Google
This is a digitai copy of a book that was prcscrvod for gcncrations on library shclvcs bcforc it was carcfully scannod by Google as pan of a project
to make the world's books discoverablc online.
It has survived long enough for the copyright to expire and the book to enter the public domain. A public domain book is one that was never subjcct
to copyright or whose legai copyright terni has expired. Whether a book is in the public domain may vary country to country. Public domain books
are our gateways to the past, representing a wealth of history, culture and knowledge that's often difficult to discover.
Marks, notations and other maiginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journcy from the
publisher to a library and finally to you.
Usage guidelines
Google is proud to partner with libraries to digitize public domain materials and make them widely accessible. Public domain books belong to the
public and we are merely their custodians. Nevertheless, this work is expensive, so in order to keep providing this resource, we have taken steps to
prcvcnt abuse by commercial parties, including placing technical restrictions on automatcd querying.
We also ask that you:
+ Make non-C ommercial use ofthefiles We designed Google Book Search for use by individuai, and we request that you use these files for
personal, non-commerci al purposes.
+ Refrain from automated querying Do noi send aulomated queries of any sort to Google's system: If you are conducting research on machine
translation, optical character recognition or other areas where access to a laige amount of text is helpful, please contact us. We encourage the
use of public domain materials for these purposes and may be able to help.
+ Maintain attributionTht GoogX'S "watermark" you see on each file is essential for informingpeopleabout this project andhelping them lind
additional materials through Google Book Search. Please do not remove it.
+ Keep il legai Whatever your use, remember that you are lesponsible for ensuring that what you are doing is legai. Do not assume that just
because we believe a book is in the public domain for users in the United States, that the work is also in the public domain for users in other
countries. Whether a book is stili in copyright varies from country to country, and we cani offer guidance on whether any speciflc use of
any speciflc book is allowed. Please do not assume that a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner
anywhere in the world. Copyright infringement liabili^ can be quite severe.
About Google Book Search
Google's mission is to organize the world's information and to make it universally accessible and useful. Google Book Search helps rcaders
discover the world's books while helping authors and publishers reach new audiences. You can search through the full icxi of this book on the web
at |http : //books . google . com/|
Google
Informazioni su questo libro
Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google
nell'ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.
Ha sopravvissuto abbastanza per non essere piti protetto dai diritti di copyriglit e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è
un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico
dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l'anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,
culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.
Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio
percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te.
Linee guide per l'utilizzo
Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili.
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa
l'imposizione di restrizioni sull'invio di query automatizzate.
Inoltre ti chiediamo di:
+ Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo cotìcepiloGoogìcRiccrciì Liba per l'uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo
di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali.
+ Non inviare query auiomaiizzaie Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti
invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l'uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto.
+ Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla.
+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall'udlizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di fame un uso l^ale. Non
dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un
determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe.
Informazioni su Google Ricerca Libri
La missione di Google è oiganizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e finibili. Google Ricerca Libri aiuta
i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed edito ri di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web
nell'intero testo di questo libro da lhttp: //books. google, coral
^
V
JS_.__
••AJM, A<K_.^ ^ Ih -.
V
OF THE
UNIVERSITY OF CALIFORNIA.
tM.440 • ctes
A<^7?
!
ARCHIVIO
GLOTTOLOGICO ITALIANO,
DffiETTO
DA
G. I. ASCOLI
VOLUME QDARTO.
>" \.\ ■■ '■ •^ ' ^
- .
ROMA, TORINO; FIRENZE,
ERMANNO LOESCHER
1878.
"N
V.' # -»,
■. ^ *
-: v... V
»^.. <» «
Riservato ogni diritto di proprietà e di traduzioDe*
« rf '
\
N..
W. V •
MILANO, COI TIPI IH i^ BBBNARDONI.
SOMMARIO.
Morosi, I dialetti romaici del mandamento di Bova in Ca-.
labria Pag. 1
Morosi, Il vocalismo del dialetto leccese » 117
D'Ovidio, Fonetica del dialetto di Campobasso • 145
Joppi, Testi inediti friulani, dei secoli XIY al XIX ...» 185
Ascoli, Annotazioni ai ^Testi friulani' » 342
Ascoli, Cimelj tergestini » 356
Flbghia, Del libro di B. Biancbi sulla preposizione a . . » 368
Stobm, Etimologie » 387
Ascoli, Il participio veneto in ^esto n 393
Ascoli, Altri ablativi d'imparisillabi neutri 398
D'Ovidio, Giunte e correzioni • . . » 403
D* Ovidio, Indici del volume » 412
Fondazione Diez 425
91440
dialeW^aici
DEL MANDAMENTO DI BOVA IN CALABRIA,
DESCHI Tri
DA
G. MOROSI.
AVVERTENZA PRELIMINARE.
Iq una rapida escursione, fatta sullo scorcio della passata prima-
vera (1873) per il mezzogiorno della provincia di Reggio di Calabria,
ho potuto toccare le colonie neo-elleniche ivi ancora superstiti. Si tro-
vano esse lungo la fiumana deirAmendolea, fra la Torre del Salto
e il Capo Sparti vento, e son queste che ora enumero: 1. Bova (dai
naturali chiamata Vùa)'j 2. Condofuri con Amendolea {Amid-
dalia) e Gallicianò, suoi casali; 3. e 4. Roccaforte (Fum), e
Rochudi o Rofudi, co' due loro casali Chorio di Rochudi e
Chorio di Roccaforte. Queste terre, insieme con Africo, che
appare di stirpe come di lingua affatto italiana, oggi compongono il
mandamento di Bova. Una quinta colonia era Cardeto, nel territo-
rio di Gallina, in fondo alla valle solcata dalla fiumana di S. Agata;
ma r avito linguaggio, ancora vivo e vegeto a Bova e nelle terre
circonvicine (1-4), ò pressoché spento a Cardeto, dove soli due o tre
vegliardi, e incompiutamente, lo serbano ancora. Dei dialetti del man-
damento di Bova, e di quello del capoluogo in ispecie, potei procac-
ciarmi tanto materiale che valesse a darmene piena contezza; ma di
quello di Cardeto non mi fu dato di raccogliere se non scarsi, come-
chò preziosi^ frammenti. Ora mi accingo a qui descrivere i primi,
prendendo per tipo il bovese vero e proprio, cioò il dialetto del capo-
luogo. Del cardetano, che ha, in buon dato, sue note proprie e spe-
cifiche, tratterà una particolare Appendice. ^
Nella esposizione de' fatti fonetici, morfologici e lessicali del bovese
e de' dialetti contermini, mi fermo naturalmente, di preferenza, su ciò
che appare lor proprio, non toccando di ciò che essi hanno comune
col^ linguaggio generalmente parlato nella Grecia tranne quel tanto
che sia opportuno per mostrar la relazione in cui rispetto a questo
essi si trovano, acciò se ne possa ricavare qualche lume circa le ori-
gini di cotesti coloni. — .La voce greca che fo immediatamente sus-
seguire alla bovese, alla rochuditana, ecc., o è la romaica comune,
che do nella sua forma intera e genuina e contradsegno, ove non
ricorra tal quale pur nella lingua antica, con la sigla re, od ò forma
romaica teoricamente ricostrutta, e allora la contrassegno coli' aste-
Archivio glottol. ital., IV. 1
2 Avvertenza preliminare.
risco. Quando poi mi occorra citare la voce antica, la pongo tra pa-
rentesi. — Le varianti per le quali dal bovese divergono i dialetti di
Rochudi e Ghorio di Rochadi, Roccaforte e Chorio di Roccaforte,
Oondofuri ed Amendolea e Gallicianò, le noto appiè di pagina sotto
i numeri corrispondenti del testo , indicandole rispettivamente per
roch., chor. di roch., rf r., chor. di rfr., condf., amend., gali.;
e insieme colle varianti offro dai dialetti medesimi quant* altro mi
paja giovare alla illustrazione del bovese. — Mi accade poi spesso di
ricorrere alle opere che cito abbreviatamente nel modo che segue:
Muli. = Orammatik der griechischen vulgàrsprache in histor. enttoi^
ckeluvg di F. W. A. Mullach, Berlino, 1856;- Comp. = Saggi de* dia--
letti greci deW Italia Meridionale pubblicati dal professore D. Gom-
PARETTi, Pisa, 1866;- Oiv. ^ Studj sui dialetti greci della Terra
d^Otranto, di G. Morosi, Lecce, 1870;- Deffn. => iVeo^rraeca, disserta-
zione intorno alla fonetica del romaico volgare, che il dott. M. Deffner
ha inserito jiel 4.® voi. degli 'Studien zur griechischen und lateinischen
Grammatik* editi dal Curtius (Lipsia, 1871);- Gypr. = Tà KuTtptaxà, di
Atanasio Sacellario, terzo volume, del quale, sebbene stampato in
Atene fin dal 1868, solo quest'anno ho potuto prendere conoscenza. -
Le poche voci del dial. di Sira, che allego qua e là, ho io raccolto
dal labbro di un nativo.
Quanto a' saggi di letteratura popolare che da me o per mezzo di
amici ho potuto raccogliere, pubblico de* canti di Bova que' pochi sol-»
tanto che non si sono prima d'ora pubblicati; i canti di Gondofuri»
di Roccaforte e di Rochudi, tutti inediti, pubblico tutti; come tutti
i proverbj e i motti, la più parte de' quali spetta a Bova e a Rochudi,
sì perchè, tranne uno che è riportato ne' Saggi del professore Com-
paretti a pag. 95, inediti anch'essi, si perchè i più ne appajono di
stampo schiettamente greco.
Adempio in fine a un dolce dovere col ringraziar pubblicamente,
quanto so e posso, la egregia famiglia del dott. Giovanni Viola e il
dotto sac. don Domenico Puliatti di Bova, i signori fratelli Tropeano
di Gondofuri, il signor Antonino Sgrò sindaco e don Giuseppe Cento
maestro elementare di Roccaforte, e il sac. cav. don Giuseppe Greco,
l'ottimo sindaco di Rochudi, che tutti agevolarono il mio compito
con ajuti e gentilezze d'ogni maniera. Particolare gratitudine devo
anche al bravo studente bovese sign. Giuseppe Viola, il quale mi fu
prezioso compagno nella mia escursione e mi ajutò validamente anche
in appresso, nell'opera di rivedere e di rendere in ogni parte sicuro
il materiale raccolto.
DIALETTO ROMAICO DI BOVA DI CALABRIA.
I. APPUNTI FONOLOGICI.
Vocali toniche.
A. 1. Sempre intatto, salvo in vrùpako ranocchio, da vótr- (cfr. à
P(5Tp- e pòpTaKoc Cypr. 255) = pàrpaxo;. I. 2. Intatto, salvo in i
petto cado, anche re. 'Tcifrtù {t^I%x<ù) , ove ha probabilmente in-
fluito la vocale del tema wst-, che si continuava nell'aor. (indie.
éppesaj cong. na péOf imperat. pése, re. sxecra ecc.) ; e salvo in
ajólupo avena selvatica re. alytXùwca; (-wij/). T. 3. Suona < di ó
regola, e pure in esempj dove le colonie otrantine o la Grecia
danno u. Citerò: miga mosca re. (jtOya (pia), stko (tOxov, aste-
riga penna re. Trrspouya allato a TTTepGytov (Tcrépu^), hinno verso
{hjùnno Otr. 100) x^^^» proziimi lievito wpo2[óp.tov, spondili ver-
ticillo cnrovXuXtov, fiddo foglia <puXXov, jp/ra calore eccessivo *7n>pa
(wupà), «pio sonno utuvov. 4. Raro «i = 6: ^«u tu ró (cfr. esw
Otrant. 125, e lo zac. sxio6 [*èT6] Muli. 98), kurUpi vaso rotto,
coccio *)cop67ciov (cfr. ^xop6wa 'u$p£a, dTàpa', Cypr. 314), agrù-
staddo gomma che geme dalle piante nostrali re. xpo6<rr- (xp6-
oraXXov), e forse kiini porco *x6[a]viov less. Ma in sarmùra
salamoja non si continuerà Tu del' classico àXppCc, bensì Vu del
lat. ^muria'; cfr. Dibz less. s. moja, e (raXafxoQpa allato ad dXfJLOpa
nei dizion. romaici.— In azzùnna ^svegliati' la tonica può es-
sersi determinata dalF atona del pres. indie, azzunnào è^u7rvé&>;
cfr. num. 21. E. 5. Di regola è intatto.— Per i in à può i
citarsi àndera interiora evrepoc. Ma àngremma precipizio, ^r-
gamma coltura de* campi, tràklima Tatto del coricarsi, apo-
vràma - * apovràmima risciacquatura, kuzzotràpano schiena
della falce, ripetono V à dalle atone di angremmizzo re. èy-
xpsjxvC^o) (xp7i{jt.v(2[ù>), ar gazza èpyà^w, trakléno e trahlénome
1. roch. sakhohrévatto ^sacco del letto, pagliericcio', il cm é:=d {^p&^oL-^
toc) 6i ripeterà dair^ nell*àtODa dì kreòàtU x/oaj3arcov.
2. chor. di roch. ha Vi così turbato che si confonde quasi coire: telégo
raccolgo il filo in gomitoli, re. rxikCytó (-eero-w), ecc.
4. roch. e rfr. curi padre *xjou/o- = xu^eoc; cfr. ctiri Otr. 100, zac. t^ov/oc
Deffii. 301, e il num. 22; condf. apperùa^ho'f. asteriga.
4 Morosi,
*rpexXatvtó less., apovrc^mizzo *à7:opp£Y[Afc^o> (da àTrdPpeyjjLa), tra-
pani falce-Spewàvtov. 6. Di ()-=:£ ho i seguenti esempj: ótimo
gravida stoijjlo; 'pronta', óssu dentro sao) ed ózzu fuori zI<ù, ór-
minga tenia (*eX(j!.iv9a), Kaliòrga nome di fondo 'Bella-coltura'
(cfr. kalorghia Otr. 159, e re. xaXoupyéa) allato a '^aX^ispY^cn) e
xaXXtspyeta) ; per la qual vicenda si confrontino i dial. di Amor-
go, Calimno, Creta, e lo zaconio, in Muli. 92; il ciprio ib., e
Cypr. 345: o^uttvo?, opywua, (xdatptXov = (jiécrTr-, ecc. 7. In animi ar-
colajo re. àvéfiTi avrà influito la tonica della corrispondente voce
'i^ (d'origine greca) de* dial. ital. del luogo: nimulu. H. 8. Di
regola ha il suono re, cioè i: tmiso mezzo riatGo; (-u;), tljo
sole r\kiQ;; sculici lombrico oxtóXihxiov, alipia verità àXTiOsia,
nipio infante re. vnTwtov (-o;), klima vite xX^ipta, ehhrtzzo valgo
5^pYi^tó, A}'o Sottra S. Salvatore, n. di fondo, re. ayto; Stór^lpa;
((jtoTYip), ecc. 9. Rarissima V é = ^y che nelle colonie otrantine
è cosi frequente. Occorre in népo filo, d'accordo col re. yvéOo)
(via9(o), e quindi na néo aor. congiunt., nése, nésete aor. im-
perat., nei aor. infin.; inoltre in téddeho tale e tanto *TifiXuo;
less., e in rèma lido del mare *^'ny(/.a (pYiypLd;).— L'^ di na
mapéo, mapésete, mapéi *và [xaSYido ecc., aor. cong. ecc. di
mapénno imparo (xafta^vco, e di n' azziporéo, azziporésete , az-
ziporéi *và è^-uTTop-nacù ecc., aor. congiunt. ecc. irreg. di zèro io
so re. è^supo), ripeterei dall' ^ atona degli aor. indie, emàpesa,
azzipóresa. E quanto ad anèforo salita e katèforo discesa, non
li porrei = re. àv^cp- xaT7i(p-, ma bensì = àva(9- e xaraf^-, che vuol
dire, per la solita vicenda delle preposiz. àvà xarà ?rapà ecc.,
^ = àvàcp- e xaTàcpopov (cfr. àva(p-, xaracpopà). O. 10. Di regola ò
intatto.- L'u di t;Mi bue, rudi melagrana, è anche dei re. pouX-
pouXtov = p6S- f 6S- = potS- potòtov ; e così quel di hukiimmaro, cor-
bezzola, ritorna nel re. xouaapov (xdpi.-). Ancora mi son notato:
hùnduro corto xdOoupo^ less., putte donde wd6sv (e Vùa Beva).
Per Vù di afùda 'ajuta tu' è da considerare Tu nell' atona
{afudào poYiOecù); e analogamente per Va di ràkkato, tosse, l'a
neir atona {rakhatizzo n. 37). 11. LV = Ó di èzzimo, tardivo.
9. rfr. néma fìlo, anche ve. vijxoc (v^jiasc) e p^/lEa pasta di latte rappreso
(7r>?xTi5); — rocb. plérosi maturanza i:l'hp' (ma cfr. Tatona del verbo pie-
ranno e delKagg. dplero n. 34).
Dial. romaico di Bova. VocalMoniche.
X
è comune al re. %p.o; (S^-). o. 12. Si continua di solito per ó. ù
Ma è u non Solo in gliidio ^[uovo] covato, imputridito', re. y>.ou-
Sto; e <JY>.o6Xto; (cfr. x>.a>?^&>, x\(oS-, 'gloeidare', quindi ^covare le
uova'), e nelle desinenze, anche re, de' verbi contratti: -{ime
'iisi^^iùiLvi -fici (n. 275; cfr. n. 42); ma eziandio in khùma terra
Xwjjia (plur. khùmata spazzature)^ khùnno sotterro re. j&'^tù
(/^(óvvufjLi), vùla zolla "^éik-n (PoAo?); cfr. o6 zacon. = c!) DefiFn. 293 seg.
Ma Vù di arrùstiy plur, di àrrusto malato àp^oxiTo;, proverrà
dall' àtona; cfr. n. 42. Dittonghi. 18. Non si diverge dal ditt.
re. se non per 1' ^=ot di ponocéddaro dolor di stomaco (cfr. péo
woto; e réhko xotpo;, Otr. 101, 3), dove è però da notare che
ceddàri stomaco, *xoi>.àp6ov less. , ha T ^ nelF àtona ; - e ancora
per Vó = o\j di ótu cosi, o&tw;, che però anche altrove mostra l'ou
turbato (cfr. ttu otr. 153; cipr. £T?[ou,-rc. érì^i, Wjt(ù(si). Di tèsto
tale, certuno, v. il n. 257.
Vocali àtone.
A. 14. Si riduce non di rado ad e. In sili, protonica r iniz. solo a
in ettù costi (cfr. sòtoO di Zante e Cefalonia, Deìfn. 320) aìrroO,
ed ettùndo cotesto re. a'>ro6vo to;- mediano, essendo la tonica
uh a; lekàti conocchia re. àlty.- (Yi>.axàTTi), krevàtli letto xpa-
Sàrtov, [jenàri gennajo re. Eavouàpio;], velàni ghianda paXàvtov,
alestào abbajo 0Xa)CTé6>, stennàto casseruola (cfr. aTeyvàTov in
una pergam. greco-italiana del 1097, Trincherà, Syll. graecar.
memhran,, Napoli 1865) *<TTa(jLvàTov (da cràpo;); e anche es-
sendo àtono pur l'a della sillaba susseguente: Peravivo, n. di
fondo (allato a Vivo), *napaptpov;- inoltre: fent comparire 9av5i-
[vai], kalameri stoppia *)caXau.ap(ov ; aJijerónno incomincio *àp-
j^ap^vft) = re. àpj(^ap(^w (apyw). Di rado in sili, postonica : tèssera
quattro, forma del ciprio moderno, Tscaspa?, e dell'antico jonio. —
15. i = a in spipto spesso *gtzql9ìoi; less., sotto l'influenza dell'i
tonico. 16. o = « in RohKùdi n. loc. *'Pap6Stov, cfr. re. ^xyn
14. chor. di roch. ó in kroodtti (cfr. n. 16.); condf. serdnta = rc, e
bov. *ar-, stremmdda lampo ^d^rpaypt.,^ Maddeleni ìlotySoàvìvri, serfó cugino
bov, sarfó *ì5«^e>fóc; dhjera malamente *ax*iO«, gàdero asino re. yà^a-
^oc; rfr. Perakhorio n. fond., addo per'ettu[nó] * altro che cotesto' (ma
addo par'emmé altro che me) , andklema orlatura *àvòtxXaa« (cfr. anakld3;zo
io orlo, ant. àvaxlàu).
[16. roch. spaldssi = boy. spol^.]
6 Morosi,
(P^x^ol) 'rupe' (cosi ^Roccaforte' dicesi da* naturali Vum re. pou-
viov 'monte'; due voci: rakRùdi e vunt^ che nel linguaggio
odierno di queste colonie hanno perduto il loro significato co-
mune); e prima o dopo lab.: zofràta lucertola "^(laupà^oc (del dial.
di Sira = re. (rocOpa), possali cavicchio TuaddàXiov, e spalassi spino,
dumo, se è = *à(j7raXà6tov {molóKji ^malva' ritrova, allato a jjia-
^^X^» anche {J-oXó-pi e nella moderna e nell'antica Grecia).—
17. w = a, dopo f», in munitàri fungo, re. (jiaviTàptov (cfr. à(Aa-
vlTai); innanzi o dopo X: kungultzio solletico (ove è u,^per
assimilazione, anche nella prima sillaba) yapyaX^o), kuluvriiio
i insulto (xoXa^pC^o)). I. 18. Mutato in e: kreàri ariete )cpiàpiov,
deléguo scelgo &£[a]X- = StaXéya) ; - pepami palmo mO(X(x.7i (dwiO-),
skalesttra sarchio axaXKJTifipiov, skotemmó vertigine awoTKipid^ ; -
téd^eko n. 9; arte adesso. («pTt), metapàle di nuovo *pLeTà-7cà-
Xtv; 19. in u: perduéia erba parietaria re. wspSixàxiov (wep&fattov) ;
e vurvupunia sterco di bue *PoXpiTivta, ove il primo t si è alte-
rato sotto l'influenza della labiale e riusci alla sua volta ad
u alterare il secondo. T. 20. Di regola si continua, come nel
re. , pel spono* i : sikóti fegato re. <7ux(i>tiov, fitéguo pianto f u-
Teuco, krifà di nascosto xpu^à (-fi), civérti alveare *)cupé6piov less.,
cinigào caccio fuori *xuvTaY^, klirisàfi oro x?^ck(fi,o>i (xp^<J<fe)>
piriàizo mi secco al fuoco *7cuptà^6> less. , zikhró freddo ^XP^»
Jinnó nudo yujjLvó?, fiddàci fogliolina 9uXXàxiov (96XX0V), ecc. —
21. Ma abbiamo u dopo innanzi a lab., in fy,shònno cresco
re. 9ucncdvci> gonfio (cfr. (p6<T3cri), farina frittella *(pup£vYì less., tnif-
jdnno sommergo, con Vu pur nel re. ^ouréS (^uÒàb>), ^ujTpdri
vaso di l^no per latte *3tu7càptov less., stuppi stoppa, con l'w
pur nel re. (jT0U7u£a (dTuwfov), a:£^zunnào è^uTuvéo). 22. Ancora m
17. end f. Artivdeet = bOT. hret)- n. 14; e aef4/uifc7io grillo = b. asidlakho^ re.
18. ehor. di roeh., gali, e endf. di eontinno e- e: cf^anlsfra = boy.
dian- *St(ityoix^poL less. ^regolo di legno con cui i tessitori tengono aperta e
distesa la tela sol telajo* ; setdri frumento =: b. sit- <7(r-, feldo bacio = b. fil^
ftXé^, Ma roch. téddiko.
19. gali, percucia persico = b. percikia; cndf. hjuonizM nevica = b. hjon-
21-2. roch. éuvérti^ gali, e rfr. ^uvérti = b. civ^; cndf. guhhró = b. j^ìAA-;-
roch. sunnodidÀzo accompagno *a-vvo^ccéS&>, sténnaridAso confino e pascolo sul
confine tra due poderi *avvo/otd??w ; r f r. Sulitnaci e SwHpdri n. fond. = b. Sii-.
Dial. romaico di Bova. Vocali àtone: v. 7
dinanzi a l, in tulupédda fascetto di lana da filare (cfr. re. t^ou-
Xou^iov ciocca di capelli, Tou>.ou7ra fiocco di neve [to^òttti]), lutU'-
nari bitorzolo, cioè *(ulunàri (cfr. tuXo;) e limómulo molino' a
vento *àv£(jL(>(xu>.o; (ove però agiva anche la lab.); e dopo s, in
sucta flcaja <ru3t£a, sunnefiàzzi n. 32, surdo fischio aupi^^o), sulàvri
fischietto re. cupà'Awv. Finalmente rukamzzo stritolo, con u pur
nel re. poux- (pux-) ; e sufi truogolo, curiaci domenica, <yKu<piov e
xuptaxT, (cfr. n. 46; Otr. 100, Defih. 300 seg.). 23. a = u: zarizzo
gratto ?opi?[co ($6fe>), iasteWcfa pipistrello vuxreptòa. 24. ^c=u: 55-
ftamenó gelso moro m>xà(Jttvov, fermika formica re. ptepfA'fiyxa allato
a (AupjjLYiyxiov (u.6p(XYi;), cfr. n. 135-6; óhjero paglia (pure Otr. 100,
allato ad àhjuro ; e ciprio) appov, pitera crusca (id. Cypr. 367)
re. TcÉTOupa (TciTupov). Ricordo i zaconii &evo»jp.eveaSuvà[jLevo;, SaTreXe
= SàxTuXo;, xo6TeX£=)t<To\o.:, ecc.. Muli. 95, Deffn. 294 300. 26. Per
st = UT, e u9, V. il num. 1 10. - Ma tt (= /?) = ut è in g/tó ettùndo del
n. 14. 26. Nel riflesso di eùvouj^i^to (a tacer di à gusto, re. auyou-
(TTo; agosto) Tu è caduto: anuRizzo. Ma munu^A^W, maiale,
sarà fAVou)^^- = (pvou)^^- « [s]ùvou/àpiov, con quella vicenda che appare
caratteristica del dial. ciprio (Muli. 90) , dove abbiamo [xvouy (^a>
pel solito eòvoujf^- (cfr. Cypr. 343) e Xàjxvto = èXauvco. E p-ouvou^^CJ^cw
(xouvouyàpiov, che occorrono anche ne'dizion. romaici, vi proven-
gono sicuramente dal ciprio.- Di u<i, v. il n. 113. 27. L*u di ul
up, suona V, come nel re, ed è un t? che a formola interna suol
geminarsi: vlogào benedico z(}koyi(ù, avvìi cortile oLòlio^^plev-
vró fianco TrXeup'Jv, àvri domani ai5piov, névvro nervo veOpov; fin
zofràta^ num. 16. 28. L'u di u(/. uy;/. utjx ora cade, come in kàma
caldura xaOfjia e kaméno 'bruciato, misero' re. 3tau{xévo^, rema-
tiàizo erutto èpeuyix-, ^jfomóm polmone, pur del re, = 7rveup.(Jviov,
zéma e zemadàri bugia e bugiardo re. ^[lx e -aTapTi; (t{;6u<ypLa) ;
23. gali, taromizzaro = bov. tiromizz- irimlzzi 4* ultima e peggior qua-
lità di cacio che si fa nel kassdri cascina (^casearium)' *T\jpoiivi^viBpo'j
688.; rfr. tarohhdjena^b, tiro fa}- grattacacio n. 203.
24. chor. di roch., gali, e cndf. quasi di continuo e = v (cfr. n. 18):
Pegatéra figlia = b. dikhat- (Ouyar-), fesdi soffia fuua ecc., telégo avvolgo
= b. tilizzo rvXiytù (-eWw), terofdjena^ ecc.; rfr. e roch. 5tAamfnd, ma t?er-
mici re. [irjpfiYiyxtov.
27. cndf. fiviwro'= boy, mdvro nero re. tiotOpoq^ tvvra-h. ivra trovai re-
•flU^X (iVjOOV).
8 Morosi ,
ed ora si assimila al y.^ come nei pari. pass, de' verbi in -éguo
(-eóo)) , per es. fitemméno piantato re. (p'j-reufjL-, pistemméno cre-
duto re. niarvjiLho;, ecc.; e nei nomi verb. esprimenti Fazione o
l'astratto de' verbi stessi: pràndemma matrimonio [ùjTwàvSpeujjia,
pràstemma scopa (a Roch. ^spazzatura') "'Tpàorp&ufxa , fttemma
piantagione fuT&ufjLa, vasilemma tramonto del sole ^aai^sufta,
pistemma ^credenza, credito' w((7Teu(xa, hiiremma tosatura )tp6-
z peu{;.a. Cfr. il parallelo che si offre al n. 75. E. 29. A formola
iniziale suol perdersi senz'altro o succedergli un a irrazio-
nale, V. i n. 162 e 169^. Si odono ancora, ma raramente: ehatò
cento é;càT<iv, ecino quello èx^elvo^, allato ai soliti katò, cino.
Solo è costante Te di ennéa nove e di érkome vengo ep^oj^ai:
erhómesta ecc. 30. Mediano; passa in a dinanzi a p: laràn--
ghi arancio re. vepàvr^iov, karparutò fruttifero dal re. xapwepfJ?,
lastarida n. 23 vuxreptòa, parpatò (cfr. Cypr. 357) wspiwaTcS,
sakkarizzo scuoto il sacco (7ax}c&X(^a> ; e sporadicamente anche
innanzi ad altre consonanti: lahàni (cfr. Cypr. 323) Spentola per
cuocervi il latte da farne cacio' ^exàviov, rahhuddào russo re.
foyaXi(,(o {^iy/jù), trakló ^curvo, piegato, coricato' re. TpexWc,
[matàzzi seta, re. [xerà^iov, trova nel mgr. e (jiéTa^a e (xàra^a];
trapani falce e trapanizzo Spsxàviov ecc.; ammialó cervello
re. \L\joi\6^ (fiueV) , candónno, allato a cendrònno innesto Jtsvrp- ;
àlatro aratro (pure Otr. 162) re. aXerpov (cfr. à^erpsótó maci-
no); 31. passato in i sotto l'influenza di attigui suoni palatali
palatili: arcinikò maschio àpaeviKcS^, zimbili doppio sacco che
si pone a cavalcioni della bestia da soma "t^stcOiov less., azzi"
listrào sdrucciolo re. ^syXudTpàw, anizzio nipote àvevj^tó?, aspri'-
nàzo imbianco "àorT^peviàZ^o), anàsilà a ritroso àvàtnceXa; cui
si aggiungono céite voi bruciate xaCcTs e kléite voi piangete
x>.a{eTe; 32. passato in o dinanzi a labiale, in parasogut ve-
nerdì wapacrxeuifi, zogvAri giogo l^euyàptov, jomònno empio *Ye-
{AÓvcd (yep'f^w, cfr. n. 72), zomatizzo riscaldo le vivande, allato
a zéma brodo, re. ^s{AaT- ecc. ; apovromizzo immollo, allato ad
apovramizzo, *à7coppeY(jL(^co less. , ostro nemico = *oflró (èxOp^) ;
sinnofo nuvola (ma sunne fiàzzi il cielo s' annuvola) re. rówe^ov
82. rfr. para$egui\ roch. -a^wi.; endf. -ti^ui, cfr.n. 14e 17;- cndf.
porpdSio^ rfr. parpató (y. il testo al n. 30), dove sussegue a labiale.
Dial. romaico di Bota. Vocali àtone: >, >?, o.
(cfr. cuwé^w ecc.) ; - e ancora in oddio ghiro tkzvi^' (cfr. òXcuOspo?
= è>i569- di Amorgo e Calimno, Muli. 92; e cfr. zac. Deffn. 310). —
H. 33. Ha di regola il saono re, cioè t : pigàdi sorgente Tr-nyàSioy, ti
stimóni 'trama, tessuto' cTT,fA-, nisiéguo digiuno vricTauo) ; ptzzilo
bellissimo (kTc0^7{ko(; ^invidiabile'), matfrópilo 'terra nera, umida e
fertile' *p.aupo-7r7iX(ic, ecc.' Sé. Suona e in es. che per la più parte
son pure del re: ceri cera xnp- e xepfov, Jerdo invecchio yrp- e
ytfal^(ù (yifipàw), nero acqua vvip- e vepdv, ir^ró duro Svip- e 56p(5?,
j[)terónno io maturo wXtipdvcij (-òw), hamatert giorno di lavoro xa-
(AaTYìpà iìpi.£pa, kamaterùddia 'nuvolette che nelle giornate calde
di estate si alzano dalla parte del mare ed annunziano pioggia
vicina' *)cau(jLaTinpo6^a, sidero ferro <j($7ìp- e cCSepov, àplero im-
maturo *S^X7)po;, tutti esemplari in cui Tt) sta innanzi a p;-
inoltre: ahgremmizio precipito re. èyxpcpt^w (>cp7ipi^a>) col
derivato dngremma; ed emàpesa azzipóresa, allato a emdpia
azzipória, aor. di mapénno zèro, n. 9. Ma in énnesa, aor. di
népOt si continua V é^i^ tonico, n. 9. 85. u=y) innanzi a ^ (cfr.
n.22): vupulia vacca '^^ouO-nXeCa less., zulta 'avversione, odio,
nausea' col verbo zulónno, ^rikU (^5SXo;) ecc., Mavrópuld n. fond.,
allato a mavrópila n. 33. 36. a -ti finale: zala strido ^ÓLkm
less., damala giovenca ^aa&Xia, tm/a "^Xti n. 12, kàmpa bruco
re. xàfAWTi e 3cà(Awta, t?rd«to febbre cipr. Ppàorìi, i^«te caldo re. ?l£-
oTYi e ?^é<rra, skltpra ortica re. àT?[txvtòa (xvtòn); ma jRòmi Roma,
aspri bianca (e 'cenere') re. àcrTcpTi, megàli grande (jLsyàXifi. —
0. 87. Di rado riflesso per a (cfr. n. 160, 169 e Areh. I 105): o
ìnanahM solo (cfr. ^cm\yi6^ Cypr. 336) (xov-, rakkatizio tossisco
*PpoyxaTt?^c«> less., karrastó polverio 3copvtaxT(J? (xovioprd;) ; e forse
piazzi flocco *9Xoxx(ov less.; 88. f =o, per assimilazione regres^
slva: zikhinia camicia da uomo {zihkini a Roch.), se è « ^tJ^o^^t-
v(a eco-, less.; 39. e» o, ancora per assimilaz. regress.*. ajenneró
34. cndf. hhameddó basso ;(fltfA>}>óc, hann'eméra fa giorno re. xóvct ^^iiipot^
M<iddaleni léocySoìXvivri ; a ite vrdsta dalla febbre re «frò tìqv ppàaron^ tte spéra
stasera re. TauT)}[v] ri7[vj[i]o-7r>joav, ove tte è proclitico; mi (ore che tn non
vegga re. va fi-h ^up^n^^ mi trésese che tu non corra re. va fiii t^c^y}?; cfr. i
nnm. 18 e 24 in n.; roch. e rfr. hTlamiddó.
85. rfr. srénnulo puzzolente *òl^a[vvt'koi less.
37. cndf. vaghe go io pago re. poytvtù* roch. hìiarapia allegrezza *x^~
poniot. less.
89. rfr. Ajerróhho^ Ajelléo^ n. fond. (S. Rocco, S. Leone).
10 Morosi «
acqua santa ayiov vepcJv, invece del mgr. e re. ayiacfjLa (otr. ajòm--
ma). 40. t«»o: hucci acino re. xoxx(ov, aftidào ajuto pelop. pooO&s
(PoYjGécù), klupànni 'pannilino' dimin. del re. x[a)]X67cavov, tulu--
pédda n. 22, luvt -àci 'guscio, baccello' re. Xouptov (X6po;), ftuiw-
t?rtiio n. 17, kuriipi *xop6iftov n. 4, sunghizio detergo re. (rooDyy-
(<7(poyyi?I(«)) , rumhuli monticello di forma conica *^o(jlPo6Xiov (cfr.
rCi f<5(xPa>.ov, ant. f^Jf^po;, rombo), muskàri vitello jAo<r)^-, murtàU
re. (AoupTàpiov (mortarìum); vurvupunta n. 19, tjwr/ierdcfa cali-
gine ^^op^opàSa less., doppio esempio; Mvuro granchio re. xà^ou-
pa^. (xà(jLopo;)y e finalmente vutumo frutex palustris (PoÒTOfAcv). -—
' tó n. 41. = 0), che è la regola; p. e. foni voce (pcùVTi, Rimonta bica
di grano OiQp.(>)vba -ovCa, ;;om/ pane ì^(ù\lIom. 42. u=(i) con più fre-
quenza che ne*dial. otrant. e nello zacon.; cosi alupiida volpe
re. à^ouTcoO (àXcùTTifi^) , hufó sordo re. xcxxpcJ; xou9(i; (xcof (>^) , mt«-
diàzio dentibus stupeo 0LÌ\uù^i(fX^(ù (-ià(d), pulào vendo xct>>ia),
pulàri puledro e puddàci uccello re. wouX- = 7c<aXàpiov e wcoXàxiov,
• skuria ruggine e shuriàzzo irrugginisco re. axoup- (<7x&>p£a),
purró mattino re. woupv- (7cp(ùi'v(5v) , arrustta malattia e àrrusto
malato óL^^cùorlx ecc. cfr. n. 12; ajólupo n. 3; -urne -usz = -cofiiev
-oxTi, 1. e 3. pi. pres. cong., p. e. na liume^ na Itusi re. va
XufftójjLcv, va ^6<Touv, cfr. n. 12; — finale: hàtu giù xaTtù, apànu
su èxàvo), opi^^u dietro Ò7r(<7a>, óssu l<7o> ed ();2;;2;u &^6> n. 7, ó^u
ouTCì);; ma kàotte di dietro xàT&>Oev, ed apànotte^ óssotte, ecc. -~
43. e=<ù solo in àtrepo (àntrepo Otr. 162) àvffpcoTuo;. 44. An-
che qui il solito espandimento in aguó uovo e asti orecchio,
ditt. re. aOydv e aÙTfov (cwdv e ou; òTcJg). Dittonghi. 45. Iniziali
dileguano, n. 162; mediani, suonano di regola come nel re. ~-
46. Singole divergenze: i = at in cinùrghio nuovo re. xaivo6pyioc,
cfr. n. 31 ; - a = ei in zalistiri naspo *€5si^t>tTYipiov , cfr. il cipr.
à7rs£Xi;^Tpov pel re. Tu^iyàSiov;- w = ei in aposurònno faccio sco-
lare i panni bagnati ((reipécd exsicco) e in lutrujia la Messa (cfr.
XouTopxia Cypr. 333) ^eiToupyta, allato a Litrivio n. fond., cfr.
40. roch. kurraftó = bov. karrastó n. 37 (cfr. u=a, n. 17); cndf. dumd-
da = h, ddom- settimana ijS^o/x-, cfr. Dum. 32 □.
42. chor. di roch. arrostia e àrrosto\ roch. óto\
48. cndf. otesi oÙTGatr/.
40. roch. e gali. s%listiri\ chor. di roch. lutrijia (cfì-. lutrikia e lu-
tria Otr. 160).
Dial. romaico di Boya. Consonanti: x. 11
n. 22 e 35;* e infine: ^ = oi al n. 13; u = oi innanzi a labiale in
cumùme dormo xoi[jLào(j(.ai, cfr. n. 22.
Consonanti.
K. 47. Intatto^ con suono gutturale, innanzi ad a, o (o)), ou:
kàstano castagna xàdTocvov, kónida lendine re. x(ivi^a allato a
xovbd^ (xóvi;), hólo yuSiko^, hùnduro n. 10; lekàti n. 14, plàka
pietra grossa e piatta TrX&xa, pléko -urne -usi intreccio ecc.
T^yhxù ecc., Uko lupo Xuxoc. 48. Unico es. di ^/^«x: akJiaHa son-
nolenza, se è '^[à]xap£a less. 49. Intatto, innanzi a >. e a p : hlànno
rompo (xXào)), kladi ramo xXaSiov, klidi chiave xXeiStov, hléo
piango xXaCco, A^ójpo torco xX(ib96>, klupànni n. 40; trahló n. 30,
éklasa ruppi sxXaca, ^ftZo piangevo (IxXaiov) , ecc. ; kràzzo chia-
mo xpà^^ct), kripàri orzo xpiO-, kremastó appeso xpe(jt-, krommidi
cipolla xpop.(jt.6$iov (xpd[x.(iLuov), hrùnno suono xpoucA; ékrazza chia-
mai Ixpa^a, maki'io lungo f^axpc^c» ecTc 50. Solo in glùdio n. 12,
onde gludiàzzo, e in agfùstaddo n. 4, ò gl^^ick. Qui ò dunque
eccezione ciò che è regola nel re. 61. Ma qui pure abbiam
sempre ng = yx come è nel re. , benché nella scrittura non vi
appaja (cfr. n. 82 e 102). Cosi : angalia abbraccio re. àyxaXfa,
dangànno mordo re. SayxàvG) (Sàxvco) , àngremma n. 6, ecc. ; e
analogamente: eh gàio ò buono re. eVxaXdv, me tin gefalih
gdtu colla testa giù re. (x.è ttiv xe9aHv xàro), pleh gàljo 'più
meglio' 7cXé[o]v xàXXtov, '$ Uh Olisti alla Fontana (xXetdTfi, or-
mai ridotto nel bov. a nome proprio).— Àncora h g^^yf. innanzi a
P vocalizzato: gvÀddo traggo fuori èx^à^^co, guénno esco èx^aC-
vft), gualizzo carreggio re. x[ou]Pa>.i?[(o. 62. S'ha inoltre t?rf=*yS
axS (Otr. 104): vdérro scortico re. y&épva> (èxX£po>); cfr. n. 74. —
63. cft'/ò io mostro non dev'essere ^*^tLyi(ù = SeCxco (SeCxvup), ma
bensì una riduzione di *difno (cke è dell' otrantino) = ^zlyiytù
(donde a Roch. dikRo io appajo), come vàfo tingo, re. id., kléfò
rubo, krtfo nascondo, sono riduzioni di vàftOf kléfto, krtftOt
Pà7wT6>, X>Ì7UT6>, XpÓTUTO). Del X di XT X(7, V. il u. 110. KE
Kl. 64. Il X di queste formole, qual pur sia la ragione etimo-
logica dell' ^ dell'», si fa di regola e: éitrino giallo xiTpivo;,
cicidi 'bacca, grano, spicchio' re. xnxtòiov, doppio es., civérti
48. cndf. alekhdpi = bov. [a]lekdU, ahhdppiazzb. akdppia re. àxàO- (ccxdvOea).
