse;  ma 
questo  non  fu  nulla  in  confronto  al  terzo  colpo, 
a  quando  cioè,  io  e  la  mia  gatta,  ci  accorgemmo 
che  il  piatto  preferito  degli  Austriaci  era  il 
salmi  di  topi  di  chiavica. 

u.  Vivessi  mille  anni  non  dimenticherò  mai 
le  occhiate  che  ci  scambiammo.  Perchè  chi  man- 
gia il  topo  è  evidente  che  è  capace  anche  di 
arrivare  fino  al  gatto! 

u  Difatti  la  caccia  ai  topi  e  ai  gatti  diventò 
spi^ta^ta  fino  dai  primi  giorni  dell'occupazione 
e  la  nostra  vita,  quindi,  trasformata  in  un  vero 
inferno.  Addio  passeggiate  sui  tetti,  addio  dolci 
ron-ron  intorno  al  foco,  addio  cacce  emozio- 
nanti nell'orto,  nel  solaio,  nel  granaio,  addio 
balzelli  pazienti  alla  bocca  della  chiavica,  meno 
fetente    delia   cuci  uà    del   comando   austriaco 


-  18G  - 

dove  si   cucinava    di    tutto,    meno    che    della 
carne  mangereccia  o  delle  verdure  di  campo. 

u  Fu  così  che  la  vigilia  di  Natale  del  1917 
io  perdetti  la  mia  metà.  Non  la  rividi  più;  cioè 
la  rividi,  ma,  orrore  !  in  un  vassoio,  spellata  e 
accomodata  per  bene  allo  scopo  di  far  bella 
mostra  di  se  come  piatto  forte  per  la  tavola 
del  comandante. 

u  E  capii  anche  il  valore  delle  occhiate  go- 
lose che  mi  davano  i  soldati  addetti  alla  mensa, 
occhiate  impotenti  di  gente  che  mi  desiderava, 
sapendo  però  che  ero  un  boccone  troppo  preli- 
bato per  loro.  In  certa  maniera  diventai  sacro  e 
intangibile  per  questa  proprietà  di  esser  desti- 
nato alla  tavola  del  signor  colonnello.  Restava 
a  sapersi  quando  sarebbe  arrivato  il  momento. 
a  Per  fortuna  fra  il  dispiacere  della  morte  di 
Minny  e  quello  struggimento  di  sapermi  de- 
stinato a  cosi  brutta  fine,  perdei  l'appetito  e 
diventai  una  mummia,  uno  scheletro  l'ombra 
di  me  stesso;  detti  in  tisico,  mi  vennero  la 
tosse  e  il  moccio  e  il  comandante  perdette  la 
voglia  di  mangiarmi. 

a  A-Ua  fine  di  primavera  mi  buttai  alla  cam- 
pagna, vissi  di  uccelli  e  di  topi  campagnoli, 
rifeci  il  pelame  m'ingrassai.  Nuove  preoccu- 
pazioni!.... Cosi  passai  anche  l'estate. 

u  L'autunno,  rigido  fuor  di  misura,  mi  ri- 
cacciò al  piano. 


-  137  - 

li  La  vecchia  sorella  della  attuale  padrona 
superstite  mori  di  crepacuore  e  di  stenti  e,  al 
mio  ritorno  trovai  la  casa  occupata  da  un  plo- 
tone di  Croati. 

u  Mi  disponevo  a  tornar  via,  nonostante  le 
carezze  della  povera  donna  per  cui  rappresen- 
tavo un  pezzetto  di  patria,  quando  un  ter- 
ribile bombardamento  faceva  scrollare  la  città 
dalle  fondamenta.  Per  varie  notti  fu  un  via  vai 
di  carriaggi  e  di  artiglierie.  Che  cosa  succe- 
deva? Decisi  d'uscire  all'aperto  per  sincerar- 
mene, ma  un  Croato  mi  tirò  una  legnata,  proprio 
sull'uscio,  mentre  sgusciavo  fuori. 

Mi  presero,  semivivo  e  decisero  di  fare  con 
me  l'ultimo  pasto.  Mi  posero  un  laccio  al  collo 
e  m'attaccarono  ad  un  chiodo  fuori  dell'  uscio. 
Noi  gatti  siam  duri  a  morire;  negli  spasimi 
della  lunga  agonia  mi  parve  di  sentir  suonare, 
dopo  tanto,  l' unica  campana  rimasta  in  paese. 

u  Ed  era  vero  ;  suonava  a  gloria  e  a  vittoria. 

u  Gli  sterminatori  di  topi,  i  mangiatori  di 
gatti  fuggivano  davanti  allo  slancio  degl'ita- 
liani inferociti  alla  vista  dello  strazio  fatto  alla 
loro  terra. 

u  Col  laccio  che  mi  serrava  la  gola,  senten- 
domi morire,  ebbi  quella  visione  della  vita 
trascorsa  che  è  propria  a  tutti  i  moribondi  ;  ri- 
vidi il  corpo  delicato  della  mia  diletta  intento  a 
rosolarsi  in  fricassea  e  ripensai  con  terrore  alla 


—  138  - 

decomposizione  chimica  di  quelle  membra  clie 
avevo  baciate  con  tanto  trasporto! 

u  Certo  i  Croati  mi  avevano  impiccato  a  quel 
modo  perchè  morissi  senza  perder  sangue  e 
frollassi  meglio,  ma  io  pensai  che  gl'italiani 
trovandomi  cosi,  mi  avrebbero  additato  alla 
riconoscenza  nazionale  e,  forse,  inalzato  un 
monumento  :  Al  più  italiano  dei  gatti  —  che 
affrontò  il  martirio  —  piuttosto  che  miagolare 
in  Islavo! 

a  Mentre  stavo  per  abbandonarmi  alla  morte 
cullato  da  questa  mesta  illusione,  sentii  un  ga- 
loppo di  cavalli  e  delle  voci.  Erano  voci  di  Ita- 
liani! Poi  entrarono  nell'orto,  dal  cancello,  e 
arrestarono  i  cavalli. 