12 Morosi ,
n. 20, cinigào ib., cilia ventre xotMa, cino èxslvo;, cinòmio tra-
vaso (xoivdco), hucct xoxxfov, glicéno addolcisco e glicio dolce
yXuxaCvco ecc, peléói scure TreXéxtov, ?^a lupi Xuxot, cefali --n testa,
ceW cera xTipCov, céndri innesto xévxpiov, ce 5ta(, c^o brucio xafc),
kaloééri estate re. xa>.oxaiptov, éuriaci e éumùme n. 22 e 46l Cosi
è spesso palatale il x, nelle stesse formole, fra i Zaconj, i Locrj,
gli Ateniesi, i Beoti, i Cretesi e i Ciprj (Deffn. 266). 66. Fanno
eccezione: filikin. S7,eprikéno amareggio *^ptxaivcd = mxp-, allato
airagg. pricio. E ne'seg. esempj, di formola àtona, il x, susseguito
da un ; sottilissimo, è rimasto come a mezza via tra il suono
guttur. e il palat. : kjeró tempo xatpd? (allato a kaloééri s. cit.) ,
kjiddio curvo, torto xuXW$; [fendikji spiraglio nel tetto per dar
passàggio al fumo o all' aria e alla luce = *fendiki = re. (fzyyiTnq],
e nella flessione: plékji e plékjete TÙhx^^q ecc., stéhji e stékjete
re. «rrixet; ecc., n'afikji e n'afìhjete re. v'à9ix7i$ ecc., emblhjina
ed eguikjina n. 283.— Anxsora avvertasi lo zz di ézzero^zx^-
xaipo? n. 111/ 66. Notevole prekòpi, albicocco, cioè 'praecoquus'
mgr. Trpaixòxxiov DiBZ less., ma non oserei affermare, senza ulte-
riori argomenti di prova, che qui v* abbia un esempio per la nota
equazione jp « At?. 67. È raro il caso di g-Hi^: fagàda ^tratto
di terreno coltivato a lenticchie' quasi *9axYjàSa, kugàdi bitor-
zoletto *xouxxtàxiov (ofr. kucci n. 54, e Otr. 102). 68. Ma dopo
nasale, comegf=ft, cosi^=c: on^fa- oncia mgr. e re. oOyytà (uncia),
ungàri uncino (*ÒYxtàpiov) , me Un gefalin gàtu n. 51, ecc. —
69. Da sé procedesi poi a 5: sépi copertura «rxéTCYi col verbo se^
pazzo, asldi otre à(rx£8tov (àcrxd;), vosào pascolo *po<yxjàa) (póoxto)
e paravosla pastura, parasogui n. 32 ; iso ombra re. tcntiov ((ix(a),
damàsino prugna Saf^adxiavòv, kósino crivello xti<7xivov (v. Otr.
103, 8).
X. 60. È khf vera aspirata gutturale, innanzi ad a,o((o),ou*:
hhàmme a terra x^f*"^'» KMraka Burrone n. fond. (x«paS),
khartl carta ix^lo>i, kJióra paese x^?**» khórto erba x^P''^?»
55. Per il bovese peréikia persico , che appare di base italiana : e n d f. e
gsilh percticia. Ancora cndf. embicina^ egu{cifM;~ roch. filicia = h. -ikL
67. ^ = c iniz.: cndf. guvérti = h, éiv^,
QO*. Il gh de* Saggi bovesi pubblicati dal Witte e dal Comparetti non é
altro che uno spediente usato dannativi per esprimere la forte aspirazione
del X'
^lA
Dial. romaico di Bova. Consonanti: X' 13
khùma e hhùnno n. 12; hhaldo ^rovino, guasto' xcfXkiù, kjio-
rdfi podere Esich. e re. j^opàyiov, khorào contengo x^P^J W-
khano cavolo ^.à^avov, trékho corro Tpé^w, rùkho roba re. §oO-
Xov, ecc. 61. Un solo es. di /*=x- foréguo danzo x<«>p£'iw; cfr.
Cypr. 265: y^Tiywvt = y^r.^- P^^t^x^'^ class. 62. Intatto è ancora
dinanzi a X e a p: hhlio ^caldo» tiepido' x^^^ (x^^'^P^O ^^ verbo
khliéno, ekhrizio XP?^^» hhrisàfi xp^^-> KhrtGtó, khróno anno
Xpóv-, kRrondó grosso xovSpcJ?. 63-4. Ma è A dopo ^: ashàdi
fico secco ìaxàS-, PashaXia Pasqua re. naax-, pashdli ascella
(jLadxàXn, mu^A^rt p.oax-; e dopo p: érkome 2pxo(x.at. Del x dì
X6, V. il n. 110. XE XI. 65 (cfr. n. 54). Innanzi a' suoni i ed
^, il X si riduce a li: hinno x^^^* ^*^^ vedova x**^?*» J^^^o lab-
bro x^'^o*» f^i^o poggio yji^'^f Uè zio x^^<«>, Uéri mano x^^o^ (x^W»
paKéno ingrasso Traxaivcù;- oppure a Rj (quasi hs): hjóni neve
Xiiviov, vrahjóni braccio ppax«Jv-, nei quali è veramente un j
etimologico; ahjéddi anguilla re. àx^Xiov {iyj&h};), Kjéri^jifioy
(come héri testé addotto) col valore del re. x&pouXiov manico,
ahjéndra vipera maced. òx^v^pa = èx^^viov- (ex^^va) ; e sempre cosi
in sili, atona, preceda o segua V accento : Kjimóna inverno re.
XeifjLwvag, hjeràmeno allegro x*'P-> Rjeretizio saluto x*V'» oJ^j^"
rónno n. 15, àhjero n. 24, tréUji e tréhjete Tpéx^t? -e'^e, éhjia
versai fx^cra, ecc.;- cfr. i=x ne' dial. otr. 105, ne' dial. zacon. e
ciprio, di Amorgo, Calimno ed Àstipalea, ib. e Defih. 247. —
66. Un solo es.- di ^=x i^ mupiàzzo ammuffisco e mupiamma n.
verb., re, {jLoux^ià^Iw ecc., rimpetto a miikKa muffa re. (toClxXa.—
67. Si arriva poi normalmente a si^cf} (cfr. n. 50): sizzo spacco
61. rfr. e cndf. /br^o=:bov. hhorào\ cndf. na fiappó che io mi riscaldi
= b. na khlappó re. va ^XcovOu; cndf. e rfr. Rofudi n. Ice. (e Ripudi
trovo in una buona carta corografica della provincia, di venfanni or sono)
= b. ItokìiMi.- E di certo anche Kondoftlri n. loc. altro non dev'essere che
^KovTo;(M^cov <quel [villaggio] che è vicino a Bova', che ancora è detta Khóra
città'. Formazione analoga, e ancora con /'=x,d Kataforio=S. Agata (S. Agata
in Kataforio), fra Gallina e Cardeto, più in giù di Cardeto, che chiamavasi
khorio (villaggio) nel greco di quei luoghi (laddove Gallina era la hhóra).
65. gali, hjéri pi. hjéria mano -ì-^jonUizi^ allato a /i;dm, = bov. hjoniizi,
irei = b. tréhji.
* Kovro^ùipi chiamano oggi in fatti un villaggio a cinque minuti da ♦i'/9«, capol.
deir isola di Thera (Bursian, Geographie von Qrieckenland, II 528).
14 Morosi,
ffjlZ^iùf sini ^giunco, corda di giunco' d^oiviov, sinàri lentisco crxi-
vàpiov, àsimo brutto &<jxxjxo5 (jkayiiiiuùyi) , ecc. 68. Ma -rA-=-px-:
arhidi òpxtòiov (Sp^t?) , come al n. 64 ; e nel!' aJijerónno testé
allegato (n. 65 ; àpx*) deve il p esser caduto prima che potesse
influire sull'aspirata.
r. 69. Intatto, con duono gutturale, innanzi ad a, o (a>), ou:
gàia latte yà^a, gònato ginocchio re. ydvaTov, giilo gengiva
re. youìcov; W^'do ho freddo f'.y£(ù, agr^j^t e agapia amore -ti,
tigàni padella Tiayàv-, zigó giogo (gen. ifgrli) ^uyc5?, trigoni tor-
tora Tpuy(iv-, ep'ó io èyci; p^g^O ghiaccio '7:àyo$, Kgro poco ò^{yo?,
ré(7a re re. ^"fiya;, ^r^^o vendemmia TpCIyo; (Tpòyn), na /ìgro ch'io
fugga re. va (pOyo, anf^o apro àvotyco, m^t^a grande (it.éya;, lógo
parola XfJyo;, fró^o e trógusi mangio ecc. Tpày© ecc.; éfaga
mangiai re. e9aya , pèlago allagamento TréXayoc , ^/ìfl'a fuggii
re. lyuya, dio^'O cavallo re. àXoyov. 70. ft = y è in hiimba tasca
*yo6(x.:ra a mgr. e re. -rtouyya, hunguUzzo n. 17, «pJftoma spago,
legacciolo {sflgoma Otr. 167) <y<p(y[o][x.a , fùhoma nero fumo (cfr.
re. <pouy(5; lumiera); 71. A^ = y in kkoràzzo compro àyopà?[ft>;
e in astralàkho rotella del ginocchio à^jTpàyaXo?; e ancora cfr.
il n. 84 n.; 72. f=y in zaforéguo confesso, da j^aA/Lor- c= è$a-
yopeucd. 73. Intatto, innanzi a >. e a p: glòssa lingua y>.(d<T(7a,
glicèno y^uxa£vfi), aor. eglicana ; f^rdi/ò scrivo ypà<pc«>, impf. ^p^ra-
/a; gróppo pugno ypdvOo;; ecc. 74. Assimilato a S in amld"
dalo mandorla àjxòySaXov, Maddalinl MaySa^Yivifj ; e all' incontro:
vdérro n. 52, cfr. n. 75. 75. Manca il y, fra vocali: in pào
[Oj^àytó io vado, [na] fio ch'io mangi [va] ^àyw, come in tutte
le altre voci del rispettivo loro tempo;- dinanzi a >.: in %u-
rizi *y^uKuf ^i?^iov a -6f ^i?[ov, dove però non è improbabile un'in-
fluenza dell' ital. 'ligorizia, regolizia', e in azzilistrào re. $sy-
>,u(TTpàc«) sdrucciolo. Per la base yj^, siamo poi alla precisa ana-
logia dell' upt (vm), che fu considerato al n. 28, dove è anche
da ricordare il n. 52; quindi: àràma covone (Spàyi^a), pràma
70. cndf. kordxko = b. ATior-;- pendékome mi pento (allato a Mégome mi
raccolgo, kurégome mi toso, ecc.), dove il g di ^éguome si dissimila così dalla
media della sili, precedente;- hrambi suocera = b. gramòl 7«jùt/3^i7;- akro^
nizzó riconosco = \},annùr. *yp<av[i^<a = yvu/o-.
71. gali, hhónaio = b. gón-.
Dial. romaico di Bova. Gonflonanti: 7. 15
cosa ^pày[jLa, spdma uccisione (7(pày(iLa, apovràma ^apovràgma, da
apovramizio n. 32, rèma n. 11 ;- strammàda lampo *à(rrpaY[x-,
animméno aperto *àvoty(iLévo?, delemméno raccolto *Sta>SY(jLévo?,
ecc., rimmata 'getti, polloni' re. p^yj^-, rémma rutto (epsuyiJLa),
j>rÓ5fomma 'comando, commissione' wpd(7Tay(x.a. — Cfr, 'jrpàjAjAaTa
di Sira, e lo zac. ^&(jL(xàpi}ca s ^euyfx- Deffn. 252; e fors*anco an'^
noriiio yv&>p(?i(i). TE n ecc. (cfr. n. 54). 76. Il y ha in queste
formolo lo stesso suono che ha in Grecia, cioè Jijtdi (cfr. ijta
in questo stesso num.) caprio [aljyCSiov, Jin^Àa donna yuvaUay
jinnó yupó;, Jitonta vicinato ysiTovia, ji terra y^, Jénome *di-
vento, nasco' *ysvo[xat = re. y£v-, jélo riso yéXo);, Jéro vecchio
yipo; (yép<«>v), J^o io risano uyia£va>, ijta (pron. ijghjia, e simil-
mente: jghjidi=jidi qui sopra addotto) salute ùyisia, flojizio
abbrucio le stoppie ne* campi dopo il raccolto <f\oyiI,(ù ; plàji
(plàjgkji) campagna in declivio i7Xàyt[ov] Sfianco', e similmente
Rtji Reggio *P*{ìyi[ov], katóji e anóji pianterreno e piano supe-
riore della casa xaTcóy- e àv(2>yei[ov] , Khristójenna Natività di
Cristo XpioTouy&wa, ecc. — Innanzi alle combinazioni àtone -ia
'ie "io 'iUy come in JaW lido [ai]ytaX<i;, djo santo Syto; e ajen-'
nero n. 39, plàja pi. di plàji s. cit., ijo uyio? (ùyei-fi?), éjana
risanai uyiava, lójia parole re. Xóyia, è lo J alquanto più sottile,
quasi /, ma non senza qualche lieve strascico di suono guttu-
rale.- Il ci di ortici, quaglia, risponde al tu di òpTuxiov che ò
pur del re. allato ad òpruy-. 77. Ove poi preceda nasale, ancha
tra voce e voce, suona gutturale pure il y delle formolo consi-
derate nel precedente numero; quindi: nghtzzo tocco èyyi^a>,
singheni cognato auyyev-ft;, spinghi stringhi <7<pfyyet?; *s tan
ghiaia al lido; ecc. 78. Cosi anche dopo p, in arghia festa
àpy£a; ma cinùrio nuovo re. xaivoòpio? xaivoupyto^, V. ancora il
num. 76 in n.
T. 79. Di regola intatto, iniziale e anche mediano tra vocali :
tafi tomba *Ta^(ov, tamissi caglio *Ta[jLi(7tov, tindsso scuoto ti-
vàaGo), tèssera Ticaapa, tosso tanto TÓdoc, tulupédda n. 22, tùto
76. cndt platéhise tu parli *n'XQi[xi]ri^y-ttq (-cvccc) lesa., tróhise ta mangi
T/owyccc, rimpetto a piate go e trd^o, ecc.; roch. inéka:=. b.Jtn-; e sempre
j schietto negli altri es. del n. 72: plàja ^ ecc., come in tjénno re. pycthftn
- b. guénno (imperf. éfghenna ; cfr. n, 76-7) ; chor. diroch. vjinnó yv^Avóc.
16 Morosi,
questo ToiiTo^ (=outo;), doppio es. ; metapdle n. 18, katurizio
3c«Toup(^ù>, pémata ^opere' uomini che lavorano a giornata nei
campi 6é(xaTa, piati pi. piate spalla -e TrXànfi -at, tnàti grem-
biale (a Roch. gonna) {(axtìov, hàiu xàTo», trìti martedì re. TpiTY},
péti dille re. [sìjt^s ttì;, potè allora T^t^re; ecc. 80. Aspirato,
come nel re., in mepàvri dopodimani ((xeraupiov) ; e ancora in
mepémUt mepésu ecc. *con me, con te' *(A£Ta£-(xou ecc. 291, e vur^
vupunia "^oX^mvia n. 19. 81. Iniziale ridotto a media, per dis-
similazione: detràdi mercoledì re. TETpà&Y) ; - fra vocali: shadà
sterco orxaTa, zemadàri bugiardo re. ^J;e[u(T]{itaTàpTj;, foràda giu-
menta re. <popàTa, spidi casa re. [ó]<t77(t(ov. 83. Sempre è poi,
come nel re, nrf = vT (cfr. n. 51 e 102): cendào io stimolo xev-
Tàci), andi subbio &vtiov, pendinta cinquanta '77&vrh[xo]vTa (dove
si dissimila col mantenersi uno dei t) , apandénno io incontro
àTravraCvci) (-ów), Aondt} vicino xovt(5?, panda sempre re. wàvro-
TB^, A'jo Lavréndi n. loc. S. Lorenzo *'Ayto; LxupévTio?, d<in(2t
dente [ò]S<5vTtov, -ónda = re. -(5vTa[c] desin. del pcp. pres. ed aor.
(p. e. Mónda xXafovTa[$], zitionda ^'/\Th<JOYua[;]) , -onefe = -ovTai
-onclo = -oyTo alla 3. pi. del pres. e deirimperf. medio-pass. ; -
-nrfr- = -vTp-: andrépome mi vergogno èvTpé7ro(i.at , céndri inne-
sto "xivTpiov, ecc. 83. Ma dopo p qui ò sempre intatto: kUarti
j^apTfov, marti re. {iiàpTio; (martius), hhórto x^P'^^'» khortàzzo
sazio yopTàJlci) (otr. ftordónno ecc., 105). Cfr. il n. 100 e il 110.
• 6. 84. Iniziale, è di regola p : pàlassa mare OàX-, j&io zio Oeto^,
^to voglio 8éXo), J5^ro messe 6£po; col verbo perizio, ecc. ; e cosi
mediano fra vocali: kripàri orzo xp'.9&piov, spapi asta di ferro
GTvaObv, hapinno siedo xa9C^6>, epélia volli -hOiXirìday ma^^nno
re. (jiaOaivw, pepéno muojo re. àrai9a£v(«), parapili izol^ol^^wì^ na
stapó che io stia re. va ctocOo), kaparizzo purifico xaOap(^o) ; ap^-
^ana aor. di pepéno, -tpina -tpi ecc. = -yiOtìv -tìOti; ecc. desin. aor.
pass., népo vnOci), A^ójìo xX(ó96), ecc. 85. dt = 6 in afuddo ajuto
poYìOico (/idó Otr. 107), dikhatéra figliuola OuyaTépa (cfr. n. 71
e 121); dove sorge il quelito se si tratti di aspirazione tras-
posta non piuttosto di una dissimilazione di figure anteriori
con duplice aspirata. E queste figure appunto si ritrovano in
80. cndf. lekhdpi ^h. lekdti; gali, sipóvlipi scalzi fiSuTró^uroc
81. cndf. delónno avvolgo (bov. HH^ào ru>-), allato a teligo.
84. roch. pigatéra, intatto; rfr. pikhatéra^ gali, afuprìo.
DiaL romaico di Bova. ConsoDanti: 5. 17
varietà circonylcinò (v. la nota). 86. Nessan es. di f=5 fra
vocali (cfr. n. 02), tranne il riflesso di ^uOàca sommergo, dove ò
T pur nel re. ^ourào» -io), allato a ^u6- poud(^<i). 87. kh=^9 iniz«
(cfr. n. 92): hJiarró impf. ekMrro confido Oaffiw, khoró impf.
ikhorra veggo OoDpcS {9&ùfi(ù): vicenda quasi normale a Cipro,
che ci dà 9 oltre x^^^^ ® X^P^' come a Bova, x^^^'^^'^^ uccido
6av-, icCkftdfsoL^ x^?P^=^^'^'^*^> X^^=^^*^*^ ®^' (Cypr. 418seg.).—
88. f=6: /f^tAs' femmina Ovi^ux'j), muzzoUfia pietruzze tonde e
piatte *iLo\rt(,oWioif allato a muzzolipia;^ cfr. i^it?a eftkdri di
alcuni dial. romaici » 091^0» e Oioxàpiov Deffn. 254; e a Zante (pu-
flhùL s &up- (Cypr. 289). 89. È sempre t lo 3^ che sussegue a x
9: esté jeri j^9é^, o^fró nemico ^x^fi^, sttnno faccio cuocere
*gf9-^va> (cfr. Tant. é<pO(^; il re. ^vco, ali* incontro, si rappicca
all'ant. i^), artàrmi n. Ili, stira pidocchio (fOetp), ekóstina
mi tagliai, Christina mi nascosi, èxtff Oyìv, èxpóf Oev, ecc. 90. Cosi
è st^aà: evràstina mi bollii èppà<T9inv, eiistì si spaccò tayl^
9610, ecc.; ^ste essere re. slaOac, ^ste^-zaQz nella 2. plur. pres.
ed impf. indie, med.-pass. (p. e. andrépeste vi vergognate èvrpé-
9re<;0e); -omento « -'i[xe{(;]9a nella 1. pi. pres. od impf. ind. med.-
pass. (p. e. andrepómesta ci vergognamo èvTpeTrdpOa). 91. E
ugualmente rt^fSr (X5): evdàrtina mi scorticai "ixSàpOiiv (è;e-
SàpTìv), esirti si tirò è«6p0inf espirti si seminò, si sparse è(r^(p9Y),
ejérti si levò "^lY^pOio; orftJ dritto òpW?; «Vte, tuiVto venni ecc.
re. IfiXda, vicenda non ignota al di là dell* Jonio. 93. Rimane»
lo 6 di Op precedendogli vocale: mizipra ricotta re. [tu^iaOpa,
sklipra ortica *àT^ixv(Opa; ma air incontro: dastilistra ditale
SaxTuH6pa, in causa del s intruso; àtrepo (*antr.) uomo av^pci)-
9co^; ostro n. 88. 93. jì^=v5, dove è da ricordare il normale
dileguo del v di v.^ fra il volgo di Grecia (Deffn. 276): -àppina
'4ppiecc. =-4vft7iv -àvOvj; ecc. nell'aor. pass, de' liquidi in -atvco
89» cndf. khàmme =ihoy. pdmme 'forse' ^Ottxct/xnv lesa.; e anche tra vo-
cali: estdhina stetti ifrvdtìmv (ma efilistina cf t^^dnv, ecc., cfr. n. 89), apéhena^
aor. di [a]pejSeno a. cit. (cfr. clpr. e/>vc^a /^^X^c = o/ovtda /SdOoc Muli. 89; f««x^
= /xtOuw Cypr. 440).
88. cndf. foróf (forra; ma rfr. e eh or. di roch. intatto : ^ord, iporra;-
rfr. ahdffl = b. oAd^^t n. 92 (cfr. nAfniioc = nóO- Cjpr. 36).
92-9S. rfr. dprepo;- roch. appiiio fiorisco, sor. dppia^ ccvO/(» ecc«;-
chor. di roch. ahàUi (*akànt-).
Archivio glottol. ital., IV. 2
18 Morosi,
{zikRràppina mi raffireddai, epermàppina mi riscaldai, k^yjféc^
ériv, è6epp.àv9nv, ecc., na zikRrappó^ na permappót va ^XP*^"
6c?, ecc.) ; akippi spino re. àyxàO* &xàO(ov (axàvOiov), tnippa menta
(^a(v9a) e kalàmippa xaXa(£(v6u, popperò suocero re. we6- (^ev-
flep<5;)> grappo pugno re. ypdOo; (ypdvOo?) e groppia quanto sta
in un pugno re. ypcOtà (efr. &09(5^ e à09(^(i> = òcvOo; -C^ca, ivcSdOev
«= TTcJOev, Cypr. 370). — In kùnduro *xiv9oupo5 xo6- (n. 10), all' in-
contro, dove il nesso non è antico, ma è conseguito per epen-
tesi di n, siamo all'analogia dei n. 88-90, combinata col n. 81;
dove si può confrontare órminga tenia "eXpyj^a = l^pvOa (n. 86),
ant. 2X[i(.bv9. — E rimarrebbe di chiarire il doppio t di piitte donde
ir^Oev, ettùtte di costi aòroOOev, ecitte di là èxeTOsv, óssotte £aci>9evy
ózzotte è^(i)Osv, apànotte è77àva>9ev, kàotte xàT(i>9ev. In apòtte di
qua ''(X7c-^$[s]-9ev, avrebbe il doppio t una ragione etimologica ;
e surto cosi organicamente in alcuni di tali avverbj, potrebbe
essersi poi esteso, per analogia, ai residui.
A. 94. Di regola è spirante (cf ) , e iniziale e «mediano tra yo-
cali, con un suono che molto si avvicina a i?, e con t; talvolta
si scambia ne' circonvicini dial. greci. Citerò dànima prestito
S&ve;(T{xa, dàstilo dito SàxTuXo;, dizza sete Si^a, dénno lego ii^m
(^éd)), déndro quercia SévSpov ^albero', dònno do *^éyHù (^C$(i>{jli) ;
dòdeka S<dS-; hl<ndi ramo xXx^Cov, pedi fanciullo TcaiSCov; damala
$oc(iLàX7), dermòni crivello di cuojo $ep(j(.(ivtov; pòdi piede tt^Siov,
47&(fì e ràdi n. 10; ecc. 96. Qui resiste, ed è pure allo stato
di (f, il S di Sia-: diavàiio inghiotto *Ìiql^ìì^(ù less., diavén--
no passo SiaPaivco, dianistra "^lavoi^Opa less. (cfr. adidizo tardo
àSstà^^fii), mucft^iio n. 42, pòdia, vùdia rudia); unica eccezione:
ja ijati) èik ($iaT(). 96. (fr=:Sp; dràma n. 77, (fr^i/ui pugillum
($pà^ Spax(i(), idroto sudore re. fòpù>Tac (ma trapani SpeTràviov). —
97. È i = ^ in zinna face '^Satm (^at^; cfr. il cipr. à^Cvoc scin-
tilla, e il n. 175), e anche in daulizi tizzone *SauX($&ov, re. Sau-
X(ov. 98. In médldipa vespa è m- = t>- = S, v. il n. 94 in nota e
il n. 123. [99. zofrdta = *<ixufÌLÌx n. 17]. 100. Ma è la esplo-
siva sonora ((2), quando sussegua ad altra consonante: avdédda
94. cndf. e gali, vispa t= boy, dUsa^ véddipa vespa 9ùlt9a (9c»ic; in
luogo del re. o^^ «xa), téndro = b. déndro,
98 ò. eh or. di roeh. sprikhdla freddo = bov. Jtihhrdda re.^v^/Bo^a.
i
Dial. romaico di Bota. Consonanti: yt. 19
sanguisuga ^Sé^Xa, ddomddi é^SoiAà^iov, raddil ^x^iion; vdérro
Y^épv^) (s)cS£p(i>); prandégttome mi marito 0:;avSpe6o[i.ttt, spondili
verticillo ff7rovX6Xtov, kKrondó j^ovSpfJ?, dnira marito re. àv&pa;,
ahjéndra n. 65; kardia cuore, Aarrf/ cardo spinoso (carduus),
pordalào(c{r. TcopSa^éo;, TrépSco). 101. Espunto in ;jar/<} *ezzadrfó
è^àXe^^o;; cfr. ana elee, se è da *à8pu(a (^?Cl;), e r=Tp in ardati
allato ad agrèsti fuso «Tpàxrtov.
n. 103. Sempre intatto, iniziale e tra vocali: panda re. tcìv-
Tore;, pina fame Trelva, pètalo ferro da cavallo irÉTaXov, j)(Jno
dolore 7:6^0;, pu dove [ó];ro5; metapàle n. 18, jifpote niente re.
tCttots, ecc. — Ma è sempre b dopo nasale, come nel romaico
volgare (cfr. n. 51 e 81): ambéli vite àjjLwiXiov e Apàmbelo n.
fond. 'Sopra-vigna' ''£?ràv((>-x(A:;eXov, ambónno urto e ^ifn&($nno
attizzo *ep.:7tiv6> e ou^xx^vo) less. , lémbi traluce ^ifJLxst, /^^m&a
bruco xà{ji77in e arikambo zecca che infesta i capretti *èp([^i]--
%a[i(.T:oc, am&ró avanti è(ii,77p<$; (£(A7ppo<rOev) ; quhidi anche: dem
bài non vai re. Sèv 7;àYeK, kalóm bódi *buon piede I' cioè MI
ben venuto!' re. xaXòv wiJwv, sàm bu allorché re. aàv luou, ecc.—
108. an =:à7c[o] si riscontra qui solamente nella unione coU'ar-
tic. : an dò dal , an di dalla , an de mmerie dalle parti , ecc.
B *à7;'TÒv, *a7w*TTfiv ecc.; e sempre quando si vuol indicare pro-
venienza da checchessia» Lo nda 'questi' (Comp. e. xxxv: mbd-
tuia mu kànni nda displégi, invano mi fai questi dispregi)
non è per aOrà , ma è un accorciamento di tUnda re. TojvpcTa ,
che si fa nella pronunzia per ridurre il verso a misura. E tra
an ed à?7[o] dovremo certamente porre *ampf per un* inserzione
analoga a quella che lo zaconio ci dà p. e« in sdmda = (ncà(A7v->
Tpov (Tx&TPTp- (nc9i?7Tp-, ìu (nc(|AT6> ■ (TxdcTco Deffu. 247; e il cipr.
in avSa, come già attempi di Esichio, = .*£^ttp^a = a&ra. Dunque
&(x?w* TÒ ecc. , onde si viene lucidamente ad am-tó an-tó an*d6
(n. 81). Altri documenti per l'inserzione della nasale mi sono;
amblici capanna, ricovero in campagna » avlici '^aòXbuov e iim^
bili sacco '^T^eTcìXfcov less. Inoltre: ansénno cresco, di Martano
(Otr. Ili), che mi pare àp.<p^aiv(o s aO^aivco. 104. Di ttt ò da ve-
dere il n. 110, ma qui da addurre il caso di assimilazione che
è in petto cado (tci-jttw) re. wi^rw; cfr. n. 25. 105. nn^^i^ in
105. roch. e rfr. havnó ecc.; cfr. vri pure: amivdala^ vdomddi^ rcmdi
num. 74 e 120.
20 Morosi,
kannó fumo xairvii;, kanma faliggine, kannizzo io fumo; e in
azzunnào risveglio è^uTcvsco; ma intatto, dopo T accento, in iplo
sonno uTTvov. 106. pl^tù. in 'plàha tavola di pietra TuXàxa, dipló
doppio Zvk\6^^ àplito non lavato *à7rXuTo;, laddove il re. dà 6/.—
107. Ma flùppo pioppo, per il 7^X06777^05 delle pergam. italo-ellen,
del sec. XI = mlat. pluptis =^ pdpulus.
4>. 108. Iniziale, e tra vocali, intatto : fàdi tessuto [OjfàStov,
filio amico <p£Xo;, fénome appajo 9a(vop.at, féno tesso [ùjyaivco,
fèrro porto con me ^épvw (<pspco); fitéguo (pureOco, foléa nido 9a>-
Xéa, foràda cavalla re. 9opàTa, fortónno carico ^popTÓvco (-dw);
efànina apparvi è<pàvYiv, kufó sordo x^^ó; col verbo kuféno as-
sordo; ^/agra £(paYa (-ov), stérifo sterile <rript9o;, sinnofo n. 32. —
109. A^3(p, in astàlakUo grillo x[ou]TàXa9a; di Suida, re. -X99C;;
cflr. ppé^o? = ppéfo; Cypr. 260. 110. Costante è st^ con s inter-
dentale, per ogni <pT di fase anteriore.- I. s^ = ant. 9O: stira ^
stirino f ehóstina^ Christina y ^pOeCp ecc. n. 88;- II. 5< = ant. u6
or (re. <pt): stiàzzo appronto *e66stà?[<«>, re. 9Ttà^<«); ekàstina mi
107. rfr. gluppo.
108. rfr. oo^u^i = bov. fas. faginolo re. ftxdovXtov,
109. r e h. e rfr. iarohhdjena = b. ttrof- num. 23 d. ; e n d f. kléhho = b. A/^/b
rubo *xX£yw = xXìtttw.
110. roch. e gali, sempre ft^ per lo st bovese di questo numero; quindi:
fUra^ ftinno^ ekóftina; ftiàszo^ ekdfHna^ ecc.;- 4/ìo, afti^ deftéra;- ftéra^
fteró^ f tèrra; eftd^ vafHsÀo^ leftó; dfto, ràfto^ skàftOy strdfìi^ rifto^ kóflo^
impf. ^/to, érafìa^ ecc.;- efté^ fténi^ aftipdOj aleftdo^ ecc ; ddftilo^ frdfti^
agrdfli^ nifta^ pléfta^ aléftora.- Due sole eccezioni: pléhhpra *7rX(^9/)a
= hoY, plésta^ attdlahho = h, astdl" n. 110; la prima delle quali si risolve
nella mancata alterazione di xr(^T) in ^r, e la seconda in un caso di assi-
milazione totale regressiva. Cfr. rfr.
amend. ha fP-: fpira^ fPinno^ fpidzao;-- dfpo^ afpi^ defPéra;- fPéra^
efpd^ rdfpOy kófpo^ ecc.;- efpé^ vndfpra^ aléfPora^ ecc.
rfr. ha' fsp-: fspira\^ af$p{;- fspérra^ fspohhó povero TrTw^óc, efspd%
éhofspa^ ecc. Ma: ohUpó^ plétta,
chor. di roch. ha /*jf-: f stira ^ fsHrmo^^ dfsto^ defstéra;» f stira ^
rdfsio;' efsté^ mdfstra^ nifsta^ ecc.
cndf. ha^*-: ptira^ptinno\^ dpto^ opti, deptéra;^ ptérra^ eptd^ leptó;"
epté^ pténi ; aUptdo^ sfiptó stretto o-^txróc (o-^cyxróc) ; e pur pp in sili, àtona :
ppidzso; pperó^ dppo^ rdppo^ impf. dppa^ érappa^ ecc.; appipdo^ ddppUo^
agràppi^ aUppora. Del rimanente, tt in attdlakho^ natta acceso ovaTrróc, Utt6\
e hìiU' in akliti^ ohhtóy hóhiiio ed impf. éhokhta\^ clv. roch.; e bov. n. 104.
Dial. romaico di Bova: Consonanti: ^r (xr ecc.), S- ^ 21
bruciai, ehuréstina mi tosai = *èx&<p6iQv "^èKoupéfOtiv = èxaOOinv èxou-
peóOinv, ecc.; rfsfe egli •à(pTo^ («Otó^), a^ft' n. 44, desterà Ssute-
pa, ecc.;- IH. ^^cant. tct (re. 9T): stima sputo TUTuafiia, stiàri
pala TCTuàptov, ^tóra felce (TCTepfe), sferó ala 7CTep(iv e asleriga
penna VTepuya, sterra calcagno Tcrépva; ^stó sette éwTà, t?a-
stiiio battezzo paTUTC^o, fóstó sottile yzTZT6^\ àsto accendo Stttù),
ràsto cucisco ^iazxtùy shàsto zappo (ncàTurd), stràsti lampeggia
àdTpàTCTet, n^to getto fCTUTw, /sosto taglio k^Jt^tù), cogli impf. asta
érasta éshasta éstraste arista éhosta^ ecc. Àncora è ft neir an-
tiquato hléfta ladro re. xXé^TTi^ ; - IV. 5* = ant. e re. -^^ (otr. (pr) :
esté è^Oé^, osfró èy9p4-, dianistra n. 94.- V. s^= ant. xt (re. x'^,
otri 9t): astàlakho n. 109, 5f^m pettine xTévtov (xts^), asHpào
batto XTuwfo), alestào abbajo uXaxréo, ;yt5ft' boccale *(j;uxTfov (|ux-
TTip), ostó otto òxT(i); misera madia pt-àxTppc, dàstilo SàxTuXo^,
pràstiko ^provato, eccellente' irpaxTix^J^, ^45fc* siepe mgr. e re.
(ppàxTYj?, agrèsti àTpàxriov n. 100, n/sto notte wa^vol, plésta trec-
cia *7rXéxTa (-T»), aléstora gallo (àXéxTwp).- Cfr. Otr. 101: ^sMio
arrivo ^Oàvca, ed estiàzo "suOetà^ft). 111. rf (r gutturale) = 9T:
artàrmi antiq. occhio ò90à>.pLiov e apo-rtammiiio strego collo
sguardo re. 90ap|i.(^(i)=:o9daX[x.tt[(ii); fùrta mano aperta e distesa
con tutte le dita in atto di ricevere =*/Ji/?a = rc. 9ou;^Ta 9o6xTa,
che Defifn. 289, mi par felicemente, riconduce a *7rjxTri 'pugno^
dairant. ^6$. 112. 9V resiste in dafni lauro Sa9vtov (cfr. n. 26).—
113. z 'ZZ^ = Ant. e re. $ (otr. fs): zilo legno $6Xov, zéno stra-
niero $£vo;, ;y^no io cardo 5a£va), jg^^ro so re. ^o; zanizzo to
scardassando la lana *^avi^a), zartizo gratto Cup{^6> (;ua)), ;2:eni'a
terra straniera Ssvfa, ;3r^ró duro ^eprf;, jzr^rdo vomito è^epàw;
ékrazza chiamai Separa 'gridai', attizza apersi *«vot$a, {zzerà
sapevo re. -^i^eupa, épezza giuocai iTrat^a, délezza scelsi StéXeCa,
étrezza corsi re. 2Tpe$a, cogli aor. cong. na kràzzo n'anizzo ecc. ;
^z;2r^ sei e;, ó;3:2ru !;&>, ecc.; 114. Di o:8r;?/a montagna, v. il less.«—
112. chor. di roch. dàmni •=. bov. dàfnù
113. In tntti j^li altri luoghi sempre 5, che in sili, postonica é pronunciato
assai forte, quasi doppio: /i/o, séno^ séro; santi zo, saHizo^ serdo^ e così:
asutnndo èguTrv»», (isilistrdo re. i^iy'kxjtrrpioì^ ìederfó [rfr. ìarfózih. zar fé
c^à^c^^o?], evinta sessanta c'Si7[xo]vTa;- metdssi seta re. f^Tàgeov, éìerassa^
dnisia^ Spessa e na kràsso^ n'aniiso^ na pésso; éHe^ óHu 114. oiia
= b. ozzia.
22 Morofci,
115. z 'ZZ-»SLnt. e re. ^ (otr. fs): ziddo pulce 4^^>o$, ja?Ana
ifi\j(5\L0L^ zòfa crepa ta i{;óf ae, zahdi forbice ^a>.i&ov, zikKalizzi
pioviggina 4"X*^"> zihìiràda freddo re. ^JAi^pàSa, ziló alto 6^Jr/j-
^(i?, jsromi pane i{/6>{aiov; azzàri pesce òv|/àpiov, anizzio nipote àvc-
iJ;k5?; d;?;?^ di (prepos.) •à4/=à7;[ò] + [è];, dizza sete St^'*»" azza
accesi a^a, évlezza guardai, custodii è^Xe^a, e ugualmente
éhlazza piansi re. SxXaJ/a (IxXauaa), epistezza re. è7ct<iTe<J;a (-£»>-
aa); aor. cong.: na àzzo, na vlézzo, na klàzzo^ na pistéz--
zo^ecc. Un esempio di zz^fé è finalmente éz zero ^ otr. éféero
ruoto e&xatpo;.- Lo ;8:=^, ^, è proprio anche del dial. otrantino
di Sternatia (Otr. 102 108). 116. sp-^af-: spazzo uccido (Tfà^d),
spingo stringo <i9£yyci>, spistó <i(ptxTÓ; (^<piyxT-); e anche spun^
ghizzo invece del. solito romaico e otrantino a^\jyy((,(ù ((jttoyy-
e Gfoff-). 117. Mi resta flastimào bestemmio ^Xaa(p7i;i.éa> , ma
qui ci confondiamo col continuatore neo-latino.
B. 118. Come nel re, non ha il suono esplosivo se non dopo
nasale: limbi zzarne m'invoglio re. Xt(/.7r. (efr. Xt(x.peO&> = Xtj^vsuo)) ,
^mhènno entro è(x.paivco, hòmho nodo xcSfx^o;;- dem bàddo &èv
pàXXci), ecc.- 119-20. Del resto, pur qui di regola t? = p: vàddo
pàXXo), velàtri pungolo pe' buoi ^psXàrpiov (p£Xo;) , t>or^a tramon-
tana Popéa^y róZa n. 12; akrivéguo mi faccio scrupolo àjcpt^eCKOy
^paravosta n. 59, sfravónno curvo <rrpap<5v(ù, savana vestimento
mortuario (r&^avov, halivi capanna xaXu^iov, provato pecora ?rp(S-
^aTov;- pS: avdédda ^^éXXa (ma rotieJi' bastone pa^^Cov col verbo
raddizza, e ddamàdi épSo(i.àS-) ; - ^X Pp : «ut?2V spiedo re. cou^Xiov,
115. roch. e rfr. sempre $p (da sf) =^: spiddo^ spéma^ spófa; spalidi^
spikhalizzi, spihi aoima = bov. xiM ^v;^^, sprikhdda^ spiló^ spomi\ aspàri^
ani$pio\ dispOf àspdt évlespa^ éklaspa^ epistespa.
cndf. 5/*=^ iniz. in &ill. tonica: sfiddo^ sféma {spófa^ per effetto di dis-
similazione, in yece di sfa fa). Ma quanto al riflesso di ^ iniz. in sili, atona
e di ^ interno così in atona come in tonica, lo scambio del f coli* aspirata
dentale, sotto T influsso del (t precedente, d continuo, opperò una medesima
persona oscilla nella stessa parola tra sf^ e sP^: sfalidi^ sfukUràda^ sfUó^
sfihit sfami; asfàri^ anisfio; visfa^ dsfa^ évlesfa;- e spomi^ aspdri^ anispio^
égraspa ly^onpa^ érispa^ epistespa^ vispa.
Al boy. ézjfero rispondono normalmente roch. e rfr. esperò^ ondi isfero
ed éépero\ che tuoI dire: fé fg sfece.
116. cndf. sempre sf: sfingo^ sftmghiizo^ ecc.
120. eh or. di roch. dofnddi\ ma roch. odom-; chor. di rf. sbiJiso,
DiaU rom. di fiova. Consonanti: v. 23
vràiio ^fiXfii>, vHzio ingiurio OpptJjca, vréìU piova Pp^x*'» ^^on-
dài taona ppovT^;-- <r^: svizio spengo re. (t^6vù> (<7péwu[JLi), asvésti
calce àd^ierriov ; - p^: ftirtn^no carbone xàp^ouvov; ecc. 121-2. Per
P in (p , qnasi nulla di ben certo : trifo, io pesto, riverrà a trifìo
(cfr. TpfeTTic ecc.) anziché a rpt^tt), come hléfo a Ató/io ecc. n. 53.
Àncora sono da considerare: afudào tf. 85, vurfuràta less.; e
r esempio sicuro, ma 'sui generis', di /fs^^ in flastimào n. 117. —
123. E ^ in m non ho se non in mùnevro nervo di bue, che ò
il mgr. {/.ouveupov (Du Gange) a ^ouv-. 124*5. È p vocalizzato dopo
gutturale in guàddo èx^àX^cd e in guénno èx^a(vct>;- gitali zio
re. xoupaX(^6) (cfr. Otr. 1 02) ci avvia poi al dileguo che è in fleàri
re. (pXtpàpr,; februarius.
TK (in+k) ecc. 126. Nei nessi yx yy suol mantenersi la na-
sale: angalia ecc. n. 50; spunghtiio <x<foyy'^ ecc.; pleh gàddio
'più meglio' (re. T^Xfov xàXXiov). 127. Ma yx ^^ ^^- aRKiéddi
n. 65, ra/iAucfekfo russo *§syxouXàci> (^iyx^)» pleKKtru 'più peg-
gio' wXéov x^P^^J ^fr* J^c- *X^^'^^» ^oj^aXi?[w. 128. Dileguo della
nasale, oltreché in spistò re. <i<ptxT(J; (d^ptyxT'i;), anche in r4A-
haUiio tossisco "^poyxaTl^o); ed è air incontro intrusa in angli^
sia chiesa, pur dell' otrant., ixxX-naCa, e forse in smingo mischio
re. <>[jt.iyci> e {ji((rya> (au[x.p(,(yvupLi). Non pongo fra questi dangànno
mordo (otr. dakkànno)^ perchè, oltre al ritortiare nel re. ($ay-
xàv(o), è un esempio di lucida e antica ragion grammaticale
(Sayxxvco : l^axov : : XapL^àvd) : eXa^ov).
N. 129. Di regola intatto, e iniziale e tra vocali. Ma le com-
binazioni nia nio niuy con Vi atono, danno qui pure na eco»
(cfr. n. 149); cosi: asprinàiio imbianco "àcTcpevià^o; velàna plur.
di wlàni ghianda paXàvL[ov] , klupàna plur. di klupànni panni-
lino '^x[a>]XoTCàviov, petakicna pU di petakùni less. - Cfr. n. 134. —
180. {«:v: lastarida nottola vuxrepCSa^ larànghi arancia re ve-
pàvTl[tov, limómulo 22. 181. ft?=*v: shlipra ortica (xvtór,) re.
àT?iixvtòa, cfr. n. 173;- pl^i:^: plemóni^ pur del re., polmone
wveujA-; »pto uwvov; cfr. otr. plónno dormo re. ùTuvdvw, e nel dial.
121. cndf. fùria = boy. vùréa\ gali* éfaspa =s bov. ioazza fpa^f^a.
122. cndf. i^^a^tflmmdo.
128. cndf. Jkdnnamo = boT. X^fnnoco canape (xcévvajSo;).
181. rfr. ddfli = boT. (ii/Ht; e dafti n. fond. Aa^v^ov.
24 Morosi,
zacon.: uTppe =» uttvov, oltre yp£7r6«=)cvlwe;,'pri'npu = wvCYtó, Xa^pUs
Sa^viSa. 182. rr a pv : karrastó polverio re. xopvtaKTcJ; ()covt©pT(J5),
purró mattino re. TuoupvcJv; jj^rro porto via, fèrro, serro tiro,
vdèrro scortico, spérro semino, s re. 7ba(pv6>, (pépvco, <ripva>, y^^pM»)»
<r7répv6>; sterra 'K'vif^fx, flcrro forno mgr. 9o0pvo^ col verbo affur'»
riiio inforno e con zilófi/crra ''^uX<$<poupva fascine da ardere nel
forno. 133. Il v è in dileguo o assimilato in angremmizzo n. 34;
cfr. nel volg. romaico xpe;ji<i$ -(^o) Defifn. 275. - È poi sempre dile-
guato il V finale, come ne' volgari di là deirjonio, nella declin.
e nella conjug., solo riapparendo allora che la parola seguente
incominci per vocale o per una esplosiva guttur. o lab., alla
qual parzialmente si assimila: an ehi se hai av &x^Ki san irte
quando venne aàv YiXde; en en gaio non è buono Sèv elv'xaXeiv^
samhòte quando mai dàv 7r<ÌTe, ecc.- E vedi ancora il n. 160.
M. 134. Di regola, intatto. Da mj (-[iia-)'s*ebbe primamente n
(n/) in *zofinàri *<|/o<pt[/.tàptov carogna, e poi ng : zofingàri (cfr.
it. vengo tengo, *venjo "tenjo). 135-6. Passato in altre labiali :
p in ipaskàli ascella otr. vashàli iLOLayoLÌ.n ; cfr. '77Yi9apxov e [lz-^
TóUptov Cypr. 264; f{v) in fermi ka (dove avrà influito il f di
^formica' n. 24 e rispettiva nota; cfr. cipr. ^apvàpvo; s piocpv-
Muli. 90, pepaCvYi B [jLepc- Weigel, poup^o6>.axa; = pppX- zaconio
Deffn. 310).- Il 9 di kàvuro granchio, è pur nel re. xà^oupQcc>9
xappo;. 137. nn = \Lv: stennàto n. 15, skanni oxxfAvCov scamnum,
jinnó Yup(J^ 138. Dileguato in pésti giovedì iréfATCTYi;- cfr. re,
Tcé^no = 7c£[/.7CTTf), vù^Ti = v6(x,(pyi, à^àltovrròiA^àX- Deffn. 277; acquali
aggiungo X&771X di Sira = xà[A77(a.
2. 189. Iniziale, sempre intatto e sordo {g)\ sa[n] ^come,
quando' [d>]<ràv, siko oOxov, sitnero oggi crh^iepov, sékli segale
'^aix[a]Xiov re. (rsxàXv), serro aif'^tù (aupa>), sòma corpo (rcSfxa, sùrvo
sorba re. <roOp^ov, surào fischio aup(2[6);- skuliéi verme 9xa>H-
x:ov, 9^ri tela {(rràpiov, ^tenó stretto <TTevd^, sparto ginestra
ff77&pTo;; ecc. 140. Sordo, o meglio geminato, è poi <t mediano
ne* seguenti esemplari. Innanzi all'accento: esse, esséna te kaL
Dopo racconto: apissu dietro òizifitù, tamtssi caglio *Ta[x.{(nov
(TàjxtGo;), éssu foo), tó^SO T(5(yo?, jpó^^o 7:(5<io^; -«J5t55a=-^8*)ri(jav, des.
di 3. pi. aor. pass., ed -esso di 2. sg. dell' imperf. medio-passivo. -
Cfr. Otr. 112; ed iaatù^èatù, [à]7ro7ré<r<rfi> = -ÒTrtao), G7pr..282. —
141. rcap^;: amniA($ maschio àp^evix^, perei Tanno passato
Dial. romaico di Bora. Consonanti: o-. 25
t:ì^[j]cì, percikia persico "persikfa. 142. Quanto a <7 scempio
tra vocali, ohe vuol dire a sonoro (i), egli è sempre incolume,
ove si prescinda dagli elementi di flessione verbale che tantosto
saranno enumerati. Citerò imprima questi esempj : pasàna (pa*
saéna) e pasamia ognuno -a re. TzoLaaL^oiq i:olgx[lI%, krasi vino
re. kp^gCov, argasia lavoro campestre èpyowia , khrisà/t xpu<Tà9iov ,
artisia ^condimento' che già è in Ptochodromo II 575, re. Sì^v3\lol
£pTu<T(ia (Gomp. 03; cfr. num. 143), fisào soffio <pu<Tà6>, mesahó
mediano re. fjteoiaxó^, ecc.;- céràsi ciliegia xepà<7iov, pràsiìio verde
Tupàonvo;; nésimo quantità di bambagia, lana, lino eco. che si ha
il compito di filare *v£(np.ov less., esù, esi^ tu, voi, re. èró, àaeic;
Hiso rosso §o6<no;9 plùso ricco ?7^o6(7(o;,- E passando poi al <;
di flessione verbale, lo trovo intatto fra due vocali tra di loro
identiche; quindi: àlasa aor. ind. di alànno aro (aXio)), edàti"
gasa di dangànno mordo, ecc.;- fisisi iisi lisi gelisi gapisi^
aor. inf. di fisào soffio, zio vivo X^-m, Unno sciolgo Xuo), pélo vo-
glio d£^, gapào òiyaL%cuùt ecc. ; - na fisisi 2. e 3. sg. aor. cong.
va 9u<7ih<7T); -yi, ecc.;- àlese e alésete^ màpese e mapésete^ 2. sing.
e plur. aor. imperat. di aUpQ macino àXi6a> e mdpénno impa-
ro, ecc.; cfr. -ese nella 2. sg. pres. medio-pass.;- na móso sóso
sihóso aplòso klóso fuskóso, prime sing. aor. cong. di mónno
giuro re. òfxòvco, sónno posso re. gcóvo), sikónno innalzo re. (jr^hó^
VG>, aplónno distendo re. ànló^nù, hlópo xXa>9(o, fushónno re. tpu-
crx($va);- na Mfum^ e na hùsu 1. e 3. plur. aor. cong. re. v*a)co6-
(T6)[Aev ecc. di hiinno odo òxoucò. Anche ò intatto il <r di flessione
tra e ed a, che vuol dire nella 1. sg. di aor. ind. come queste
. che seguono: alesa emàpesa édesa appesa ezzéresa azzipóresa
efòresa (alépo e mapénno s. cit., dénno re. ^ivco, petto re. -ni^ttù^
zerào [à];epàa>, *ziporào less., forénno vesto re. fopoc^vo)). £ final-
mente si conserva, tra u ed i neir-ust' di 3. plur. pres. ind. e
cong. deiratt.; come p. e. in kùnnusi e na kùsitsi da hùnno s.
e., ménusi e na minusi da m^no rimango [xivo), gapùsi e na
gapitisi da ^apetp s. e., ecc. Ma, del resto, sempre dileguato il -e;-
deiraoridto che fosse fra vocali tra di loro dissimili; come si
dimostra pei seguenti esemplari: ihua^ na Mi, hiieme odimi
(allato a Mse odi) Mefe;- n'alào, n'alai^ n'alàome, n'alàete,
n'alàusij àlae alàete {alànno s. cit.); na zerào, na zerài ecc. ,
= va ti&fÌG<ù -Ti; ecc. ;- ekàpia, na kapio, na kapiume, na ha-
26 Morosi ,
piete, na kapttm^ = è^c&diaa, va xxOfau ecc. {kapinno siedo xa«*
Ot^ct)); élia^ na lio^ na liume^ na liete ^ na Uusi, Uè liete ^
= thiaa^ va Xu<no ecc. , X6<;& ecc. (2«nno s. cit.) ; epélia, na pelio ecc.
« ^9éX7)<ra ecc.; éiia, na zio ecc., iie ecc., sfi^mdsc ecc.; egàpia,
na gapio, gàpie ecc., =:iiyàw7i(ja ecc.; arótia, n'arotio, arò"
tie ecc., e 7ifÙT/\f70L ecc.;- n'aZ^o, n' aléi^ n'aléume, n*aléusi,
= v*&Xé<r(t> ecc. (a/^^0 s. cit.); na péo, na pei (ma talvolta na
pési), na péume, na péusi,- «va %ìg<ù ecc. {petto a. cit.);-
émoa, na mài, na móete, móe móete, = &pxi>(7a, va bit^a^; «y) ecc.,
&lL<ùGt ecc. (ntónno s. e.) ; l'soa, na sòl (ma : tò e2é ssósi ^11 non-
-potere' la malattia) , na sóete, = za<ù(jx ecc. («dnno s. e.) ; àploa,
n'aplói, dploe aplóete, = ì\Ts'k(ù<jx ecc. (ap2(}nno s. e); éhloa, na
hlòiy klòe klóete, s IxXoxra ecc. (Afójio se), efUskoa^ na fushài^
fùskoe fusMetCf = t^ùayLùyjx ecc. (/u^Aónno s. e). E cade egual*
mente il e deir-atn che s'ebbe nella 3. pi. imperf. e aor.; cosi:
efisiai *i^\i(rhcx<si (s(p6(niTav), elégai *iyi^x<si (eXeyov), ipai dissero
*el?ra<n (elTcov).— Normale poi nella declinazione e nella conja-
gazione il dileguo di -;; cfr. n. 133. 143. m=-<T{A-: azza^méno
è^aYiaGp.évo^ (n'azzasméno o piò sia santificato Iddio!), che certo
proviene dal formulario ecclesiastico; addismonào, e addimonàOf
dimentico re. àXri(;[jt.ov&ot>; sismàda 'strappo, fenditura' re. <7x^<;[ìl-
e insieme anasisméno ^stracciato' da anasizzo àva<r;^(^(i) ; sàsma
paura ocfaafjia 'ombra', vrisma ingiuria uPpca[i.a, kataklismata
scompigli xxxxxkùts^L-, hósmo mondo tlógilo;; mm^aii: klom^
meno filato xkb^-, skotemmó (ixÓTiap.($; ; àr gamma lavorio sp*
yaapLa, jirimma giramento y6pi<yp.a; m = -(t[i.-: vramèno bollito
^aojiivo^, alatiméno salato aXaTi(T(ii-, hliméno chiuso x^eiGfiL-; ecc. ;
sforna sputo' 7wT6(T(jia, ;2r^ma bugia ^OapLa, seépama copertura
(Tx£7ca(Tp.a, kàpima Tatto del sedere e la sedia )c&0i<r{jia, vàstima
battesimo pàTrTKjfxa, flójima <fk6yiaiLx, pótima bevanda Tr({Ti<i(i.a,
[àrtima cfr. n. 142], (feimma prestito Sàvsi<r(iia; ecc.; t?«-<7P-:
previtero prete 7rpe(jp6Tepo;, 144. Nessuna traccia in questo
dialetto dell' att. -tt- « -di- , di che nelle colonie otrant. vive
un esempio {acettù ellera xktjc^) ; ma sempre ss : éissó, ecc.
z. 145. Iniz. intatto: zdla lo strido, col verbo zaldo, ^àXin ecc.
less.; iio vivo tifico, iénno puzzo *[ò]^atv(i) less., zoguàri giogo
^Kuy^piov, iuZta avversione X.-Kklx. 146. Mediano fra voc. suona
145. 146. roch. sii ssitào cereo C>?Tfej, AHm*Ì5Ìome, pisUlo^ ecc.
Dial. romaico di Bova. Consonanti: 9, X. 27
di regola geminato come: viiii poppa re. ^u^iov col verbo viz^
zanno, peziùli Sgrossa pietra che forma il limitare della porta'
rCT^e^oOXiov {kìT^oì); skotàizi 'si fa scuro, annotta' (rxoTà^si, sàz^
io raccomodo {(xà^co, khoràzio compro àyop&J^o), hrà^o xpài^o)
(imperf. eshótazze isaiia ekhórazia ékrazia); pizzilo èTui-
^riko^, khorizzome mi diparto x"P'^"5 svizio *G^{}^fd re. apóvca,
ekKriiio XP?^^ (impf. ésviiia ékhrizia) ; A^iio x^^^ (imperf.
éheiza), ecc. 147. 5^^:!^ appare in stéssi sgocciola cxxCfii e
in pisso coagulo re. iry^^ct» e tzìì^ìù; ma son da confrontare wh^atù
allato a -i^y^iu e altri casi congeneri nel gr. ant.» e in ispe-
cie l'odierno 7rfiG<ya) Cypr. 365.
A. 148. Intatto iniz. : làkhano Xàx-, Unàri lino Xivàpcov, lesto
sottile XeTtTÓ;, luppiffàri lupino re. XouT^tv*, ecc.; e mediano in-
nanzi a vocale tonica od atona singola, ne' seguenti esemplari:
khalào xoCkiiO), éilia KotXCa, mandili pezzuola re. ;jLayriXi[ov] , ecc.
— 149. Le combinazioni lia Ho, con Ti atono, danno pur qui Ija
(7a) ecc., cfr. n. 129. Cosi angaljàzio abbraccio re. àYxa>aà^6>
e all'aor. angàljasa, teljònno finisco TsXei<SvGi> (-d6>) aor. etéljoa;
màlja, plur. di mali pianura ^ófjiàXiov (cfr. óp.aX(a), stafilja pi.
di slafiddi uva GTa<pjXiov, affélja plur. di affé^^i lardo affet-
tato re. (pé>viov, manica pi. di marùddi lattuga (x«po6)nov, ecc.—
150. Del resto, per \ scempio tra vocali, s' ha costantemente dd^,
cioè quella risposta che sarebbe più legittima, secondo l'ana-
logia de' dialetti italiani circonvicini, pel doppio II, e quindi in
addo £XXo; e addàsso ÀX^àoracd, fiddo TuXXov, e sléddo mando
<rriXX&>, agrùstaddo\()axcLk'ko)t n. 4. Citerò : prikaddtda cicoria
re. mxpaXCSa (allato a mali s. e.) , shaddéguo e pur skaléguo
rovisto (TxaXeuù), addismonào n. 143, pizziddào sguscio re. t^it-
^iXio), agriddàéi oleastro *àYpeX&xiov dal re. aypeXo; (^ypiae^ata),
ceddari '^xoiX&ptov less. , ocldto èXció^, |>odc{t molto ?^oXu, puddàéi
uccello *^a>>àxiov; apriddi re. &7cp(Xio; e òliq^OX- (aprilis), sdddo
cane re. <nc6Xo( e (txGXXo; (oxuXocQ, stafiddi n. 149); téddico *Tifi-
147. roch. spasso straccio o^iC».
149. roch. e cndf. J : tejónno =: bov. telj-^ 00 sole ^Xcoc s b. iljo^ c^a (sg.
é^ddt) = bov. miccéddia (sg. miccéddi piccolo *ficT(Atoc less.); e cosi kd^o
= boT. hdlljo.^ Ancora ho: cndf. majia capelli = b. tnaddla re. iiotXkU ; cfr.
Otr. 1 10, Deffn. 258.
l&O. Aggiungi roch. khamiddó^ rfr. e cndf. hhameddó^ ^^afAn^óc
28 Moroai,
Xixo; less.; e cosi di regola ne* seguenti suff. dimin.: -iddi = -(Xiov
-6>(ov (si eccettua mandili n. 149); -^dd» = -iXiov, onde varéddi
barile re. papé^tov, piséddi pisello re. 7rt?^£Xtov; -&(2dt = -o6>.iov (ec-
cetto ruf^bùU n. 40), onde marùddi s. e, sakhiiddi sacchetto
re. caxxojXiov ; dove i plurali, all'incontro, escono legittima-
mente per 'ilja -elja -ulfa n. 149 (eccetto kamaterùddia n..34).
Ancora : -ùdda = -oO^a : manùdda mammina re. (xavoOXa, perdi*
kùdda pernicetta re. ?;ep$ixoO>.a- ecc. - Non passa in dd il doppio
Il che surge per assimilazione tra parola e parola: e llàrga è
lontano ev' Xàpya, pie lligo più poco wX£[o]v [ò]X(yov. lèi. Alte-
razione affatto sporadica di ^ in r tra vocali, ò in sahhartizo
scuoto il sacco axxxzkl^tù. 152. Air incontro è normale il r da
"k innanzi a 9, p, t (9): derfàéi porchetto (Se^^àxiov) , zarfó i$à-
88><po;, vurvupuma n. 19, evàrtina mi misi èpà>.9tjv, %rta ?iX6a
(-ov) ; vicenda comune al romaico volgare ; - e anche dopo 9 e p :
trifopóndiho talpa re. TiKpXowcSvTtxo; e sulàvri <jupa6Xtov n. 22.
Nelle altre combinazioni, intatto.
P. 153. Di regola è intatto. Abbiamo, per dissimilazione, /cp
(Z-r r-i, =»p-p) tra vocali in zalisa radimadia *;up(<iTpa (efr,
$6cTpa) allato a zartzio n. 23; sulàvri n. 152 (efr. re. p-à-
XaOpov, otr. màlafro finocchio (/.àpaOpov); paràpili ^sportello,
abbaino' TrapaOuptov, plastnli ^tavola ove si lavora la pasta',
wXacT-nptov, murtàli n. 40; e ancora flgl-^f^y?, come nel re.,
in fleàri n. 125, gli gora prestamente (cfr. Tagg. mgr. èyp-ft-
yopo? da èye^po» ecc.). Si aggiunge dàkli lagrima Sàxpuov, col
verbo dakltzzo. Ma in podàli fasto della pianta e peduncolo
ito^Apiov avrà influito Tital. Spedale', che è nel dial. Calabro; e
in astuti (che non è voce ealabra) 'astore' il suffisso romaico
-o6Xi[o]v, 154. Esempio affatto sporadico di n « p è lagàni treb-
bia *Xayàptov (cfr. re. Xayap(^6> netto il grano). 155. Il nesso orTp-
ò poi riflesso per un suono che or più or meno s*avvicina a s.
Bene spiccato è lo ^ ne* riflessi di *èfAwXà<jTpiov empiastro, *$u-
pJcrrpa n. 153, *9Xoii<yTpov 'buccia, guscio' re. 9X06S10V, che suonano
151. roch. iiristiri uaspo = b. sùlistiri n.
152. Tir. tripopóndiha: esempio forse di etimologia popolare, con allasione
al ^far buche'; cfr. tripdo io buco r^uTràw.
153. rfr. Gli ff ari r/D>iyó/oeo? n. proprio; e Qlig oraci n. di fondo.
Dial. l'omaico di Bova. Accidenti generali. 29
ambiasi^ zaltsa, flùso; meno lo è ne* riflessi di àcrTpàicrst taona,
(jTpaYyf^o) strizzo, spremo, arpé^po) rendo, re. orpcóvcd ((jTpàwujxt)
faccio il letto, 7r>.«(yT7ipiov n. 153, *Xa3CTuH(TTpa = -YiOpa, sicché li
scrivo: stràsti, stranghizzo, stréfo, strónno, plastrili, dasti--
listra. Ad ogni modo, questa vicenda non avrà nulla a fare
con lo zacon.. 5 = [<j]Tp- Muli. 96; poiché essa é propria de' dial.
ital. della Calabria, come della Sicilia e della Terra d'Otranto. —
156. Il dileguo del p in akkli = akli ^cassa, scrigno' re. àpxXfev
(arcula) e in alijerónno *àpx«p<iv<o n. 14, può ancora attribuirsi
alla spinta dissimilativa. In candónno, allato a cendrònno^ in-
nesto xevTp6v6) (*<^), s* aveva un nesso di tre consonanti sono-
re; e finalmente: sapéno *sapreno, imputridisco, è esempio che
ritorna nel re. (ant. <ja7rpi?^(it> ecc.).
Aooidenti g^enerali.
Accento. 157. Si arretra di una sillaba in queste voci parossitone: Accento.
kdtara imprecazione xaTxpa, idrota pur del re. (6Sp(Sc -iSto;), sékli
segala n. 139, cefdloma estremità (xs<paXfi^a>{Aa) téljoma compimento
TeXe{(i)[jL« e mùpiamma ammuffimento re. if.ouy\(oL(j\i.(3t, (circa i quali, vedi
il n. 159), Móstra filo, legaccio (jcXwcxtt^p -^po;), aporia propaggine
(hzó^^ttì^ -<3yo?) e kaldmippa xaXa[jt.fv07i ; - e in queste ossitene: khdmme
^a[jLa(, dràka (Spà? -x(^«) lesa., pira Tiupà; oltre che nel tipo di cui
sono esempj aréo raro apatie, oddio ìXsk^;, anizzio àve^i^; (cfr. il dia-
letto di Patmos e 1* antico eolico, Muli. 93), laddove nel comune ro-
maico è all'incontro norma costante che -io[s] -ia passino in -ióCs] ^id.
É questa una vicenda che nel bovese non trova riscontro se non a for-
mola mediana in questi pochi esemplari: sdsma (sciasma) (Tx^a(T[jLa, cdme
xa^ofjiat e xa(o(jLev, klóme xXa^ojjiev. 158. Si arretra poi l'accento di
due sillabe, in damdsino prugna re. SaaavxTjvt^v, prdstiko itpocxTtxe^c —
159. Progredisce V acc. di una sili. , dalla terzultima alla penult. ,
in: ahrivia scarsità^ scrupolosità dbcp^^eioc, afudia ^oi^cia, apovrdma
(Ì9c^PpeYH.a) , konida lendine x^vtSa, asteriga re. icTspouYa (mipul)^ vri-
sma Sppi<r{xoc, gìAdmma cacciata re. l^yaXfjLx e guémma uscita *&pY]{xa,
noma Jvo{Aa, (ma Filippo ò di pronuncia ital.; la greca ò in Petre"
157. rfr. ^nn«a = boy. «nn^a re. swta (cwca).
158. rfr. jdstiko utile, necessario (otr. jdst^ ghjdstiko)^ quasi ^ecaaTcxóc
(cfr. re. ev^fca), zénnulo ^òCaivnXóc n. 35 n.; due voci mancante a Beva.
159. gali, hhumatà = boy. hhùm^.
so Morosi,
filippo nome di una fontana pabblioa in Bova);- dalla penultinoa
air ultima, in ahomi ancora re. àxó^ui^ prosté ^ayanljeri* pur. re. irpo^-
6^c (icptf^6e;);- dalla terzult. all'ultima: iraganó Muro, forte% re. Tp£-
YKvoc, garfó l^àScX^o^, ruhanihó re. ^ouxxvtxov (lat. It^anica salsieeia),
sekamenó ouxdcuLivo;, io imisi la metÀ %t9uc, eee.- Quanto ad akrivia
e afudia^ pajono attratti dalla numerosa schiera de' nomi in -ta
(n.l94); cefdljoma^ téljoma^ rnùpiamma ricordano l'accento delle nuove
formazioni sulla stampa di fmtaldmbamma less. da [jLST%Xa[jLpàv(o, ka-
nùnimma guardatura da hanundo less. , pldtemma parlatura da piate-
guo less., spùndemma levata del sole da «pundèl^o, ecc. kaldmippaj
finalmente, segue l'analogia de' composti (n. 229). Le alterazioni del-
As8iina.racc. nella flessione, concordano colle comuni romaiche. Assi-
milazione.- 160. Effetti di assimilazione parziale o totale app^joao
per la maggior parte le alterazioni che le vocali atone qui hanno
patito. E specificherò i seguenti casi, senza presumere che tra il cerio
non mi scorra alcun che d'incerto. Assimilazione ad altra vocale:
immediata regressiva parziale in -e^e-i£ 18; transultoria regress*
parz. in e...aBi...a 18, au...Qc 24; totale in a...aBs...a 30,
B . . . a 37; in t . . . ^ B a . . . (15, B . . . { 38 ; in e ... e ■> o ... e 39 ; -
progress, totale in a... a »<£... e 30, ecc. Assimilazione a cons. pa-
lat. : tee ed ai ne'num. 31 e 46; a cons. lab.: o, U"ac a'num. 16
e 17, «u.al n. 21, ed o^e al n. 32, ust) al n. 35, eoi al n. 46. —
Quanto alle conson. , ha luogo assimilaz. regress. parz. di (x a 8 in
and- Baaic-T 103; e progress, di x, t, ic a nasale 51, 81, 102;- regress.
totale in dd^yS 73, e «pS 120, in M^yxM 1^7, ineJ«v-x (p. e.|)l«-
•^óéddi più piccolo iiX/[o]v -xAXiov n. 168 in nota),Mn 66 «vO 92, in
fnmav-.{jL (p. e. ple^mméga piti grande i:X^[o]v \UytfLq)^ in M»p<r ndcLS-
seguo *lvTapa(móu> less.;- progress, tot. in tt'^izr 104, nn «tcv 105,
DiiiimiLrrapv 132. Dissimilazione.- 161. Di vocali, oltre éits^ée^Ku
160. roch. ajalddi oMo santo =: d^yec^- = ay co v Aa^cov;- cndf. attdlaklio ecc.
110; oor^^fi = bov. a5t?-;- gali, e chor. di roch. éova = ho7, é gita fxjSa
esci!;- roch. scedeffó = bov. xarfò. Sono inoltre, in queste varietà, parec-
chi esempj di assimilazione di sillaba a sillaba, ora per epentesi di
r Z, ora per aspirazione ripetuta. Cosi: chor. di roch. jp/tm&Z(fci = boy.
glimbdéi leandro xXn/xaxtov; roch. arnorisio e mtrit^ra = bov. annov" e mfi-;
cndf. $prihhrócshoT, sprikhó;" gali. aATld^ta =: bov. akdppia n. 92, spri-
hKàpa = bov. sprihhdda -^^xp-^ sprof à^a = boy. zofràta^ lekhdpi boy. lehdti,
Cfr. Epent. e Metat.
161. cndf. pendékome e pendékonde mi pento, si pentono (allato a de^
léguome^ kurégttomey ecc.);- spófarisfófa n. 115. Questa medesima y ari età
mi dà ancora stampa (stimba) goccia, che sarà difficilmente uno stamina
(=(7TÓ7|ia) dissimilato, ma ben piuttosto uno stapma (cm^t/fx n. 75) con
metatesi.
Dial. romaico di Bova. Accidenti generali. 31
al n. 31, non saprei proporre se non e ... a e a ... a 14. Di conson. :
pendifUa 82; e cfr. 1*85. Dilegui.- 102. Di yocale (atona) ini- Dilegui,
ziale; 1.* di oc, ben raro, com'è consentaneo alla tendenza che si de-
scrive al n. 169: vlikzo^ allato ad avUiioj suono il fischietto (auXfl^&>),
palino io bagno à7caXuv<o, strdsti e strammdda àorpa^Tst ecc. ; 2.® di t :
mdti f^Tiov, $dizo loéJ^^ sidri (t(rT<£p-); e il re. drdnno sudo (t$p<^(i>); —
3.** di u: jó figlio 6irfc, vrtiko 6pp{lÌ<o; oltre prandéguo^ fddi e ziló^
PO. [6]irav§p«6w, [fij^aS-, [óJ^jnfjXrf; ; 4.® di e: vlogdo eùXoyéw, katà ixa-
T^v, élno ixsivo;, pi zzilo (iicfiJiiXo?), piskopo Ì7c(<nt-; sperino vespro
éoTiep-; fighi zzo iyY^**» ngonatizzo m'inginocchio *IyY®^"» »w^^no
IlA^a^vft); oltre siidzzo^ giidddOj guénno Qjérrome^ re. [«JùO-, pjxf-,
[i]y«pv-;- jf (5 in Grecia di regola) «i5, in zarfó^ zalistiri^ zéro^ ze^
rdOy zaforégxjLOy i^oLSeX^o;, *2(e(XcxTi^piov less., re. I^eópco, l^spdla), i^a-
Yope&o; del resto azz^ (n. 169); 5.^ di y\i merónno addomestico ^\u^^
lekdti i/iXaxQCTT) , entrambo re; 6.* di o: pu dove, ohe (Strou), sp/dt
(mgr. 697c^T-)y Zi^o (dX^Yoc), che son pure del re; inoltre: mdli pia^-
nura *6(AàXiov, mónno giuro 6(i^vai (dpupLi), ndma ^vop.», rigdni óp^-fa-
vov, ^rt^ agugliata re. ^Tpà, stéo osso dcWov. 7.° di co: il re. sa/'nj
(òaàv), ecc.; 8.' di at: jaló alycoX^;, jidi aiy^- e agrojidi capriuolo,
madidi io at[jLco8-, tutti pur del re; 9.^ di et: na pò ch'io dica re. va
[elJicGi, ecc. ; 10.® dì ou: de no re. [oò]Sev, ecc. 16d-5. Dileguo di atona
interna.- Della prima nell'iato: mesahó re. (Mdtoxt^c, agro^ e apra-
(&YPCO- £yF'^~) ne' composti, come agrómmilo mela selvatica àYpi^(Aii*
Xov, agrappidéa pero selvatico *àYpiaiii8{a; n^o (^6vio() col verbo
ruséno arrossisco, plùso nXouaio; col verbo pluséno arricchisco, pZu-
sdto arricchito, ricco; ta katamina i giorni critici del mese (vale a
dire i primi, dai quali si trae l'auspicio pel mese intiero) xarafA^^vca;
cfr. ma una (p. e. ma jinéka una donna) allato a mia (p. e. mian
éga una capra) re. (^^a;- hhoró 6tu>pG>. Della seconda nell' iato: Vu^
tdno BoutTàvo; 243, prèmo primaticcio icpcóVfjLoc; zèro ^epio pur nel re.
(^eup-); agridddói oleastro ^àYpteXàxtov, ató uccello di rapina che
preda le galline in campagna air^; aquQa, pasdna 142, dómmu do^
162. cndf. disio sinistro à^i^ifn ^ posepdo scopro àiroTx-, /»p(JD/tto = bov.
azzip- cSuffóXuToc, sidi " hoY, azzidi re. ò^u^;- r fr. pskotdzzi annotta dbro-
ffxor-; ma o%o = bov. ligo\^ roch. udé.
163-5. cndf. trdnda =: bov. /rùiAon<2a trenta; zi K^-h = bov. ioi; ai qnali
mal può aggiungersi (malgrado il num. 175) il continuo 'gg[o\ = boy. '-^u[o]
{féggo = h, féguo fcuya»;- nistéggo io digiuno ecc. n. 259), che è piuttosto
gg^gv;- inoltre: vdpmo battesimo cfr. re. /SòcTmo'/ia, drsto tkppaxrvoz^hoy.
drrusto, rock, e rfr. ahrdizome ascolto ccx/»oà{-; rfr. smidi io somiglio
OVVOfiOCflC^fli).
32 Morosi,
tému (" dósemu dosetému) * dammi datemi* come nel re; -ise » -attrae
nella fless. dei verbi contratti; adóniy allato ad aidóni^ e sempre il
dim. adondcij usignuolo, ai^Sov-; 4)o Lindrdo n. fond. ^S. Leonardo*;
-dme s -dlo{jLat , -éme = -eofjLai ecc. nella fless. de' verbi contratti; kùme
àxouofxat. — Tra consonanti: shlapénno monto le scale ecc. *9xqcX«-
-Ì7rt^(v<«>, sarmùra re. (rotXajwupa ; smtngo «rjiiiYw (^H-P-^T^-)» trimikki
less.; jrar/*d é;x8eX^o^, ^pos^^/e allato a spakkestdte uccidetevi 'afoe-
^JijOaTe, hlùika 207; À^upanni re. xcoX^Tcavov, apórga *4it^^^Ya. —
166-7. Dileguo di consonanti.- Nessun es. di cons. ioiziale. Di me-
diana: Y tra vocali, v. il n. 75, e aggiungi tra[v]ùdi ^canzone' col
verbo tra[vJuddo io canto, re. TpaYouSiov ecc., e tri[v]uljdkko less.;-
Y innanzi a X, al n. 75; t: kdotte xàTcoOev allato di kdtu; 6 innanzi
a (a: klamó xXocuOfxe^c;; innanzi a p: tiromikkaro allato a mikipra n. 92;-*
8 o T innanzi a p, al n. 101; -p-, al n. 125; nasali, n. 128 (133,
138); <j tra voc, al n. 142, d aggrupp. a conson., al n. 143. —
X, in j^e 'nnd, pur del re, » OsXu) v^, p. e. pennd *rto voglio venire; —>
p, al n. 156; e aggiungi: mdparo^*mdrapo jAxpaOpov finocchio. Nor-
male nella declinaz. e nella conjagazione il dileguo di -v e di -« (cfr.
n. 133 e 142). 168. Dileguo di sili, intere iniz. e mediane, appare nei
soliti sardnta e sarakosti (TE(r<rapàxovTx ecc.), pendinta (icevri^x-), ma
non nel riflesso di TpedbcovTa, che è tridkonda\ inoltre, per dileguo di con-
son. , in azzasméno n. 143, zarfóy dómmu ecc. n. 165, e in fa fdte ^yt
ffàytTty pdte re. irdcYfiTe, esempj non insoliti neppure in Grecia. Ancora
ricordo arikambo n. 103, e l'aversi frequente, innanzi a parola eha
incominci per consonante, '^^-usi -ou^i nella 3. pi. del pres. indie*
Prost. attivo. Aggiungimenti. 169. Prostesi dì a. Agli es. re. apetdo
volo (ic^TOfJLsu), appidénnOj allato sl pidima (miZitù ecc.), addinmondo
*X7)(y{Aovduo, avdédda p$&XX«, qui si aggiungono: Apanajia la Vergine
IlQcvaY^a (allato al cognome Panagia), affidai féXiov less., afuddo afa^
dia ^y)de(i> ecc., anogdo intendo vo^(o, anazzia * nausea^ col verbo
anazzéme mi nauseo vxucr^x (-tant») , ammialó (cfr. re. IfjuieX^c allato a
(MisX^c), a^tdlahìu) xouraXoccpa^, astipdo xtuicqua, annortkko YVtt>p-, agrù"
staddo xpuffT-, asteriga Tcxep- (ma stero Tcrep^v), avlépo pXeTfw; cfr.
cipr. à^'f'^TwS, àj^vwp^Cw, à;^pfjC(o; e a Sira: à^neXac^^x^ e duru^Ox « (mcXx)^)) e
(TTc^Ox.- Ma prostetico ci ò anche Va che subentra ne' seguenti esempj
166-7. Dileguo delj da g iniziale palatino: roch. tn^Aa = boT. Jm- yu-
vaixa; cndf. (da ==hoy. Jidi re. yiStov; inoltre cndf. ligora ^hoy. glig^. Di
consonanti mediane: cndf. iraudi trauddo^ appenia = boy. asUriga n. 3. Ma
roch. tragtidi ecc. e tiromiskipro \^ gali, sedar fó = bov. ^ar/o; [a]n^dm ni-
pote (377ovoff); roch. e rfr. [a]mpattA^^ud ♦èpTraercxivai less.; gali. [a]rt^ct
quaglia = bov. artici re. ò/otwx- (ò/orvy-),
DiaL romaico di Bova. Accidenti generali. 33
ad altra Tocale che si ò dileguata, come si addimostra dall' afercsi
che appare in quasi tutti o nel linguaggio comune o in dialetti par-
ticolari della Grecia* Al posto delFe: apdnu Itc^vo), anuhiiio <pvou;^-
atuvou;^-, alea ^o^a e alddi olio [i]Xà8cov, art fi capretto cipr. ^^^t-
(fptcpo? Esich.) e arikamba n. 102, arotào [^JpuT*, aHjéddi re. [à];^eXiov
(lyX^^o^)» cizz" ^ Ui" : azzitnerónni re. [£]^fAep^vet , azzunndo [IJ^utc-
v&h>, ecc. (cfr. &Sà8eXfoc di Sira); e analogamente: ang^' and- amò'-
arg^ armr'^ifii'' ìvt^ l(jL9c-6CCf come in anglista IxxXifia^a, angremmizzo
n. 6, (mdrèpome andropia ivTp^^ofiAt, ambUlio mi azzuffo I(jlicX^x(o,
arnbró re. 2[A7Tptfc, argdizo re. IpY^&Of armàcia less.; al posto dell'i:
askddi 1ajéZ-\ dell' ii: alehdtij allato a lekdti^ re* XeiciT?) (iìXax-); al
posto dell' o: ahjéndra vipera re. ^x^vrpa, apissu [6}KÌ(jia, anihji ^vó^-,
amalo d(i^, ammidiio [6](AotàC(o, amorfa voto 6{jioX-; a;fa2(S umbilico
(sae. àimoùd) 6(AoaX^c, arhidi ^px^^» af^drmi ^tpOdiXl^iov, azzidi re. [^]ióS-,
azzeri re. [6]^pcov; al posto dell' u: onapuAd^u sottosopra &vuico-
xàrcoy opoATiondr/a 6icox-, apoméno tollero 6t:o{uv(i>, apordo *6ii-6pdui>
less. (cfr. icopduo e icoxXa^Ocd, Cypr* 239) ^ an^ aratro [6]vv(ov, aiestdo
uXoxT^co. 170. Rara, come nel re, la prostesi di e e quella di o, per
ciascuna delle quali ho un solo esempio: ekhriiio xPÌ^^ (^^^* licep<ri
aic8pu<ri, di Sira, oltre i soliti esemplari re), ed osia ombra (<nc{Qc).^
171. Prostesi di eonson.; oltre gùlo gengiva (ouXoc), che ò re, soli due
es. greci: liri iride *Ip(ov (tpt^) e lozzó vischio c(^; cui si aggiunge
mcehiw^ócchiu* de' finitimi dial. ital. (v. Comp. 89). 172*8. Epen- Epent.
tesi. ^ Di vocali, tra consonante (r) e vocale, firidiio Mo scemo di
quantità, di volume ece' ^po^vco ('<^), miriazio spartisco (Aotpà^co,
e pajon quasi esempj d't propagginato;- tra consonanti: munuhUdri
n. 26, Di consonante: y tra vocali, in ispecie dov'ò od era u {v):
anogdOf cfr. vo/u; lagoméno ferito re. Xa[p](o[ji/vo(; (Xu)^-), mtga pur del
re. ((AuTa), paraSogui iMtpatnteui^ , agttó re. auY<^v (tS^v); — ^rf^wo«-a6w,
-^gtio =» -eóio num. 259;- di y tra vocale e p: agrdsti « *ardsti (otr.
ardftt) re, dòpà^T- (&TpaxTo«); tra vocale e X: azzipóglito iJuit^yTo?;-
170. rfr. etuto (cfr. érouroc delle isole jonie), che s* accompagna così con
ecino jxclvoc;- cndf. evrdzzo='hoY.vrdzzo jS^à^u; e con t prostetico: iiénni
= boy. zénni less.
172. rfr. trtoolopcjfidtAa re. tu^Xott-; boy. trifopóndiha;^ roch. kósmio
xóo'/ioc.
178. cndf. ^io = boy.jd uioc (od é questo T antico spirito aspro?);* segato
= boy. sdV' oràjSjSaTov ; - AZi^osboy. AWtJO re. xX»!-/» (xXscw); e cfr. gltippo
=: boy. flìippo pioppo; ma suvH spiedo re. ffoujSXfov e (rouyXiov e azzipóvlito
sa boy. azzipógl"'^^ roch. gridci =3 boy. ride* /fuax-; e vjinnó nudo yu|*vóc. —
Cfr. il n. 160 in nota.
Archivio glottol. ital., IV. 3
34 Morosi,
di V Ira toc: travuddo 167; di tn tra vocale e consonante labiale,
V. il n. 103; e aggiungerei: zambatàri pastore V^aicaTàpific less.; di e
dinanzi a 6 e 6p, v. i n. 90, 92. Ili. Accanto alle yere epentesi, toc-
cherò di et 9 n interposti fra parola e parola per togliere l'iato; di
che ho i seguenti esémpj: se d dsto a lui re. ci aÒT^v (tU «-), ed ò
intrusione che riappare nel dialetto greco di Cargese in Corsica
(Comp. 86), e pure in gualche dialetto al di là del Jonio (Passo^,
Tpay. Rcofi. Append.: «re 8 auT^v, fxs S kut^v); ja 8 dsto per lui Scot au-
T(^v (cfr. oiv.ja s dfto^ ma s dfto\ se però questo s non rappresenti
la prep. \ [ci;], sicché ja '« risponda ad un ^per a'); énan dtrepo
un uomo, 'na kalàn dtrepo un buon uomo, mian ahUaro dulia una
cattiva azione, t{ só'kaman ego che cosa ti feci io, e simili. 175. Di
Oemiiuus. vera ep itesi nessun sicuro esempio. G-eminazione.- 176. Co-
stante delle tenui e di {«. iniziali quando esca per vocale la parola
che precede; p. e. pdo ce kkdnno vado e faccio, téddeko ce ttósso tale
e tanto, légo ce ppdo dico e vado, *$ tuti mmeria a questa parte, ecc. -
Per entro alla parola, rara di x: zukkdla pentola re. T^ouxàXa, sd"
vuhko sabucus; di t: viUtónno re. poux^o) (PuOàco), viUti botte ^out^ov
(po\3Tic), mttti naso re. (tur?); costante di tz: appxdi pera à.izit- (àmav),
appidénno à-in)8àa) 169^ huppdri 21, luppindri lupino re. Xoutrtv-, éppesa
aor. (ma épetta impf.) di petto 2; e cosi di v e (jl: panni e klupdnni
re. irav^ov e xcoXoicàvcov (se pure qui non continui il doppio n etimolo-
gico di ^pannum'), sinnodia compagnia ouvoS^a col verbo sinnodidiio
accompagno; -^11110 "inno -énno --énno *=* re. -xvw, -^vw ed -uveo, -^vc*
ed -a^va>, -^v(o, come in hanno re. xàvco (xà(jLV(ii)), klUdnno re. x^v(o ("x^)?
pinno Trfvw, afinno re. à^^vca, svinno re. (rpuvw, dénno re. S^vw, forénno
l*c. <popa^(i> (ma intatto il v degli antichi liquidi in -evco e degli anti-
chi e pur di parecchi nuovi in -a^vci), come meno {a/vco, perméno 6ep-
{jLouvb), jj^^no e paléno 266, pepéno re. à7cocida(vco), fortónno re. ^opT^vw;-
énnepa impf. ed énnesa aor. di n^J^o; ammialó à.^\w&k6^ 169, emme
ed emmd l[U ed ^{i^c; AHdmme x^ì^y immo re. i^piouv, /"dremma ^c^-
paifjia; -ìmma a -v^^jLev nella 1. plur. aor. pass., per es. efiUstimma ci
baciammo ìf^ik-ffiiri^^^ -^mmo» re. -oufAouv nella 1. sg. impf. indie, att.,
175. rfr. ha continuo un vs epitetico (cfr. il dial. di Citno ap. Mail. 92):
ego edidvasane io passai, de sónno kratisine non posso tenere, n'alar ghé"
guusine che s* allontanino, akomine ancora; ma, di regola, sol quando la
parola susseguente incominci per vocale.
176. cndf. parasoggui agguó ecc. = boy • parasogui aguó ecc. (cfr. 163-5
in nota);- efpélia ì70fX>?<xa;- essdse = hoy, esd re. soràc- Ma rfr. iporazzhoY,
ikhon^a.