—  Hanno  impiccato  anche  un  gatto! 

u.  Un  lanciere  italiano  scese  da  cavallo,  mi 
tagliò  la  corda  che  mi  serrava  la  gola,  ed  escla- 
mò: la  corda  degli  appiccati  porta  fortuna... 
ma  che  ve  pozzino/...  puro  li  gatti  fanno  mar- 
tiri della  redenzione,  questi  boiaccia! 

u  E  mi  mise  in  libertà  ;  poi  colla  fune  del  mio 
laccio  legò  in  cima  alla  lancia  un  drappo  tri- 
colore che  si  levò  di  sotto  la  giubba,  rimontò 
a  cavallo  e  corse  a  issarlo  sul  balcone  del  mu 
nicipio,  mentre  io,  miagolando,  mi  strascicavo 
per  le  scale  in  cerca  della  padrona  che  tre- 
mava di  paura  e  singhiozzava  di  gioia.... 

u  La  campana  squillava  sempre.... 


•  LO  "sciorrE,. 


LO  "  sciorrE 


>»• 


Il  vecchio  Emilio  rimase  in  mezzo  alla  strada 
provinciale,  ravvolto  in  un  nugolone  di  polvere, 
stringendo  in  un  pugno  la  gallina  mezza  sfra- 
cellata e  tendendo  l'altro  ferocemente  verso  l'au- 
tomobile che  già  non  era  che  un  punto  scuro 
alla  voltata   lontana. 

—  Questa  tu  me  la  paghi  ! 

E  rientrato  sotto  il  portico  scaraventò  la  car- 
cassa sanguinante  della  pollastra  sull'ammatto- 
nato, incrociando  le  braccia  e  corrugando  le 
sopracciglia  irsute  dalle  pupille  bieche  di  bestia 
male  addomesticata. 

—  Questa  tu  me  la  paghi  !  Ora  basta  !  cana- 
glia d'uno  «  scioflfè  » .  Ma  se  fossero  tue  ci  ba- 
deresti ! 

E  si  cacciava  la  pipa  in  bocca,  e  brandita 
la  marra,  se  la  poneva  in  spalla  e  pigliava  la 
via  del  campo,  torvo  e  tempestoso  più  del  cielo 
grA\e  di  nuvole  che  metteva  una  luce  livida  su 
tutta  la  campagna  in  frutto. 

Confusamente,  ora,  Emilio  rivangava  il  ter- 


--  142  ~ 

reno,  e,  nel  3Uo  oscuro  cervello  di  contadino,  il 
passato. 

Dal  giorno  in  cui  quel  demonio  del  signor 
Pavesi  aveva  comprato  la  villa  vicina,  era  finito 
il  bene  stare!  Non  gli  bastava  di  aver  fatto  il 
capanno  in  proda  al  campo,  sì  che  quando  un 
uccello  cascava  nel  suo  gli  scorazzavano  a  cer- 
carlo per  tutte  le  zolle  pesticciandogli  mezzi  i 
mQ.ggesi;  non  gli  bastava  di  dar  la  via  ogni 
domenica  ai  palloni  accesi  di  carta  velina  a  ri- 
schio che  bruciassero  qualche  pagliaio  o  la  ca- 
panna del  fieno^  non  era  contento  di  tirare  alle 
passere  sui  cipressi  grandi  vicino  al  cancello,  di 
spaurire  i  piccioni  torraioli,  di  avvezzargli  anche 
i  nipoti  strascicandoseli  a  caccia,  col  fucile  di 
giorno  e  di  notte  col  frugnolo  e  col  diavolaccio, 
ora,  ogni  tanto,  passando  coU'automobile  a  sca- 
tafascio in  quel  modo,  gli  spiaccicava  qualche 
conigliolo  o  qualche  gallina. 

E,  sulle  prime,  conigliolo  e  gallina  erano 
stati  pagati  il  loro  prezzo  di  tarififa,  alloia,  bei 
tempi!  cinque  lire  l'uno...  ora  nossignori!  Il  si- 
gnor Pavesi  aveva  tirato  fuori  un  diavolo  di 
regolamento  municipale  per  cui  i  polli  e  i  coni- 
glioli  non  potevano  più  starsene  in  mezzo  alla 
strada  maestra...  e  glieli  spiaccicava,  gratis, 
molto  tranquillamente. 

Roba  da  fucilate! 

Ma  c'era  di  peggio,  ci  doveva  esser  di  peg- 


—  143  — 

gir»,  tanto  che  Emilio  non  osava  neanche  di 
affacciarne  il  dubbio  »  se  stesso... 

E  siccome  il  sole  declinava  dietro  le  nuvole 
enormi  e  bige,  il  vecchio  buttò  via  la  vanga  e 
cogli  occhi  fissi  alla  Villa  Rosa  che  s'affacciava, 
violetta  nel  crepuscolo,  tra  il  verde  caldo  dei 
cipressi  e  dell'acacie  fronzute,  si  mise,  rannic- 
chiato a  pie  della  macchia  bassa,  ad  aspettare 
colla  pazienza  ostinata  d'un  animale  rapace. 