DiaL romaico di Bova. Aeeidenti generali. 35
p. e. andrépommo mi vergognavo re. 2vTpe7cou(Aouv; ecc.- Di a gemi-
nato sono esempj al n. 140 ; e p gemin. è in ilKhorra^ impf . di hhoró
OecopGS. Metatesi.- 177. Frequentissima di p. Il caso più comune Metat.
è del r che viene a sassègaire la consonante iniziale anziché qnella
o quelle che seguon la vocale della prima o seconda sillaha: prihéno^
prikdda^ piriciOf i«xpa(ve«i ecc., prandéguo [6]iravSpevK«), krapisti re. xa-
it{(7Tptov, hropt xòTcpfov, hJirondó 5^ov8p^;, Tripépi cogn. *8eo7rpAnjc,
grambó yai^pp^?, trifopàndiko tu^Xoic- {l in r), fiedri par del re. (r
in l\ februar-);- vrùpako pàrpa^^oc, prdstemma *icàaPTpeu|Mc less.- Altri
tipi: lutrt0ia XecToupy^a; agridda argilla 'àpy^XXa, óivérti ^xu^sOptov
less., tawró io tiro re. TpapS, mdparo {mdrtharo) jjiàpaOpov, oltre pwrrd
re. icoupWv (icpcùiv-), ^arros^d re xopvtocxx^c e xovtapxx^^ (xovioprtfc); ecc.—
178. Esempj di metatesi d'altre conson.: fendthji re. «psyif^'^ic» kùmba
re. icoóyYQc, e ^/^ giova ^ *féddi (òcfùik&i). 179. Metatesi dell'aspira-
zione: ìTTÙpako pàTpax,oc; e vedi il n. 85. Attrazione.- 180. Ab- Attraz.
biamo -^ri^-drio (-dlpiov), cioò l'attrazione romanza e la desinenza
grecizzante, in dinéri denaro re. S7)vapiQv, suléri 'suola, scarpa' (sola-
rium', V. DiEZ less. 8. suolo), purziéri polso *pulsarìum e luméra lume
(cfr. otr. luméra fuoco): voci tutte d'origine lat. o mlat., ma che que-
sti coloni hanno senza dubbio portato di Grecia, perchè' sono estranee
al dial. calabrese. Voci somiglianti s'incontrano infatti anche oltre
Jonio: irav/ptov (?cava{piav Du CAKes) allato a ?cavàptoy; re. xouvouTc^pa
-t/pa zanzariera, ecc., cipr. TeX/ptv tel^jo. Il re. nXaTsptov, piatto, qui
iroy SL platteddi.' Notevole l'è di Rodi nei greci atT^piv trf^oyyipiv = aiti'-
ptov (rtpoyyàpiov (Muli. 94). Qui intatto sUdri^ come kripdri xpt6«, pu-
Idri irtoX-.
177. chor. di roch. agraniszo (cfr. typavvll^oi Gypr. 278) yvùip-; roch.
potrógalo H primo latte ^nptùxéyoLkct ; spriììfió ^v'^pòi , sprof àta =: bov. j'o-
fràta 16; ma senza metatesi il riflesso di /Sdérjoa^oc: vùpràko\ rfr. luturghia
senza metatesi; cndf. spurvdtazzhoy, zofr-^ setreffó è^i^ikfoi^ ahronizzo\
sprigdda re. ^v^/»a^a. Notevoli: rfr. asdimmondo e gali, addimosndo
allato al partic. ctddimonisméno e al nome addismónima = bov. addism-' re.
ahiffiA'. Notevole ancora: roch. vjénno (cxjSacvb»), imperi évjennay im-
perat. ^o^a evgdte (= bov. guénno^ éguenna^ égita ecc.), che vuol dire la
stessa metatesi del re. ^yodvto. Cfr. il n. 160 in nota.
180. roch. e rfr.: hjiméri capretto (v. less.), che ricorda in singoiar modo
gli esemplari di Rodi addotti di sopra.
36 Morosi,
U. APPUNTI HORFOLOGICI.
IL NOME.
Articolo.- 181. La differenza tra mascolino e neutro più non
è compiutamente sentita ; e se pur non avviene che to si accom-
pagni agli antichi mascolini, Yo è però frequente co* neutri an-
tichi. Il nomin. fem. plur. è i [i^] come nel re, non e [al] come
ne* dial. otrantini.- Il gen. fem. sg. t9ì; e il pi. com. to tcSv si
riducono, ove segua consonante, a ti e to, — L*artic. indeterm.»
come nel re: éruit mia.
Flessione de* sostantivi.- 183. Due sole declinazioni so-
pravvivono : la prima pe* femmin., la seconda pe* masch. e neutri
(cfr. Otr. 119), nelle quali si trasfondono anche le voci della
terza antica, fatta qualche riserva pe* neutri in -a [a;] gen.
-xToc Consuonano esse con la prima e la seconda del comune
romaico» tranne che, essendosi qui affatto perdute le desinenze
consonanti, il genitivo e Taccusativo vengono a coincidere col
nominativo.
Prima declinazione 183. La desinenza del nomin. sing.
è di regola a, cosi per Toc come per Ty) antico; e dell* -a = -7)
sono esempj al n. 36^ cui ora aggiungo plésta treccia *%'kÌ7iTi\ =
Tilzx.Thf e sahkuràfa grosso ago per cucir sacchi re. craxxoupà<p7) .
Tutta volta, non è raro rt = Ti atono, come si vede dallo stesso
n. 36; e ancora è in mi iti re. pTTi. Anzi abbiamo anche -i = -a;
183. rch.: resta il -v deiraccus., e pur dinanzi a consonante: me tim tnà-
nandù colla sua madre, roch. rfr. e cndf. : sempre conservato il -e, ma
con Tepitesi di im*e: i alése^ % kdmbese^ re. >1 iXalac;, tj xcé^Trac?; o lagose^
o milose^ ò Xóyoc, ò jxuXoc; o hjimónase re. ó ^ccfiwvac; emise esise^ re. tffxféc
iatUy emdse esdse^ re. t^ii&s so-ccc; ecinose ettunose^ cxcivoc ourovvo? n. 252, e
per falsa analogia anche egóse esuse^ èyó» c(ru, ecc. ; e talvolta, come per assi-
milazione progressiva, anche roch. ecinoso lagoso miloso. L* analogo fenomeno
ò nella flessione verbale al n. 271; al che aggiungendosi che questo ^se non
appaja in verun altro caso, ne resta affatto esclusa T ipotesi che si tratti di
sillaba meramente epitetica. ^
183. rfr. pésta pasta di latte = ant. ttiixti?, perfettamente analogo a plésta
=: TrXcxTì^. rch.: non affatto insolito, pur nel parlare quotidiano, il genitivo
plur.: to dikhateró ruv Ovyar^ùv, to glossò ruv yXuo-o-wv, ecc.; e si notano
de* genitivi, come tom mdno^ to sedar f odo ^ senza la normale mutazione del-
r accento, = re. Tùv ^«vùv, rùv è^a^eX^uv; — ma rfr.: t sarfédc^ genit. to
sarféde, immutato.
Dial. romaico di Bova. Il nome. 37
T. ib. , e pèndi re. woòvra puncta. Ben poche volte occorre ,
nel discorso ordinario il genitivo o sing. o piar. ; ed è ridotto,
pressoché unicamente, ai proverbj, a* motti, e a denominazioni
antiche, quasi un fossile grammaticale: éRji Uh gardia ti
mmélissa ha il cuore dell'ape (dicesi di chi abbia cuor dolce),
i àrghia ton aléo la festa delle olive; lòja to jinekó ce por di
to gadarò ólo *nam brama parole di femmine e peti d'asine
tutt'una cosa, ehji tim bina to foradó ha la fame delle giu-
mente (dieesi ad un famelico), piati ton àhharo glossò discorsi
di male lingue (dicesi a chi sparla di qualcuno) ; del resto, nel
discorso ordinario, si usa Taccus. con la prep. azze di. 184. Il
nomin. plur. re. in -à^s; ha qui due soli esempj: leddàde so-
relle, zarfàde cugine; i cui nomin. sing. son leddà less., zarfi
è^aSéXfTi. Il piar, di màna^ madre, ò mane (re. {^avàSe;). Quello
di melissa è il neutro dimin. melissia ; cfr. re. (iL&X{(r<nov allato
a (liXfccaa.
Seconda declinazione. 186. Ciò che si ò detto del genit.
sing. e plur. femm., va ora ripetuto pel mascol. : nero tu kjeru
^acqua del* tempo' acqua piovana, to pigddi tu nerA la polla
deir'acqua, o potamó tujalu miniato il fiume della marina pic-
cola (ma KKristòjenna Natale = XpierrGuy-) ; azzaforia tu liku
confessione del lupo (dicesi al briccone che promette pentirsi dei
misfatti che confessa) , ta pedia ammiàzzu to gonéo i figli so-
migliano a* padri (con genit. in funzione di dativo), rukho ton
addò rukho ton oló roba d'altri roba di tutti, o iljo tu martiu
tripài to cerato tu vudiu il sole di marzo buca il corno del
bue, ecc. ; ma nel discorso ordinario : azze to hjerò^ azze to Uko,
's tu gonéUf azze to marti, ecc. Men raro però è nel discorso
comune il genit. de* diminutivi neutri in hov (che hanno assunto
significazione positiva): i tripa tu hlidiu il buco della chiave, to
ambuddi tu aladiu l'ampolla dell'olio, to fluso tu karidiu la
scorza della noce, ta strazzia to pedxo gli stracci de' figliuoli, to
184. chor. di roeh. sederféde.
185. rfr. Khr%st4 n.fond., come a dire Sfondo di Cristo' ^della Chiesa' ; roeh.
tu più dello zio; tu leddidiu del fratello, tu hharafiu del podere; ma tu Kjimdri
(non tu hjivieriu) del capretto;- cndf. % tripa tu vermiciu la bac6 della
formica, to dèrma tu arniu la pelle dell* agnello.
38 Morosi,
hhorio tu Vuniu il yillaggio di Vuni o Roccaforte. 186. Con-
servasi l*accus. piar. masc. ben distinto dal nomin.; ma, al solito,
senza -;, quando segua parola che incominci per consonante. E
occorre, oltre che nel reggimento deWerbi transit., come in
argàizo tu étpu lavoro gli orti, gapdo tu kalù amo i buoni,
zuléguo tu8 àkharu odio i malvagi, e delle solite prep. : me òlu
con tutti, ecc., pure in locazioni temporali : dio kìirónus aptssu
due anni addietro, dio mtnus arte due mesi or fanno. 187. Nei
proparossitoni masc. non è costante quel regresso dell'accento
che nel re. ò normale: dtrepo £v6p(KMto;, plur. atropi; apòstolo^
piar, apostoli; drrusto malato, pi. arrtisti; ma dnghelo, plur.
dngheli re. àyyiXoi ; mdstara maestro, pi. mdstori re. fLOLcrófoi ;
kdvurOf plr. kdvuri re. xa^oópoi» ecc. 188. Esempj di muta-
zione di genere e di flessione sono, come nel re, questi che
seguono: o lógo ó Xóyoq, pi. lója e lójata; o ammialó 6 [tueXó^,
pi. ta ammiald; o spóro 6 oTr^po^, pi. ta spòra; ma stéo òcrréov,
pi. stéa (re. e otr. stéata). 189. I nomi dal sg. in -^a e in -t
(re. -a; -T);) hanno tutti costantemente il piar, in -t: kléfta
(antiq.)xXéwT7ic, Jafóte abitante della marina *alyiaXci)Tx? (cfr. -a
eoi. e zacon. B-Y); Muli. 96), zemadàri, aggett. e sostant., re.
<j«{x.aTàpinc, zambatdri less.;- plur. hléfli jalóti zemaddri ecc-
Anche ZaZd, chiacchierone, fa al plur. lati. — Ma il plur. di
singheni cognato auyyev^fi;, è singhenddia^ come leddé less., fra-
tello, fa leddidia.
190. Quanto ai sostantivi della terza declinazione antica, i
feminili ne son compiutamente passati alla prima, e i masco-
lini alla seconda. I mascolini re. in -a; qui volgono volentieri
in -0 [-o;], di rado in -i [rm;]: gonéo antenato re. yovéa; (yoveuc),
idrato tòpcùTa; (tòpds? -cSro;), limako terra molle, imbevuta d'ac-
qua (X6£(iLa$ prato), kòrako ulì^ooilql^ (xdpaC), ajòlupo alyJXwwa;
186. roch. kdmete tus dddu Sino pu pélete na hàmìtsi esd fate agli altri
quello che toì yolete gli altri 'facciano a voi (senza preposizione);- chor*
di roch.: Kdmete ton <iddó,., (col genitivo in luogo dell* accusativo).
189. roch. rfr. seder fddia cugini, anispddia nipoti, bov. sarfi antjrjrit;-
cndf. leddihja = hoy. -idia,
190. rfr. ftlro = bov. idrato;' roch. figó^ come fvyóc nel re. (fvyocc), fug-
giasco.
ì
Dia], romaico di Bova. Il nome* 39
(-*4)» jitóni (otrant. jitóno) y^CTova; (*fi>v); allato ad andrà
avSpae^ (&vvìp), Rjimóna -j^w^^iti; {jtl\fA>»i\ e kàpona cappone. —
191. Ai re. yéXo; (yéXa>? -oyco^) riso, yépo; (-<dv -ovro^), qui natu-
ralmente rispondono : jélo (pi. jélja)^ jéro. Ed entra similmente
neir analogia della seconda deci, il neutro in -o^, come è x^^-
Rilo^ pi. ta hilù 192. Degli antichi neutri della terza in -ac
ed -a, cioè kréa xpia; pi. kréataj sòma <xé5{ta, dérma^ éma san-
gue al[Aa, mmma bozzima, trimma tritume, hrùma suono re.
xpoó<j(Aa (xpo6{jLa) e la infinita schiera di siffatti nomi in (xa (pres-
sochè estranei ai dial. otr.)» nulla è da dire» se non che ben
raramente se ne ode il genitivo (-àrou, alla romaica; anzi ne
ho il solo esempio : i sihla tu galàtu la secchia del latte)» e che
il riflesso di xépa; corno è, come nel re, cerato. 193. Le voci
che il bovese ha assunto dal dialetto italiano della Calabria
seguono le stesse norme che ne* dialetti otrantini (Otr. 121),
colla differenza che i mascolini non grecizzati qui diventano
neutri, serbando però V-i plurale: to guài, to Kjùri, to gùvito
il guajo, il fiore, il gomito, plur. ta guài, ta hjitri, ta gùviti.
Formazione dei sostantivi. I. Suffissi feminili. -
194. Àgli antichi nomi in -(a, come jatria larpia, Amalia, nome
d*una via di Bova (^pianura', ófxaXCa), filia amicizia, foresta
vestimento, amolojia ò^kok-, fitva piantagione fureCa, non pochi
nuovi si aggiungono, la più parte de^quali nel comune linguaggio
della Grecia non si riscontrano: zulia re. X.-nkloL (^iiXo;); Jijmonta
invernata, fasta fascia, kamastarta spranga di ferro che porta
la catena del focolare, melissarta sciame d*api; e akrivia, afu-
dia n. 159, khalastaria rovina (efr. fOLkaL(yv^iai, Du Canoe), ostria
nimicizia (sj^Opa), andropia vergogna èvrpoTcìfi, plusta ricchezza
dairaggett. plùso irXo6<no^, limhistia voglia (cfr. limbi Home
m'invoglio re. Xe[jL7r^-), flastimìfa bestemmia, akharia ed altri
192. cndf. to skuHci tu khumdtu il verme della terra.
194. roch. oltre sinnofia nuvolaglia avwtf Col e limbisia allato al boy. /tm-
bistia^ anche agapia amore (bov. agdfii)^ kharapia (clr. ^apoiróc) allegrezza,
serokjeria tempo duro, ciod secco e sereno (quasi ispo-^o^ipiot)^ vl(g(a,{h. vloji"
mia)^ plofaria ordigno fatto di plofària (ciod di crini di cavallo, per acchiap-
pare uccelli), fgac(a carcere o volta, ond^esce, regolata a piacimento, T acqua
derivata da un fiume o raccolta da una o più sorgenti per alimentare mo-
lini ccCm quasi: fvXoxtioe.
40 Morosi ,
nel less. 195. Allato ad angalia abbracciamento re. ày^aXia,
raddia bastonata rc« ^a^SCa, e daéia morso (^^xoc)» occorrono
anche angalimia r addimi! a dangamia {T ultimo pure otran-
tino e propriam. 'morsicata' re. SayxafjiaTia) ; e sullo stesso tipo,
derivati da nomi yerbali: kanunimia guardatura, da kanànima
Tatto del guardare; filimia baciata, i&filima\ katarimia ma-
ledizione, da hàtàrima\ vlojimia benedizione, da vlójima; su^^
rimia fischio, da sùrima <iupcY{i.a. 196. Tranne due, cioè si'kosi
^alzata' carnevale (rfixciKn; e zósi Wìta, fianco' ^(mq, mutano in
'ia tutti gli antichi in -c^: vrisia ingiuria re. O^pioCa, katevasia
tu potami ^'ingrossarsi e straripare del fiume', propriamente
'discesa', cfr. re. )caTapa<r(a infreddatura; ecc. 197. Nei nomi di
piante, il solito -ta, come in kastania castagno/ ceraia cilie-
gio, milia melo piioX^a, amiddalia mandorlo àpySaXCa, survta
sorbo re. aoup^ia (-^a in agrappidéa pero selvatico, e in nomi
di fondi: Miléa, Karidéa RapuSia, e simili; e cfr. Peristeréay
quasi 'Colombaia', nome di torrente e del fondo rispettivo);
ma quando si vuol esprimere il concetto collettivo, adoperasi
-unia, che ha per base l'antico -cSv (-eéSv), re. -cSva^: kalamu'
nia canneto, allato a kalamónay da kalàmi; spartunia 'gine-
streto' re. GTcotprCa, da sparto; spoltzssunia roveto, da spalassi
less.; hardunia 'cardeto', da kardi; maparunia 'finocchieto',
da màparo; ecc. 198. A significare un* estensione piuttosto
ampia di terreno, tutta occupata da una sola specie di piante,
si adopera il suff. -oda (il quale, del pari che -uniaf non è,
eh* io sappia, in questa funzione, del re.) e si riduce ad "à
ne' nomi di fondi: fagàda quasi denticchiata', campo coltivato
a lenti; Kalamippà da kalàmippa menta silvestre scocXapiCvOa,
t95. roch. pidimia salto, hov. piditna irnS".
196. roch. émbasi entrata, bov. émbima; e plérosi matnranza, boy. jpZ^-
roma\^ cndf. nlastemmctsia (per il bov. vlasHmia)^ che par contenere tm
rslastimis di fase anteriore.
198. roch. Sporta da sparto s. e.;- cndf. Skliprd Orticheto da shlifra^
Scinidà da iinidi (bov. sinC) lentischio (r^o&voc, e analogamente Agrasiddd
da agroiiddo cane aelyatico;- rfr. Akappà < Spineto' da ahdppi^ Velond
<Ghiandaja' da vMni^ AUfrakd (= ^dafiùkada) «Laureto', Lugard «Saliceto'
(cfr. re. IvyoLpiu)^ e analogamente Ajendrdda « Viperajo' da djéndra (bov. àhjén^
dira 65); e ancora per nomi di fondi il pL fem. di forme che appajono agget*
tivali: Kannaoeré «Canepaja', Kriperé «Orzaja', Kropané- «Letamajo'.
Dial. romaico di Bora. Il nome. 41
Karidà da haridi x(x;p6S- noce, Vutumà da vùtumo pouropv fra-
ìex palustris, Amiddalà da amiddalo s. e, Marapd da màpa-
ro s* e; e analogamente Perdi kà da perdici pernice. 199. Con
analogo valore, in qualche nome di fondo, abbiamo -ti^a, che
dey* essere il lai. -ósa^ calabr. -^a: Sterusa quasi Telceto' da
stéra TCTsptc; Liparusa quasi Tetrosa' da lipdri; cfr. KaSOoOffai
che dev'essere *'AxavOoOff« 'Spineto', nome di fondo in una per-
gam. italo-greca^ del 1053, e M(xp«d&><ja cioè Tinocchieto' in altra
del 1058, ap. Tbinchbilà. 200. Di gran lunga più frequente che
ne* dial. otrantini, occorre qui poi il re. -a^x ad esprimere qua-
lità di colore, sapore, ecc.: aspràda bianchezza, mavràda ne*
rezza, glicàda dolcezza yXuKà&a, prihàda amarezza TrtxpàSa,
zihhràda freddo, ecc., tutte voci re. Ma questo suff. vai qui
pure ad esprimere nutazione alquanto continuata, a un dipresso
come V 'àta ital., che forse ha influito qui sul greco. Cosi:
strammàda quasi 'lampeggiata' re. à(rrpay(it.a, vrondimàda 'tuo-
nata' da ^p6vT3;|xa, patimàda pestata da 7ràT7)[j(.a, fisimóda 'soffio,
folata di vento' da fòoTif^a, hainàda scottatura da kàma xa0(jia ;
e analogamente pun^tnàda puntura. - Ricordo ancora zofràta
lucertola n. 16. 301. -àia. Oltre il re. zukkàla pignatta, an-
che fisàla vescica, re. fuuàviov {fìssali; ecc.). 202. Il fem. di
pondihó, topo, ò pondikàra (quindi trifopondikàra il fem. di
trifopóndiko talpa); di astàlakJio grillo n. 109, astalakhàra;
e son foggiati suir analogia di mulàra mula re. (xouXàpx (al
masc. , r it. mulo; assegnandosi qui il re. mulàri al solo signi-
ficato di 'figlio spurio)', gadàra re. ya&àpa, fem. di gàdaro asino,
e Kjimdra, fem. di himaro capretto (Esich. ^cijAapo^). 203. -tra
-tro. Di nuova formazione sono zalisa num. 155, flùso buccia
re. fXouSa. 204-5. -ina <-ena (cfr. re. èXa<p(voc cerva, ecc.; ant.
cuatva ecc.): derfacina porca; melissofàjena (quasi -^pàyatva) uc-
cello ghiotto di api, sikofàjena beccafico, tirofàjena grattacacio
199. roch. Spart^sa allato a Sporta 8. e; KaUfenisa contrada in doeli-
TÌo (cfr. katéforo n. 11);- rfr. Donahustit dalFant. ^Mvocg specie di èaima.
200. roch, zulimàda smorfia di ripugnanza (()2^~).
208. roch. flésira per il boy. /2t«/o;- gali, pléhhpra treccia di fichi sec-
chi, per il boy. pUsta 183.
204. cndf. attaloMna^ b. astalakliàra 202; e i n. di fond. Kóndena^ Kuz-
zomitUna,
42 Morosi,
(^mangia-cacio')» da*masch. re. (x.e>i(j(ro- (ruxo* xxàfo^kyo;. E qui forse
rivengono anche i nomi di fondi Arpàjena, Flójena. 206. -issa:
jitónissa vicina ytiréyf^^ singhénissa cognata (niyy^v-. 207. ^^ùda :
alupùda volpe re. dcXou^roO. Qui spetta probabilmente anche klùz^
za ernia x-f^^^in; e ancora forse trua, pure otrantino, * agucchiata',
re. òrpà. 208. Si è fatto feminile fràsti siepe, mgr. e re. ó fpàx*
TYi$; e róda oscilla tra *rosa' e ^<5Sov.
U. Suffissi mascolini e neutri.- 209. Fra i sost. masc.
citati al n. 189 è osservabile lalà^ unico esemplare che in questi
dialetti rappresenti V «si; re. dei tanti nomi di professione (tj«)-
fxac panattiere, eoe). 210-12. Noto ancora: pappua nonno re.
%aLT7Ko\j<; (cfr. Tant. aggett. itainp$o;); stennàto pentola, in cui
pigono confluire il gr. orópivo; e Tit. stagnata; vastisturi prete
battezzatore, col suff. ital. -óre; laddove in fisaturi ^canna di
legno con cui si soffia nel fuoco per attizzarlo' avremo -oGpiov
per -ifiptov (cfr. otr. jalisturi Spettine e naspo' = Oa^tar- e StaXucT-
-if^piov), come sovente fra loro si scambiano nel re. -ipiov ed -06-
piov (p. e. x-nTcàpiov e xin^oòpiov orticello). 213. Il dimin. lutunàri
^bitorzolo' presuppone forse un positivo lutuni e tuluni (t6Xo;) ;
cfr. piruni pinolo, re. 'ireipoùviov {Tczifk punta), e inoltre lo za-
con. hrambuni cavolo allato a xp^i^^Y), e pur Tant. dimin. otti-
eóvtov ali. a ctfi9o€ (Deffn. 316).
Diminutivi.- L Feminili. 214. -ùdda re. -oOXa è usatissi-
mo : leddùdda sorellina, mistrùdda cucchiaino (cfr. re. (x.o\i(rTp(ov
cazzuola), perdikudda pernicetta 778p$ixo0>.a, asterudda aletta
T^repoO^a, harduddki cuoricino xopSoOXa, nikJiùdda ^unghietta'
e ^piccolissima quantità di checchessia' (cfr. re. vuj^iov), ecc. — >
215. Meno usato, ma pur frequente: -édda^ che è il lat. ^ella^
ma tanto divulgato, pure oltre Jonio, del pari che il suo ma-
scolino (n. 220), da potersi dire comune romaico. Es.: alupu-^
dédda volpicella 207» tulupédda batuffoletto di lana ecc. 22, fur-
tédda manatella (re (foujritx), miécédda ^piccina' fanciulla 225. —
Nessuno schietto esempio del suff. re. -Cr^a (vedi però il less.
207^ roch. sapisia per il re. ^onn^Xa legno infracidito.
810. roch. pappo TroTnroc. — 211. rfr. taprandàia le nozze, allato al ùd-
gol. re. ùnócifSpiiJnot^ bov. prdndemma,— 212. Jiapistuli sedia xaOcori^pcov.
215. roch. e rfr. kaspidda^ endf. haspédda fìmcinlla (otr. kafèédda)
less. s. ^?iazzédda\
DiaL romaico di Bova. Il nome. 43
8. hazzédda, e i nam. 219, 244) e nessuno di -ooSa (ma cfr. il
n. 244). Al dimin. re. TreTaXoOSa, farfalla» risponde qui il posit.
péiudda, cfr. ant. 'TréraXov lamina, re. iveTaXiov orpello. Neu-
tri. 216. -ilo] '%[o] (-IOV -(ov) è frequentissimo, ma, eome nel re.,
eon signifieazione positiva: Kèri mano re. x^^^^r manici manieo
re. (jiavùaov, vuttt pourfov. Uri Tupfov, eee. ; e aneora serbato V -o
di -to, in kJiorio villaggio x**p'^^f *«ft*o muro t«x- Cirgalio te-
lajo èpy-; Kasteddio^ Ceramidio, nomi di fondi. 217-8. Raro
-&Siov : glikàdi vinello dolce, vrastàdi eaidajo ; cfr. re. {jLavàStov
^matercula'; -à^piov ne* due soliti es. khoràfi x<i>p-, già di Esi-
ehio, e kUrisàfi oro re. XP^<7-* -àpiov in pissàri pece, fengàri
luna, huvàri gomitolo, re. 7rt9<x- feyY* '^^P^P^^^ » munitàri 17,
/u^un^W 213; zofingàri 134; e specialmente in voci di prove-
nienza lat. : luppindri 176, mu^feirt (re. {x.oOaTo;) mosto, <in(irt
tino, jongàri giunco, palatàri palato. 219. Di -it^iov un solo
esempio, nel nome di monte Lestizzi lievemente sottile, acuto',
quasi AewTiT^wv. 220. Non infrequente -^éddi = re. 4>tov (v. il
n. 214): varéddi barile ^ol^^xw, peséddi ^i^éX-; micóéddi Spic-
cino* fanciullo 235. 221-5. Veri suffissi diminutivi sono -àcii
hugàci bitorzoletto 58, maruddàci tu Rjimóna lattughella in-
vernale, fortàci fardelletto, kunàci porcellino, cidonàéi usignuo-
letto, kossifàci passerino xoa<ju9-, arburàci arboscello, ecc.; —
'udi (re. -oòSiov, ma specialmente ciprio. Muli. 90): partenùdi
re. TuapOev- mercorella ; Jtm&artitfi gobbette, dal calabr. Jtm&u
gibbus; uddi (re. -o6Xtov): sakkùddi eee. 150. -tìrt (re. -o6-
piov): cipuri orticello re. xYnrouptov, allato a ctpo orto x^iwo;; ma-
rtiri spoletto re. (Jtaoroupiov; pissuri less. -tict, il più frequente,
un vero e proprio suffisso greco (cfr. mgr. e re. 7raXo6xtov, otr.
e bov. paluci; re. xooXouxtov, otr. kulùéi; Otr. 121), e non già
V 'leccio ital., che è -uzzu -uzza nei dialetti calabresi;- esempj:
leddiduci fratellino, aloguci cavallino, Udduéi cagnolino, Tit-
luéi labbruzzo, podalùci piedino, vizzùci poppellina, spituci ca-
setta, hrevattùci lettino, mandùci mantellina, radduci baston-
cino, stennatùci calderotto, morcùéi pezzettino 'morsellino'. —
216. roch. Mesc^ KatU' Anu'khorio^ n. di fondi.
219^ -txtov: rfr. hTiandici gola, allato al re. ^ov^òéxeov (cfr. ant. x^Soi ecc.).
225. roch. pagantici infante non per anco battezzato.
44 Morosi,
226-7. Di saff. acerescitim greci non ho alcun indizio. Si dice
perifrasticamente: 'wa mégan àtrepo un omone (re. àv6p(Ì7rapo;),
ma megàli muti un nasone (re. (/.uràpa), ecc.; e qualche rara
volta si adopera il su£f. ital. -óne, calabr. 'uni: fagùni man-
gione (re. (paya;). Quest*-i<m, col suo fem. -una, piuttosto ac-
cresce e vezzeggia a un tempo: pelakùni less., uccellino appena
nato (cfr. nelFital.: passerotto e simili); zoddùna less., ragaz-
zotta; miééeddùna (cfr. sicil. piccótta), da miccédda 215. —
22S. Finalmente vuoisi notare che i diminutivi in accezione po-
sitiva (cfr. n. 216) qui abondano assai più che ne*dial. otrantini
e forse più che nella stessa Grecia. Che se qui abbiamo da una
parte: àia sale aXa^, éga capra alya (at^), cefali testa (jcscpaXiS),
mistra cucchiajo ({xu<jTpo^), lania solco, kànnavo canape (xàv-
va^o^), shórdo aglio ((jx^fSov), kàpona cappone, e Trigono (^Tor-
tora'f nom. di fond.), laddove il re. preferisce i dimin. dXànov,
ytòtov, xs^à^tov, (x,u<rTpiov, Xavtptov, xavvàptov, crxopSàptov, xaTCOuviov,
Tpuyciviov; dalF altra parte qui incontriamo: mali pianura, alàdi
olio, mandali chiavistello, mitàri liccio, ambiasi empiastro,
tafi tomba, sufi truogolo, stafidi uva passa, tiKio muro, t?ra-
Kjóni braccio, sinòria * tratti di confine, nei quali non si se-
menta', ecc., a cui rispondono nei lessici neo-greci: ò\LoCk6^^
iXatpv, p.àvSa^o;, IjiTT^aaTpov, Tà<poc, ^^O^oj, aTa^iSa, teIj^^o;, Ppa-
yà^oL^ (Tuvopa.
2S9. Sostantivi composti. Abondano, e forse più che non
nel comune romaico. Citerò, senza ulteriori distinzioni: mesa-
227. rfr. siddtini cagnottello, col dimin. siddunàci,
228. roch, savana yesti mortuarie, re. o-ajSóvia; parànoma soprannome,
re. Tra^avófitov;- rfr. pérdika^ bov. perdikudda 214.- All'incontro: cndf.
hoH^ bov. hólo xwXoc; siddi ^ boY. siddo\ skordi e pondici^ bov. shórdo e
pondihó,
229. roch. parànoma s. e, potrógalo 176, silopótamo legno trasporfato
dalla fiumana (potamó), hjerdhona cote manuale (oAdni), kuzzopéleho schiena
della scure Ipeléci)^ kuzzomàhjera schiena del coltello {mahéri)^ stinuH
nikhrondo tela grossolana {khrondó)^ sakkokrévatto pagliericcio {krevdtti);
riidfto radice dell'orecchio (a/1^), ajalddi olio santo; e i nomi di fondi:
Mesopótamo, Vapikambo ^Campo-basso' (kdtnbo);- roch. e rfr. apanósirata
katóstrata^ sopra- sotto-strada;- rfr. andiporta porta anteriore {agrojidi ca-
priuolo), ecc.;- cndf. siddópuddo catello, unico esempio che in questi dia-
letti rappresenti la numerosa schiera de' composti neo-greci in ^novkoi ^figlio',
tra cui sono tanti cognomi (KaXoye^ÓTrouXoc, X/oio-rÓTreuXo?, ecc.)
Dlal. romaico di Bova. Il nome. 45
nisto mezzanotte {ntsta notte) re. [xecràvuxTov, thisimméri mez-
zodì {iméra) fJteoTifx.-; ponoééfalo dolor di capo (cefali), pano--
céddaro dolor di stomaco {ceddàri 13); ossukàssaro interno
della cascina {kassàri less.), tiromtizaro formaggio molle (mi-
itpra ricotta); Ktljopódaro mille-piedi 'scolopendra* {poddri),
arihambo zecca che infesta i capretti {kàmba), zilófurra fa-
scine di legna minute per iscaldare il forno {fùrró), mavró^
pilo 33, kuzzotràpano ò, Kjeromùrtaroless., trifopóndiko 175^
fiddàmbeh foglia di vite {ambéli), khamorópi virgulto nano
(-^6)77tov); agròmmilo 163, agrokrómmida cipolla selvatica {krom-
midi), agrósiko fico selvatico {stho), agrósparto ginèstra delle
lande {sparto), agropiccuno picciope selvatico {piccuni, re. wit-
^ouviov). Ma ajenneró acqua santa 39, si direbbe air accento piut-
tosto una giustapposizione (ay^o-yepd) che non un composto.
Flessione degli aggettivi.- 230. I feminili seguono la
prima declinazione, ì mascolini e i neutri la seconda; sul tipo
delle quali si sono quasi tutti rifoggiati gli aggettivi dell* an-
tica terza declinazione, qual pur fosse V uscita loro. Gli antichi
in -6; -eia -6 sono qui in -io -ia, quasi -sto; -eia (otr. -éo -éa,
quasi -aloe -oClol) : paJiio grasso ^^ap;, vario pesante P«pu;, gli-'
€10 dolce yXujcu^, spipto spesso aTzx%q 15. 231. Similmente pa-
recchi degli antichi in -($; (passati forse per -6;; cfr. mgr. (xaxpu;,
od. cipr. (iaxpo6^ s fiLaxpcJ;) : makrio, pricio Trcxpò?, kjiddio xu^-
yA^. Intatti: orto òpOd? (otr. artéo), apio semplice, diplò doppio,
arg& ozioso, non lavorato (detto di un campo), amalo piano,
eguale óu.aX(^ (all'incontro mMi piano, tranquillo, comodo, il
quale coincide col mali del n. 228, dà la forma avverb. mali
mali 'pian piano, adagio', e presuppone forse un omàlio per
r antico ó(x.aH;, come alipio verace è da àln^-hq, e ijo sano,
pur del com. rom., da ùyet-n;). Sopra questi si foggiano, oltre
mono 'solo, dispari' re. [it.(ivo; e pvd;, e misó mezzo, allato ad
imiso (•/i{x.t(yu;), come in Grecia, eziandio pilo umido {jzn'koCioi) e
hjioló torbido ^0^010;;- ma intatto è palèo vecchio waXaTo;. —
233. Per àypto? selvatico, fuor di composizione, abbiamo qui
agrikó, col quale confronterei dihó dihómmu, re. Stxóc, Stxó? jjlou,
nel pronome riflessivo, vedendovi un l^iy.6; = tSio; 'proprio', piut-
290. roch. filióia femina, bov. filiki Oy^Xvxi?;- rfr. var<fo = bov. vario.
46 Morosi,
tosto che Vzì^ix6g 'speciale', preferito dal Mail. 189. 23i. Per
a^aptc abbiamo àkharo masc. e fem. 'cattivo -a', come son masc.
e fem. àrrusto &ppci>GTo;, piizilo t^l^inkoq^ e ancora» per falsa
analogia, àjo ayio^ (p. e. Ajo Ciriaci Santa Domenica), oltre
stérifo sterile (cfr. òtimo gravida sToip;). 235. Sopravvivono
poddi molto wo^u;; e méga {it-iya;, in luogo del re. (^eyà^o;, fem.
megdli. Qui manca il positivo' che risponda airotr. micco ^
mincóf piccolo (cipr. [urQiiq -ìol -£v, zac. pr^é -Ca, epir. p.iT2[ixou-
pouSiv, Gypr. 443) ; ma esistono invece le forme dimin. miccéddi
'édda 215f 220. Il riflesso di ^£; %dL(sx ?7Sv ò al num. 265. —
236. Il re. xovt6^ è qui solamente nelFaccezione di 'vicino'; per
'corto' è in uso kùnduro 4, col quale si confronti il cipr. xouv-
ToupcK nel doppio senso di xoXopcic e xovrd;, che mi par felicemente
riportarsi dal Sacellarios al class. xdOoupo; 'mozzo', anziché deri-
varlo da xovrd^. 237-41. Di aggett. in -rikó^ nessun esempio nel
bovese; in -ep<fe -tìp^;: drosera rorido, kamaterà [iméra] giorno
di lavoro; in «ayróc (come i re. ^a;^apG)T(J€ zuccherino, $ey>.u(XTpa)-
T(5? sdrucciolevole, ecc.), solo karparutó fruttifero, re. xap7rep(5?; —
in -àpTjc, oltre il re. zemadàri 189, trovo zondàri vivente, re.
^cavravtJ;, e Jerondàri vecchio, decrepito, re. yépovTa?; in 'X,6^
[-tTix(fc]: mesakó re. (jLe<yiaxd$, potistikó irriguo; pràstiho (che
dicesi del vino eccellente, quasi 'efficace') ?rpaxTtx({;; sòliko less.-
242. Ben più abondanti che non neir otrantino gli aggett. par-
ticip. in -«To^. Oltre i soliti Jomdto pieno ye(AàTo? e khortàto
satollo re. pp'^à'^^» trovo qui: zidiàto acido (cfr. re. ^u^àro;,
che è sotto aceto), asprinàto bianchiccio, mesate mezzo {fen^
gàri mesata ce Jomdto mezzaluna e luna piena), pleràto ma-
turo, plusàto ricco. Aggettivi verbali di forma antica: àplito
sporco, non lavato octuXuto;; e il re. anàlato insipido. Veri par-
284. àkharo -a.
285. cndf. èéddi cédda,
287. rfr. iénnulo puzzolento (o^u; cfr. il tipo àTraniXóc fallace, ecc.).
288. g!all« pàfijeró grasso, rayyc;" roch., rfr. e cndf. kamateH.
240* '^li riaprii -vedremmo nei roch. protali primo, e padddli sciocco,
calabr. paddéco*
241. rfr. e cndii, jàstiho 158n.;> roch. manahhòliho ^solitario e straya-
gante', misto di fxova^^óc e /xeXoy^oXcxóc.
212. cndf. lissdto arrabbiato (Xuero-a ecc.);- rfr. aposépato scoperto (oato-
orxcTro)); cfjirefto trascurato, quasi cèxujoccuroc*
DiaL romaico di Bova. Il nome. 47
ticipj, ma con significazione d* aggettivi, sono al num. 274.—
243. Aggett. gentili; in -tcdno = -[ixi]avdc (ma ossitoni ancora:
Oallicanó n. di paese, Licanó Luciano, Pelikanó cognome):
Ajolavrendicàno abitante di S. Lorenzo e Roccafarticàno (che
dicesi insieme con Vunitàno) abitante di Roccaforte ( Vunt) ; —
in 4tàno: Rijitàno Reggiano ^P^iycTàvo^, Amiddulitàno abit. di
Amendolea {Amiddalia) , RokhìAditàno ^ allato a Rokhtuttsi^
abit. di Rochudi, Stelitdno abit. di Stilo (StuXoc), Vutàno-Vuit-
abit. di Bova (F6a), oltre il s. e. Vunitàno; in -óta (=-c«)T7i;):
Kondofurióta abit. di Condofuri, Afrihòta abit. di Africo, Ja^
Iòta 189. 244. Rarissimi gli aggett. diminutivi: prasinùdi
verdiccio, kalùzziko buonino di salute re. xa^our^ixo;; e non
meno rari gli accrescitivi: rakKùni magro allampanato, dal
re. pmx^^ Cfr. i num. 215 e 226-7. 245. Aggett. composti:
stravopódi piedi-torto, kuzzopódi piedi-mozzo, huzzohéri mani-
-mozzo, huzzomitti camuso (nasi-mozzo), tutti pur del re. —
246-7. Comparazione. L'antico suff. comparativo -repo so-
pravvive qui in un solo esemplare: megalótero^ che ha senso
di comparativo assoluto *un pò* grande, piuttosto grande'; e T-iov
nei due esemplari comuni air otrantino : kàljo meglio x&X^ov,
hiro peggio x^^P^^^ ^^^ ^^^ resto non si usano se non accom-
pagnati dairavv. ivXéov: pleh gàljo ^più meglio', pleKJiiru ^più
peggio'. Nessuna traccia di sufi*, superlativo. Dicono: paddi
(tuoXu) méga grandissimo, a poddi miccéddi il più piccolo, ecc.
Ma persistono i superlativi col prefisso T^apà, che nell' otrantino
son cosi scarsi. Citerò: paraméga ^permagnus', molto, troppo
grande, parapoddi moltissimo, troppo, parali go pochissimo,
troppo poco, e cosi paraplùso, parastenó, paramàgno^ ric-
chissimo, strettissimo, bellissimo, ecc. Il 'quam' di compara-
zione qui si esprime per Trapà : ego ime plùso pie ppard ssé io
sono ricco più di te; em bleh gàljo na pepàni para na kàmi
mian àkJiaro dulia è meglio morire che commettere una cattiva
azione.
Numerali. 248. Conservasi tal quale T ant. Tpiàxovra (re.
Tpiàvra): triàhonda. Oli altri cardinali, come nel re; salvo che
248. roch. e rfr. tridnàa^ cndf. tràtida;- roc h. oAnda fS4[xo]yTa;
rfr. esinda^ eftinda jttt-, of linda òxt-, enneinda re. fvvcvi9vr«. roch. prO'
tdli n. 240.
48 Morosi,
le denominazioni romaiche cedono il posto, al di là ie\ 00, sl
delle perifrasi calabresi : irta ventine 60, irta ventine ce de-
ka 70, ecc. Da kató éxaróv a Rilji x^^^^^ (o Jijiljàda migllajo),
si procede ancora coi calabr. dio, tria éentinàra, ecc.- Man-
cano gli ordinali, salvo protinó 7;pa)Tew((;, che fa le veci di
Pronomi.- Personali. 2i9. Non differiscono dai re: egó^
esùj piar, emt^ esi, epe. Notevole la forma organica nelFac-
cusat. sing., retto dalle solite prepos.: *s emme a me, ja 'ssé
per te, eco», allato alla re. emména^ esséna, che però è prefe-
rita nella costruzione enfatica; emména m'agapùsi òli me mi
amano tutti. 350. Baritono àsto (otr. àfto) ^egli* aOrtic; o si
ode spesso con accezione dimostrativa in ja *s àsto ^per ciò',
allato a ja tuto. Notevole ancora manahMndu (otr. mana--
hhóttu ecc.) ^da so solo*, che qui non trova alcun* altra forma
correlativa, dicendosi a cagion d* esempio : ego manahhó da me
solo, àsti manalu da so sola, ecc. 251. De* possessivi non
rimane se non l'èpcrf^ fossilizzato in patrimó paternostro Tra-
^ìnf'Umiq; del resto i soliti dihómmu dihóssu dikóttu, re. ìn^ót;
{lou ecc. 258. Dimostrativi: I. tùto -i questo -a, re. toOto; toGtyi,
genit. sing. tutu, tuti, genit. plur. tutó ; cino 4 quello -a èxel-
vo? èxsfvT), genit. sing. cinti, cma, genit. plur. cinó; IL tiindo,
plur. tùnda (e qualche rara volta, coir assimilazione del v al ^,
tuddo, tùdda; cfr. Gomp. xxv), un 'neutrum tantum', =rc. toOvo
To, plur. ToDva Ta, genit. tutù tu, tutó to; e cosi di solo neutro:
cindo, plur. cinda, re. sxetvo to ecc., genit. cinu tu, dnó to (il
primo di questi pronomi foggiato per avventura sul secondo;
cfr. Totr. tunu, genit. di tùto); III. etticno -t cotesto -a re. aù-
ToOvo? ecc. (cfr. ettù costi aOroO), ed ettùndo re. aùTouvo to ecc.
(Muli. 196, Gomp. 86), genit. tunù tu, ettunù tu, ecc. 2S3. Re-
lativi. Il solito è pu re. 77oD, cui però sottentra non di rado
r indeclin. ti (oti) ; p. e. kazzédda, esù, ti den éhji ti kàmi *fan-
ciuUa, tu che non hai che cosa fare*, cino ti su légo ego quello
che ti dico io, cino ti su zitào quello che ti cerco (cfr. Gomp. xvi,
xvii). 254. Gorrelativi. I soliti tosso t^jo?, posso Trcido^; e inoltre
téddeko tale e tanto, che vuol dire l'ant. tti^Uo;, con accento
arretrato, anziché il re. tstoio; [TéTyoio?, tétlo;, tCtio;]. 255. In-
terrogativi. Il solito iis, ti, che si confonde coli' indefinito (256),
Dial. romaico di Bova. Il verbo. 49
e pio quale re. icoloc tpoi^. 266. Indefiniti : ii[sj, ne* casi obliqui
Uno (re. Ttvi;; cfr. n. 190) , p. es. ti imme larga azze tino pen*
seguo ^ch* io son lontano da chi io penso', fému me tinóm bài
ffegò $u légo ecino pu kdnni * dimmi coh chi vai e ti dirò quello
che fai'; ttspo nessuno (cfr. Otr. 125), cioò tC^ttots; e tipote
nulla; tiskandi qualcuno e tikandt qualchecosa, quasi tk-xocv-
•^Tt^ ecc. (cfr. Otr. 126: tihanéne e pukanéne). Oltre hanénat
genit. kaneniif e il fem. hammia o kàmma^ re. xavivo^ e xoc(ji-*
\Lik^ qui occorre, ma non riferito a persona: kàna^ non estraneo
pure alla Grecia (cfr. Comp. 97 e xxxiv : senza hdna torménto^
kammiam ben^t; senz' alcun tormento, alcuna pena). 267. Ali-
tato à pasaéna e pasàna ognuno , fem. pa^amia^ re. Tradoévoc^
xxaàvac ecc., anche rindeclin.paM: pAsapr&ma ogni cosa, jTo^a
meria ogni parte (cfr. pàssio pàssia Otr. 126). Nel medesimo
senso di pòsa, ma solo riferito a tempo, odesi hàpa: kdpa mèra
ogni di, hàpa msta ogni notte, kap*6ra ogni ora, kapapóssuì
ogni quanto?, kapatòsso ogni tanto (cfr. hàti^ hai, Otr. 126),
che ò xaOs, accorciato da xocOéva? (Muli. 216). In luogo del
re. ó .Tà$e, i7i Tà$e (e di ó Selva ecc. degli scrittori antichi e degli
odierni scrittori classicizzanti) usasi o tèsto, i tèsti, già ricor-
dato al n. 13, che parmi essere da tiésto » TotaOro;, cfr. ettù ecc.
al n. 14.
IL VERBO.
Tema del presente.- 268. Degli antichi verbi puri non
contratti soli due sopravvivono: céo e Mèo, xaCco e xXa(a>; meno
quindi che ne* dialetti otr. e nel re. - 269. Gli altri conseguono
tutti un tema in consonante, inserendo fra il tema verb. e la de-
sinenza Tuno r altro de* seguenti suoni: v, g, n, i. I. klivo
255-0. rfr. pio\s] costantemente per il bov. H'[i], così interrog. come in-
defin. : p(o kanandiì chi .guarda? aSiporiseU pios imme ego sappiate chi
0on io; ma tino ne* casi obliqui; roch. e cndf. p<[«], p. e. pis iseì chi
sei?; e ne* casi obliqui pinó^ p. e. me pinóì con chi? Si confondono insieme
jroloc e r£c, sotto T impulso dell*it. chi. Ancora cndf. pinondeì*& quale?
cioè Tace. 9rotov coli* antico suff. ^e; e ptono^ genit. pttint*, per il hoy» pio
(cfr. frococvou, plur. frocavùv, Muli. 209; questa paragoge ha il re. soltanto al
genitivo).
258-9. rfr. e cndf. ahuo (cfr. boT. Atiom^);- cndt Migo^boy. hlioo,
ArehiTio glottol. iUl., IV. 4
50 Morosi 9
re. xXetytó (xXeico); IL 'éguo='éugo='t(Hù: jatréguo larpeóù), kla^'
dégno ìCkoL^zùiùy nistéguo vTxiTsóct) ecc. , nella cui analogia entrano
qui pure, come ne' dialetti otrantini, i verbi d'orìgine latina od
italiana, p. e. sarvéguo salvo, penséguo penso, puntiéguo faccia
punti (calabr. ^unft'/u) ; sebbene questo dell' -^^uo sia un tipo sui
generis, in cui la desinenza riesce ancora preceduta da vocale ;-
III. linno re. Xudvw (X6a>), zlnno re. S^vw (^uw), dénno re. Sévw {ilon) ;
kùnno re. àxo6Y<>> (&)co6ct>), ma col rifless. hùome, p. e. ego anogào
ti huome kalà io capisco che mi sento bene; krùnno suono re.
xpo6Y6>()cpo6G>);- IV. analizzo dipano (àvaXòo)), dahrizzo e fta-
taliizOf re. id. (2(ax{>66> e xaTaXu6>), ecc. 260. Pur molti degli
antichi verbi in -aa>, alcuni de' verbi in -ico, e tutti quelli in -ad,
subiscono siffatta alterazione, la quale pertanto è qui ancora più
estesa che non ne' dialetti otrantini e nel re. - I. Oltre kJiànno
(*3^ào)), vizzànno (p^àa>), apandénno (àxavràw), hKorténno (^op-
Tato), forénno (9opéto), dénno (Sìcd) = re. xjc*^* PuJ^àvw, à?7avTa(v(d,
^opTocCvto» (popaCvto, Sévto, ancora: X^Itinno rompo (xX&to), peranno tra-
verso (ipepàto), alànno aro (cfr. l'ant. àpdto allato ai re. àporpsuco
&^Tp66(i), otr. alatrégico), appidénno (TrTiSàco); e analogam. ;2:^)(-
forénnome mi confesso, allato alla forma attiva zaforéguo i^a-
yopeòto.- IL Oltre ì re. pagónno (TuaytJto), stravónno (orpap^to),
ap Wnno e diplónno (i7?X(5to e SiTwXdw), jfmnónno (yuptito), si^nno
{<n\7L6(ù)^ lestónno (kzT^xóiù)^ mònna C^òfA^to = S{iivup.t) , sónno ((ra^
aràl^to); ed oltre harfónno inchiodo, hombónno annodo» fUskàn-
no cresco, formatisi sull'analogia di quelli e re. essi pure; an-
cora: embónno simbónno less., vuttónno re. pouréw (puGào),
aposurónno 46, dònno re. Stvo) (SCSwjjLt), tikRònno fabbrico re. tei-
3^(^(1) (-ito), a^'^rdnno 14 re. àp)^ap(2[to e àp^ivéto, jzrinruinno (gratto)
allato a zinno 259.- III. Oltre i re. adiàzzo, azzidiàzzo, hum-
biàzzo, stafidiàzzOj àSeià^to, ò^uS-, xo[jiP-, orafu^-» ancora : diafàz^
zi less. ; e analogam. : vasiljàzzi tramonta il sole, allato a va--
silégui ^oLdCk-; karrastiàzzo impolvero re. xopvaxTi^to (xovioprdto),
remmatiàzzo erutto èpeuyt^-, aspriUdzzo imbianco, kunduriàzzo
800. cndf. alénno per 11 bov. alànno;^- glicónno addolcisco, sprihhónno
raffreddo; e delónno per il boT. tilizio (rv^to-o-o)); roch. peràszo^ boy. -anno-;
anahldsAoy boT. -iiio; sinoridszo lesa., hharapiàszome less.; cndf. jpor«-
pdzzo^ boy. jKirpató; sagorizzo^ boy. za fare gtAo; eh or. di rfr. : sapiz'-
zete, boy. sapénete = re. aaTr^^verc.
DiaL romaico di Bova. Il yerbo. 51
accorcio (cfr. n. 236), skandaljàzzo scandagliOi tritmljàiio less.,
skutuljàzio re. (ixoTdv&), ecc.- IV. anaklizzo orlo (àvaxXàci)), tri^
pizzo (allato a tripàó) buco TpuT^àco, zanizzo scardasso (^ocvào)) ;
vii zzo abyliù, patizzo (ali. a paté) ?7aTéa>, appidizzo (ali. ad op-
pidénno I)» svizio re. d^uvo) (mgr. a^uci), aat. (T^éwu(At); e ana*
logam. azzarizzo applico l'acciajo, oltre 11 re. alati zzo salo.—*
261-4. Facilmente intatti, com'ò naturale, gli antichi verbi in
'X^<ù: Kézzo x^^*^»* ^i^iàzzo spartisco (xotpà?^&>, sepàzzo copro
0X677-, sdzzome mi adombro, m'impauro <ncià^-, skotàzzi an-
notta (e skotizzome 'mi ottenebro', ho le vertigini), stenizzo
pettino, xTsv-, tiganizzo friggo TYjy-, anemizio ventole, ecc. ; -
pèzzo giuoco TQOLxCfù (aor. épezza), hràzzo invoco xpà^co (aor.
éhrazza). Ma C è riflesso per ss in sf^i^^t gocciola errasse e in
pisso re. ido^ci) (cfr. re. x^ióodcosxXa^cd e il n.l47). Intatti addàsso
e <tyuÌ5S0, aor. àddazza, ettnazza; ma tilizzo aggomitolo re.
Tu>iy(d (tuX((J(J6>), aor. etilizza. Kad^^co trova qui il neutro kaptn"
nOf io siedo. Intatto il riflesso di xXcóOo): klópo. 265. Dei verbi
in -TCTfi), mutili qui pure: i?^^, pur del re. (pàwTCi>), Afó/b re.
7(Jkl^ xXéPy^ (x^éxTco), An'/b re. xpò^cd xpu^y^ (xpuTrrci)); ma in-
tatti gli altri: ràsto^ skdstOf ristOj hósto^ re. pàfro) ecc. (^àir-
To), ecc.). Mutilo eziandio: difo (cfr. otr. di'/b e difno; re. SsC^tci)
6 ^eipcd;- ant. Seixvu(Ai); e ancora si aggiungerebbe trifo dal
D. 121. Nessun verbo in -axo. 266. Intatti gli antichi liquidi
in -V : meno [a£vg> (aor. emina ecc.), perméno 6ep(it.a(v&) (aor. epér--
mana) , zikRréno ^XP' ^^ ' ^^^^* analogia de' quali si sono ri»
foggiati gli antichi in -6v<o, come 77>.6v6t) e ttocXuvo), qui plého e
paléno (aor. éplina, epàlina); e si ottengono inoltre: aspréno
imbianco, mavr^no annerisco, rus^no arrosso, oltre i re. kon'^
déno mi avvicino xovt-, lesténo mi assottiglio Xswt-. Di stéddo
(stello), mando, può chiedersi se vada ragguagliato all'antico
<rréX>^, piuttosto non sia il re. (rréXvw con II = In. È più pro-
babile la secónda ipotesi , e cosi aversi T esatto parallelo del rr
=rc. pv che è in sérroy férro^jérrcyrney spérro^(à^y cùf^Mù (rópw).
261-4. chor. di roch. hapénno per i! bov. hapinno. Sul tipo di x^ódu:
roch. aplópOj diplópo per apl^ diplónno di Bova; cfr. il re. votódu allato a
vocóvoi) e voe^u (voéu) e il cipr. yjtàOco (yiyv(l)ffix.(ay
266. Cdf.: kunduriéno mi accorcio, per il bov. hundurid}}ome.
52 Morosi,
(flfm (9^cii>), èyé^vofiLai (èyeipco)^ cT^épvci) {fnctlpiù); e in pérro xalpvca
(sTuaipa)), al quale si aggiunge in questi dialetti: metérro scopo,
spazzo p.8Ta(pv(ù (|UTa-{-aIp6>).- Neiraoristo è regolarmente: ésira,
éfera, espira^ épira^ emétera, come éstila da stéddo. 267. Le
quali forme ci conducono a qui soggiungere, in via d'appendice,
ohe nulla di particolare ci offra il tema delTaoristo. Solo i
seguenti verbi presentano all'aoristo qualche alterazione tema-
tica, ma non punto oscura: azzidiàzio (160 III), aor. azzidia;
zinnònnOf aor. ézzia (da ztnno, ^uo), 259, III) ; Jerondàzzo, aor.
ejeróndina (quasi da un yepovTa(v&)) ; mavréno (re. (xaup CJ^w) , aor.
rifless. emàvrina ed emavripina; huféno divento sordo, aor.
ekufena ed ehufàstina (quasi da kufàzzo). 268-9. Dei con-
tratti in -oS da -écd, soli si mantengono parpató TuepcraTéo),
hUarró OoLpfi(ù^ kJioró 6£Ct>péa>, ponó Tuovéco, vare) ^apéco, éinigó
xuvTìyéo), Arato xpaTéo); e tawró tiro, re. Tpoc^éco Tpa^àct). Oli altri
antichi verbi in -èco, salvo i pochi del n. 260, mutarono in -ào;
la qual mutazione, di carattere dorico, è assai comune nel ro-
maico, ma non ritorna costante se non fra i Peloponnesj. Cosi,
agli ant. verbi in -àw: gapào òLfOLic-, hhaldo,jelào ytk-tjenndo
ygw-, jerdo (ffifàcù; re. yepà?[co), meletào leggo (lo stesso signi-*
ficato pur neirotrantino), cendào stimolo (%£VTàa>), fisào 909-,
zihhrào ^XP*» P^^^^ào do colla scure, lissào mi arrabbio Xuaa- ,
arotào interrogo spcor-, e aporào less., ancora si aggiungono;
anogào (voéo)), atonào e opoton^o x770Tovéa> ecc., ziiào ^TiTécd, a/U-
dSio PoY,6é6>, alestào OXaxTéco, /S2do <piXéct>, m^treio (/•e'rp-^ puldo
w(«)X-, polemào travaglio, cimento, ;50^o ^9-, ^jaraAaMo prego,
diaforào guadagno, rigào intirizzisco, azzunnào è^^Ji^étù ; e ana-
log. : addismonàOf pizzidddo, éilào, re. XTi(j(JLOvé<(>, ^ir^iXécd, xuXéa>
(xu>.Ca>). Verbi in -àco novellamente formati, oltre il re. apetdo
(7;ÌT0{j[.at), sono: katalào guasto (xaTaXuco), zitulào cerco Telemo-*
Sina re. ^7)Tou^e6(i>, rahUuddào russo re. ^o^aXi^o), 5t«r^o, fischio
dupi^o), i;05^io 59 (^(i(Txa>)« pordalào re. ?ropS£(i> (?;£p$cD), ^nu-
n^o less. Mancano qui affatto i verbi sullo stampo dei re. -foCk-
voS, yupvcS, T^spv^S, ^epv&> {joCkkiù^ 9upà(i), Tuepào), è^epàcii)). 270. E
269. cndf. katurào^ bo^^^. -'izzo^ re. xaTovpt^»; jerido resnscitOs risorgo, dal
tema dell* aor. pass, di Jérrome re. èyipv^ ; tremoldo tremo.
270. roch. àploa^ aor. di opM^o re. «TrXóvu (y. num. 261-4 n.);- gali, dhun^
na re. {xovya (Sxouov).
Dial. romaico di Bova. Il -verbo. 53
chiuderò con qualche osservazione circa T aumento. Il tempo*
rale persiste in tkjia tvfjx, (-ov), %rta ?iXOa (-ov), vpela ri^zKcL (-ov),
ilkwi Yixouaa; cui si aggiungono: ivra re. xupa (eopov) e i zzerà
re. ^'^zufx. Il sillabico è nella veste del temporale in tkhorra
(0£6>pé(i))y ìsoa iatùGx ed tizia iCncoL. Il sillabico non ò costante
se non ne* verbi il cui presente, o antico, o moderno, ò bisillabo.
Cosi : ékanna da kànno (xàpci)), évrizza da vriiio ^^p^co, ecc.
In caso diverso, può valere per T aumento la vocale iniziale»
qualunque essa sia, od originaria, o venuta in luogo d* altra
vocale caduta, od affatto prostetica (cfr. Otr. 132): àddazza,
aor. di addòsso àTX-, dvlezza, aor. di avlépo ^Tàizoi, ecc. Senza
aumento: Uimpf. asta e Taor. àzza^ di àsto accendo Ì'ktìù.
Flessione. Sono superstiti, per entrambe le voci del verbo:
il presente, V imperfetto e V aoristo dell* indicativo ; Taoristo del
congiuntivo e dell* imperati vo ; e s* hanno inoltre: 1* infinito del*
r aoristo attivo; il presente e 1* aoristo del participio attivo; il
presente e il perfetto del participio passivo (cfr. Otr. 127). Solo
i contratti hanno, nella voce attiva, anche il presente dell* im-
perativo.
Baritoni.- Voce attiva. 271. Paradigma; pres. ind. Unn-o
-i -t, 'Ome -e te -usi; imperf.: élinn-a -e -e, elinn-amo -ete -ai;
aor. ind. (cfr. n. 142): élia ecc.; aor. cong. na Ito Usi Usi, Uume
Uete Uusi; imperai aor.: Uè Uele; infin. aor. Usi;^ particip.
pres.: Unnonda, partic. aor. Uonda. — Notevole la 3. pi. pres.,
che ritiene 1* antico -oucn, non affatto estraneo però al volgo ro-
maico d* oltre Jonio, poiché s*usa a Maina, nella Morea (cfr. B.
ScHMiDT, Das volksleben der Neugriechen, 1, 11), a Tera, Nasse,
Sifno, Plomario nell* isola di Lesbo (Muli. 92) e a Sira; e ancora
la 3. pi. impf. e aor., che esce in -a[(r]i, come anche sfusa ne* luo-
ghi suddetti e a Cipro: desinenza che penetra in questi tempi
dair antico perfetto, come anche ci mostrano gli scrittori bizan-
tini (Muli. 15seg.). — La desin. della 1. pi. imperf. {-amo, come
271. roch. rfr. e cndf.: linn-ise 2. sing. pres., élinn-ese 2. sing. impf.,
éli-ese 2. sing. aor., conservatosi cioè, in grazia delF-d epitetica, T antico -e;
T. il num. 182 n. Veramente d linn~Bse la 2. sg. pres. cndf., per e atono in e.
La 2. pi. pres. é UiM^ite in tntti e tre i luoghi; la 1. pi. impf. élinn^tne.
La 2. pi. impf. cndf. d elinn-<M,
54 Morosi,
neirotrantino; re. -a{ii&v) esce per o, e si potrà disputare se la
determinazione* di quest* atona si debba air influsso del m che
le precede, o non piuttosto allMt. ^amo {-amu); la desinenza
della 2. pi. imperf., che neirotr. è -ato, qui è incolume (-^f^).—
Le uscite delle desin. dell'aor. cong. vengono a coincidere con
quelle del pres. indie. La 2. sing. dell' aor. imperat. è sempre
in -e, la 2. plur. in -ete, come nel re. (v. all'incontro Otr. 135);
quindi: sépae copri e sepaéme coprimi, pistezze credi, kràzze
invoca, filie bacia, fùskoe cresci, mtne rimani, pepane muori,
fere, porta, vré vedi; plur. sepàete e sepaetéme, ecc. Il pcp.
pres. è indeclinabile, come ne'dial. otr. e tra il volgo di Grecia-.
stéko klònda sto piangendo, stékome trógonda stiamo man-
giando. Cosi dicasi del partic. aor., che non si usa se non nel
perf. e piuccheperf. composti: ékKo gapionda ho amato, ikKa-
mo spàzzonda avevamo, avremmo ucciso. Voce medio-
-passiva, piuttosto riflessiva. 272. Paradigma; pres. ind.
linn-ome -ese -ete, Unn-ómesta linn-este linn-onde; imperf.:
elinn-ommo -esso -eto, elinn-ómesta elinn-este eUnn-ondo; aor.
ind.: elip-ina -i -i, -imma -ite -issa; aor. cong.: na lip-ó ecc.;
imperat. aor. : list-a list-àte. 273. Il presente non diflbrisce
dal re. Ma V imperfetto è più vicino alla forma antica che il re.
non sia (èXtvv-o6p.ouve, -oòdouve -ouvrave, -o6(x.a(yTe -oueraore ed -oOore,
-o6v^ave); e anche è meglio conservato che non neir otrantino
{eUnn-amo -oso -ato, -amósto -asósto -antó). Lo stesso dicasi
dell' aoristo (re. èX66-7ixa ecc.; otr. elist-imo -i -f, -imósto -isósto
-isa). Notevoli le due voci dell'imperativo. La desin. re. della
2. sg., cioè -Oli (yp(49ou, ypà^J/ou ecc.) non ritrovo qui se non pei
due verbi kapinno mi metto a sedere e jérrome mi alzo da
sedere, che 'fanno kàpu ejiru; plur. kapite e jirite (ma pure
jiràte o jiràste). Del resto, come vedemmo, le desin. qui sono
-a nel sing., -àie nel plur., precedute dal caratteristico del
passivo, che di rado è intatto, perchè sussegua a vocale, ma il più
delle volte ha il g innanzi a sé, e quindi perde l'aspirazione.
Altri es.: klàppa riscaldati, da y(\ioLÌ^(ù; huresta tosati, da xou-
peóct); hrista nascónditi, da xpufrci); azzùnnipa svegliati, da
272. roch. -^òmmoito (eh or. di roch. -^mmasta) 1. pi. pres. ed impf.;-»
cndf. "ammosta 1. pres., '6mm<isto impf.;- gali, '"timmasto impf.
Dial. romaico di Bova. Il verbo. 55
ilrmyitù; andràpipa vergognati, da èvTpé?70(iiai; fànesta. mostrati»
djpi (paCvo{i(.ai; jénasta diventa tu, da yl)foiLOLi; ^(iii^^to ucciditi,
da a(f6X,(ù, ecc.; plur. khlappàte, kurestàte, ecc.- Il carattere
del passivo è qui dunque penetrato anche nella voce del sin-
golare, com'è del resto avvenuto anche nell' otrantino (gràf-t-u
Otr. 139); e cosi T-a atono di questa voce, come V-a tonico
dell.a voce plurale {-st-àte^ re. -O-^ìts), ci riportano poi air a or-
ganico di àneva anevàte ecc. (n. 283), ed air imperativo ita-
liano. 274. Quanto al participio pres. e al perf., ben di rado
si usano, e piuttosto in funzione di aggett. che non di partic.
veri e proprj. Cosi: kapómeno sedente, seduto, cómeno ardente,
vrazzómeno bollente, éumùmeno o cùmeno dormente dormi-
glioso, e hjeràmena allegro (otr. e re. x^^^poufjLevo;) , da kapi nno^
céOf vràizo^ éumàmef x.^(pop.ai;- inoltre: kaméno, letteralm.
^bruciato', infelice re. xaO(A-, maramméno appassito, passo, ma-
vroméno^ 'annerito', disgraziato, kahoméno mal ridotto, mal
capitato, asméno acceso (da dsto &tct(ù). Ne' tempi composti,
anche trattandosi di verbi non neutri, si ricorre di regola al
partic. aor. att., anziché al perf. pass.; quindi non solo: cine den
éne értonda quegli non è venuto (v. Otr. 143), ma anche: ego
thJia gapionda ecc. 271, ego ikha àzzonda io aveva acceso,
ego to ékjio kàmonda io l'ho fatto; ecc. '
Contratti.- Voce attiva. 276. I. classe (-àw). Indie. pres.:
gap'ào -ài -dt, -urne -dfe -usi\ impf. : egàp-o -e -e, 'ùmma
275. roch. e rfr.: tragud^do ^disB -di, -urne -dite -usi, ecc.;- etragM-'O
-«5« -«, '^ntma "ite -i«5«a;- che tuoI dire, la 2. pi. pres. non contratta, o
piuttosto analogica, e quella deirimpf. assimilata alla seconda oUsse;- e in-
oltre, qualcuno degli antichi Terbi in -ctu, p. e. rotdo f/our-, pur colla 2.
sg. assimilata aUa seconda classe: roH^ boT. rotai, cndf. e gali L ci.: -do
"dse -dt (-d«), "dme -4(8 -du^ì. Nel singolare deirimperf., roch. e rfr.
danno alle Tolte, e cndf. sempre, le desinenze -intta ^nnese ^inne: aiiìn-
wtitna, asénninnesef aiiinninne^ sTegliaTo ecc. (boT. azziinno); iz zinna
tìtoto, e così egdpinna od egdpna amaTO, emelitinna leggeTO, €trijinna
TendemmiaTo, etnxoudinna cantaTO, efilinna baciaTO, ekràtinna teneTO, epd~
tinna camminaTO, ecuminna dormiTO, ékUnna piangOTO (boT. éhlo)^ doTo ò
imprima da confrontare V^onn^ che Ta per tatto il tempo nella Tarietà otran-
tina di Castrignano (Otr. 144: agdponn<iy agdponne^ agapónnamo ecc.)« 6 poi
il -V- nella 3. sg. fra* Greci del Mar Nero e i Cipij (Muli. 278). Ma nel plur^:
o/tftin-tiinma 'ite "tissa; ehraU^mma "ite --ùssa.
56 Morosi ,
"àte -ussa; imperai, pres.: gàpa gapàte. II. classe (*iai). In-*
die. pres.: krat-ó 4 -t', -tóma -ite -fi«£; imperf.: ehràUo 4 4^
-umma 4 te -ussa; imperai, pres.: kràti kratite. Oli altri
tempi e modi come nel re. Solo ò da notarsi che, nella jparlata
odierna, l* imperai, aor. {gàpie gaptete, hràtie hratiete) quasi
sempre ceda il posto airimperat. presente.- Pertanto, contrae
nel pres. , in ambo i numeri, la classe de' yerbi in -itù, giusta
il re. e la lìngua classica (dialetto attico); non contrae nel sin-*
gol. la classe de* verbi in -&6>, e qui sono da confrontare il diaL
tessalo, Tepirot. e i peloponnesj, che non contraggono nella
2. e nella 3. pers.. Muli. 252. Parimenti neir imperf., la classa
in -i(d contrae, salvo la 1. sg. (aAreito = èxpàTou[v] ) che ò assimi-**
lata alla 1. sg. della classe in -àa> (cfr. Qtr. 146: e fi Ione allato
ad agàpone) ; e ali* incontro la classe in -ào) non contrae nel
sg., che offre il semplice dileguo dell* a dinanzi all'ó ed aire
della desinenza {egàpo = iiyin:[x]o^f ecc.) ; ma anch* essa contrae
nel plurale.- La 3. plur. di entrambe le classi presenta quel*-
r inserzione (-da-) che e* incontra nella bassa grecità dai Set«
tanta impoi, ed è di tutto il plur. nei dial. otr. {agap-ùsamo
Risata -iisane; efil^Uamo -ésato -usane, Otr. 143) e di tutto
il tempo fra i volghi odierni della Grecia.- Contrae T impera-^
tivo in amendue le classi.- Finalmente va osservato, che gli
antichi verbi in -io, i quali qui mutano in -&(d (n. 269), ripren-
dono alla 2. pi. pres. e impf. la vocale della classe a cui in ori-
gine essi appartengono: filite pres., efiUte impf., da filào-^--
>Ì6>, ecc.; ma non mai nella 2. pi. del pres. imperativo {fil(£teme
am&temi; come nel sing.: filarne amami). 276. Il riflesso di
X,ktù segue nel pres. la flessione de* baritoni : Ho zii iti, iiume
zi eie iiusi; e solo neirimpf. va coi verbi in -itù, ma con Vi
nella 2. pi. : izi-q -e -^, nzùmma -ite -ùssa. 277. Il riflesso
di Oecùpéo), cioè hJioró, ha Timpf. a guisa de* baritoni: iknorra.-^
278. Curioso ancora che pur l* imperf. sing. di kléo x>.a(a> entri
neir analogia dei verbi in -&a>: ékl-o -e -e; ehl-ómma {^*éom^
ma)j ehléte od ekUéite, ehl-òssa {^-éossa).-- E singoiar voce
ò finalmente tàvriddi tirati (p. e. tàvriddi apissu tirati indie-
tro), dal contratto tavvró 268. Ma non oserei vedervi 1* antico
-Oi di <rrti6i ecc. Voce medio-passiva. 279. La differenza
delle due classi si riduce nella sola 2. pers. pi.- Indie, pres.:
DiaL rom. di Bota, Il verbo. 57
gap-éme -ése -éte^ ^immesta -aste -ùnde; impf.: egap-immo
'esso 'étOf -ammesta 'aste '^ndo; imperat. aor. : gàp-esta^ gap-
'astate. IL Indie, pres.: pon-éme (Tuovéoficai) -ése ^éte^ -lim*
mesta Aste -énde; imperf.: epon-émmo esso -éto^ ^ùmmesta
^ste 'ùndo; imperat. aor.: pòn-esta^ pon-estàte. Evidente-*
niente, la prima classe si è assimilata alla seconda, si nel sg.
del pres. e si in quello ddl* imperi, come avviene del sg. pres.
anche nel romaico volgare di Orecia, che ha p. e, Ti[i.-eioupt.at
'■ciéooi ecc., per Ti[jL&opLai ecc., sul tipo di iraT-cioDfiai -uécoci ecc.
da 77aTéop.ai ecc.; ma, al contrario di questo, il bovese, anziché
contrarre, espunge, o almeno par che abbia espunto, in cotesto
forme la vocale che sussegue alla tonica: ponéme^'KO!^i[fi\^ax eco.
Quanto al plur., ho da aggiungere che a Bova stessa mi accadde
raccogliere queste altre forme: egap-epumma . -eptte -epussa^
epon^epénima -epite -epussa^ nelle quali abbiamo la caratteri-
stica del passivo e insieme le desinenze dell* imperf. attivo. -«
880. Lo schietto tipo di verbo in •&g» rimane al riflesso di xoc-
(A&o(tai; pres.: cum-^me -Ase ^tCy ^ùmmesta -aste -unde; impf.:
ecum-^mmo -^sso -àtOf con desinenze attive al pi.: ecum^iimma
^te {'aste) 'ùssa (e pur con le stesse desinenze suflisse al tema
dell' aor.: eóum-ipummc^ -ipàte 4pùssa); imperat. pres. cum-a
cum-àte^ re. xoc(aoO xoipL6e(7Te, allato all' aor. càm-ipa -ipàte. ^
281. Del rimanente, non è raro il caso che verbi neutri o rifles-
sivi, come appunto è xoi(A&o[Aat, ai quali spetti, per ragione iste-
rica, la veste medio-passiva, scambiino questa con l'attiva, non
solo nel plur. dell' impf. o nell* imperat. pres., ma eziandio nel
pres. indie. , quindi : cumùsi allato a óumùndCf ponùsi allato a
ponundef andrépusi 'si vergognano' allato ad andréponde^ J^-*
nusi 'diventano' allato a jéwmde.
279. cndf.: ffajhàme "dse -4te, -ammosto -ésie^ -ónde} allato apon-ttww
"ùe -ite, -ummasto -Hste -ùnde.
280. roch. : cum-^ime (xoc/i-wfAac) -dse "di,*, -li^t; ehtm^mmo,» . -i«55a;-
cndf. e gali: imperf. eé&m^nna éctim-innese ecc.; ma cndf. forma più
-volentieri un imperf. perifrastico, coli* ausiliare stého e il pcp. pres. att. del
Terbo neutro e riflessivo: ésteha óumùnda^ poniinda staTo dormendo, dolen-
domi.
281. roch. cumdi e Sumiisi 280 ;~ cndf. non solo ponùsi e andript^si^
ma pure eponiai si dolsero, andrapiai si vergognarono, bov. epofUpissa anr
drapipissa.
68 Morosi,
Verbo sostantiyo. 382. Indie, pres.: ime tse éne, tmmesta
iste éne;" impf.: immo isso ito, immesta iste issa;^ infin.:
iste. La 3. sing. pres. éne, re. elvs, ritorna tal quale ne*dial.
otr. e trapez. , e non è insolita pur fra gli scrittori bizantini
(Muli. 281 n.). La 1. e la 2. pL deirimperf. qui si confondono
«affatto colle stesse pers. del pres., come nel comune romaico»
laddove ne* diversi dial. otrantini suonano imosto isosto, imo^
sta isosta^ tmasto isasto (Otr. 145). La 3. pL dell' impf., cosi
come Visane otrantino» ^par più genuina che non Tì^Tave del
re. LMnfin. (otr. éste) è tal quale il re. elaOoci.
Verbi irregolari. 288. an^^nno salgo re. àvaiPaCvw (àva^-),.
imperf. anévenna , aor. ind. anévia (cioè àvé^Tida s re. àvé^Tixa) ,
aor. cong. n' anevio, inf. anevisi (per il ;, ora conservato ed
ora caduto, cfr. il n. 142), imperat. ùneva anevàte^vc. àvaf^a
•«Te. Analogamente si flette katevénno re. xaTai^- ; ma V aor»
di mhénno k\L^cd>è(ù è air ind. emhikjina^ V -Yixa del re. eom«
plicandosi con V 4na = -lav che rivediamo qui in nota ; e negli
altri modi: na mbikó^ mbiki, mbika mbihàte; come anche
guénno re. è^yxim (èx^aivo^) fa alF aor. eguihjina ecc. , se non
che neir imperativo , accanto a gutha guihàte, ha pure égua
eguàte, ma nel senso generale di WàMene, andatevene' ^ pe-
282. roch.: pres. imme ise é[ne] , immasto ecc.; cndf. 1. pi. pres. int-
misto, impf. immasto, ma a questo imperfetto sostituisce il più delle Tolte
quello di sté?to: ésteka; gali, immosto 1. pi. pres. ed impf.; rfr. pres. im-
mosto, impf. immasto.
^ * roch.: aor. ind. anévea, katévea, cong. n*anavéo, na hatavéo, inf. anevéi^
Aa<0e^t;- émbea, na mbéo, mbéi, imperat. émba, «mMto;- tfjénno, imperf.
évjenna, aor. ind. evjépina, cong., na éguo, inf. égui,, imperat. évga eogdte
(evffdste) allato ad évva ewàte;- e s* aggiunge un 7ra/9a+^ca + j3a(Vb>, ma solo
nell*aoristo:|7are;d»na svenni (il bov. direbbe: mii'rte hahó *mi Tenne male');
cfr. ejdina sotto ^pdo\ chor. di roch.: embipina, na mbepó, mbepi, mbépa
mbepdte; eguipina, na guepó, gwpi, gudpa guapdte;^ e nell* imperat. di
mbénno e di guénno, con la particolar significazione di ^entra in casa!' ed
^esci di casa', in luogo di mbépa e gudpa: sé fa, quasi ìo-GA-acjSa , e séfa^
quasi «5w-at]3a (plur. sefdte, sefdte). rfr.; anevénno, aor. ind. anévina (avc-
^>}v), cong. n'anevó, inf. aneoi (allato ad anévea, n'anevéo, anevéi), impe-
rat. dneva e anéva; e così katevénno; ma mbénno: émbina,. na émbo, inf.
mbéi, imperat. mbése mbésete (allato ad embihjina ecc.);- inoltre: essévina, na
'ssevó, essevi, esséva, essevàte, quasi èo-u-cjSiiv e^c, dove manca la sQrie pa-
Dial. romaico di Bova. Il verbo. 59
peno muojo re. à7rat9atvtt), aor. apépana ecc., come nel re. Qui
manca, del resto, il riflesiso di àTtoOv^trxci), che vive ne* dialetti
otrant. (peziniskó). aflnno lascio re. àtpCvco, aor. indie, é/tkay
cong. n*afiho, infin. aftkji, ma all'imperat. àfie afiete (àfim-
me, afietéme lasciami, lasciatemi) cioè il re. if^riot ecc. Il x del-
l' aoristo qui si limita ai composti di -^aCvco che testò sentimmo,
ad aftnno, e a dònno cui tosto si arriva (efr. Otr. 131: é/lka,
ésiika, édiha, ilvrika, èpiaka). vàddo metto pàXXo (ma in que-
sta significazione il re. usa piuttosto pà^(o),*aor. att. evala; pass.
evàrtina (èpàXOnv) re. èpàXOvDca, imperat. vàrta variate, partic.
perf. varméno, più frequente di valiméno. Cosi anche guàddo
caccio èxpàXXù). jénome nasco, divento, y(vo(xat (rEN), 3. plur.
ind. pres. J^nwst; aor. ind.ej^n^sftna = re. èy(vwa ecc., imperat.
jénasta Jenastàte. dònno do, re. Sivg> (ao) , impf. édonna; aor.
ind. édika, cong. na doso, inf. dòi, imperat. dòe dóete. andré^
pome mi vergogno èvTpé7rop.at, aor. ind. andràpina e andrapi"
pinày cong. n' andrapipò, inf. andrapipi^ imperat. andràp-ipa
'ipàte. zèro so re. ?£pfc> (è?-sup-) , impf. t zzerà, aor. ind. azzi^
pòresa ed azzipòria, cong. wa ziporéo, inf. ziporéi, imperat.
-??r^ vréte (efr. ftftoró più sotto) \ érkome vengo 2px-, impf. ^r-
Aommo re. Tipj^oojxouv, aor. ind. trta, pur del re. volg. , « ?j>.8a, ecc. ;
imperat. èia elàte (elàste), ékJio ho iy(<ù, impf. ed aor. ikha ecc.
— JJ^to voglio Bilfù, impf. afJ5e?a, aor. epélia, ecc. É/k>r(} veggo
re. OwpftS (OswpìÉCi)), impf. ihRorra 277; aor. a't?ra, wa it?ro o nà'vro,
ivriy vré vréte, re. Tjupa ecc., ed è quanto dire che son forme
che si sottraggono ad sOpCGxo), del qual verbo, allo stato sem-
plice, mancano qui del resto e il pres. e Timperf., come affatto
manca il riflesso di elSov ecc. che air incontro si continua nei
dial. otr. e nel re. kapinno siedo (efr. i re. xàOyìfAai xàOofxat,
allato al transit. xaOi^o)): imperf. ekàpinna, aor. ind. ehàpia^
cong. na kapò, inf. kapi, imperat. hàpu kapite 273. ééo bru-
cio xa(&), impf. ékasta, aor. éhazza ecc. L*impf. ékasta, e cosi
forse anche una parte dell* aor. rifl., accenna a una base xaur-
{haft' kast- n. 110; efr. il re. xaurtJ;, che brucia, e tri fa al
rallela che avrebbe a suonare esévina (è^o-) ecc. cndf.: embicina^ egui-
cina^ ma na mbéo^ na guéo, ecc.
* PO eh.: séro^ impf. isera, aor. ind. apòrea, cong. na siporéo, imperat. si-
pórese siporésete.
60 Morosi,
num. 121). Le forme del riflessivo son queste: pres. ééome ééise
ééite, éeómesta ecc., allato a cóme cése ééte, cómesta cèste
cónde; imperf. eééommo ed eéómmo eco,; aor. ind. ekàina re.
èxoc(my (èxàinv) ed ekàstina (UauO-nvI), cong. na kastó^ infin. husiU
imperat. hàsta kastàte; partic. pres. cómeno, perf. fuxméno re.
xau{x.'. kànno faccio re. xàvco (xàjjLva)) , aor. ékama ecc. Nel si*
gnif. riflessivo adoperan Jénome. kléo piango xXaio) (più soliti
nel re. xXaiyft) e xXaóyw), impf. éhlo ecc. 278, aor. éhlazza ecc.—
légo dico Xéyft), aor. t'pa , na ipo, %pi , pé péte^ re. eiTra ecc. —
mapénno imparo re. (JiaOoc(vft>, aor. ini.emàpesa od emàpia, cong,
na mapéo, inf. fnàpéi, imperat. m^^^$^ mapésete, re. £[x.aOa ecc.
(otr. ^maia). m^no rimango ed aspetto (jlìvco, aor. ^mma ecc. ^—
ano^eio capisco (voé(i<>;.cfr. re. votcSvco ecc.), impf. anój^o, aor. enòisa
re. fvoioaa. omtfnno giuro re. 6|/.<$va), impf. ^monna, aor. émoa ecc.,
re. £{x.ci)va, &(jL<dca. pérro porto via, guadagno, prendo in mo*
glie re. ?eoc(pv6> (sTcaipci)), aor. ind. ^tra = re. èT^^ipa, cong. na jnro
e na paro (p. e. na se pirune i Tùrki 's ti Tttrkta ti possano
pigliare e portare i Turchi in Turchia!; na se pari o potamó
ti possa portar via la fiunlana ! ) , pcp. perf. pernierà = re. ?7ap[ji-. —
petào volo re. TceTàw (7uéT0(x.«i) , impf. epétOy aor, epétasa, re. iwé-
Ta$a, ecc. pdo vado re. [yJ^àYco, impf. tppiga (il re. uTr-Ayaiva ^
Totr. ihhione rivengono air incontro a wYiYaivo), aor. ind. ejàina
quasi tóiàpriv, in vece del re. ùwtSya, aor. cong. na pào, impe-
rat ^pwa eguàste (da guénno) '. piànno piglio re. wiàvo, aor.
épiasa ecc. jptnno bevo ttivo), aor. ^pia, na pio, p/^i, pie pi'cfe,
e vorrà dire *episa^ di contro a re. foia (Itcwv) ecc. petto cado
re. Tuéyrci) (:r£7rT(i)), impf. épetta^ aor. appesa^ na péOy pési, pése
pesete, ptsso mi coagulo, mi attacco, re. ?cyi^<d e i^iy^ {i^iiGfid^
9dÌYvuf£t), imperf. épisa, aor. épizxa. spérro semino re. cTTÉpvco
(oireCpcd), aor. espira ecc.; pcp. perf. «perm^no » re. ècrxapjii-. —-
«f^fto sto re. <rré3c&> (cfr. Scrnscoc stetti, allato a lory^fii colloco).
' roch. metalamhànno prendo la S. Comunione (cfr. jbttroXatpjSivtt ap. Dn
Oanob), cob Taor. secondo la flessione regolare de* baritoni in -annoi meta*
Idmbctsa,
* roch.: pdo pàwse pdi^ e pdonie pdite pausi z::hoY, pàme pàté pdsi\^
2. sg. rfr. pdese^ cndf. pése; roch. e rfr.: aor. ejdo^na "ise -i -imma --ite
-wa;- cndf.: ejóna^ ejdese^ ejde^ ejdmma ejdte ^dna\- roch. par^dina^
▼. la prima nota al presente numero.