La  campagna  era  piena  di  rumori  indistinti, 
vibrante  di  suoni  lontani  ;  il  mormorio  della 
Pesa,  giù  tra  i  gattici,  un  canto  lungo  fra  gli 
olivi  di  faccia,  uno  schioccar  di  frusta  sulla  via 
maestra,  il  chiocciare  dei  polli  dalla  casa  vicina, 
il  primo  accordo  d'un  grillo,  un  blando  soffio 
di  vento;  poi  una  nebbia  violetta  cominciò  a 
salire  dal  fiume,  gli  oggetti  circostanti  illangui- 
dirono ed  un  suono  di  campane  si  slanciò,  alle- 
gro, da  monte  a  valle. 

Allora,  sul  viottolone  della  villa,  che  appa- 
riva e  scompariva  a  lembi  tra  i  fogliami,  sbucò 
una  figura  svel'a  di  ragazza  vestita  di  turchino 
con  in  capo  un  fazzoletto  scarlatto,  vivace  come 
una  fiamma. 

Emilio  la  guardava  muoversi  e  camminare 
con  un  passo  noncurante  e  a  sbalzi,  trattenendo 
il  respiro. 

Passò  vicino  a  lui,  che  se  si  fosse  alzato  di 
S'\T  te,  l'avrebbe  potuta  afferrare,  passò  colla  te- 


—  144  — 

sta  alta,  un  po'  rovesciata  all' indietro,  un  sor- 
riso di  beatitudine  sulle  labbra  accese  quasi 
fossero  state  baciate  d'allora;  si  chinò  un  istante 
a  cogliere  un  mazzo  di  salvastrella  e  continuò 
verso  il  fumo  del  casolare  appiattato  fra  gli 
olmi  aspirando  quel  profumo  selvaggio  colle  na- 
rici palpitanti  come  quelle  d'una  puledra,  poi 
scomparve  al  gomito  della  viottola. 

Emilio  segui  la  figlia  finché  potè  cogli  occhi 
biechi  di  bestia  male  addomesticata  sotto  le 
sopracciglia  irsute,  poi  levandosi  in  piedi  si  torse 
i  pugni  fino  a  farsi  male. 

Dunque  non  s'era  ingannato!  La  Liduina 
veniva  dalla  villa;  o  d  dove  poteva  venire  a 
quell'ora  e  su  quello  stralale?  Ma  cosa  ci  andava 
a  fare  alla  villa,  che  cosa? 

Una  visione  fosca  passò  davanti  alla  mente 
del  vecchio  contadino,  che  si  affrettava  a  respin- 
gerla con  orrore  ;  ma  l'orribile  idea  fu  pronta  a 
riaffacciarglisi,  a  piantarsi  nel  suo  cervello,  più 
ostinata,  più  decisa  che  mai. 

E  tutti  i  ragionamenti  che  faceva  per  di- 
struggerla non  riuscivano  invece  che  ad  av- 
valorarla. 

Di  fatto,  era  chiaro:  da  un  anno  il  Pavesi 
aveva  comprato  la  villa^  due  mesi  dopo  c'era 
venuto  a  stare,  e  dopo  poco  la  Liduina  era  stata 
chiesta  dal  figliolo  del  factore.  Un  affare  d'oro  ! 
Jjei  bella,  CQn  c^ualcosa  di  suo,  lui  giovane,  de- 


Tav.  X. 


Lo  "Scioffè,,  -  Pag.  152. 

La  sposa  ?  Dio  eterno  !  Lui  ?  M....  Signorino  ?  ! 


—  145  — 

naroso  e  col  posto  pronto  che  il  babbo  gli  ser- 
bava caldo  per  il  momento  opportuno...  invece, 
nossignori!  La  Liduina  non  l'aveva  voluto.  E 
perchè  non  l'aveva   voluto? 

Intanto  il  Pavesi  schiacciò  la  prima  gallina 
e  la  pagò;  schiacciò  un  conigliolo,  e  lo  pagò; 
schiacciò  una  seoìnda  gallina;  e  la  pagò.  Fu 
questo  l'appiccagnolo  per  fare  un  po'  di  relazio- 
ne. D'autunno  cominciarono  le  veglie  in  cucina, 
accanto  al  camino  grande.  Si  fecero  le  brigide, 
si  sbucciarono  le  succiole,  si  giocò  ai  mercanti, 
alla  fiera,  al  lupo,  ai  fidanzati...  e  il  signorino 
non  mancava  mai  !  Poi  portò  l'organino...  quello 
non  avrebbe  mai  dovuto  permetterlo,  vecchio 
balordo  che  non  era  altro  !  coU'organino  nacque 
r  idea  del  balletto,  col  balletto  il  pissi-pissi  nei 
cantucci  e  il  signor  Pavesi,  seccato  smise  d'an- 
dare a  veglia  e  non  volle  più  pagar  le  galline! 

Ma  chi  fa  intendere  la  ragione  a  una  ragazza 
stregata  e  a  un  giovanotto  innamorato? 

Quelli  seguitarono;  di  certo!  Di  nascosto; 
ma  seguitarono...  e  ora  Emilio  aveva  la  prova, 
la  prova  lampante! 

Il  Pavesi  non  c'era,  era  andato  in  città, 
schiacciandogli  un'altra  gallina,  ma  aveva  la- 
sciato il  figliolo  a  casa;  e  la  Liduina...  cosa  po- 
teva essere  andata  a  fare  la  Liduina  alla  villa? 
Ma  l'avrebbe  saputo,  e  subito  anche. 

Arrivato  a  casa  con  cento  diavoli  per  capello, 

10 


—  146  - 

Emilio  entrò  in  cucina  con  aria  feroce,  ma  ap- 
pena si  vide  davanti  la  figliola  rimase  zitto, 
come  al  solito,  poi  balbettò  delle  frasi  tronche, 
brontolò  fra  i  denti  delle  parole  incomprensibili,  e 
tutto  finì  come  certi  uragani  di  Luglio  che  si  pre- 
parano con  ammassi  spettacolosi  di  nuvole  e  di- 
leguano in  pochi  borbottamenti  di  tuoni  lontani. 

Ed  era  sempre  stato  cosi,  da  che  quella  bene- 
detta figliola  aveva  avuto  l' uso  della  ragione, 
volendo,  disvolendo,  facendo  tutte  le  carte  lei, 
mangiando  come  il  pane  il  babbo,  la  mamma, 
i  fratelli  che  lavoravano  peggio  di  ciuchi  e  che-  ne 
subivano  il  fascino  e  le  monellerie,  contenti  di 
vederla  crescere  bella  e  prosperosa  a  quel  modo, 
consolandosi  l'uu  coll'altro  colla  solita  speranza: 
In  fin  de'  conti,  sarà  l'appoggio  di  casa  col  bel 
matrimonio  che  farà! 

E  anche,  quando  qualche  mese  più  tardi, 
quello  che  era  preveduto  accadde  e  l'accaduto  non 
si  potè  più  nascondere,  tutto  il  furore  compresso 
d'Emilio  sfumò  come  una  bolla  d'aria,  restò  li 
mezzo  rimbambito,  vaneggiando  e  bamboleg- 
giando, senza  saper  far  altro  che  buttar  le  brac- 
cia al  collo  della  sua  vecchia  e  singhiozzare  in- 
sieme come  due  anime  perse. 

Quanto  alla  ragazza  non  ci  fu  verso  che 
aprisse  bocca  per  spiegarsi,  ma  per  paura  del 
fratello  prese  la  strada  e  se  n'andò  facendo  ca- 
pire che  si  recava  a  Firenze  alla  Maternità. 


-  147 


La  sera,  il  vecchio,  consiglia tx)si  anche  coi 
suoi,  fece  un  cor  risoluto  e  andò  alla  '  villa.  II 
Pavesi  aveva  finito  allora  di  desinare  e  leggeva 
il  giornale,  fumando,  sdraiato  in  una  poltrona 
di  giunco.  Era  solo. 

—  Che  c'è,  fece  di  malumore  allo  chaujfeur 
che  gli  annunziava  la  visita  del  confinante;  che 
c'è  ora  di  nuovo?  un'altra  gallina  schiacciata? 
La  cosa  comincia  a  puzzarmi  leggermente  di 
ricatto...  Ah!  vuol  passare  a  tutti  costi  e  vuol 
parlare  a  me  solo?  Ma  bene!  contentiamolo  sua 
eccellenza!  Introducetelo. 

Emilio  rimase  sull'uscio  rigirando  il  cappello 
fra  le  mani,  poi  fece  un  passo  innalzi  senza  se- 
dersi sulla  seggiola  che  gli  accennava  il  Pavesi. 

—  Io  vorrei  sapere,  cominciò,  come  la  in- 
tenda di  regolarsi  questa  volta! 

~  Come  quell'altra.  Siete  in  contravven- 
zione. Imparerete  a  non  guardare  le  vostre 
pollastre. 

—  0  cosa  c'entrano  le  pollastre? 

—  Ma  di  che  cosa  parlate  allora? 

—  Io  discorro  della  mia  figliola! 

—  La  vostra  figliola!  0  cosa  c'entra  la  vo- 
stra figliola?  Oh!  aspettate...  credo  di  capire.... 
ho  capito,  via,  ho  capito  tutto...  E  avete  il  co- 


-  148  — 

raggio  di  venire  a  romper  le  scatole  a  me?  Io 
ne  ho  fin  sugli  occhi,  ecco,  di  voi,  delle  vostre 
galline,  del  vostro  podere,  della  vostra  famiglia! 
Ma,  perdio!  —  e  il  Pavesi  alzatosi  in  piedi  la- 
sciava andare  un  pugno  sulla  tavola  facendo 
tremare  bicchieri  e  coltelli  —  Ma  perdio!  quando 
non  si  sa  custodire  le  galline,  quando  si  lasciano 
i  conigli  in  giro,  quando  si  da  piena  libertà  alle 
ragazze,  quando  si  è  scemo,  come  siete  voi,  non 
può  succedere  diversamente! 

—  Lei  ha  milla  ragioni... 

—  Ci  avevi  preso  gusto  a  quei  fogli  da  cin- 
que per  ciascuna  delle  vostre  pollastre  tuberco- 
lose, eh?  ci  avevi  preso  gusto  a  farvi  pagare 
uno  scudo  sonante  quei  vostri  coniglioli  gialli 
per  l'itterizia,  eh?  E  invece,  saresti  stato  voi 
che  avreste  dovuto  pagare,  perchè  eravate  per- 
fettamente in  contravvenzione!  Più  imbecille  io, 
a  darvela  vinta  ! 

—  Lei  ha  mille  ragioni... 

—  Ed  ora  cosa  mi  state  a  seccare  colla  vo- 
stra figliola?  l'avevi  a  guardar  meglio,  la  vostra 
figliola?  Cosa  volete  che  ci  faccia  io  se....  se.... 
se...  ma  non  mi  fate  discorrere,  ma  non  mi  fate 
arrabbiare,  ma  non  mi  fate  andare  il  sangue 
alla  testa! 