Dial. romaico di Bova. Particole. 61
imperf. ésteka; aor. estàpina, na stapó, ^tapi, sta state \ —
spazzo nccìAo <rfàOi>, aor. éspazza^ na spazzo^ spai, spàzze
spàzzete ; ^ aor. medio-pass, (rifless.) espàghina od espàina mi
uccisi, na spago e na spaghistó o spostò, spaghi e spaghisti
o spasti, spàizesta spaiiestàte o spastdte. trékUo cocro Tpé*
fiù, aor. étrezza ecc., senza alcuna anomalia, mancando qui
r aor. £$pap.a (-ov) che nell' otrant. vige egli solo e nel resto dei
dial. romaici si alterna con hos^cc. trago mangio Tpóty^), aor.
éfaga, na fào, fai, fàe fàete o fa fate, féno tesso 6<pa(yii>, aor.
éfana = re. e att. ufava. fénome compajo ^olIs-, aor. efànina ed
efanipina, na fanó e na fanipó, feni e fanipi, fànista fani^
state, féguo faggo feòycd, aor. è figa, ecc. fèrro porto meco
re. (pépvcd (fipii)), aor. éfera, ecc. stìnno faccio caccerò *f0^v6>
n. 110, impf. éstinna re. It{;tva, aor. éstia re. Iijnìaa, ecc. kKliéno
riscaldo ^Xiaivcd, impf. ékMenna, aor. ékhlana ijlioax, ecc.;-
impf. rifless. ^JS^A^^nnommo ed ehhlappinnommo, aor. ekhlàp^
pina, na kJilappó e na kRlappio (con un* uscita attiva, come in
n'anevio ecc. , appiccicata al carattere medio-passivo), hKlapp^,
hhlàppa hhlappàte.
PARTICOLE.
Àvverbj.- 284. Di luogo, pu dove, ^ci là, Aomii vicino, che
sono re. ; putte donde (cipr. irouOev) ?rd6ev; ócl^ qua (&Se), invece
del re. tòà\ ettù costà (cfr. Otr. 151) aOroO; cui si aggiungono
i composti apóte od apótte di qua (n. 93), aputtù di costà,
typuci di là, onde poi apotteméra dalla parte di qua, letteral-
mente ^di qua-parte' (cfr. otr. aputturtéa, quasi àn aòroD òpOia
da questa parte, letteralm. Mi qua-direzione', ecc.), opu^fum^ro,
aptJiéiméra. hUàmme in terra x^t'*^^* m^^a. in mezzo, che pur
s'ode nelle colonie otrantine, e qua e là eziandio nella Grecia
in luogo del comune àvàfucroc. larga lontano, che va con àXopYcc
e à>.àpYoo (Comp. 89; onde il verbo alarghégiM allontano, da
cfr. col re. À>.apyàp«)), invece di (xaxpà, cipr. [Jiaxpuà, otr. magréa.
28é. roch. katuoapd quaggiù, letteralm. ^giù a Talle% quasi xaru-jSaOa.
* cndl: siéh-o ^ese -«, 'ómnuuto '^stékesie ^usi, e analogamente nel pi.
deirimperf.: éstek^ómtnaito^ $8tékesU^ estéhai;- Taor. éstdhena ecc.
(^ Morosi,
óssu ^dentro, in casa' éeno, ózzu ^faori, alla campagna' £Ca>; ós^
sotte, ózjsotte^ da dentro, da fuori, ambró avanti re. èfAirpó^,
aptssu dietro brsiciù^ apànu sopra èiràvo), kdtu sotto xàT(x>; apu-
j9^nu, apu^^u, di sopra, di sotto, anapuhàtu sottosopra re. àvu*
TTOJcàTco. péra oltre TCépa[v] (che manca ali* otrantino) ; quindi
odepéra od odembéra oltre questa parte, ecipéra od ecimbéra
oltre quella parte, ecittembéra da oltre quella parte, dal di là, ecc.
— 285. Di tempo, potè quando, tòte allora, simero oggi, àvri
domani e me^àvri posdomani; che sono re. prita prima (cfr.
prida Otr. 152), in cui pajono confluire i re. 'jupCv OTTpaSra. panda
sempre, re. Tcavrora. arte ora (ipri), allato al re. Tcópa, onde
pucàrte d'or in avanti, quasi à?7o-xa(-àpTi, col xa( pleonastico
che riavremo in pùéati 290 ed è in grand' uso ne' dial. otrant.
(Otr. 156). perei e propéréi l'anno passato, due anni fa, 7r£-
pu<7i, ^poir-» tu kjeru l' anno venturo, n. 55. ahomi ancora re.
àx6\Li. metapàle di nuovo, quasi (xeTa-Tu&Xiv, sirma subito, less.
Mancano le voci greche per ^dopo' e 'giammai'. 286. Sono
re.: pó[s] e sd[n] come, e il suff. avverb. -a, p. es. in fanerà pa-
lesemente, hrifà nascostamente, kalà bene *• àhKaro, aggett.
indecl. 234, vale anche come avverbio 'malamente', òtu cosi ou-
To)^ n. 13. 's mia, letteralm. 'ad una', insieme; cfr. il re. \d \ulSL^^
allato ai più soliti <7u(i.à e p.a^L pareo separatamente, un per
uno, singillatim, re. tzql^^ìù (Tirapéx) : pareo para tùto oltre a ciò. —
287. Di quantità, i re. pléo più, poddi molto, tosso tanto, posso
quanto, ecc. Manca la voce greca per 'meno'. 288. Affer-
mazione e negazione, de no {de, déghe, Otr. 155), in luogo
del re. ijy (il re. Sév [oòXév] sta solo per la congiunz. 'non') ; —
mane si (quasi: (xà-va£; cfr. otr. iimme, quasi: ouv.(i.à), re. va£.— .
pàmme forse ecc., less. an dó^ an di, an emména] eccolo,
eccola, eccomi, ecc., re. [oc]và tòv ecc.;- ma: anù ti mó'hame
vedi che cosa m',ha fatto, al qual mutamento di and in anu
non è forse estraneo kanu, per kanùna, 2. sing. indie, pres. di
hanunào, guardo, che pure in simili casi s'adopera: hanù to
guardalo, eccolo, ecc.
285. cndf. simera, re; ettepwró, etiespéra, stamane, stasera, re. aOrù t&>
TToupw, oriTTpf Tìpf évnipx'^ apóspe di sera dnó^e^ aféti Tanno venturo re. iférij.
286.* gonatisti^ in ginocchio, Comp. i, d uno sbaglio per gonaHstd,
286. cndf. otesi (ovtutc). 288. roch. udé.
Dial. romaico di Bova: Particole. d$
Congiunzioni.-- 289. ce e, a\n\ se, mi che non, na e ti che,
me ólo ti con tatto che, còla anche; che sono re. Ancora ò
re. : sàmbu allorché cr&v ttou (otr. sàppu) ; e poi si aggiungono :
prita pu (in luogo di Trplv icou), sambóteti come se (quasi: aàv-
-r^s-Tt), peccati dacchò (àTro-xat-ri) re. àTCcJri. Noto ancora
Tuso di pu nelle seguenti dizioni, per le quali gli otrantinl ado^
peran ce: pu óra óra d*ora in ora, pu Ugo Ugo a poco a poco,
pu ina éna ad uno ad uno ; e ce usato talvolta in luogo di
ti, p. e. ti só'kaman ego c'è mmu platégui 'che t*ho fatto io
che non mi parli?' (Comp. xi), od in luogo di nei, p. e. ti ^u
péli kaló se hànni ce kléi 'ohi ti vuol bene ti fa piangere', per
il regolare na hlàzzi; i quali usi di xoci occorrono però anche
nel re, v. Muli. 395 e cfr. Otr. 156.
Preposizioni.* 290. Le solite: è^, àicd, [xerà, S&à, ?rapà. La
prima soggiace, il più delle volte, all'aferesi dell* e {'s); se no,
ha la paragoge come nel re. : se. apó è intatto come prefisso :
apoklópo ritorco, apojérrome mi rialzo à'sroYépv-, apohànno dis-
faccio, apohlànno interrompo, apokósto tronco à^oxò^TO), apoto-
nào riposo &^oTovéù>; intatto ò ancora, o assai lievemente alterato,
nella composizione avverbiale: apukdtu ecc. 284; ma azze è la
normale risposta dell* otr. àfsCy n. 115; e di an do ecc. si vegga
il n. 103. metà nella composizione: metalàmbamma less., ecc.,
metapàle 285; col t aspirato, nel re. mepàvri ((xsTauptov), e in
mepému con me, mepésu con te, mepétu con lui, mepéma con
noi, e simili (ne* quali è forse piuttosto un iutolI che non |A$Tà ;
quanto al tipo di queste concrezioni, cfr. re. {x.a^((Aou pia^Caou ecc.
Ooinp. 92) ; - del resto, com* ò solitamente nel re. , accorciato in
me: pào me ólu vado con tutti, me ton ghjerómmu al tempo
mio ('a* miei tempi'), me mian óra mattinata in un* ora mat-
tutina, di buon mattino, trékho me ta plaja corro per le campa-
gne, hhànnome me ti strada mi perdo per la strada, ecc. did
intatto nella compos.: diavàzzo dianistra ecc. ; v. il n. 95. para
sempre intatto, sia nella compos. : paràpili %xf<i%fioyf, paraspó^
ro, parastenó, ecc., o sia isolato, che del resto non si vede se
non nelle proposizioni comparative, n. 247. Le forme re. òltsclI
289. roch. sàppu.
290. rfr. e roch. as o s^zU: i'emmé a me.
64 Morosi,
àvoct ìLvtoLl [uxxi, per ^106 «va ecc. nella composizione, s* hanno
pur qui, ma di rado: apepéno ÀTcaiO-, anevénno e katevénno
dcvat^- xaTou^aivG); cfr. mepému ecc., testò addotti*
Sintassi. 291. Vale pel bovese ciò che altra volta si è detto
a proposito de* dialetti otrantini : è greca la material ma ormai
lo spirito è italiano.
m. APPUm LESSICAU.
Sono distribaiti in quattro parti. Nella L^ registro le voci che si riscon-
trano solo nei disionario antico che in questo solo hanno il loro fondamento;
nella 11.^, le tocì che non sono del dizion. antico, e neppure del moderno,
ma che in questo ritrovano delle voci affini analogamente formate; nella
III.*, le Yoci di origine latina, che non sono del comune romaico, né delle
&Telle italiane contermini; e nella IV.% le tocì di etimologia incerta.
I.
avliiio e vHzio 162.
àlddi (anche otrant) olio, roch.
ajalddi olio santo, roch. aladikó
ampollino dell'olio. Cfr. il clas-
sico IXàSiov pauxìllum olei. Il re.
ha solo 2Xaiov olio.
ìaléstora 110, ro. ?csts(v(^(.
amétrita smisurato {k\Uxp7\roi).
anahldkio e andklema rfr. e
roch., anahlizio e andhlima
boy., io orlo, orlatura (&va-
xXduD ecc.).
apùrdo^ aor. aporia^ vengo a sa-
pere, appuro, intendo (*6ic-6paa));
e azzipóresa ed azzipória^ aor.
' di zèro 283.
apàrga 157.
aposurónno 46.
armacia maceria (cfr. fpfAoxe? cu-
muli lapidum).
drte 285.
vurvupunia 19.
jfertMia, v. IL
daéia 195 (Umh).
derfdéi 152, derfacina 204.
diafdgui e diafdzzi albeggia (cfr.
900^ luce, giorno); re. Siocf/yy*
drdka 96.
drdma 75, pur del cipr.
embónno e sin^ónno 102 (cfr. iroctco
percuoto).
zénni 145 e rfr. iénnulo 237 n*
L'antico tH^ta ha il doppio senso
di *so di buono' e 'so di cai-
tivo*.
kalamdnno caccio delle canne (xot*
XflcfA^o)). Dicesi del terreno palu-
doso.
cefali 228, re. xstpàXiov.
hldnno 260 kldsma rottura. È pure
otrant., ma nel senso di 'albeg-
gia', quasi 'erompe la luce'.
klóstra 157.
éivérti 20 (cfr. xu^sOpov Esich).
kjiddio 55 e 231.
keréguo governo, curo; rfr. JtW-
guOf aggett. verb. ojirefto tra-
scurato (xupieun) ecc.).
\
%
Dial. romaico di Bova,
cinòmio 54.
huluvrizio 17 e kulùvrisma insulto.
kùnduro 236 e hunduridiio 260.
kuppdri 21. Cfr. il class. xuTcapo;
Was magnani concavurn*, piut-
tosto che il re. xout^x tazza (lat.
cupa ecc., Diez. s. coppa).
limako 190.
mérmera roch., animali nocivi
(cfr. [iip{jispo; molesto).
opti pedata, orma (Siiki ungula).
orgdda terreno fertile (^py^?).
órminga 6,
pizzilo 33.
piriàzzo 260 faccio seccare al for-
no (icupixCfa)). Cfr. re. nup^vco.
rèma 9.
ri^^o rosso 163, ruséno arrossisco,
rusia robbia. 11 re. ha solo ^ou-
(Tiov, uva dagli acini rossigni.
sózzo cndf., conservo (9u>C(o); al-
lato al re. sónno^ il quale però
ecc. Appunti lessic, II. 65
in, questi dial., come negli
otrant., significa Sposso',
stari 162. '
stéra 110.
stérifo 108 e 234.
stigdo pungo, stimolo (cfr, (tti^w,
tamissi 79.
téddeho 9.
farina 21 (cfr. <pupàw misceo, 96-
papix massa farinae subactae).
kìiamorópi 229 (-^tÓTcìov).
A?iarapia allegria e kHarapidszo^
me mi rallegro roch. (cfr. x*-
pu)?:^; laetus).
Himaro^ roch. e rfr.: ìijìméri^
capretto, fem. hjimdra (Esich. :
£pcfo; 6 [i.(xpò^ at$, 6 Iv t$ ^api
cpxiv^{XEVO(, rjyouv 6 irpcóiyo; . j(^ei'-
(jLxpo; 8è 5 iv T(o xe([i.u>vi )•
kholó 232.
òffe 284*.
IL
agraflosidero roch., verticillo
del fuso, "àrpouccoiT^Svipov.
dgro^y in nomi di piante, 198
229.
-flcfa 198 e 200.
àdiamma tardanza *i.o&i%a^\ cfr.
adiàkzo^ re. dtBstdLCo).
-dzzo 260.
amblici 103, amblicdziome mi ri-
covero.
ampatikéguo roch. e rfr., cal-
pesto; bov. e re: TcarG).
angóni gali., nipote. Il re. Ifyó-
viov è 'zio'; solo il plur. ly^ó^ix
ò 'zii e pipoti*.
dngremma 5.
^nno 260.
dplero 34.
opd- pref. verbale 290.
apovrdmay apovram- apovromiz^
za 5 32.
apoforémata, allato al re. apofória,
abiti smessi; cfr. re. Qop^fAXTX
abiti.
' Le voci seguenti: dia sale (al«$)« ^'^^^ ^^> ^''^/^ 1^9, urtarmi IH, Aurupt
4, e /aA^n» 30, sebbene registrate nei dizion. neo-ellen., non sono re., ma
proprie solo di qualche dial, p. e. del ciprio. Il re. ha per queste voci: ccXàrtov
StdiTcviptov^ xocT(£Xioy, /iarcov, dyytlov, you^va.
Archivio glottol. ital., IV, 5
r
66
aspri 36.
--dio 241.
-do [-àw] 269.
vetdtri 119.
vrdsta 36.
vrastddi bov., -art rfr., caldajo
(cfr. ppdlCco, ppacTTc^Cf occ).
vizzàszo roch. , io poppo (otr.
vizziàzo)y allato a vizidnno do
la poppa al bambino. Il re. ^i/-
C<xYoi ha entrambi i significati.
Vùnoma n. di fondo (cfr. mgr.
poóvo[i.a tumuluSy Da Gange) ^.
galària animali che somministrano
latte.
Jeronddzzo 260 ejeronddri 240,
re. yt^^bì e yepo;; Jerusia vec-
chitga (cfr. yzpowrix senato), re.
YepajMc.
^u^mma 159.
glikddi 217.
{fiavdirio inghiotto (^metto attra-
verso'). Il re. 8(ttpx(a) non si-,
gniflca, stando ai dizion., se non
*leggo\ ^studio'.
dianistra ecc. 18 n.
diàstiho 240; cfr. otr. ja^^- ghjd"
stico.
émbima entrata *l[i.py)[ttt, re. ^{a-
'érto ^énno 266.
eparajdjna roch. 283 n., s. pdo.
essévifia ed ezzévina eh or. di
roch. e rfr.,283n.,s.a»iet?^nno.
Morosi,
iambatdri pastore 240. Sarai' 'ad-
domesticatore* (cfr. re. ((Ìtciov,
(àicTtov addomesticamento), piut-
tosto che un ^Co^averàpui^ da 2^o-
Tcàvoc pastore, che è voce romaica
di origine slava;
zéma brodo. Questo signif. è del
re. Couf^^ov; laddove C^fia (pur
class.) vi dice ^decotto, acqua
calda'.
zoguia jugero di terreno, •Csuy^x.
zonddri 240, re. Covrotvc^?.
péma lavoratore dei campi, e per
antonomasia: uomo. Deve prima
aver detto ^soldato' e poi *colo-
no'; e siamo ai Oe^tarx degli au-
tori bisantini, *le provincie, e i
soldati che vi stanziano.' Per
traslati analoghi, abbiamo in
questi stessi dial. : pezzo (ice^c^c
pedone) lavoratore dei campi a
giornata', e negli otrant. : |>o-
lemó (7coXs(AS(o guerreggio) Ma-
vero la terra', armata (armi)
'attrezzi pei lavori campestri'.
Aa -imia 194 195.
-izzo 260.
'inno 264. Cfr. sttnno 183.
kaUxmeri 14, re. xxXxuo(T{Txpov,
kamateniddia 34.
kanundo guardo, Squadro'; cfr.
re. xxvsóo) prendo di mira.
karkardo glocido; cfr. re. xxpxx-
X(ov, otrant. krakdli^ ranocchio.
' Non s'usa più, qual nome comune; e cosi é di vuni e rochiidi 16, Aa-
liórga 6, kaldjero monaco, klisH 51, mesdri mediano, sifóni canale, ffend-
mata strette, trigono tortora, cristallizzati anch'ossi in nomi di paesi, di
fonti e di contrade; e ancora dei nomi delle porte di Beva: dròmo (strada
maestra), pirgoH (torretta), rdo (re. /9<)7Óc scoscendimento?), surizH(*<T\jvopt^
9tov limite?).
Dia], romaico di Bova,
karparutó 239.
cefdloma 157; cfr. re. xejpaXxi^vw
ecc.
cedddri 13; cfr. xoìXov cavam e
l'ital. 'casso* per *torace'; po^
nocéddaro ib.
klùiia 201.
kùzzo la parte di uno strumento
tagliente che è opposta al filo,
come la schiena del coltello,
della falce, ecc. Cfr. xoutCx la-
tus, Du Gange; e kuzzó^ re.
xout2;ó<;, mutilo, mozzo.
lagóni scopa di triboli colla quale
si pulisce Vaja, *XaYàptov. Cfr.
re. Xayap^Cco purgo, netto.
Ulà 189.
livadidkzo riduco un campo col-
tivato a livddi Xftip-, cioò a pa-
scolo naturale; quindi <de va-
sto'.
Umbisia roch., distia bov., 194;
re. X^(i,7C(7[i.Qc,
luiundri 213.
manakhóliho roch. 241 n.
merómmata animali domestici. Il
re. [^]|jLepa)[xa significa solo 'ad-
domesticamento*.
ynetaldmòamma bov. 159, da me-
talambdnno roch. 283.
metapdle 285.
rixetérrOy aor. emétera^ scopo, spaz-
zo via: *(X6Ta^pv(o, che sta a '(xe-
Tafpu), come Tra^pvo) a eTcaipco. —
métremma (cndf.: méterma)
«spazzatura* ; roch. e rfr.:
*scopa*.
miccéddi 235.
muzzolipia Hfia 88.
nésimo 142; cfr. xXoWtixov da xXo)6w,
ecc.
ecc. Appunti lesfiic, II. 67
zalistiri naspo 46.
zalisa 155.
zenoriszo roch., esco dai limiti
dell* abitato, vado in luoghi
inaccesi, •IS-ivopi^w.
serokjeria roch. 194.
sUopótamo roch. 229.
'anno, 260.
ozzia montagna: o^eTx T aguzza*,
*il picco' (Ascoli). Un 'ó^^a da
S^o;, imaginato dal Pott, e am-
messo dal Comparetti (Saggi, 93)
non è possibile, perchè, lasciando
stare anche 1* irregolarità di o^u
atono, V ozzia bov. suona osia
nei luoghi circonvicini, ove allo
^ non risponde mai J" (cfr. n.
113-15).
paravoiia 194, poaxiQ. »
paraspóro seminagione che si fa,
in uno stesso campo, di vege-
tali diversi.
péfta rfr. 183 n.
peratónno trafiggo (cfr. wepatrf?,
irepduo); allato all' intrans, pe-
rdnnOf roch. perdszo^ 'passo
oltre*. Il re. TcepvS riunisce en-
trambi i significati.
pétudda 215.
pissùri sorta di pianta silvestre
che 8*attacca alle vesti dei pas-
santif da pisso mi coagulo e mi
attacco 147.
pldstro roch., massa di latte bol-
lito, già assodato e ridotto in
pasta da formaggio; cfr. il re.
^rXadTpix ecc* Ma in dkloitrOì
roch. esso pure, 'massa di lat-
te ecc. non ancora ridotto in
pasta da formaggio*, si mesco-
leranno "àTrXaatpov ed *àxXa<TTpov,
63
quasi 'massa non per anco
rotta'.
pluséno mi arricchisco e plusdto
ricco, re. 'nXouTa^vco ecc.
podarici calcola; cfr. otr. podd^
rica.
pordaldo spetezzo, re. ic^pSto e Ttop-
Bfì^w; pórdo^ re. TtopSiq.
potistihó 240-1.
pùnga roch. (rfr. pùmba^ boy.
hùmha) tasca. Pur nell'otr. :
pùnga. Il re. ha solo il dimin.
prastikéguo irò eh., io scopo, re.
7a<7Tpeu(o (cfr. qui sopra: ampa-
tikéguo)\ prdstemma 28.
ràkkato tosse e rakkatizzo 37
(cfr. Pp<^YX'*> Pfx^T^o?)-
rds^i cucitura (cfr. otr. ràfii)^ ^i'J'i?.
risia fio roch. 229.
sahkìikrévatto roch. 1 n.
sapisza roch. 208, re. axTuiQXa.
sklapénno 163.
skutuljdzzo uccido d' un colpo.
Cfr. re. <txot^vw.
spipio 15 230; spt^ia avverbio;
'spesse volte'.
stenndto n. 210-12.
stimonikìirondo roch. 229.
strofanghia mutamento di tempo
(cfr. re. arp^cpiY^a? eardine, ant.
<iTp<^^tY5 versura).
sikofdjena e tirofajena 205.
stn^r^^e viene in mente. Il re.
(Tuvspj^ofjLott dice 'convengo' e 'ri-
senso'.
Morosi ,
sinoridzzo son confinante (cfr.
n. 228).
zdndala stracci, re. T^^vT^oXa.
zimhili sacco largo e profondo.
Cfr. re. T^emi tasca.
zùhka pigAatta, onde zukkdla
zukhdli «= re. T^oóìta zucca, tÌ[oi>-
xoXa T^ouxàXiov pignatta.
<tsÀan(2i, tikandif tispo 256.
trakléno^ trakUnome^ mi corico,
da tràkló re. tpexX^c, curvo,
piegato, come il corrisp. re.
tOixyiiì^tù è da Ttkiyioz obliquo. —
trdklima l'atto del coricarsi e
il tramonto del sole.
trono roch., adulto; cfr. re. xpx-
veuu> cresco.
trivuljàzzome mi rodo per sover-
chio dolore, mi consumo in
continui e soffocati lamenti
*Tp(o[Y]tXtx?-, re. xpoifO^ojxan,
tiromiszipro roch. (bov. tiromiz^
iaro e trimizzij gali, taromiz-)
23 n.
fisdla 201, re. ^ouaxa.
khalastaria rovina; cfr. x^^ocdTpta
Du Gange.
hjerdkona roch. 229.
hjeromùrtaro pestello del mortajo,
re. •^[o\j]^'/JpiO'^.
Mljopódaro 229.
Uiro vedovo. Il re. ha solo il fem.
zofingdri 134.
zofrdta 16.
-Mwia 197.
HI.
akkii cassa, armadio 'àpxX^ov (ar- dskla scheggia (astula, Diez s.
cula). ascia), asklikzo io scheggio.
Dial. romaico dì Bova, ecc. Appunti loasic, lY.
69
jongàri giunco.
hardi cardo, onde kardunia 197.
kassdri 23 n.
largo lontano; larga ^ avverbio,
284; e alarghéguo allontano.
lumbriki roch., lombrico.
luppindri 176.
magno bello.
mdtrakUo materasso. Voce ara-
bica; ma qui notevolmente vi-
cina alla forma in cui si con-
tinua nel provenzale (almatrac)
e nello spagnuolo {almadra"
gue); v. Dikz less. s. *mate-
rasso'.
misitémmata mescolanza di fru-
mento, orzo, fave, ecc., onde si
fa il kurddi lesa* iv.
palatdri 218.
pinnuldria (pur otrant.) palpebre.
piato discorso, platéguo discorro^
lat. pla[c]ito-, Arch. I 81.
piùdda gallina» re. ^pviOoc. 11 re.
woCXa è ^cornaccbia'.
purziéri 180.
èkuddi collo; parrebbe uno *(t-xoX-
Xfov da 'collum'.
svdéri 180.
spezi cndf., p^pe (^spezie*).
strilla camicia da donna (^stricta*)*
lindri 218.
^nmocfta tramoggia, sicil. trimoja^.
IV.
amìiia riccio della castagna, *6vu-
X^K?; Tant. ^vu5 ha, tra gli altri,
il signif. di 'operculum concby-
liae*.
aria elee num. 101.
afféddi lardo. L'etimologia più
probabile parmi quella proposta
dal Comparetti (Saggi, 92), che
lo fa a re. ^Atov *fetta*, il lardo
usandosi affettato; cfr. il tose.
affettato (Comp. ib.), e la fed-
dita (da fédda, che forse è *fet-
tula', come spàdda, cioò ^spalla',
è 'spatula'), di tutti i dial. me-
rid., per ^salame*. La voce re.
per Mardo', cioè XapBfov, s'ode
qui solamente a Condofuri:
lardi.
akharia sonnolenza, *dcxap(a? Cfr.
il class, xàpoc sopor, e i re. àiro-
xap^vo), dl7coxàpa)[i.a , mi assopi-
sco, ecc.
vupulia vacca, *pou6riXe*ta *bue-
-femina'?
vurfuràda nebbione denso e basso;
da p<^p6opo( lordura, quasi 'aria
lorda, torbida' ?
jendónno io acquisto, mi procac-
' Le voci di origine latina, o di comune patrimonio romanzo, che queste
colonie hanno comuni con la Grecia odierna, sono: azzeri cèrCóXeov, krapisti
xxTrttTrptoVy Uxrdi (cndf.), manici f^avtxtov, manduci f^ovriov, tnurtdli ^ou^rd-
/)tov, mustdri fiovcrroc, ongia 58, paluci, panni (cfr. klupdnni iO)^pezzi irrrttov,
ptindi *puncta' wouvJa, saitta (spola), fasia, flaSi yXao-xiov, furro fovpvoi (già
mgr.), onde il verbo affurrizzo inforno; sikla (8it[u]la; cfr. àshla qui sopra).
Voce latina mi pare anche lania solco, re. Xavc^cov {lania: linea ::/a/ia
^aa-xeà: fascia).
70
Morosi ,
ciò. Il Gomparetti (89) pensa a
xspSa^vb). Ma piti probabile mi
sembra un *[8]ta-eY[3c]Trfvc«), mal-
grado i num. 95 e 128.
zdla lo strillo, zalào io strillo.
Il class, ha Xj!Ch[ procella, Ca-
X^C(o procellis agitor; il re: XJCkti
procella e vertigine, XflXi^'t^ muo-
vo, assordo, introno; e riuscia-
mo poco discosti dalle signifi-
cazioni bovesi.
zundri ciglio della montagna, di-
rupo: Cdovaptov (<yntura)?
pàmme *forse, probabilmente'. Nel
re. s*ha, con questo valore:
xàxa.
izza goccia; forse un't^iae class.
\|/tàc, come il re. t^xiov è^dx^a.
kamulia (otr. kamùla) nebbia. La
base sarà ancora xau(ia; v. ka-
materùddia al n. 34.
kaasédda (otr. kafcédda) fanciulla;
forse: kapsella^ da xo'J/- oxohit?-
(cfr. re. xoiiAXa e xoTrtx^a); o
kor[i\zella = xoptT?ouXa (v. Comp.
90).
zódda fanciulla. Non è voce ca-
■ ■
labra. Forse è [mi]zólla^ che ò
quanto dire (iLtr^ouXa, piccina,
con suffisso calabrizzante. Cfr.
céddi cédda 235 n.
• • • •
kondoférro ritorno. Dev' essere
*xovTo-5pepvw *mi porto vicino,
mi riconduco'. In questi dialet-
ti, (p^pvco si fa sinonimo di 7ca(p-
v(o: fèrro ja ta fdttiamu^ vado
pe* fatti miei. Quanto alla com-
pos. con xovT(^;, cfr. i re. xov-
ToxpxTuS trattengo, xovto<70)v(o sto
per arrivare; ecc.
kihìi, fem. kùntty dimin. kundci e
kunédday porco, ecc. \kimagrikó^
cignale. È forse ftuniexó[a]v(ov,
da xóxvo; caeruleus, ater, cioè
*il nero', com'è per antonomasia
chiamato quest'animale ne' dial.
ital. merid. Cfr. il n. 4, e l'an-
tico lacon. xouavotrs \ukxytx E sich. ,
oltre lo zacon. xoupxvs nero,
Deffn. 294.- Fuor di Beva, è
il solito Kjiridi x^'P"*
kuràdi pane nero e grossolano,
fatto di misUémmata (less. iii).
Forse '(rxoapidcSiov, quasi 'pane
fatto di scorie, di avanzi, ecc.*
Quauto al dileguo di ff-, cfr. lo
zacon. xoup^Si, steroo, che il
Deffn. 308 felicemente deriva
appunto da dxwpfe (qui skuria).
leddé fratello, leddd sorella. Sa-
ranno semplici vezzeggiativi, da
mandarsi con XxXoc; "kotXiy onde
si chiamano in Grecia l'avo e
l'ava. A Cardeto, Ielle è lo zio,
e per 'fratello* e 'sorella* vi si
hanno le solite voci greche, che
il bovese più non serba se noa
mutile nei composti zarfó zar^
fij i^àSsX^oc i^aSeX^Y],
luddùfero bruscolo, peluzzo, bioc-
coletto di cotone, di lana, ecc.,
che vola in balia del vento.
mdpa corba. .
miàcuna briciola, onde miccundz-^
zo sbriciolo. Cfr. miccéddi ecc.,
il. 235.
mói rfr. nonna, roch, madre. Il
re. ha \s.cC(oL nonna.
murttzzo sonnecchio; cfr. cipr.
(jL(opa(va) -cUto) -i(r(jLevoc ecc. (vapxuS),
e (i.o3p((T(Toupa (vàpxY)). Si aggiunge
il frequentativo murtidddo.
Dial. romaico di Bova,
petCLkuni uccello di nido. La base
sarà qaella del re. neToxr^c ecc.
piazzi bata£Eblo di lana, seta, ecc.,
fiocco di neve: fXoxxtov?
plètora palo maestro della siepe;
e dicesi anche di chi sta dritto,
impalato'.
pio fari rooh., crine di cavallo:
''7(tfXo<po[pjàp(ov? Cfr. ttSXoc pul-
lus in primis equinus, onde il
re. ircoXàpiov nouXapiov puledro,
e (p^pi) juba, coma. Per la qua-
lità del composto, cfr. il re. you-
pouv^Tpix,tt setola di porco. plO"
faria 194 n.
rumba vino cotto.
sirma subito. Sarebbe mai : a6p{Aa,
quasi Hrattg', per imitazione dei
modi ital. Mi tratto, d*un trat-
to', ecc.?
sóliko ragazzo. Lo Gyp del class.
(T/oXixÓQ puerilis, ineptus, ecc.,
dovrebbe darci sAo, n. 63-4.
ecc. Appunti lessic, IV. .71
spalassi roch., bov. spol- 16; cfr.
il class. &TKéX%^oq genus vepris.
stoli fiato (propriam. quel movi-
mento di contrazione e dilata-
zione che fa il petto respirando;
cfr. i termini jatrici àvavxoXiQ,
xttTQC9ToXi^, SsaffToXiQ); stoljdzzo
io fiato.
zargdra veleno. Nulla avrei di
men rimoto del cipr. ^x^9 ^^^^*
^xx, irexp<^v ^apf^àxi Cjpr. 423.
zikkini roch., bov. zikkinia^ ca-
micia da uomo; cfr. re. t^o-
}^^vtoc tC^x'voc, di stoffa di lana,
e ^Vx^ AP* ^u Canoe: *indu-
mentum ad thalos usque demis-
sum apud lUjrios'.
zimamicti (otr. fsalammidi^ fsam-
midi)^ ramarro.
viàia sempre, continuamente. Non
d voce calabra. Ma pare dal-
l' ital. via, preso in senso av-
verbiale ^.
IV. APPUNTI STORICI.
I precedenti paragrafi ci hanno mostrato che il dialetto di Beva e
lo varietà contermini coincidono in sostanza col linguaggio comune
* I dial. di Rochudi, Roccaforte e Gondofuri hanno ancora le seguenti voci
non comuni con Beva, che non ò forse affatto inutile qui registrare; - roch.:
appiszo fiorisco avO-, anasihónno allevo cevaoTix-, aneodszi lievita re. àvacjS-,
anóstrata e hatóstrata (cornimi con r,c f.) n. S29, arrustdo mi ammalo à/>/9'oj-
oTf», cistendszo gemo (rrcv-, veldszo belo /3cX-, Ji terra y^, énibasi (bov. ^m-
bitna)^ zar anno <rendo compatto, indurisco' re. (a^-, imero domestico «ft-,
pardnoma S29, pétama il volo (re.), sdoana vesti mortuarie e sananónno io
vesto ecc., sindoni lenzuolo, sinno fia 194, figa 190 n , ftóhia povertà Trrw^-^
Khamiddó (comune con cndf. e rfr.) ^«f^iiXóc, A7ian(2ict219n.; rfr.: (Qirefto
* 241 n., aféii (comune con cndf.) 285 n., cù,ri 4, néma 9, p[o\skotdzzi an*
netta ccTro^x- (bov. shot\ pranddta 211, ràmma filo re, spéra sera cttt- (bov.
vradia)^ stenónno restringo <rrev-; cndf.: angrimména di nascosto (bov. hrifd),
72 Morosi,
della Grecia odierna, come già sin dalla metà del secolo scorso aveva
affermato il Mazzocchi, toccando per incidenza di queste colonie nel
Suo commentario alle tavole di Eraclea*, e come, al principio di que-
sto, senza conoscere il lavoro del dotto archeologo napoletano, aveva
confermato il Witte^. Ma quando si considerino piti dappresso queste
parlate, si trova pure che dal comune romaico esse differiscono in
parecchi punti e in punti di non lieve momento. Or queste differenze,
che in ispecie si avvertono nella flessione del verbo, qui piti fedele
al tipo classico, o dipendono dal numero cospicuo di voci antiche
qui ancor vive, che sono spente nella Grecia, conferiscono a questi
dialetti un cdtal grado di anzianità; e il fenomeno non ò punto sin-
golare, poiché si tratta di una propaggine, che ha ben dovuto intri-
stire, ma che d'altra parte non ha partecipato a quei graduali de-
perimenti che il tronco pativa dopo il suo distacco. Questo color
d'antichità è però alquanto meno spiccato nel bovese di quello che
sia nell'otrantino. Così, i nomi con suiBsso diminutivo, ma con si-
gnificazione positiva, sono di gran lunga pit abondanti nel greco di
Calabria che non in quello di Terra d'Otranto; e la formazione dei
nomi semplici e dei composti, e anche la loro flessione, ci offrono,
pel greco Calabro, degli elementi e degli usi, che rimangono estranei
all'otrantino e sono allMncontro in pieno rigoglio nel comune romaico.
Ma non porremmo fra i criterj di preminenza cronologica l'aversi
ora il 8 con suono esplosivo nel greco d' Otranto, mentre è fricativo
in quel di Calabria e di Grecia.
Ciò posto, in che tempo saranno esse venute nelle presenti loro
sedi le colonie Calabre, della cui origine, come di quella delle colonie
otrantine, tace affatto la storia? Qui imprima risponderei, mirando
al punto oltre il quale non si abbia a risalire, aver io per fermo che
vi debbano esser giunte dopo il secolo X. La quale asserzione, a
dir vero, non ha per sé delle prove certe e apodittiche, ma pur si
fonda sopra un argomento che io debbo stimar sicuro e che vedrei
rinfiancato da ulteriori indizj. Il mio argomento è questo. La fonda-
dinató forte ^uv-, diiio einistro ddt^tòg^ kìifio atolto xoOyoc, lipiméno dfa-
grasiato "kvre-^ mantéggo indovino jùtavrevw, raghéggo pago poysuw, simera
285 n., sh&zzo orepo re. o-xà^o), stàmba (bov. izza) 162 n., hérome mi ral-
legro x°^^P'-
• V. il mio articolo: Ricerche intorno alla origine delle coL gr. della Terra
d'Otranto, nell'Arch. per T Antropol. e la EtnoL, voi. I, pag. 326.
' Si vegga il bel lavoro intomo al dial. greco di Bova, che il pr. Astorre
Pellegrini viene stampando nella Rivista difilol e d'istruz. class, di Torino.
Dial* romaico di Boya^ ecc. Appunti storici. 73
zione delle colonie oirantine va appunto riportata intorno al secolo X
(Otr., 186 seg.); se quindi, confrontata colla lingua delle colonie otran-
tine, la lingua delle Calabre, secondo che testò accennammo, porta
rimpronta di una minore antichità, non sarà illegittimo T inferirne
che queste siano venute fra noi alquanto piti tardi di quelle. Ecco
poi gli altri amminnicoli di prova. Le voci mdtrakho, materasso,
e lardnghi^ arancio, si devono agli Arabi. I Greci calabri non le
hanno nella forma che i dialetti italiani loro potevano offrire; par
quindi che le abbiano portate seco dalla madre patria, e ciò impor-
terebbe che l'influsso arabico si fosse in questa sentito prima della
loro partenza ^. Ma di cotesto immissioni arabiche nella Grecia, nes-
sun vorrebbe ammetterne prima del secolo X. D'altra parte, come
*la prugna' si chiama da questi coloni damàsino^ che è pur la voce
del comune romaico (8a[i.a(ncY}V(^v) e probabilmente ricorda il tempo
della potenza degli Arabi nella Siria, a Damasco; cosi il frutto del
fico d'India ò detto dai coloni medesimi: tùrko^ Pur questa voce
dev'essere portata dalla madre patria; nella quale perciò, ali* età
del distacco dei nostri coloni, dovevano essere ben conosciuti 1 ^Turchi',
se dal nome di questi si chiamava il frutto di una pianta, che dalle
contrade a loro soggette (nell'Asia Minore) trapiantavasi in Grecia.
Or tal fama e potenza non p^uò attribuirai ai Turchi (selgiucidi) se
non dalla fine del sec. XI ^.
Ma, se dobbiamo ritenere che la venuta di questi coloni sia se-
guita dopo il sec. X, volgendoci ora all'esame del tempo oltre il
quale non si possa discendere, diremo intanto, che dev'essere seguita
ben prima del XVI. Poiché è menzione di queste colonie nel libro
de antiquitate et situ Calahriae^ dell'archeologo calabrese Gabriele
Barrio, pubblicato a Roma nel 1571; e il Barrio non dice che fos-
sero recenti, ma lascia anzi supporre che gli paressero una conti-
nuazione delle antiche colonie della Magna Grecia; talché il Fiore,
nella sua Calabria illustrata (Napoli, 1773), in cui attinge a larga
mano dal libro del Barrio, chiaramente dice (I, 162): *La Calabria,
altre volte tutta greca, oggidì tutta latina, se non sol nella sua parte
piti australe, da Reggio a Gerace, conserva alcune terre greche,
cred'ìo, per argomento di quello che in .altro tempo ella fu'. E ci-
' Miglior forza avrebbe per vero questa considerazione, se mdtrakho esi-
stesse anche in 'Grecia, dove non a* ha se non fi^rapàq^ ^borra o cimatura
grossa', termine mercantile di assai dubbia età.
'Par questa considerazione avrebbe maggior forza, se turho si dicesse per
'fico d'India' anche nella Grecia; ma non si dice, per quanto io sappia.
74 Morosi I
tate ancora le parole del Barrio, ricorda ridioma greco di Bova
*per tanti secoli ostinatamente raClenato'. Non ò dunque ammissi-
bile che i nostri coloni siano venuti sol qualche mezzo secolo prima
che il Barrio ne avesse e ne desse contezza. D'altronde» e le tradi-
zioni orali di questi Greci sono mute affatto, cosi intomo al tempo
della loro venuta in queste contrade, come intorno ai luoghi della
Grecia ch'essi hanno lasciato; e i nomi che essi danno, cosi alle
regioni incolte, ai monti, alle valli e alle acque, come agli appez-
zamenti del terreno coltivato o al paesi stessi ove hanno stanza,
eccettuato forse Bova (Ftia), son tutti greci: due cose che difficil-
mente si spiegherebbero, se la Ipro venuta fra noi fosse antica di
appena quattro o cinque secoli. Si aggiunga che di parole turche
non appare la menoma traccia in questi dialetti^. I quali Invece
portano evidenti segni dell'influenza profonda che le contermini par-
late italiane hanno sopra di loro esercitato, come sarebbero in ispecie
le vicende, certo d'Indole plU romanza ed anzi calabrese che non
romaica, a cui andavano soggette le vocali fuori d' accento, e inoltre
il mutarsi del }X in dd: prove non dubbie che questi coloni hanno
dovuto per non breve tempo convivere cogli abitanti di schiatta Ita-
liana. Neppure si può ammettere che il tempo della loro venuta
abbia a farsi discendere al secolo XIV; poichò non troviamo nelle
loro parlate queir abondanza di tracce venete che vi si dovrebbe
rinvenire, se tardassimo il loro distacco in sino a questa età; anzi
di tracce venete non ne abbiamo affatto, all' infuori dell' -ért di dinéri^
suléri^ purziérif num. 180, circa il quale è 'da vedersi l'Archivio
' Un canto (Camp, xxxvi) che esprime l*odio profondo dei Greci contro i
Turchi e vive tutf ora nella Grecia, non fa prova che questi Greci abbiano
soggiaciuto alla signoria turchesca. D. Domenico Puliatti, dotto sacerd. boyese,
così me ne scrive: ^Qnei che mi han recitato questo idillio, o romanza che
voglia dirsi , mi assicurano di averlo appreso da un certo prete di Bova, il
quale, nella occupazione militare (francese) del Regno, emigrò, stette molto
tempo in Sicilia ed asseriva di essere stato anche in Grecia. Ritornato qui,
vestiva da prete greco.' Infatti, alcune delle voci romaiche che in questo
canto ricorrono, cioè reomoptilla^ aborchindi^ oelopidi^ pardsciaguo^ amorfo
e pelicadiki^ sono ignote ai bòvesi, come sono a loro ignote, o del tutto o
nella forma in cui vengono date, non poche delle voci romaiche e quelle di
origine turca {fiséchi coltello [?], zibuchi pipa, duféchi archibugio), ci^e T.omaso
Morelli cita ne* suoi brevissimi Cenni storici intomo alle col. greco-caL^ e
che molto probabilmente egli ha avuto da qualche bovese eh* era stato in
Grecia, il quale, per certa boria di campanile, alle voci romaiche cadute in
disuso non mai usate a Dova, sostituiva le voci di comune romaico.