—  Lei  ha  mille  ragioni... 

—  E  se  ho  mille  ragioni,  cosa  ci  siete  ve- 
puto   a   fare?  A   interrompermi   la   digestione? 


~  149  — 

Maledetto  il  giorno  in  cui  mi  saltò  l'estro  di 
comprare  questa  bicocca.  Basta!  non  sono  il  dia- 
volo. Sentirò  io,  parlerò  io,  probabilmente  ;  ma 
non  vi  ci  attaccate,  veh?  probabilmente  rime- 
dierò  io,  e  fra  qualche  giorno  vi  saprò  dare  una 
risposta ,  ma  ora  fatemi  il  sacrosanto  piacere  di 
levarvi  di  torno,  perchè  io  pago  le  tasse  come  voi 
e  più  di  voi,  e  ho  diritto,  capite?  il  pieno  diritto, 
di  fumare  il  mio  sigaro  in    pace.  Arrivederci. 

E  se  n'andò  nell'altra  stanza,  sbatacchiando 
la  porta. 

Emilio  uscì  all'aperto,  rimbecillito,  battendo 
negli  stipiti,  cercando  d'aspirare  quant'aria  po- 
tesse perchè  gli  pareva  di  soffocare,  mentre  nel 
cervello  gli  risuonavano,  gli  s'incrociavano  fa- 
cendogli balenare  scintille  davanti  agli  occhi, 
tutte  quelle  parole  strane:  Le  galline,  i  coni- 
glioli,  la  ragazza,  le  tasse  e  il  sigaro!  0  cosa 
c'entravano  le  tasse  e  il  sigaro  in  quella  faccenda 
li  ?  !  Ma  sarebbe  andato  fino  in  fondo  a  costo  di 
farsi  ammazzare!  In  fin  dei  conti  non  era  acqua 
da  occhi...  E  con  che  modi  glielo  aveva  detto! 
Pareva  che  avesse  ragion  da  vendere! 

Quando  però  il  giorno  dopo  andò  a  cercar 
dei  Pavesi,  la  villa  era  chiusa,  non  c'erano  più! 

Emilio  chiamò  il  figliolo,  gli  fece  vedere 
la  porta  della  villa  chiusa,  e  gli  sussurrò  sor- 
damente all'orecchio:  Ha  fatto  scappare  il  fi- 
gliolo...  l'ha    mandato   all'estero,   quel   mascal- 


-  150  ~ 

^one!  e  il  giovane   rispose  con  una   frase  sola,   ^ 
sintetica  e  torva:  Ho  capito... 

Il  pezzo  di  via  provinciale  che  coiiduceva  alla 
villa  era  composto  di  due  svoltate  secche,  a 
serpe,  del  percorso  d'un  chilometro  ardito.  Ai 
lati  i  campi,  in  faccia  ed  in  fondo  i  campi;  di 
case,  quella  d'Emilio  soltanto. 

Per  qualche  mese  consecutivo  i  due  uomini, 
Emilio  ed  il  suo  figliolo  maggiore,  furono  intenti 
ad  una  curiosa  bisogna. 

Il  giovanotto  appiattato  all'ultima  svoltata 
vicino  alla  villa,  teneva  teso  un  filo  di  ferro 
attraverso  alla  via,  legato  a  un  albero  all'altra 
estremità. 

Il  vecchio  nascosto  dietro  la  siepe,  a  quell'al- 
tro gomito  della  strada  di  cui  dominava  un 
pezzo  notevole,  stava  attento  ai  rari  veicoli  che 
venivano  da  quella  parte  e  appena  li  avvistava 
faceva  un  fischio. 

Il  figliolo,  sia  che  vedesse  lui  qualche  per- 
sona o  un  barroccino,  sia  che  sentisse  il  fischio 
paterno,  lasciava  cadere  il  filo. 

Ma  una  volta  o  l'altra,  (e  nei  voti  era  che 
ciò  succedesse  di  notte)  sarebbe  arrivata  l'auto- 
mobile dei  Pavesi  colla  solita  velocità  fantastica, 
allora  il  padre  avrebbe  fatto  due  fischi  invece 
d'uno,  il  giovanotto  avrebbe  legato  il  filo  all'al- 
bero accanto  a  sé  e  sarebbe  fuggito,  mentre  i 
viaggiatori    del    primo    sedile,    sarebbero    stati 


-  161  - 

conciati  per  il  dì  delle  feste  da  quella  mannaia 
invisibile  tesa  da  un  capo  all'altro  dello  stra- 
dale all'altezza  prevista  e  calcolata,  e  l'automo- 
bile in  balia  di  sé  stessa  avrebl>e  finito  per 
isfracellarsi  chi  sa  dove. 

Vendetta  da  contadi  dì,  agguato  da  volpi. 

Era  un  crepuscolo  roseo  trasparente  e  lumi- 
noso quando  la  sirena  ben  nota  ai  due  uomini, 
fece  udire  in  fondo  alla  ripida  scesa  il  suo  lungo 
ululato  d'avviso.  Emilio,  col  cuore  che  gli  si 
schiantava  nel  petto  si  protese  fuori  della  mac- 
chia facendo  solecchio  delle  mani  alla  fronte, 
mentre  il  figliolo  rapido,  tendeva  il  filo  pronto 
ad  annodarlo. 

Un  altro  ululato  più  vicino  e  la  gran  mac- 
chia rossa  apparve,  eran  loro!  Emilio  mise  le 
dita  in  bocca  e  cacciò  due  fischi,  facendo  l'atto 
di  fuggire.  Ma  subito  s'arrestò  paralizzato  dallo 
spavento,  coi  capelli  rigidi  sul  capo,  col  busto 
eretto^  fuori  della  macchia  senza  curarsi  che  si 
scopriva,  finché  gli  si  sciolse  la  voce  e  colle  mani 
disperate  e  colla  parola  smozzicata,  agitandosi 
come  un  ossesso,  andava  urlando  :  Fermate  !  fer- 
mate!... Che  sull'automobile  aveva  visto  la  Li- 
duina  col  bimbo  in  collo,  lei  in  carne  e  in  ossa! 

Ma  la  gran  macchina  abbandonata  all'im- 
peto della  corsa  furibonda  strisciò  fremendo  e 
scomparve  mentre  Emilio  s'abbatteva  pesante- 
mente come  colpito  da  un  maglio  sul  capo. 


—  Ì62  — 

Quando  si  riebbe  e  riapri  gli  occhi  vide  me- 
ravigliato come  se  si  destasse  da  un  sogno,  le 
mura  scabre  della  camera  scalcinata  e  i  santi 
coll'olivo  attraverso  tutto  nero  di  mosche,  e  i 
travicelli  spioventi  colle  ragnatele  ad  imbuto  e 
laggiù  ili  un  cantuccio,  nell'ombra,  la  figliola 
die  piangeva  col  capo  appoggiato  al  cassettone 
e  accanto  il  fratello  corrucciato,  e  interrogò  co- 
gli occhi  ansiosi  la  sua  vecchia  che  gli  si  chi- 
nava amorosaniente  sul  viso. 

—  Ma  ditemi  la  verità  !  0  cosa  è  successo  ? 

—  E'  la  Madonna  santissima  che  ci  ha  fatto 
la  grazia!  Da  un  male  invece  è  nato  un  gran 
bene!  La  Liduina,  sapete?  farà  la  signora... 

—  Come  avete  detto? 

—  Capite?  la  sposa! 

—  La  sposa?  Dio  Eterno!  Lui?  il....  si- 
gnorino?! 

E  si  alzò  sul  letto  annaspando,  frenetico 
dalla  commozione;  ma  la  moglie  fu  pronta  a 
ghiacciargli  l'eccesso  dell'entusiasmo: 

— ■  Ma  che  signorino  d'Egitto!  o  non  avete 
capito  ancora  di  chi  si  tratta?  Si  tratta  di  quello 
che  portai  gambali  gialli....  insomma  lui...  lo 
«  scioffè  ».  Ma  l'è  quasi  la  stessa.... 

Emilio  rimase  un  poco  interdetto,  scrollò  la 
testa  arruffata,  poi,  come  chi  piglia  un  partito, 
con  convinzione,  concluse:  Ci  ho  piacere  anche 
cosi,  ma  specialmente  per  le  galline.... 


IL  FALCONE 


!•• 


IL    PrtLCOMC. 

Enorme,  la  tenuta  di  Gabbiano  si  stende, 
come  un  gran  mare  di  pini,  a  sinistra  di  chi 
vada  verso  la  Val  di  Greve,  l'antico  feudo  dei 
Buondelmonti,  dove  ancora  troneggia,  rotondo, 
nella  sua  pietra  forte  {morta  come  la  chiaman 
laggiù)  oggi  tutto  bucherellato  d'abitazioni 
come  un  alveare,  il  castello  di  Montefioralle  ;  e 
di  fronte,  ampio  scenario,  si  stendono  le  grandi 
montagne  del  Valdarno  superiore  e  dell'alto 
Chianti,  la  Panca,  Gaville,  San  Michele  Vis 
Domini,  Dudda,  la  Golpaia,  Radda.. 

Quanti  sogni  ho  sognati,  giovinetto,  nella 
vasta  tenuta  solitaria,  al  sonoro  urlo  del  libec- 
cio, aspettando  le  lepre  alla  posta  della  ci- 
pressa,  d'onde  non  vedevo  che  un  confuso 
rovesciarsi  di  acute  fronde  di  pino  costrette  e 
tormentate  dalla  raffica  implacabile! 

Quanti  sogni!... 

Una  sera,  stanco  e  affamato,  mi  avvicinavo, 
col  carniere  vuoto,  alla  storica  osteria  del 
u  Passo  dei  Pecorai  « 


—  158  — 

Passano  di  là,  colle  greggi  lente  accennate 
dal  campano  di  bronzo  che  rintocca,  i  pecorai 
irsuti,  feroci  nello  sguardo  reso  acuto  e  vaneg- 
giante  dalla  gran  solitudine,  i  pecorai  adusti 
dalla  pelle  risecchita  per  le  intemperie  come 
quella  delle  mummie  per  il  tempo,  i  pecorai 
che  la  selvaggia  libertà  atavica  goduta  a  pieni 
polmoni  nelle  selve  rende  anche  capaci  di  de- 
litti come  quello,  che,  non  è  molto,  fu  com- 
piuto da  un  di  loro,  vicino  alla  badia  a  Passi- 
gnano,  dove  i  G-hirlandai  dipinsero  e  un  d'essi 
ruppe  col  piatto  il  muso  arcigno  a  un  frate 
che  li  faceva  patire  di  cibo  e  di  bevanda. 