Dial. romaico di Bova, ecc. Appunti storici. 75
glotlo]., I 393 ed altrove. Air incontro vi abbiamo voci e forme di
tipo romanzo, sconosciute al di là dell* Jonio, che i nostri Greci non
possono quindi aver portato dalla madrepatria, ma devono aver preso
a prestito, ne' primi tempi del loro soggiorno tra noi, alle finitime
parlate italiane: voci e forme, che ben prima del secolo XIV, e già
almeno nel XII, hanno dovuto cedere il posto alle voci e alle forme
che risuonano nel calabrese odierno. Cosi pldto discorso e plaléguo
discorro, less. in; clunùca (cunùcchia calabr.) ^conocchia o frasca tra
i cui ramicelli il baco da seta intesse il suo bozzolo' *coluc[u]la;
plùppo (rfr.), flùppo (bov.), glùppo (cndf.) pioppo (cfr. pluppi del 994
a pop[u]li MuRAT. Afittch. JtaL<, II 2035); fiocca chioccia (calabr. vócca^
abruzz. fiocca); àscia less. ni. Si aggiunga, e sarà per avventura
l'argomento più importante e conclusivo, che alcuna delle voci ora
citate, e qualche altra analoga, e parecchie altre voci, si di origine
latina e si di origine greca, qui esistenti, ma non appartenenti al
comune romaico, si ritrovano, quasi coU'istessa veste o col signifi-
cato che qui hanno, in pergamene greco-calabre anteriori al sec. XIII
o di pochi anni posteriori. Sono: plùppi (tcXouicoi, dell'anno 1124),
akkli cassa (£pxXa, £pxXov, 1124), lenzùli (XevT^ouXiov 1158), strilta ca-
micia da donna ((ttp^ttoc 'strophium' 1212); vapia valle (^aOsTa 1053),
stennàto pentola ((ttsyvqItov 1097), cefdloma estremità (xefaXM(i.ocTa ver-
tici 1141), artiHa condimento (iptirialoi, da correggersi in iprucr^a, 1187).
Cosi dicasi di parecchi nomi di fondi (cfr. p. e. Ceramidi^ Vundci^
Kropané con Kepoc|jL^Si 1053, BouvdLxi 1127, KpoTcav^i 1217); e dei suf-
fissi formativi di nomi di fondi: -x (cfr. p. e. Silipd^ Krommidd con
likiTtà 1176 e Kpo[xu8à 1125); e -ouaa (cfr, il num. 199); e di parecchi
cognomi (cfr. Spanò, Romèo, Pelikanó, Melahrino, Melissdri con Sita-
va;, ^PtA\t.àUCo^^ néXixav(^C, MeXa)(ptV(^;, MeXicrvolpT); 1053, 1145, 1164, ecc.).
Ne consegue che questi dialetti hanno strettissima attinenza col co-
mune romaico del sec. XI e XII, qual doveva essere in uso in colonie
bisantine della Bassa Italia, a queste nostre anteriori o coeve, e ormai,
da molto o poco tempo, quasi tutte scomparse. Inoltre, nelle stesse
pergamene, dalla metà dell' XI alla fine del XII secolo, il nome di
'Reggio' è sempre grecamente 'PT^ytov genit. TotJ *Py,Yfou, e PyjYifàvot
il nome degli abitanti, corno appunto ancora si dice da questi coloni:
R^i e Rijitdni. Ma, dal 1194 in poi, accanto a tòu 'Ptjy^ou, trovo
anche toiJ 'Ptjyiou, che, se non è un errore di scrittura ,. accenna al
Riggu del calabrese odierno. Tutto questo e' induce dunque a credere,
che lo stabilimento delle colonie greco-calabre risalga al sec. XI o
al XII. Ma più probabilmente avremo a porlo in quello che non in
questo. Poiché imprima siamo in diritto dì ritenere, che nel sec. XI,
76 Atorosi ,
cioè appena un secolo innanzi che apparissero ì primi monumenti let-
terarj della lingua neoellenica, quali son le poesie di Teodoro Ptocho-
prodromo (Muli. Gr. 73), il linguaggio comune della Grecia si trovasse
già nelle condizioni in cui ne si presenta in cotesti dialetti. D'altra
parte, scarsissime e quasi impercettibili essendo nella poesia popolare
di queste colonie, come in quella delle colonie otrantine, le vestigia del
verso politico, ci sarà lecito inferirne, che, allorquando queste colonie
si partirono dalla Grecia, tal verso non fosse ancora divenuto di
uso generale, non ancora veramente politico o nazionale, com'era al
tempo di Ptochoprodromo. Poi, in un diploma del re Ruggero II, man-
cante bensì di data, ma ad ogni modo non posteriore al 1154, anno
in cui il detto re Ruggiero è morto, fra i villani da lui regalati a
un monastero della Calabria, trovo Ppiifopio; pouràvo; e Ntxr^TYjs poorocvoc.
Or qui pouTocvoc non può essere altro se non l'aggettivo gentilizio, an-
che oggidì usato a Beva, per *Bovese', come fTjYixàvo;, (TTeXtràvo;, ^epa-
xiTQcvoc, aep7]ptTciivoc, dello stesso diploma e di altri dello stesso re,
significano 'abitanti di Reggio, di Stilo, di Gerace, di S.' Severina*;
e ci assicura, credo, che Beva già era allora abitata e da gente
greca. E d'altronde il fatto che -son tutti greci, come già dicemmo,
i nomi dei paesi e de' fondi, oltreché una prova della vetustà di
queste colonie, è argomento a farci credere, che questa contrada
fosse vuota, o quasi vuota, di abitatori, quando i nostri Greci vi
approdarono. Or qual è il tempo in cui ò piti probabile che tal con-
dizione di cose vi si avverasse, e quale è la particolar giacitura
delle sedi di questi coloni? A cominciar da questa, se si pon mente
al fatto, che i paesi, da loro abitati, non istanno già sulla spiaggia,
comoda e] ferace, del mare, a cui pure son tanto vicini, ma si in
vetta a colli elevati e di malagevole accesso o in fondo a valloncelli
remoti e quasi tagliati fuori da ogni commercio umano, si vien di
leggieri nell'opinione, che, preoccupati dal pensiero della loro sicu-
rezza, i nostri coloni abbiano avuto. cura di stabilirsi in tal luoghi
onde potessero scorgere o dove non potessero venire scòrti dalla
parte del mare. Un fondo di Roccaforte è detto ancora al di d'oggi
Saracèna^ di una battaglia tra Saraceni e Bovesi narrano le tradi-
zioni del popolo essere stata teatro ^al tempo de' tempi', una contrada
ancor chiamata Pólemo (Guerra); e ai Saraceni le stesse tradizioni
attribuiscono la rovina di un castello che sorgeva a ridosso di Bova
e di cui poche reliquie nereggiano ancora sulla estrema cresta del
monte. Or che questa regione sia stata per molto tempo bersaglio
alle feroci scorrerie di que' valorosi ladroni, nessuno ne dubita. Dalla
metà del IX alla metà del sec. XI, vanno piene le cronache della
Dial. romaico di Bova, ecc. Appunti storici.- 77
Bassa Italia delle loro gesta esiziali. Possiamo quindi ben credere,
che in tempi siffatti questa regione rimanesse deserta dagli antichi
abitatori italiani. Ma non è ammissibile che proprio allora qai tras-
migrassero, o fossero qui trasportate, delle colonie greche. Bensì, un
po' pitL tardi, quando non solo tutta la Calabria, ma e tutta la Si-
cilia era venuta in dominio de' Normanni, alla fine del secolo XI;
quando le incursioni de' Saraceni erano finite, ma non cancellato
ancora ne' sciagurati popoli, che n'erano stati vittime, il ricordo di
quelle e non morta la paura; ricordo e paura, che da' pochi super-
stiti della vecchia popolazione, indigena, si trasfondevano nella nuova,
straniera.
Or quali motivi hanno potuto sospingere questi coloni dalla Grecia
in Italia? La Bassa Italia, al finire del sec. XI, era per l'impero
d'oriente affatto perduta. Questi Greci non possono quindi essere stati
spediti dagli Autoprati di Bisanzio, come furono probabilmente gli
otrantini suU' altra punta della penisola, per ripopolare il loro Tema
di Longobardia e per farne puntello alla lor vacillante dominazione*
Che spontaneamente sieno qui emigrati, neppur si può ammettere,
dacché, rassodatasi la monarchia normanna, ogni legame coU'Oriente
veniva rotto dalla sospettosa politica degli Altavilla. Non possono
dunque esser altri questi Greci che i discendenti di alcuna di quelle
torme di infelici, che, duranti le feroci guerre di Roberto Guiscardo
e del figlio di lui Boemondo contro Alessio Comneno nella penisola
greca, dal 1077 al 1085, furono da quelli strappati a' focolari do-
mestici e trascinati in Italia. Non è improbabile però, che le primitive
colonie siano state in seguito accresciute da profughi delle colonie
romaiche della vicina Sicilia, oppresse e disperse da' Normanni, dopo
il vano tentativo da esse fatto di ricongiungersi colla madrepatria^.
Ma piti probabile ancora si è, che sieno venute ingrossandosi negli
ultimi anni del regno di Ruggiero II, dopo la sua corsa vittoriosa
attraverso l'Epiro, l'Acarnania, l'Etolia, la Beozia e la Morea, nel
1147, onde si sa che a migliaja ei trasse schiavi in Italia gli abi-
tanti. Da cronisti bisantini si apprende, che Ruggero in ispecie tras-
portasse in Italia dei tessitori di seta, da Tebe e da Corinto, fra 1
quali molti erano ebrei. Ora, e l'arte della seta, ancora non ispen-
tavi affatto, era a Bova un di fìorentissima; e un intiero quartiere
di Bova, chiamato Pirgoli, era abitato da Ebrei, che certo non vi
dovevano essere venuti di loro talento, non offrendo Bova per la
' Cfr. Otr. 210; Zambelli op. in cit. 153 e 183; De Blasiis, La insurre-
zione pugliese e la conquista normanna nel sec, XT, Napoli 1873, III 355.
78 Morosi,
sua postura niuna comodità di traffici; ma trasportativi a forza.
Qualche non lieve differenza che ancora sopravvive tra le. parlate
di queste colonie, sìa ne* suoni, sìa «ielle forme e più ancora nel
lessico, non ostante la convivenza di forse otto secoli, ci fa anch'essa
sospettare^ che non provengano intieramente da una stessa regione
della madrepatria. Confermano il sospetto i nomi di parecchi loro
fondi e di parecchi fondi de' vicini paesi, non ha guari greci ancor
essi, di S. Lorenzo, Bagaladi e Melito, che accennano, come sembra,
a luoghi diversi della Grecia; quali Déri (Delo?), Arkadia^ MantinéOj
e perfino Kandia e Cipri; e fors' anche alcuni de' cognomi, poiché,
allato a Kotronéiy Bruzzanitì^ MiserafUij Pelikanó^ TropednOy Ste-^
litdnOf che richiamano altri luoghi della Bassa Italia, sedi ancor essi,
non c'è dubbio, di colonie bisantine (Cotrone, Bruzzano, Misórrafa,
Pollica, Tropea, Stilo), troviamo: Fiati (forse ♦*^pàTìf]« Tebano, cfr.
*T^pa = 07ipat, n. 87), Autelitdno (forse ♦AiTwXttave^; oriundo dell' E-
tolia), Khriséo (Xpwrdio^^ di Griso ?) Messinéo M6(T(nivo^oc Messenio),
Minniti (*Matv^T>](; Mainotto?), Shupelùi (*2xo7ceX^T>is di Scopelo). Sif-
fatti indizj, e le particolari attinenze che questi dialetti presentano
in primo luogo colle parlate odierne del mezzogiorno della penisola
greca e poi con quelle della Grecia insulare^, ci porterebbero a con-
chiudere, che la popolazione di queste colonie sì componga di un
trìplice strato: il primo e fondamentale, raccolto in sullo scorcio del
secolo XI dalla Morea; il secondo, verso la metà del secolo XII, dalle
contrade posto intorno all'istmo di Corinto e dalla Beozia; il terzo,
non sappiamo come, nò quando, ma certamente prima che il secolo XII
finisse^ dalle isole, e segnatamente da Cipro.
V. SAGGI LETTERARJ.
«
Si per la forma e si pel concetto, i canti di Bova e delle colonie
contermini sono ben lungi dall'avere la importanza di quelli che si
odono tuttodì nelle colonie otrantìne. Per lo piti altro non sono che
versioni o parafrasi di canti calabresi, de' quali riproducono il metro.
Del verso nazionale de' Greci odierni, cioè del verso politico, appena
* Cfr. per queste attinenze i num. 4, 6, 9, 12, 14, 24, 32, 40; 54, 65, 75,
88, 103, 131, 169; 213, 235, 271, e 275; e per le attinenze col ciprio in par-
ticolare i num. 1, 4, 9; 24, 26, 30, 37, 46; 61, 65, 87, 93, 109, 136, 140. 147,
169; 224, 235, 271, e il less.
Dial. romaici di Bova ecc. Saggi letterarj. 79
è qualche indizio in cantilene fanciullesche e in motti proyerbiali
(cfr. B., 1, 2y 4, 5). Non inutili a chi nella spontanea letteratura po-
polare studia il pensiero e il sentimento morale del popolo illetterato
riesciranno i proverbj, nella più parte de* quali spicca una vera im-
pronta di originalità.
A. Canti.
1. Beva.
I.
Magni hazxédda, me kànni pepdni,
na pepdni me kdnni esu, kazzédda.
sa mme tùnda Incchi^ùs kanundi,
mu serri Uh gardia me tih gordedda.
Sa mmù, piate gui, pèzzi ce Jeldi,
io jóco mu hdnni ti alupudédda.
ma Hni iméra hall éhji na érti,
na su Siro to éma sa mmia avdédda
Bella fanciulla, mi fai morire,
morire mi fai tu, o fanciulla, [guardi,
quando con codesti occhietti tu (mi)
mi tiri (dal petto) il cuore colla eordi-
quando mi parli, scherzi e ridi, [cella,
il guoco mi fai della Tolpicella.
ma quella giornata buona ha da venire,
chMo ti succhi il sangue come una mi-
gnatta.
II.
Ep&ssezze o hjeró pu ego s'egdpo. Passò il tempo eh* io ti amavo,
c'esé, kazzédda, esv&negue m'emména; e che tu, fanciulla, ti sollazzavi con me.
épias^ ce mu épire to pldto;
platégui ton addò 6e den emména.
ego dio toh gósmo eparpdto,
to eparpdto ja na ivro esséna.
arte mù'pai ti esU lautezze stato:
c'egó óóla emùiezza tin §éra.
prendesti a levarmi la conversazione;
parli agli altri e non a me.
io tutto il mondo avrei camminato,
Pavrei camminato per vedere te. [lione:
ora m^han detto che hai mutato condi-
ed anchMo ho mutato il sembiante.
ni.
Mb&tula me to kaló péli me pidi :
tùti hardia de ssu to perdun^^ut.
'n imme kaldmi 6*eg6 pdo pu pdi,
en (mme fiddo c'esà me mojégui.
Invano colle buone mi vuoi pigliare:
questo cuore non ti perdona,
non sono canna che io vada dove tu vai,
non sono foglia che tu mi muova.
[ja] t&ndo peccato esù, 's to nfémo pdi, per codesto peccato tu ali* inferno vai,
ce cunfesstiri m&nco se esnrvégui. e nemmeno il confessore ti assolve.
estb perdiino emména en ezitdi, tu perdóno a me non cerchi,
ce manco o paradiso se delégui, e nemmeno il paradiso ti accoglie.
IV.
Esù, kazzédda, fise sa signora. Tu, foneiuUa, che sei come una signora^
ja andropi dem bérvi pinnacchiéra ; per vergogna non porti cappellino,*
so Morosi ,
c'éhji tom bùfito [sejnza kammia fintùra; ed hai il corpettino aeaz* alcuna finta ;
's io Tpéitosu hrati ti ttabacchióra. nel tao petto porti la tabacchiera :
tosso niegdli éhji ti yrangatùra, tanto grande hai la statura,
pu senza miccio àsti ti luméra; che senza miccia accendi la lampada;
den ékho (vronda mai tùndi sciagura non ho visto mai codesta bruttezza,
ja posso ego ekan{inia 's kdpa mèra, per quanto io abbia guardato in ogni
parte.
V.
Ti éne brutto tàndosu casali ! Com* ò brutto codesto tuo casale !
mancu giannédde cant^^uu ti spéra: nemmeno le rane vi cantano la sery
t pàddd stéhji óssu *s to gaddinàri, la gallina se ne sta dentro al pollajo,
ce aléstora c&ntégui a mdla péna: e il gallo canta a mala pena:
irta 's ti sempurtiira ce Àondàri: venni in sepoltura ancora viro:
diafdzH ce shotàzH méXja 'mména, non fa mai giorno nò notte per me.
pu na érti i mòrti tta se pari, possa venir la morte a portarti via (o
brutto casale),
ce òli na sc^eXéxzu azz'esséna. sì che tutti si liberino di te.
VI.
Yréte ti éne brutto tùndo palsi! Vedete com*ò brutto codesto paese!
màncu zomi den ékhuja na fasi! non hanno nemmen pane da mangiare !
en òli tosso tosso famigliùsi! sono tutti tanto tanto carichi di fami-
glia!
màncu khòrta khoràsija na vrdsi. nemmeno erba trovano da far bollire.
pdsi 's to piskopo na to dai ^nan^ tur-> vanno dal vescovo acciocché dia loro
nfsi un quattrino,
c'è tto to donni ja mi kdmi nterési. ed ei non glielo dà per non far danno
(alla sua borsa).
jat{ ótu epeliane i piasi poichò così hanno voluto i ricchi,
ja i malapàsca na tu kaparisi ! che la malapasqua li scortichi !
2. Gondofuri.
VII.
Ego érhome apissu 's Un oplissu. Io vengo dietro alla tua orma,
haspédda, ti pdi pdnda pdnda arràssu ; fanciulla, che te ne vai sempre (da me)
kàme cùnto ti imme to siddissu: fa conto che io sia il tuo cane: [lontano;
's tim bdrta^tf de ssònno érti na kldspo, alla tua porta non posso venire a pian-
gere,
miaTi&CAnamukdme[se] to skuddissu, sicché tu mi faccia una culla del tuo
collo,
na me nsichéspi Ugo na mi krdspo, e mi culli un poco acciocché io non
guaisca.
Dial. romaici di Bova, ecc. Canti di Condofari.
81
tosso ékho na kdmo na su érto apissu, tanto ho da venire dietro a te,
manàhi na mu ipise: émba óssuì che da te sola tu ingabbia a dire: en-
tra dentro!
Vili.
Sfiddo pu na só'mbi óssu 's fapti,
na kdmi Àdle na se kùso ego,
ce na su pài òli t akoi;
ce pu na só'mbi óssu 's fammialó !
'gó sù'pa mijirisikataci:
c'esé mH'pe ti en immo o pretino.
schiatti na mi mu kdmese paddi:
na mi kharri ti pdnda se gapó.
Ti possa entrare un pulce dentro alFo-
recchio,
sì che tu faccia strida che le oda io,
e sì che te ne vada tutto 1* udito;
e ti possa entrare dentro al cervello!
io ti dissi che non ti aggirassi laggiù :
tu mi dicesti che non ero io il primo
(tuo amante),
dispetti non me ne far molti:
non ti credere che sempre io ti ami.
IX.
Khórista e' èia, ti ékho ego na pdo:
a ppéli nd'rti, na mi adidl pléo.
e mmegdli i strdta ti ékho na pdo,
ce an esù den érkese, ego kléo,
pidnno to mAuto, io tdddo, ce pdo,
na se 'pantio se kammd Jitonia :
's ole te ribatédde kantmdo
m m
c'esséna e sse khoró 's kammd meria.
Partiti e vieni, che io ho da andarmene:
se vuoi venire, non indugiare più.
lunga ò la strada che ho da camminare,
e se tu non vieni, io piangerò,
piglio il mantello, me lo metto, e m'in-
cammino,
per iscontrarti in qualche vicinato :
a tutti i veroni guardo
e te non ti vedo in niuna parte.
X.
Pos sónno ego pidki fcQi na fdo ì
hdtu e mmu Péli pài i dacia,
pidnno to mAnto ce guénno na pdo,
pdo na tin ivro se mia meria.
te haspédde ole ego te kanundo :
me ole ecine de khoró hammia.
metapdle tin ivra, e' ego pdo
drte na cumiptime Ugo 's mia.
Come posso io pigliar cibo da mangiare ?
giù non mi vuol andare il boccone.
piglio il mantello ed esco per andarmene»
vado per vederla in qualche parte.
le fanciulle tutte le guardo:
fra tutte quelle non vedo niuna (che sia
la mia bella).
di nuovo rho trovata, ed io me ne vado
ora che abbiamo a dormire un poco in-
sieme.
XI.
Kaspédda, ti cumdse manahi,
ego cóla cumdme manakhó.
sfiddo na su àmbi óssu 's t'apti,
na kdmi zdle na se kuso ego!
aspe sprikhdda na su guéi i sfihi!
Fanciulla, che dormi sola,
io anche dormo solo. [recchio,
ti possa entrare un pulce dentro all'o-
si che tu faccia strida che le oda ioi
dal freddo ti possa uscir l'anima!
Archivio glottol. ital., IV.
6
S2
jati en irtese pu immo ego.
an érheso, esónname smipti
ce hàmi prdma ti sèri o piò.
Morosi ,
poiché non venisti dov*cro io.
se venivi, potevamo metterci insieme
e fare una cosa che la sa Iddio.
xir.
Me partia de Bova ^na mattina
ja mian arràta f ikha Jenaména.
— damme *na vota d* acqua, gioja mia,
na palino ta hiljamu haména —
€che t^aju a dari ca aju la spia,
ti pési ce to légusi ti tnmdna? »
— pe* li spijtini lassa fari a mmla :
putte ^SLSBégtu>egó, mdlja ta hanno. —
Mi partivo di Bova una mattina
per un fallo che (vi) avevo commesso.
— dammi un sorso d* aequa, gioja mia,
eh* io bagni le mie labbra riarse --
€ che t*ho da dare, che ho la spia,
che vanno e lo dicono alla mamma?»
— per gli spioni lascia fare a me :
per dove passo io, (tutto) appiano. —
XIII.
Aspe póssu lipiménu éfiji 's to hóstno
ego pléo méga pélo na krastó.
ripto t'dhjero ^s to rèma ce mu pdi kdtu,
ce tonaddó to chiummon ansumm^^ui;
dddi frabbich^^t4u spiiia 's ta iundria,
e* ego *s to mali de ssónno tikhói;
B^veméggu dddi Updri, eguénni sùco,
c'etnména e&iachespe cóla i fontana;
hanundoja dnu, to drio tramut^^tit,
hanundo khammé, de khoró ti strdta;
'gó hrdzio to foria ce de ffesdi;
hrdzzo to Ilici ce'i bbàmpa sbizzete;
pdo 's to nférno ce o Juda me guàddi;
hrdzzo tim mòrti ce drrusto Jénete.
jati i sórtami* de mm' afuddi,
éhho na hdmo vita dìspevemmdni '.
Di quanti disgraziati ci ha al mondo
io il più grande voglio essere tenuto*
getto la paglia nei mare e mi va in fondo,
e agli altri il piombo viene a galla;
altri fabbricsmo case sui dirupi,
ed io nel piano non posso murare;
altri spremono pietra e n'esce sugo,
e a me mi ò seccata anche la fontana;
gaardo in su e il tempo si stravolge,
guardo a terra e non vedo la strada;
invoco borea e non soffia;
invoco il fuoco e la fiamma si spegne ;
vado air inferno e Giuda mi caccia fuori;
invoco la morte e malata diviene,
poichò la mia sorte non mi ajuta,
ho da fare una vita disperata.
3. Roccaforte.
XIV.
Pùcc[a]ti '« tim hórt&su érisa to inc-
oiata passemtn^na ta sdimmónia. \ chio,
t ùmbra t dikisu m'épiae ndo lùcchio,
c'égó esùperespa ola ta demónia.
ma sirma pu su mó'piae to lùcchio,
eh gdnnija mnid piène i cirimònia:
m'èdesejapdnda esti me tundo lùcchio,
ja na schiatt^fpun* ola ta demónia.
Dacchò alla tua porta gittai rocchio,
tutte le cose passate le dimenticai,
r ombra tua mi ha preso dall'occhio,
ed io superai tutti i demonj (rivali),
ma subito che tu mi hai preso rocchio,
non fanno più per noi le cerimonie,
mi legasti per sempre tu con codesto
occhio, [demonj.
acciocché crepino di dispetto tutti i
* Tutta qaesta curiosa filastrocca non ò altro che la traduzione libera di un canto
ral abrase.
Dial. romaici di Bova , ecc. Ganti di Roccaforte.
83
XV.
Na mi hdmise dubbj apdnu 's emména^ Non far dubbj sopra di me,
fio lagose odikómmu de mma^acliégui; chd la mia parola non fallisce;
pisiéguo t'imme férmose ólo esséna; credo di essere fermo tatto in te;
hanése ta 'pensérimw pisch^^uf. nessnno i pensieri miei li pesca.
ta sitdriamu éne ola delemména, ifmio grano ò tutto ricolto,
ma énammuoftró [me] perseguite gui; ma un mio nemico mi perseguita:
sitdrimmuiseesiifpukdnnija'mména; il mio grano sei tu, che fai per me;
oftrómmu e ccino pu se pretend^^ut. il mio nemico è colui che ti pretende.
XVI.
Esti ja agapi i dikimmu ise óssu,
c'egó an dom bàtri en ékho libertàti.
sa prama depend^^ut àse tóssu,
e ssónnise kraUne iniquitati.
a ssóise trattenessi akomin* óssu,
fórci alarghéguusine i sceleràti;
ce sirma sirma me Parise ambróssu,
ce tòte mu ngrunisH im buluntati.
Tu per amor mio sei dentro (chiusa a
forza in casa),
ed io da mio padre non ho libertà,
quando la cosa dipende da tanti,
non la puoi ritenere una iniquità,
se puoi trattenerti ancora dentro,
forse si allontaneranno gli scellerati;
e subito subito mi vedrai innanzi a te,
e allora mi conoscerai la volontà.
XVII.
Tòte s'afinno sane pu apepéno,
ce pio se hanundi toh ghjeró JcMnni:
a su piate gui kané dópu ti apepéno,
ingitiriane emména mu deh gdnni,
'gó Bperéguo dipòi ti imme hhuméno,
nemménu na mu kdmisen' angànni/
ce pos ego esséna imme deméno,
emména éhji na pdri ola ta affilnni.
Allora ti abbandonerò quando sarò mor-
e chi ti guarda il suo tempo perde : [to,
se ti parla qualcuno dopo che io son
ingiuria a me non me ne fai. [morto,
io spero che nemmeno dopo che io sarò
tu non mi farai inganni; [sepolto,
e come io a te sono legato,
a me mi hai da levare tutti gli affanni.
XVIII.
/ cefali mu petti dse prikdda,
pu i kardiamu éfere ja 'sséna.
òli é[h]u na rukaniusi lipdr[i]a,
ma hanése lipdria san emména.
pòssa prdmata eip&tespa ego i mdvra
ola ta fèrro apdnumu gramména,
o esé hondoférri *s ti Limmàra»
ego pdo ce hhdnnome ja 'sséna.
La testa mi casca dalla amarezza,
che il mio cuore ha sofferto per te.
tutti hanno da masticar pietre,
ma nessuno pietre come me.
quante cose patii io la sventurata
tutte le porto su di me scritte.
tu ritomi alla Limmara, [tua.
o io me ne vado e mi perdo per cagion
XIX.
/ mdnasu na^mbéi na se hldspi,
ti éhji tin gefaline tripiméni.
La tua madre entri a piangerti,
chò hai la testa bucata.
84 Morosi ,
ce pio sikini ta ólasu mai gràspiì echipudmaituttelecosetuegeriTeref
ce die póssus ise fagoméni! e da quanti sei divorata? [candele,
dvri pappùssu la ceria na su aspi, domani possa il tuo nonno accenddrti la
ja na hhapi to émasu, o hakoméni ! perchò si perda il tno sangue, o mal-
[spi, yagia!
mepdvri mbAra t tndnasu [na] se klà^ posdomani nella bara la tu» madre ti
an àkomi den ise apepamméni! se ancora non sei mortai [pianga,
XX.
Prihdda pio ka[lcì\léghi na diavdi. Chi bene dice (di te) amarezza inghiotta,
ja posso edidvasa ego o mavroméno! quanta ne ho inghiottito io lo sventurato!
pu 's ti spihissu enan garfi na 'mhéi, possa nell* anima tua un chiodo entrare,
jati parahali nd'mme khuménot poiché preghi (Dio) eh* io sia sepolto!
pahaméno *s Un anca na se dèi, possa il diavolo alla (sua) gamba legarti,
jati ékamese emme 'ssonariamméno! poiché hai reso me pazzo l
ma strammdda apdnóUe na hatevéi, un lampo da sopra scenda,
[na] ton dihóssu kdmi dio sapiménoì che ogni cosa tua faccia in polvere 2
XXI.
[^mmanch^^iiona$t4d({5ott risposta. Non manco di darti la risposta,
ti móhamese mia poddin grudlli. che me ne facesti una molto crudele.
mu irtane graféssu me tim Bósta, mi venderò tue lettere per la Posta,
"^s ti mèra pu ise esu mtVse fidili; (in cui mi dicevi) che, nel luogo dove
sei, mi sei fedele;
ma 's tim bórta^u ehatévinane appósta, ma io alla tua porta scesi apposta,
ce de mmu éstilese mÀnco 'na sedfli. e tu non mi mandasti nemmanco una
plem brita su ma éhame[se] ti sósta^ prima tu mi facevi la corte, [sedia.
ce drte me kratisi ja 'na spondili. ed ora mi tieni per un fusajnolo.
XXIL
[/] kaspédde pu gapiisi ta pedtia Le fanciulle che amano i garzoni
pd[si] 's ti funtàna na kanunifiisiz vanno alla fontana per ispecchiarvìsi r
jomónnusi to petto die stuppia, si empiono il petto di stoppa,
na ta pedia die afte limbistdsi: acciocché i garzoni di loro s* invaghi-
to vdddusi poddé 's ti fantasia: se lo ficcano molte in fantasia: [scanor
sirma sirma Pe' nna prandeftusii subito subito vogliono andare a nozze r
a sorta te afuddi ée i filia, se la fortuna le ajuta e 1* amicizia,
to pidnnusi to aspdri ce jelusL io. pigliano il pesce e se la ridono.
4. Rochudì.
XXIIL
Pisiilo mdna ce piscilo curi. Bella mamma e bel babbo,
pu ekàmai tippiszilo fiaspédda! che hanno fatto la bella figliuola!
ivrai ce limbistissa an do astiiri, videro e s* invaghirono dell* astore^
Dial. romaici di Bova, ecc. Canti di Rochudi.
H$u ekdmai ta arhtàrmia ótu ééddia.
85
imme gargt&ni ed 's to Kondofuri;
s' eshiHa, ci en ikKa ecinda eartéddia:
h j'àfto to ipa ego tato tragMi,
na gapiune òli téddeha mióéédda.
poiché t* hanno fatto gli occhi così pie-
io sono garzone là di Condofnri, [cini.
t*ho cercato (in moglie) e non ho avnto
codesti panieri (regali di nozze):
e per ciò Tho detta io questa canzone,
acciocché amino tatti nna tal fanciulla.
XXIV.
Esii, haspédda, pu ise 's tò pardnu,
pUn aspri ise esii para to hjóni:
Se pos embénni *< to argalio 6e féni!
6^ pòsse manijtf^iii to veléni!,,,
's to kóstnio ise panda gapiméni,
s'avlépu san i gftta to plemóni.
tu, fanciulla, che sei in alto,
più bianca sei tu che la neve:
e come entri nel telajo e tessi !
e come maneggi 1* ago ! . . .
al mondo sarai sempre amata:
ti guardano come la gatta (guarda) il
polmone.
XXV.
Kremdnnéte o iljo jd to paradiso.
Se pòi slcotdslti sdn érhete vrddi:
'gó fero ti su Idmbi etttindo viso,
ce to pétto^u Idmbi sa fengdri:
's ti pórtaju na érto na hàplso,
mi mo^éspo die tiindo limitari;
6e a mmu hdmi pina ée a ssu siitiso,
dómmu, ja to Peó, ina hurddi.
Il sole d appeso per il paradiso,
e poi si abbuja quando yien sera;
. io so che ti brilla codesto viso,
e che il tuo petto brilla come luna:
alla tua porta possa io yenire a sedermi,
e non ismuovermi da codesto limitare ;
e se ho fame e se (qualcosa) ti cerco,
dammi, per amor di Dio, un panetto.
XXVI.
spiddo pu s' eddngae 's t* afti
su ipe légo pu to sèri esu:
ipe mi afikese paralisi :
dddo su deh ghiréguo per'ettu :
o lógomu énas ine ce i spxhi;
ée i hardiamu me serri vidUx ettu.
éeande fférro 'sséna òde 's tim moni,
na mu minu ta stéa 's tu potamu.
Il pulce che t*ha morso air orecchio
t* ha detto una parola che la sai tu :
t* ha detto che non ti lasci venir meno :
altro io non ti cerco faor di questo :
la mia parola d uno e (uno) il mio animo;
e il mio cuore mi tira continuamente
costì. .
e se io non ti porto in moglie qui nella
(mia) capanna,
mi possano restare le ossa nelle fiumane !
XXVII.
Ego s^egdpo piiééa t' isso éédda. Io t* amavo da quando tu eri piccina,
ée drte e mmu guénni pléo an di kar^ e ora non mi esci più dal cuore:
dia:
deméno m' éhji me halih gordédda, legato mi hai con buona cordicella,
de ppidnno abbénto die kammia me- non piglio riposo in nessuna parte.
esu ise ma piszilo miécédda [ria* tu sei una bellissima fanciulla.
88 Morosi,
ja ^ssén(\ prépi ethAndi litania. a te eonviene codesto vicinato.
na prdma pélo: na isso alupudédda, una cosa voglio: che tu sia Tolpicella,
na mù'pis' éna légo dsé filia, [e] mi dica una parola di amicizia.
xxviir.
An (sere ti hanno sa ine arghia,
ja na kdmo esse Ha pidise péna/
khorisiome ce pdo 's Un anglisia
ce vdddo ta pie rrukha anasiména:
san érkome, deléguo ola ta khorUa,
parTei*é(jda ta kdnno ola ja ^sséna:
ótu ékho na su kdmo tim màjia,
na mi gapisi dddu par' emména.
Se tu sapessi che cosa faccio quando è
per farti pigliar pena! [festa,
mi parto e vado alla chiesa
e mi metto i panni più logori :
quando vengo, raccolgo tutte le erbe,
polvere le faccio tutte per te :
così ho da farti la magia,
che tu non abbia ad amare altri che me-
XXIX.
Èia, kaspédda, ée pdme *5 to plima^
ti to vrastdri su to pérro ego,
ti s'afuddo ce kdnni to apovrdma:
ce ja ti ppina dfi na kdmo ego*
ti strittasu dspri dspri vdddo 's to
klima,
su ti kdnno dspri pos en' éna aguó :
an den érti, stilemuti mia f urina,
ti trago ce san érke[se] se khorà.
Vieni, fanciulla, e andiamo al lavatojo,
che la caldaja te la porto io,
che t'ajuto a fare la risciacquatura:
e per la fame lascia che faccia io.
la camicia tua bianca bianca metterò
(ad asciugare) alla frasca,
te la farò bianca com'd un uovo:
se non vieni, mandami una frittella,
che io mangio e quando vieni ti veggo.
XXX.
Ego to ipa ti éne kjeró khaméno,
ti su kombónni pi su traguddi !
en ola san *na cipo jenaméno,
pu érkete o potarne ce to khaldi,
ótu imme ego sventuremm^no :
ego kléo 6* esìi pdnda jeldi:
dfimme addónca^'a disper^mm^no^
ti ego petto pdnda mésa *5 ta guài.
Io lo dissi che ò tempo perduto,
che tu lo canzoni quello che ti canta •
gli d tutto come un orto belFe latto,
che viene la fiumana e lo rovina,
cosi son io lo sventurato :
io piango e tu sempre ridi:
làsciami dunque per disperato,
che io casco sempre in mezzo a*guaj.
XXXI
Spérto me to kósmio esù na pdi,
me to voréa na kdmi sinnodia!
appodenóssu den eguénno m&ì,
fina pu eplatéguome is mia.
de dfike, de afinni na mu vrdi
to éma pu edeléfti 's tin gardia :
tòte s'afinno esséna ja na pdi,
sa tCdndera mu guénnu an di cilia.
Errante per il mondo possa tu andare
colla tramontana a fare compagnia!
di qua dentro non uscirò mai,
finchò non discorreremo insieme,
non ha lasciato e non lascia di bollirmi
il sangue che (mi) si d raccolto nel cuore;
allora io t* abbandonerò, te, per andar-
mene,
quando le intestina mi usciranno dal
ventre.
Dial. romaici di Bova, eoe. Canti di Rochudi.
87
XXXII.
To iéro, to séro ti e mme gapdi,
pistéspi e ssónno pléo 's Uh ghitonia:
su me tus dddu pészi ce Jeldi,
é* emme e mmu dihis' òli Hh gardia.
ipela vidta na érto eòi pu pài,
na su riso pràma 's ti podia :
^na pràma manahhó me triwéljdi,
ti de khoró die 'ssé oli tin gardia.
Lo 80, lo 60 che non mi ami,
credere non posso più al vicinato:
la cogli altri scherzi e ridi,
e a me non mi mostri tutto il cuore.
Torrei continuamente venire là dove tu
vai,
per gittarti qualcosa al lembo (della ve-
una cosa sola mi strugge, [ste):
che non vedo di te tutto il cuore.
XXXIII.
Khoristina an do spiti mian iméra
ja ma kaspédda pu ihha gapiméni:
jdvina klónda mata òli ti spéra
ja mian errata pu ikha Jenaméni.
<dómmu napio - tis ipa appodembéra -
tin glòssa na palino pu e kaménil
hanùna t&tà dàklia, futi céra,
ti kardia mi mu afiki pepamméni! i^
Mi partii dalla casa un giorno
per una fanciulla che avevo amata :
andai piangendo continuamente tutta la
per up fallo che avevo commesso, [sera
€ Dammi da bere - le dissi di qua -
ch'io bagni la lingua che ò riarsa!
guarda queste lagrime, questo sem-
biante,
il cuore non lasciarmelo morto ! »
XXXIV.
Kali spéra su légo 6' ego pdo; Buona sera ti dico e io me ne vado;
ma stilo péna 's tin gardiaràu pérro, una sola pena nel mio cuore io porto,
ti pdo larga dse tino gapdo,
pdo larga dse 'ssé panda ^enBéguo:
eitundi ikòni de tto sdimmondo,
stampemin^m 's to póttomu ti fférro:
's ton iplomu to nómasu strigdo,
nifta e* iméra panda suspir^^uo.
che vado lontano da chi io amo,
vado lontano da te (a cui) -sempre io
penso:
codesta imagine io non la dimentico,
stampata nel mio petto la porto:
nel sonno il nome tuo io grido,
notte e giorno sempre sospiro.
XXXV.
Esu, kaspédda, pu éklie faftia,
kaniina ce vré pis ambròssu pài:
risetu 'na Ugo an di kardia,
ti e ppepamméno e' esii to 'jertài:
kdmeto, an do gapdi; ma amartia!
sipòrese ti plen e ttu dia f di.
vré ti to pérrusi 's tin anglista^
's ecindi tripa pu tòssu khordi:
ecl to kUvu me poddd klidia.
Tu, fanciulla, che chiudesti le orecchie,
guarda e vedi chi innanzi ti va (portato
a seppellire):
gfttagli una parola dal cuore,
che ò morto e tu lo risusciti :
fallo, se lo ami; ma peccato!
sappi che più non gli fa giorno,
ve* che lo portano alla chiesa,
a quella buca che tanti accoglie:
là lo chiudono con molte chiavi,
88
ecittenóssu den eguénni mài:
esù pu pài ce érkese spifia,
risetu ajenneró, an do gapdi.
Morosi,
di là dentro non esce mai :
tn, che vai e vieni spesso,
gfttagli deir acqua santa,
XXXVI.
lo
An ise filo, dómmu ti lledddssu,
ti òli mu légu t* imme singhenissu:
f iméra su ti ppérro Se a spassa,
ti vradia hondo fèrro 's fin avlissu.
ego de ssónno pléo [na] stapó arràssti:
kdmeto ja to piò ce ja ti spihissu,
ée an de to kànni, f dndera su spdsso,
su to légo ego ti kKdnni ti ioissu.
Se (mi) sei amico, dammi (in isposa) la
tua sorella,
chò tutti mi dicono eh* io son tuo co-
gnato:
il giorno te la conduco a passeggio,
la sera ritorno al tuo cortile,
io non posso più starmene lontano:
f&IIo per Tamor di Dio e per Tanima tua.
e se non lo fai, le budella ti straccio,
te lo dico io che perdi la tua vita.
XXXVII.
[E]ttùno, kaspédda, de ssu prépi ja
dndra ;
kàljo nà'vri Un glóssasu haménù
esù ise sa ma péma 's ti curlànda,
cino éne sa mmia scarpa iaroméni.
to sù*pa ego ée su to légo panda:
konddtu dihji hira nfvLComéni.
to kdljo éne n' adddsise porànda,
ti etténdo péma de ssu prépi esséna.
Costui, fanciulla, non ti conviene per
marito;
meglio ò che ti trovi la lingua bruciata,
tu sei come la perla nella corona,
colui è come una scarpa tacconata,
te rho detto io e te lo dirò sempre:
vicino a lui pari una vedova affogata,
il meglio si ò che tu muti porta,
poichò codesto contadino non ti con-
viene a te.
XXXVIII.
Ipiria éne ople ccéddi an dajpuddia
ce kanni ti ffoléa me kKurkHurdta:
to kalocéri pdi 'c€ 's tin oiia,
to hjimóna ?iatevénni òde kdtu:
paréguusi ti ppldha ta pedia:
limbisjete é'embénni eci 'pukdtu,
ótu kdnni, ée ja imiso dacia
afinni to skudddcitu anukdtu.
Il rigogolo ò il piti piccolo degli uccelli
e fa il nido con pagliuche :
r estate va là alla montagna,
r inverno scende quaggiù:
apparecchiano la trappola i ragazzi:
e* s' jnvoglia ed entra là sotto,
così fa, e per mezzo boccone
lascia il suo colluccio sottosopra.
XXXIX.