Mi  affrettavo  sotto  lo  scirocco  che  pareva 
minacciasse  di  cedere  a  un  acquazzone  torren- 
ziale, di  quelli  che,  secondo  dicono  i  cacciatori, 
fanno  piovere  l'acqua  grossa  come  le  schegge, 
quando,  sul  limitare  del  bosco,  al  di  sopra  del 
velluto  mobile  dei  pini  agitati,  richiamò  la  mia 
attenzione  un  gracchiare  acuto  e  uno  svolo  di 
uccellacci  neri, 

I  corvi,  precursori  delle  nevi,  fuggivano 
per  il  cielo  livido,  cacciati  innanzi  dalla  tem- 
pesta e  dal  freddo,  come  tante  anime  dannate; 
ma  era  poi  la  tempesta  sola  che  si  li  incalzava 
alle  spalle? 

Ed  ecco  io  vidi,  di  contro  a  uno  strappo 
giallo  di  nuvole,  nera  croce  oscillante  sugli 
invisibili  flutti  del   vento,  un  falco,  un    falco 


-  167  - 

come  non  ne  avevo  visti  mai,  enorme,  e  1  corvi 
e  il  falco  venivano  verso  di  me  colla  velocità 
della  vertigine,  soffiati  quasi  dalla  furia  del- 
l'uragano. 

Istintivamente  mi  nascosi  dietro  il  tronco 
di  un  altissimo  pino  e  aspettai,  in  ginocchio, 
cogli  occhi  rivolti  alle  nubi. 

Il  tronco,  poi  che  la  gran  chioma  irsuta 
era  squassata  dalla  mano  formidabile  del  vento 
che  vi  aveva  introdotte  per  entro  le  invisibili 
dita  e  l'arruffava  e  la  sbatacchiava  a  sua  posta, 
andava  torcendosi  e  scricchiolando  fin  nelle  in 
time  fibre,  mentre,  come  per  lo  spasimo,  la 
crime  acri  di  resina  parevano  colate  allora 
lungo  la  scorza. 

E  i  corvi  passarono,  sfiorando  la  cima,  col 
fragore  d'  un  traino  fuggente,  e  dietro  a  loro 
apparve  il  largo  petto  dell'astore,  giallo  e  nero, 
librato  sull'ali  remiganti  e  guidato  dalla  gran 
testa  .piatta  col  becco  ricurvo. 

Un  tonfo  secco;  e  il  falcone  balenò,  non 
cadde  ;  (la  carica  s'era  smorzata  contro  le  pro- 
digiose piume  del  petto)  un  altro  colpo,  e  una 
ala  penzolò  come  una  mano  inerte,  e  la  gran 
bestia,  seguendo  l'impeto  del  volo,  precipitò  in 
avanti,  fino  ai  miei  piedi. 

Ora  giaceva,  l'uccello  superbo,  prono,  ad 
aie  aperte,  la  testa  eretta,  l'occhio  rotondo  or- 


__  158  — 

ribilmente  flammeo,  il  becco  spalancato,  gli 
artigli  rattratti. 

Come  ucciderlo?  Sparare  ancora,  sull'iner- 
me, sul  caduto? 

Calpestare  col  tacco  ferrato  quel  re  del- 
l'aria, ancora  sì  formidabile  nell'atteggiamento 
magnifico  col  quale  pareva  prepararsi  a  morire? 

Ristavo,  poggiato  al  fucile,  compreso  d'am- 
mirazione e  d'angoscia,  finche  un  rumor  roco 
mi  giunse,  un  rumore  affannoso  e  rabbioso  che 
si  faceva  sempre  più  lento  ;  il  suo  rantolo,  il 
rantolo  del  barbaro  signore  della  selva  che  mi 
agonizzò  e  mi  spirò  ai  piedi  senza  mai  disto- 
gliere dalla  mia  la  sua  terribile  pupilla  piena 
di' sanguigni  riflessi  de'  tramonti. 

Spazzate  le  nuvole,  il  vento  cedette  al 
trionfo  d'un  raggio,  tutto  il  bosco  si  placò  nel 
sopore  d'  un'estasi  ineffabile,  e  sulla  campagna 
tornò  ad  incombere  l*afa  di  quel  pomeiriggio 
di  primo  autunno,  un'estate  di  San  Martino 
foriera  di  piovaschi  e  di  beccacce... 

Intanto  io  mangiavo  nel  cantuccio  oscuro 
dell'osteria,  sgranavo  le  bruciate  odorose  e  le 
annaffiavo  con  quel  vino  frizzante  che  ha  il 
profumo  dei  fiori,  mentre,  d'intorno  a  me,  una 
diecina  di  cacciatori,  barbe  incolte,  capelli  un- 
ti, giubbe  verdognole,  mani  nodose  come  ceppe 
di  querciolo,  palpavano,  soppesavano,  ammira- 


—  169  - 

Vaao  il  falcone  ucciso,  ammonendomi  ch'io 
avevo  ammazzato  a  dieci  cacciatori  n. 

Fu  la  mia  volta  allora  di  spiegare  a  quella 
turba  come  si  trattasse  di  un  raro  esemplare 
di  sparviero,  di  falco  Perugino,  di  quelli  che 
s'adoperavano  nel  Medio-evo  per  la  caccia  delle 
starne,  e  come  e'  fosse  raro  nei  posti  nostri, 
e  come  l'arei  fatto  impagliare... 

Vedo  ancora  la  meraviglia  dipinta  su  tutti 
1  volti,  mentre  io  seguitavo,  spiegando  cosa 
fosse  e  dove  s'appiccasse  il  geto  o  lacciuolo 
delle  gambe,  e  dove  il  cappuccio,  e  come  il 
falcone  si  lanciasse  dal  pugno  ch'ei  ghermiva 
sul  guanto,  coi  grandi  artigli,  non  appena  il 
falconiere  aprisse,  con  un  moto  rapidissimo 
della  mano,  le  cinque  dita  a  ventaglio. 

E  ricordo,  sopra  tutto,  l'incredulità  alla 
spiegazione  ch'io  fornivo  a  que'  buoni  moderni 
selvaggi  del  modo  di  richiamare  il  falcone  sul 
pugno  chiuso  per  mezzo  del  logoro,  l'arnese 
di  cuoio  e  di  penne  che  quei  cacciatori  medio- 
evali erano  cosi  esperti  in  far  frullare  a  gui- 
sa d'ala. 

Ma,  pure  increduli,  mi  eran  grati  e  io  do- 
vevo, quasi  per  forza,  bere  a*  que'  loro  bicchieri 
il  vino  arzente  che  mi  dava,  l'entusiasmo  e 
l'eloquenza,  mentre  dipingevo  colla  parola  e 
colla  fantasia,  all'attonito  gruppo  oscuro  river- 
berato dalla  fiammata  del  camino,    chiara  ai 


—  Ì6()  — 

tniei  occhi  come  se  l'avessi  avuta  dinanzi  in 
un  arazzo,  la  cacciata  alle  starne  descritta  dal 
Magnifico,  in  piena  state,  quando  u  pare  appic- 
cato il  foco  in  ogni  stoppia  n  allora  che  u  il 
mondo  ardeva  in  guisa  d'  una  torcia  v. 

Infine,  acclamato,  trionfante,  pieno  di  vino 
e  di  forza,  uscii  colla  mia  preda  e  mi  parve 
che  d'attorno  a  me  la  giocondità,  la  gaiezza, 
la  vita,  si  effondessero  dalle  macchie,  dai  tor- 
renti, che,  fatte  persone,  balzassero  fuori  delle 
cortecce  come  le  finzioni  mitologiche  dell'an- 
tica poesia  pastorale;  e,  così  infiammato  di 
furore  e  di  delizia,  sognando  di  Pan  l'eterno 
e  ascoltando  la  voce  di  Siringa  in  ogni  avena, 
mi  fermai  a  respirare  in  una  radura  ampia, 
dove  poche  pecore  brucavano  silenziose,  più 
qua  e  più  là,  il  terreno  avaro,  e  una  pastora, 
classica,  dall'anche  possenti,  i  capelli  brevi  e 
scarduffati,  le  narici  larghe,  i  denti  bianchis- 
simi come  gelsomini  e  gli  occhi  neri  come  le 
more,  filava  facendo  ogni  poco  prillare  il  fuso 
con  un  gesto  che  Sandro  Botticelli  le  avrebbe 
rapito.... 

E  mi  parve  che  qualche  Morgana  miraco- 
losa tramutasse  troppo  facilmente  in  verità 
palpabile  le  mie  visioni  e  mi  parve  il  tempo 
di  levar  fuora  il  grande  sparviero,  sicché,  im- 
pugnatolo alla  meglio  per  le  zampe  rattratte. 
nello  spasimo  dell'agonia,  gettato  il  fucile,  mi 


-   161  — 

posi  a  declamape  non  so  che  di  monti  e  foreste, 
di  bocche  ardenti  e  di  immense  solitudini  sotto 
cieli  più  liberi,  di  natura  e  d'amori  silvani.... 

Ahi!  che,  radunate,  colla  verga  che  faceva 
da  manico  alla  rócca,  le  scarse  pecore,  la  pa- 
stora, tra  spaventata  e  ridente,  riduceva  ora 
la  greggia  su  per  l'erta  del  monte  verso  il 
fumo  d'un  casolare,  e  il  tramonto  urgeva,  pau- 
roso come  non  mai,  carico  di  vapori  fumanti 
e  di  valanghe  di  fuoco  che  crollavano  in  silen- 
zio ne'  cieli. 

Tornava  a  ululare  il  vento  tra  i  grandi 
pini  della  selva,  e  l'ombra  fasciava  tutte  le 
cose  con  una  nebbia  violetta  sempre  più  cupa 
e  densa. 

11  falcone  giaceva  in  terrà  con  un'ala  tesa 
e  l'altra  ripiegata  su  sé  stessa,  come  una 
gamba  tronca. 

Anco  nell'ebbrezza,  travidi  il  mio  destino 
e  mi  si  gelò  il  sangue  nelle  vene,  e,  rifluen- 
domi improvviso  al  cuore,  mi  fermò  il  riso  e 
la  voce  sul  labbro. 

Perchè  la  bella  e  pura  forma  era  scomparsa 
nell'opaco  languore  del  crepuscolo,  e  il  grande 
sparviero,  dominatore  di  spazii,  giaceva  li,  sul 
terreno  ignudo,  rigido,  spennacchiato,  con  quel- 
l'ala mutilata  che  io  stesso  avevo  infranto  in 
un  delirio  orgoglioso  d'inutile  conquista. 


indice: 


Bestie  e  cristiani Pag-  7 

Caccia  grossa »  21 

II,  MlGHERINI n  85 

Contrabbando »  43 

Il  giogo »  5',) 

Un  uomo  felice •»  75 

La  zanzara .  !»  89 

Un'avventura  di  venti  anni  fa n  103 

I  DELFINI !»  115 

Storia  d'un  gatto i»  131 

Lo  SCIOKFÈ '»  141 

II  falcone »  155 


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