Kald khorddti pu éne òli i massari/
'mbénnu hharapiméni 's ti dulia;
pdsi ée kdnnu magno to kurdéti,
ijinéka na fdi ée ta pedia:
deléguondo ina vi&ggo to vdomddi:
Che gente ben pasciuta che sono i mas-
entrano allegri al lavoro ; [saj !
se ne vanno e ùmno bello il pane,
onde mangi la moglie e i figli:
si raccolgono a casa (dalla campagna)
una volta la settimana:
Dial. romaici di BoTa ecc. Proverbj di Bova. 80
vidta khùrddtin éhhu tin gilia: sempre satolla hanno la pancia:
ce a piò to dònni 6e sitdri, e se Dio dà loro anche del -grano,
éuménde aqneUtninéni ti vradia. dormono, senza pensieri la sera.
B. Proverbj.
1. BoTa.
1. To kaló 's to haló tréhji.
Il bene al bene corre.
2. Aizasméno na éne o piò - sa ssu stéddi to fuiló.
Lodato sia Iddio - quando ti manda il bene.
3. O'ia ta hahd 's tih gì^erusia - '^ tin ghjerusia ola ta hakd trékhusi.
Tutti i mali nella Tecchiaja - alla yeochiaja tutti i mali corrono.
4. Pésa prdma 's ton ghjeróndu prépi.
Ogni cosa a suo tempo sta bene.
5. Kalómiro ti gapdi tom bappàa 's to spiHndu,
Beato chi ama Favo suo nella sna casa.
6. Belézxete ta lucia 's tih ghitoniasa, ^
Cogliete le bucce (cioè: prendete moglie) nel vostro Ticinato.
7. Ti prandéguete me ti hira - o en ihe mAi Jinéka o en éhji mira»
Chi si sposa colla vedova - o non ebbe mai donna o non ha sorte.
8. Ta pedia ammiàizu to gonio.
I figli somigliano ai padri.
9. Orambi ce pepp&rà - katahlismata poddd.
Nuora e suocera - scompigli molti.
10. Ti cumdte me pedia Jérrete katuriméno.
• Chi dorme con fanciulli si leva da letto scompisciato.
\\, "S to spiai pu traguddi i pédda deh gdnni mài iméra.
Nella casa ove canta la gallina non fa mai giorno.
12. Tis énan dddo mùsson efildi - messèri ée tim mdna a4dimmonài.
Chi un altro viso bacia - babbo e mamma dimentica.
13. Ti pdi amalo - pdi haló.
Chi va piano - va bene. -
14. Arotónda arotónda pdo ja ólo tah^ gósmo.
Interrogando interrogando vado per tutto il mondo.
15. / égajenndi ^ ce o Jidi mungdt.
La eapra partorisce - e il capro ha le doglie.
16. R{khKo ton addò - ràhUo ton oló.
Roba d* alti*i - roba di tutti.
17. léro éne cino pu apepéni o éino pu de ssónni pléo.
Vecchio ò quegli che muore o quegli che non ne può pih.
18. Pizzi poddi, l^ta poddd, dulia Ugo.
Giuochi molti, pai*ole molte, lavoro poco.
19. Me pòrta ée porànda mi vdli kanéna ta ddstila.
Tra imposta e stipite non metta nessuno le dita.
90 Morosi,
20. Ta guài ti x'àkka ta ziri i tnistra.
I guai della pignatta li sa il mestolo.
21. Cióla t'dndera 's Un gilia - éKfiusi ti ipi.
Anche le budella nel ventre hanno che dire.
22. San éhji to iigò 's to shuddi - o serri o soft.
Quando hai il giogo sul collo - o tiri o crepi.
23. Ta zila ta strava ta sàzzi to lucisi.
Le legna storte le raddrizza il fuoco.
24. Kà^a kùmbo érkete 's to sténi.
Ogni nodo viene al pettine.
25. piò na sas aolézzi an de frdste ce an du kléftu.
Dio Ti guardi dalle siepi e da* ladri.
26. Na sas aio lézzi o>pió - an don àhharo kjeró - an di lissa to siddó -
ée an di glòssa to Jinehó.
Vi guardi Iddio - dal cattivo tempo - dalla rabbia de* cani - e dalla
lingua delle donne.
27. San o pishopo pindi - tnanahhóndu 's to mito pài.
Quando il vescovo ha fame - da sé al molino va.
28. piò édike tin arrustia - ^ tih ghjatria.
Dio ha dato la malatia - e la medicina.
29. Ijinéha ine sa tto kaldmi: tim bérri pu péli.
La donna d come la canna: la porti dove vuoi.
30. siddo pu den alestdi dahgdnni krifi.
lì cane che non abbaja morde di nascostOb
31. Forese s*cùndo ton ghjerò.
Vesti secondo la stagione.
32. Ti fini me tin nista de khdnni zikkinia.
Chi tesse di notte non fa camicia. •
33. Kdnni pléo mia Jinéka 's f ar gallo pard katò ^s ton agrdsii.
Fa più una donna al telcgo che cento al fuso.
34. 'S ti mdstra ce 's to pHma annorizzete tin ghinéka»
Alla madia e al lavatojo conoscete la donna*.
35. Ti purrizsii ti ppurri diafordi tin iméra.
Chi si alza presto la mattina guadagna la giornata.
36. A ppili na kdmi dulia poddi - jérta sirma ti ppurri.
Se vuoi fare lavoro molto - alzati presto la mattina.
37. Ti se gudddi an do mdli, spdzzeto.
Chi ti trae dalla campagna (dalla condizione di campagnuol»), ucci-
dilo.
38. To zilo to Khlorò - su vlizzi ce kdnni hanno.
II legno verde - ti cigola e fa fumo.
* Gli Otrantini dicono invece: A ttéli ti ghinéca na annorisi - dòsli to
Unno ée cuccia na ftisii Se vuoi conoscere la donna - dàlie il lume e le fave
da arrostire (prov. inedito).
Dia], romaici di Bova, ecc. ProverbJ di Bove. 91
39. Tis éhji kassdri en apepénni an di ppina.
Chi ha cascina non muore dalla fame.
40. An do ossukdssaro en ine klitnéno, t lùcchi ton drógusi.
. Se r intemo della cascina (ove si conserva il cacio) non d chibso, gli
occhi lo mangiano.
41. Ti den éhji farro dikóndu, de to khorténi to zomi.
Chi non ha forno proprio^ non lo sazia il pane.
42. Kàljo ìerommidia 's to spidimmu ka glicia 's to spidi ion addò.
Meglio cipolle in casa propria che dolci in casa d*altri.
43. Zomi azze faci se kdnni kumbidt ce apokumbidi.
Pane di lenti ti fa e ti rifa indigestione.
44. Na mi fdi èra ti de ppéli skóto»
Non mangi loglio chi non vuole capogiro.
45. An den éhji kassarin^ - é* esili péli na gf*dddi tim bina - vdle fa^dde
^s tifi gaslna. ,
Se non hai caseinetta - e tu vuoi saziare la fame - metti campi di fave
alla easina (metti, cioè, a cultura utile tutto il tuo terreno).
46. Mi vdli vupulie - 's tes argasie.
Non mettere vacche - nei colti.
47. *S fargdmmata mi vdli vupulie - an de ppéli na khdi te dulie.
Nei colti non mettere vacche - se non vuoi perdere le fatiche.
48. Ti kdnni kamateró ée de ssikónni to zimma - pio aftnni ijo, pio kdnni
trimma.
Chi fa lavoro di campi (ciod : chi ara) e non alza il giogo - quale (zolla)
lascia intera, quale stritola.
49. Ti me vupulie aldnni - poddi karpó dòn gdnni.
. Chi con vacche ara - molto grano non fa.
50. Ti den eskdsti ce den gendrónni, traghi agrappidd ce zomi ti ghi.
Chi non zappa e non innesta, mangia pere selvatiche e pane dì terra.
51. Tis espérri 's to jendri - de khori poddi sitdri.
Chi semina nel gennajo - non vede molto grano.
52. An den eskdsti ce den gladégui ton ambéii - tr^i fidddmbelo ce de
staftli.
Se non zappi e non poti la vigna - mangi foglie di vite e non uva.
53. Tis espérri 's to argo - tróji khdrto, deh garpó.
Chi semina nel campo non Javorato - mangia erba, non grano.
54. Tis espérri 's to pilo - khdnni ti dulia ce toh qarpó.
Chi semina nel terreno pantanoso - perde la fatica e il frutto.
55. Ti prèma spérri - prèma serri-; ce an espiri kripdri, gudddi tim bro»
tini pivui.
Chi prima semina - prima raccoglie ; e se semini grano, sazj la prima
fame.
56. San éhji avldci, su légo: spire, spire ! - ée sam bài pila: sire, sire ì -
Quando hai solco, ti dico: sémina, sémina! - quando (il terreno) va
molle: raccogli, raccogli!
92 Morosi ,
57. Sparo ée shalestira san soréhjù
Seminagione e sarchiatura quando piove.
58. Khordfi an d'iljo e ppdnda karpaputó.
Podere al sole ò sempre fruttifero.
50. Khordfi an d* i{jo ce potistikó - su Jomónni io spidi asse kaló.
Podere al sole e irriguo - ti empie la casa di ben di Dio.
60. Kassdri kassdri - kassdri 6e lindri - ma an den éhji néro - hdnni
dhjsro, deh garpó.
Cascina cascina - cascina e lino - ma se non hai acqua - ÒÀ paglia,
non grano. '
61. Khordfia me hhalipd - hhordfia tragand, khordfia kald.
Terreni con rovi - terreni forti, terreni buoni.
62. Orgdde ce marjnùscle kldnnu io Ugo - o en ékìiu avldci o pdi pilo.
Terreni argillosi e terreni sassosi rompono il giogo - o non hanno solco
^ o [|a terra] va molle.
63. Kropia poddi ce Ugo nero - kdnni àJ^jero maga, Ughih geapò.
Letame molto e poc^acqua - fa paglia molta e poco grano.
64. Fitejze sucie, a ppélù-na fdi Kjimóna ce kaloòéri; ^ce a mia ford péli -
fitezze ambélù
Pianta flcaje, se vuoi - mangiare inverno e state; e se un sorso (di vino)
vuoi - pianta vigna.
65. Céndroe ion agriddàci ée tréìji aladikó.
Innesta Toleastro e mangi (cibo) condito d*olio.
66. Trigo stafidiaméno - krasi gliéio; - dplero stafiddi - kdnni azzidi.
Vendemmia stramatura - vino dolce; vendemmia immatura -fa aceto.
67. Khórto dzze potarne - Ugo Uri ce poddi orò.
Erba di fiume - poco cacio e molto siero.
68. Drdma pu dem bari de sse khorténi.
Covone che non pesa non ti sazia. • .
60. Kredri kaló kdnni kalón arni.
Ariete buono fa buon agnello.
70. Kùna pahia - deh gdnni porkia,
Troja grassa - non fa porcellini.
71. Ti péli muskdri kaló, na mi arme zzi firn bupuUa^
Chi vuole vitello buono, non munga la vacca.
72. Prómon ami, prèmo cerato.
Primo agqello, primo corno.
73. Gdla poddi - Ugo Uri.
Latte molto - poco cacio.
74. / éghe pósi pdnda V ta zundria.
Le capre vanno sempre ne* precipizj.
•
75. Lirri Uppurri^ cénda 's ti mmoni; - lirri U vvradia - éénda 's Un dulia.
Iride la mattina - affrettati al casolare; - iride la sera - affrettati al la-
voro.
Dial. romaici di Bora, «ce. ProverbJ di BoTa. 93
76. Sperino rodino - o varéa o nero*
Vetpfto rósso - o tramontana o acqua.
77. Kamulia ti ppurri - su ^mbénni óssu 's asti.
Nebbia la mattina - ti entra dentro airorecchio.
78. iljo tu martiu - tripài io cerato tu ì>udiu,
n sole di marzo - buca il corno del bue.
79. Kdljo i mànassu na sé klàzsi - para 's io mmdrti na pài na shdijti.
Meglio la madre tua ti pianga - di quello che tu vada in marzo a zappare.
80. Kdljo i mànassu na se klàtzi - para o iljo tu martiu na se kàxzi (na
se vàzzi).
Meglio che la tua madre ti pianga - di quello che il sole di marzo ti bruci
(ti tinga).
81. Fengàri tu martiu fengariaméno - en essérete ti kànni.
Luna di marzo lunata - non sapete che cosa farà.
82. Fengdri prasinMi - vréhji sirma.
Luna verdognola - piove subito.
83. Fengàri dipló - kùcuddo o nero»
Luna doppia - gragnuola o acqua.
84. Vréhji san o piò péli; ce sa ppUi o piò, òli i éQi afudùsi.
Pioto quando Dio vuole; e quando vuole Dio, tutti i santi ajutano.
85. Kamater'&ddia 's ti ppdlassa - nero 's Un ozzia.
Nuvolette al mare - acqua alla montagna.
86. San da kamateréddia anevénnu an di ppdlassa 6e kànnonde vrondàde
an des ozzie - mi guikite an des amblióie.
Quando le nuvolette ascendono dal mare e si odono tuonate 'dalle mon-
tagne - non uscite dalle capanne.
87. San da sinnofa pdsi ja dnu •» to nero érkete ja kdtu. »
Quando le nuvole vanno per su - 1* acqua viene per giù.
88. San ghiomónni an do mmisimméri ée strdsti an dò llibbiói - mi guikite
an don amblici.
Quando si annuvola da mezzogiorno e lampeggia da libeccio - non uscite
dalla capanna.
89. San da provata pézzu ée kdnnu signàl/a - Jénonde pélaga àia ta màlja.
Quando le pecore scherzano e fanno starnuti - diventano laghi tutti i
piani.
90. San da provata trógu poddi - mi guikite an di mmoni.
Quando le pecore mangiano molto - non uscite dal casolare. *
91. Nero tu protiljùni - lucisi ja àio toh gósmo.
Acqua di giugno - fuoco per tutto il mondo.
92. San gdnni vrondàde poddé, mi sastite : Adtiti» pléo vrondàde 's to ka^
loééri ca 's to hjimóna.
Quando & tuoni molti, non ispaventatevi ; la più tuoni d* estate che
d* inverno.
93. Austri tu hjimdna, sinnofa tu kalocéri, léja to Jinekó oe pardi to gadaró
'-ólo 'nam brama»
1
94 Morosi,
Stelle d*inTerno, nuvole d' estate, parole di donne e peti di giumente - tut-
t^ona cosa.
94. San evréhji me ton iljo, prandéguande i alupùde.
Quando piove col sole, si sposano le volpi.
95. voréa survdt io éma.
La tramontana succhia il sangue.
96. San evréUgi ce hdnni varéa - éóla 's to spiai su folizzu ta stia.
Quando piove e fa tramontana - anche in casa ti fischiano Tossa.
97. San embénnu i hamuHe, o kjeró guénnù
Quando entrano le nebbie, il (bel) tempo esce.
98. Protilji&ni, starojùni - éne krevdtH pdsa kafùni.
Giugno, luglio - d letto ogni fosso.
99. Sa hjonizzi 's tìn oxzia - % liei katevénnu 's tih gambia.
Quando nevica alla montagna - i lupi scendono alla campagna.
100. lago ti vvradia - guénni 's tih gambia.
La lepre la sera - esce alla campagna.
101. Jaló -jelài olà.
La marina - sorride a tutti.
2. Roccaforte.
102. Pio kdnni haló - éhji hahó.
Chi & bene - ha male.
103. Piò péli haló - na hdmi hahó.
Chi vuol bene - faccia male.
104. Pio se péli haló se kdnni ce hléi - pio hahó se péli se kdnni ce Jeldi,
Chi ti vuol bene ti f& piangere - chi mal ti vuole ti fa ridere.
105. / glòssa stéa den éhji - ce stéa kldnnù
La lingua ossa non ha - e ossa rompe.
106. To pòdi pu poddi porpati petti ce kldnnete.
Il piede che molto cammina cade e si rompe.
3. Rochudi.^
107. Èmoe to celo me Uh ghi - mi Jenasti prdma na sas porept.
Giurò il cielo colla terra -che non vi avvenga cosa che vi possa gio
vare.
108. ÈgiM 's to dónhonda - mi pdi 's to sÀitonda.
Va da chi dà - non andare da chi cerca.
109. Pos éne to klima-^péli to pallici.
Com*ò la vite - ci vuole il palo.
1 IO. Pos éne i éga - érkete i hjiméra» .
Com*ó la capra - viene la capretta.
111. protali <- éne valènti o padddZù
Il primogenito - d un valentuomo od uno sciocco.
Dial. romaico di Bove ecc. Proverbj di Rochudi. 95
112. pàtri trÓ}i Un agréata ce io pedi mudidssù
Il padre mangia Tagresto e al figlio gli allegano i denti.
1 13. / pudda kdnni ton aguó -^ ce o ale fiora karkardi.
La gallina fa J*qovo - e il gallo chioccia.
1 14. Karharimata poddd - liga agita.
Chiocciate molte - poche uova.
115. Poddd scrùsci - liga karidia péttusù
Molte crollate - poche noci cascano.
116. To vMi kratéte an do cerato ce o dprepo an do llógo.
Il bne 8i tiene per il corno e Tnomo per la parola.
1 17. To vùdi de pplatégui jati éhji glòssa hhrondL
Il bue non parla perché ha lingua grossa.
1 18. gddaro fèrri to khórto ce éino to tréji.
L*asino porta Torba ed esso se la mangia.
119. Spófse, gddaro, simero - iti dvri su fèrro khórto.
Crepa, asino, oggi - che domani ti porto erba.
120. Péie me to gddaro, ti se tavvri me tin grida.
Scherza coirasino, che ti batte colla coda.
121. To pedi pu péli na kldspi - me tim mdnandu na pdi na pési.
Il fanciullo che tuoI piangere - colla mamma sua vada a scher-
zare.
122. Pi cumdte me pedia - me spiddu bérrete.
Chi dorme con fanciulli - con pulci si alza.
123. 'San o ftokhó to pluso afuddi - o pakaméno Jeldi.
Quando il povero il ricco ajuta - il diavolo se la ride.
124. 'S tu ftohM vféhji 's ton alóni.
A* poveri piove neiraja (nel granajo).
1!^. Pis embénni 's to potarne - o to perdnni o to stavró»
Chi entra nel fiume - o lo passa o la croce (cioè: se vi cade, più non
si alza).
126. iSa dispdise, égua 's to potamó, de 's to gridéi.
Quando hai sete, va al fiume, non al ruscello.
127. San o dprepo pindi - tr<^i dio ti hanundi.
Quando Tuomo ha fame - mangia tutto quello che guarda.
128. To kaló spomi guénni an di mmdfìra.
Il buon pane esce dalla madia (ciod: d il casalingo).
129. Kuni tu milindri - siddi tu sambatdri.
Porco del mugnajo - cane del pastore (stanno bene).
130. Ti ppurri purró - ti wradia aporó.
La mattina (alzati) presto - la sera (va a letto) presto.
131. Parasogui " pò diafdi, ti khori.
Venerdì - come fa giorno lo vedi (pronostichi, ciod, come sarà tutta
la giornata).
132. San e sprikhi i Ji - de ?tdnnise jortL
Quando d fredda la terra - non fai festa (d* inverno, ciod, si stenta).
96 Moroii,
C. Scherzi e motti.
1. Bova.
1; Fengàrimmu, fengdrimmu - hjerétamu tus À}ummu,
, hjerétamìè io Khristó ^ ce àio to Khrtstianó.
Luna mia, lima mia - salatami i Santi,
salutami Cristo - e tatti i Cristiani.
2. Ce pdltusa pu pdlassa:
an en glicio, diaoàseto - an em hricio, ceraseto,
E mare e mare:
se è dolce, inghiottilo - se ò amaro, réeilo. [Diceai lavando ad alcuno
gli occhi malati coli acqaa di mare.]
3. Prita pu s'ikha - ti kalón ikhaì
érte pu e ss' ékho - ti hahón ékho ì
Prima che ti possedevo - che bene n* avevo ?
ora che non ti possiedo - che male n*ho? [Dice chi dee lasciar cosa
che poco gli premeva.]
4. periste ce aloniete -ti o hjimónas érhete.
Mietete e trebbiate - che 1* inverno viene [cantano le cicale].
5. A ssu poni i éilia - tdoriddi ma rcMia.
Se ti dacie la pancia - bàttiti con bastoni.
6. Mi me 'nghisi - ti s' enghizio;
a me nghi - se tiganizjio*
Non mi toccare - che ti tocco;
se mi tocchi - ti friggo [dice la padella].
7. Pos iwra hdnnonda éhama.
Come vidi fare feci [dice chi è rimproverato di qnalche cosa malfatta] .
8. San evala clunéca 's io shulicimu, evróndiae.
Qoand^ebbi messo la frasca al mio baco da seta, ha tuonato [qaand*ero
già presso a cogliere il fratto delle mie fatiche, avvenne cosa che
mi mandò tutto a male].
9. KhoH scino pu pài Jiréguonda,
Vede colui che va cercando. [Dicesi a chi desidera conoscere od avere
qualcosa e non si adopera a tal fine.]
10. If» piri, mi feri.
Non levare, non aggiungere (per dir di due cose che si somiglino come
due gocce d* acqua).
11. Jirie, klóe.
Gira, torci. [Val quanto: *e dalli', alludendosi alla donna che fila eoi
fuso].
12. 'S to éioértimu hanno H pélo.
Nel mio alveare fitccio quello che voglio (cioè: in casa mia).
Dia], romaici di Bova, ecc. Scherzi e motti. 97
13. Esmistisa stérifa ce galdria.
Andarono confasi animali sterili e animali fecondi di latte. [ Dicesi di
nna miscellanea di cose buone e cattive.]
14. il mme gapdi, deh ghdnni tipoU.
Se mi ami, non perdi nulla (dicesi a chi nella nostra amicisia trovi il
suo tornaconto).
15. Tu 'mbihe to ziddo 's t'asiL
Gli entrd il pulce neir orecchio (gli sopravvenne difficoltà impreve-
duta).
16. Ego deh gumbidzzo na su to meletio.
Io non mi faccio nodo alla gola a leggertela (non ho difficoltà a spiat-
tellarti le cose come le sento).
17. Mehtài pdnda 's énà kharH.
Legge sempre in una sola carta (dicchi pensa e dice sempre le stesse
cose^ non ascolta pareri diversi da* suoi).
18. JEfhji maddi ja zzdnù
Ha lana da seardaBBarè (di chi d in mezzo a guai da cui egli solo dee
procurar di cavarti).
10. Épiae to partenùdù
Ha pigliato la mereorella (di un itterico, perchd la mercorella ha i fioq
gialli).
> 20. Ehji tih gardia ti mméddipa, ti tnmélissa.
Ha il cuore della vespa, dell* ape (di chi d duro o d dolce di cuore).
21. Ton efdgai me tu lùcchit*.
L* hanno mangiata cogli occhi (di una cosa bella ed appetitosa).
22. Ton aportammiai.
Gli hanno &tto il malocchio (la jettatura^ direbbesi a Napoli ).
23. Kannietéto me ton ajonaléa.
Fatelo coir ulivo benedetto (cioè toglietegli di dosso 1* influsso del mal-
occhio, col bruciare dell* ulivo benedetto).
24. Ta pidnni t'azzdria.
Li piglia i pesci (d*un furbacchione che corbella i sempliciotti).
25. Den éne suléri ja ta pódimu. - Etróvezze to suléri ja to pódindu.
Non d scarpa pel mio piede (non d ciò che mi conviene). - Ha trovato
la scarpa pel suo piede.
26. Kùnni olà to liho te ffbné.
Ascolta di tutti i lupi gli urli (di chi crede e dà importanza a tutto
che gli vien riferito).
27. sdzsete an din osiandu.
Si adombra della sua ombra.
28. Gudle fittùndo guarnéddi, ti e ssu prépi.
C&vati codesto farsetto^ che non ti va bene (a chi finge di essere quel
che non d).
29. Ekdvloe dzze zihhrdda,
S*ò fatto d'un pezzo dal freddo.
Archivio glottol. ital., IV. 7
98 Morosi,
30. Su drónnu ta dóndia.
Ti Budano i denti (a chi con gran latiea ha fatto piecola cosa).
31. Mu apetdi % kardia.
Mi vola il caore (per i* allegrezza).
32. Ton edeléssai me ton cQólupo, me tim mippa,
L* hanno raccolto coli' avena BoWatica, eolla menta (di nno che a stento
B*d potuto tirare a qualche convegno, alludeadosi alle api che hanno
sciamato e si richiamano colFagitare de* fasci di avena selvatica o
di menta limoncina).
33. EHji te ppine io faradó.
Ha le fami delle giumente.
34. Azzaforia tu l{ku!
Confessione del lupo (per dire: 'non eredo al pentimento che professi').
2. Rochudi.
35. To spalassi appiè: o liko sànni fai tim mànandu.
Lo epino ha fiorito: il lupo pud mangiare sua madre (dicesi quando
avvenga cosa di grandemente straordinario; quasi a dire: se ò av-
venuto questo, non e* è più da meravigliarsi di nulla).
36. E ssinnofia. È nuvolo (rannuvolato, di mal umore).
D. Similitudini.
Bova.
1. Mahrio sa mmia sarakosti.
Lungo come una quaresima.
2. Stého sam bóte ti me iematiai.
Sto come se m'avessero scaldato al fuoco (sudo molto).
3 Ton ehdmai san do Hndri.
L'hanno fatto come il lino (T hanno macerato colle busse).
4. Tóssi tóssi sa mmelissia.
Tanti tanti come api.
5. frte sa mmia strammdda.
Venne come un lampo.
6. Vari san dia. ^
Pesa come sale.
7. Zulemméno sa mmia hóriz^a.
Schifoso come ima cimice.
8. Appidénni san àlogo, san astdlakho.
Salta come un cavallo, come un grillo.
9. Mu stéhji san o arikambo 's t'asti.
Mi sta come la zecca nell'orecchio (dicesi di un importuno).
10. Mu survd» to éma sa mmian avdédda.
Dial. romaici di Bova ecc. Similitudini. 99
Mi succhia il sangue come una mignatta.
11. Pinni sa vriipako.
Beve come un ranocchio.
12. Pidnni sa zinna.
Piglia fuoco come una face (di chi va subito in collera).
13. Zénni sa shórdo.
Puzza come aglio.
14. Ejendsti sa ito salisHri.
S*ó fatto come il naspo (di uno che d, divenuto magro stecchito),
lo. Pidnni ti paravosia san da provata.
Piglia il pasto come le pecore (di un ingordo).
16. Pài san do animi ti mmagàra.
Va come Tarcolajo della strega (di un irrequieto).
17. Stéhji sa mmia vrondi, sa mmia fordda, sa 'na orfici.
Sta come un tuono, come una giumenta, come una quaglia (di uno ben
pasciuto).
18. Stékji san do azzàri 's to nero.
Sta come il pesce nelPacqua (cioè, a tutto suo agio).
APPENDICE.
DIALETTO ROMAICO DI CARDETO CALABRO.
I.
I punti, nei quali il cardetano discorda insieme dal re. e dal bo-
vese, in tutto o in parte, son questi che ora si espongono:
A. FONOLOOIA.
Vocali toniche.— 10. 12. Tutta propria di Cardeto è la costanza
della vicenda ued ed ù^ta^ ohe a Bova e nella vallata della Amen-
dolea vedemmo solo sporadica: 10. ùlu* 8Xo;, ùssu ed ùfsu (cfr.
bov. 6: óssu ed ózsu)'y putte ^ vtktt, rùdi^ kuMmYnaru; inoltre: pùdi
piede izóZi" e tripudi treppiede, prupissi *'Kp6ntp[\j](fij prùvatu Tcp^parov,
ffùnatu Y^vQCTov, ahuni cote àx^vi-, hsuni neve x^^^^"» vilùni psX^vt-,
sinduni acvS^vi-, lismunisa lh\(j[u6vriaoL^ "Unnu''='-6yn'ù (-^o)), p. e. in si*
kùnnu or7]x^v(o, tiljùnnu TeX£t^vb>, drùnnu sudo l$p-, ecc.; stùma <Tx6[t.ot,^
* Si avverta, che alla voce cardetana faccio succedere la romaica comuno
immediatamente,' ciod senza contrassegnarla colla sigla re.
U)
100 . Moroei,
cùminu xat^{X€vo<9 kadhùminu xaO^juvo^, spazùmmista otpaCc^jAeOo^ afSfi^
pulitìi scalzo i^uTu^uTog; ihùfsami £x^^{jLev ecc., dùndi [^]B(^vTt-, spt«n-
iugu Cuy^;, Aundiì xóvt^;, ur^u dpOó^, /lu/V^ xou^c^c, aderfìi iSeX^^c, sfraru
arpap^c, Sikaminù ^uxxuliqvo;, putamù ^roTaa^g, AaZii x%X^(;, ctip2u SiicX(^c,
^/irzi xacpe^g, pidd^iru icEvOep^;, wrii 6p<^;, ^am&ii y^K-Pp^^?» ®<^<^- — Si
oscilla tra d ed ti quando trattisi di 6 innanzi a p scempio e compii'
cato: kóraku xc^paxac, kónka cimice (bov. hórikza) xc^pec, gUórtu
3(^(^pT05, spóru e spùru cnr^po;, sAórdu e skùrdu ax^pSov. — Sempre in-
tatto Vó in Zó^ X^Y^c» ghrónu X9^^^^ì tóssu e jx^ssu t^oc e Tc^aoc, e
in kató IxaT^v, ma/jo' (ju>qcX^<, e niró ^ep^v (ajomitrd acquasanta. Ma-
vruniró ^Acqua-nera*, nome di un torrentello, nelle cui vicinanze la
tradizione narra che sia avvenuta un tempo una grande e sanguinosa
battaglia). 12* ùde qua (oioe) e apùde di qua, trugu xpcÓYco, sikuti
auxcÓTi-, aluni &Xo>vt-, sùnnu aojvb), ghiinnu e ghuma (pur bov. kUtinnu
e kli4ma)f gapùmmista &^(nztaijLE^0L^ ecc.; na sikùsu vx dYixuicrco, ecc.;
gapìi èi'fOLTzvS ^ patù waxGS, ecc.; igu Iy^» ^<2^«* XaY»;. Intatto l'w in
(Jra wpa, ^?i(5ra x*^P*» glòssa ^ e in rdpa virgulto (^w^), dódika SwSexoc,
Vocali atone. — All'è re. o bov. ' risponde costantemente t, alFo
risponde u. — 29-81. i^e: ici èxi7, igu 12, immé l[ii, tss^ ève, ti»
è(r^;, t7Zto èXec^g, ecc.; sikdli asx(£X(-, mtd/i^m {jieOaupt-, éifaU (xe-
foXiQ ) , flivàri (pXe^àpv)^ ( februarius mensìs ) , stinu (tt6v<^<, piléói tc&Xexc-,
villini 10, mtWa parte, luogo, f^Epix, dìiirizu Osp^Cc*)* ptddTitru 10;
(jMwa giravo ^YupEux, éliga ^Xsyx, éklifsa IxXsij/x, évrifsi ippE^s, ant-
mu ^vEjAo;, méM'mma (cfr. métremma bov. less.), prupiSsi 10; jp^ndt
1CEVTS, ^/pu^t t{icots, pézumi 7ca^Co|JLEv, ikùfsami Ix^^x[jlev; ptcft' TcxtSi-,
anivénnu e kativénnu àvai^- xxraipxfvb), épifsa ^tcxi^x, t Jinékisi f) y^
vq^xe;, akrdzumi àxpoàCofxxe, cumumi xoi[i£ù\mli. Parimenti: mt H^[Tà], '
^t«, <i (bov. fós, ^e) Tofl:;[Tdi;], ci xx^, voci proclitiche; p. e. mi ulu tus
adhr^pu con tutti gli uomini, *s ti dhigHatérisL a\\e figlie \ xtH^ Oi>-
YOCTspxi;, fitévvu tis amiddah'si pianto i mandorli ^uteucid to^T; à[jiuYSa-
Xia«, éinu ci tutu quello e questo. Quindi anche t in ifttindo^
likdti ecc., in kridri^ pidìiami\ sikaminu^ éfsi^ in óiril e niró ^ e bov.
di eftùndo ecc. (cfr. bov. 14), di kredri e pedhamt (cfr. bov. 18), di
sekamenó (cfr. bov. 24), e «e bov. e re. in vermi'ci (cfr. bov. 24),
ceri e nerd (cfr. bov. 34.). Intatto il suono romaico innanzi a p
in sillaba postonica: patera (bov. 23 e re. [Tr^Tupov]), dpleru (bov. 34),
dfseru vuoto suxxipo^. 40-1. m=»o : umulujt'a voto ójxoXoyix, w/Si'a (bov.
less. ozzia)^ urta 10; kuszi\ kanunù^ muskdri^ kdvuru (bov. kucct^
kanundo ecc.), drukkdli Sopxx^i-, fiujizu <^Xoyi?w, skutdzi «rxoxà^si,
Dial. romaico di Cardeto. Vocali toniche. 101
putamu 10, ojunniró ^^lo^i^-yt^^^ lismunu X7)ff^ovu>^ kundù 10, saragu-
sii quaresima [xeo'jo'apocxoffT^ furdda ©opàxa, furti (popT^-; tiputi s. e,
ligu [ÓJX^Yo;, sàvatu (rdcB^aTov, ecc. Intatto solaraente Fo finale pre-
ceduto da vocale o dittongo tonico: stéo [^jcrTeov, pléo lùdo^^ palèo
TcoXaTo;, priéio (cfr. bov. 230-1), ilUo 29-31, ecc.; 42. mo od: umu ca
M{A^^; alupùda^ skulici^ pulùy drrustu egUgura^ pur boy.; rutù iponS,
rupdéi piccolo virgulto (cfr. rópa 12), funi ©covtq, Ksimunia xetfwov-,
dhimunia 67)tA(ov(a, aZunt'i^u àXcov^Cci)» fsumi ^(op.^-, AuZt' xcoXf-, gHurdfi
}^b)p-, dhurétwu *6(opeub) a OupS), doppio es. ; na 2{'«t« va Xujw, ecc. ; oltre
pdnuj apissuj tissu, tifsUf pur bov. Ma : pào [ójTràyw, kléo xXa^oi. —
20*22. Altro de' tratti distintivi del vocalismo cardetano pud conside-
rarsi Vw^D atono fuori della influenza di consonante labiale che pre- u
ceda o sussegua alFu medesimo e di e che gli preceda o di X che gli
sussegua: zugu (bov. zigó) e glucio (cfr. bov. 230-1: glicio)^. Cosi
dicasi della frequenza di ju « u, che appare non solo in curaci (bov.
curiaci)^ ma eziandio ìnjuriio cerco *yioup- = yup^o) (bov. jf ir-) ; jf u»i-
»nti •^iL'^ti (bov. Jmnó), allato a jf tmmtinnu y^H'-^^vod; e dhsuru o^x^P^^
(bov. rfRjgro). Nell'analogia di curaci^ anche curdzi xepdtai- (bov. ce-
rasi) e eurom/tfi xepaji.- (bov. eer-), e gurri ciocca di capelli, se que-
sta voce è, come pare, da ^cyrrus'. A cotesto ju suol precedere, come
si vede, consonante palatina, e susseguirgli r.
Consonanti.— L'aspirata gutturale e l'aspirata dentale si prò-
nunziano distintamente sonore: gH e dh (quasi dz). ^2. gìidvmu ^
xàvb), gUórtUy gHùnnu^ gHumay ghrótiUj ghrundrtij mughlddi muffa
*jxouxX(tói-; éghu Ix^, mdtrigUu ecc.; — dUalassa^ kridUdriy vadUia^
pedhénu^ tnddìiaru (xdlpaOpov, édhela -ìffitkcc ecc. 6é e 8S« Lo scambio
di X 6 d^ ^ con (p, ha talvolta luogo, ma soltanto, come sembra^,
innanzi a un i atono seguito in origine da altra vocale pur atona,
quando trattisi per conseguenza di X'^J ^ ^^ ^"^Jy <iuindì: astdfi
splca à^Tàxiov; e ahdffl sj^ìno àxàOO- àxàvOtov, sfidzu apparecchio *eu-
6udl2[ot>. Ma rimane il suono gutturale in ghurévvu itù^eùta (cfr. bov. 61)
e il dentale in dìiarru e dhuréwu (bov. 87: kUarró e ^?iord). Nes-
sun es. di p = x. Il riflesso del bov. mupidzio jiouxMidLCw (66) è qui
mugìildzu (it.ouxX[t]<xC(*). ^ Del resto, hs^x innanzi a vocal pa-
' Id ddftulo dito oaxTuXoc e spUndulu 10, Tu = u sarà dovuto, come in aita-
lughu (bov. 110: astdlaJcho)^ alla influenza delFu finale: vicenda calabro-
-sicula.
' Non posso dare questa regola come assoluta, pe rchd insieme con ghrun-
dru per ')^ov9pò^ mi venne udito anche fundru, Cfr. pure, a pag. 114 n.', il
nome di paese Mosórrofa.
a
102 MoroBi,
latina: hs&a^ hstruy Kséri^ hsùnij ìisimóna, Usiri'di yotpiSt-, pahSio
Y tra^u?, tiìisìo rei^^ov; éfisi ex^i?, tréhsi Tpeyei;. 76. Il y è spirante
$ negli stessi casi in cui ò tale a Bova. 94* Cosi dicasi del S, ch'ò
anzi scambiato colla spirante labiale in véllidjia vespa (SeXXi;). — Ma
Z B S in due es. sporadici : làfri Sdcpvi- e drukkdli SopxàSt- ( se in que-
^ st* ultimo non sia da vedersi uno scambio di suffisso). 119-122* Sem-
pre spirante e sempre sonoro il p inìz. e tra vocali; quindi anche
aìmdìixzu *po[7]]orC(o (bov.* afudhdo). Ma di una vicenda che nel bo-
vese non appare, cioè di ira pj, ci sarà esempio krlzu nascondo, cioò
*xpupj(oorc. xpu^Yo^» xpupu) (xpuu,T(o)*. 131« Oltre iplu^ anche Idfri
(j^v s. e. 133. Costante mm s jjlv, di che Bova ci offre nn solo esempio.
Così: angrimmizu (bov. id.), jfuntmiì y"R<^^» ^^Vl^^i crxaji.v(- (scam-
num), kammù fumo *xxp.v- » xa7cv(^c e kammia fuliggine, kammxiu
|x fumigo; afsimmé *i5uH'V- = i^u^vG. 184-86. Intatto ji. anche in ma-
skdli e mirmiéi (bov.: paskdli\ fermika^ vermici). 189-142. Inal-
terato il (T dinanzi a conson. : skutdiiy stùma^ spùndulu^ maskdli s. e. ;
askà Ì(jk6<ì, astdfi 64, 's tih ghi alla terra '<; tV y^v, ecc. Ma è ge-
neralmente riflesso per s \[ fs sordo cui sussegua un t (piti di rado
il (T cui sussegua un d): s isd a voi *; éffS;, siidri (tit- (e Scitarùj
cognome), st'deru <Tt8-, singhem' cuyY^^^^» simbénnu (cfr. bov. stm-
òdnTsu less.), simma (cfr. bov. sirma less.), sikaminil 10, itAtinnu
(n]xóv(o, simeru (rr^^i.-, tYu eguale ?<r(o; e isàzu uguaglio, t lési le olive
•)| IXaTai;, m i'^mÌì il sole 6 fiXic? (dov* è -; + i epitetìco ; cfr. pag. 36 n.);-
fsillu ^ùXXo?, /)&ma ^e[6(T]{jLa, fsiKsl 'fuj^ii, fsigUrdda ^j^^xp-, na skdfsi
va (xx«£<J/T); -7), na t?id/3i vi ^Xe^Tj? -tj, na ktifsi va x(^ijn[j(; -r), d»a/Si epa-
^sg -e, epistefsi I7c^<xteu(js? -e, ecc.— Cosi: /Si'/w ;uXov, fsénu Sevo?,
afsi'di ó5u8i-, afsipùlitu IO, e afsimmu 133, metdfsi {xerdlSt-i «a vréfsi
va pp£?7i, na ^rd/5i va rpe'^Ti; -rj ; ésfafsi Ifftpa^e? -e, dj9i/SÌ iTcat^e; -e, eco.*;-
arsinikfi e pdrj^t, cfr. bov. 141. E analogamente ò riflesso per ;^ il a*
sonoro dinanzi ad i: mizak4 (Aeatax^c, mizimméri (i.6(r7){x-, /:raie' xpocc^-,
izi èffeT?, curazia e curdzi xep-, |)ta;Ji 7rià<xe, na mi Atóii non rompere
«va (jl)) xXdc(7Y)q, (f^ sstinnu gapizi non posso amare 8èv (tuvco àYairr^Tcìv,
éìiSi na pézi hai da cadere l^zi^ va 7rè(T7j(;, na mi ktizi non udire vx
ijL^ àxou<yyi(;, riiltt (§oó(Tioi;), j)^2iiu irXoufftoc, ecc. Ma all'incontro, ove
si tratti di vocal diversa: san [w]<;àv,.5dma, suvli (roupXi-; fsalidi 4«cX-,
fsvmi «j'wjx-, e'vafsa Ì^ol^ol, na skdfsu va (rxi^co -ouv; fsant'zu (cfr. bov.
113: 4rat?-), na f sunni sumi va I5uuvr,<r(«){jiev, afaaderfti IJàSeXcpo;, ésfafsa
* Cfr. Asc. i^ono/., 140-1.
' Circa le reliquie delle antiche forme di infinito nella coDjug. dei dial.
romaici deiritalia merid., cfr. Otr. 176.
Dial. romaico di Cardeto. Cousonanii. 103
Iffo^a, ecc., che sono esempj di <r sordo; epasàna^ gìirisdfiy eró; épiasa
pigliai, éklasa ruppi, éppisa caddi, éhusa udii, ecc.— E anche risulta
da questa esposizione, come a Cardeto non dilegui mai il <x nei casi in
cui dilegua a Bova. 146. Come il a sonoro, così passa in z anche lo C
![ cui sussegua i(e)i z(o^ iévvu e iivvàri 160, e viii\ miritrta (jLuCi^Opa,
purgami Tcpo^ujAi-; hrdzi xpdtCei? -6i, gìirtìi XP^?^**? -et,'pfit7w (lufi^ìiXo;),
Kséii y/^^^^i ^^^* Air incontro: rizdéi radichetta ^iC-, krdiu xp^<i)
-ouv, ghHzu XFT)^^ "^^^t ^^^ 148-152* n^X in andfri, che 8*ode X
. insieme con Idfri 94, e in allidhind rosso (p. e. tu allidhinu tu agguu
il rosso delFuoTo), cioè ^elipéló ^l^^^ (cfr. himpó carestioso àxpi^^;
Otr. Ili' *); jpr, ^r (bov. pl^ ^)tv, ^v: prigaljdku affogo icvtyou- -jcX, ^X (tcv,
pi9cCu>, primuni polmone irveu(A^vi-, e 2d/H andfri s. e. (ma ipZu 131). — cpv)
148-SO. Appalatinato il X scempio in ma^jc^ \Mt£k6^ (se pur non si tratti
dello y di *mjaló trasposto dopo il X) e il doppio in aljuné aljimia .^^
un altro un'altra *àXXovtvac àXkyi^U. Del resto, ò intatto il doppio
X, e antico e seriore: alldvvu àXXdLovfo, t72/o, pulH^ glMmillù\ vdllu
e gudllu^ fCllu^ véllidha\ ^lli ed -^lli -élla^ ed -u2&* -u22a» suffissi,
p. e. in tniééélli piccino, jinikélla donnetta, sakhulli sacchetto, per^
dikulla pernicetta, ecc. (cfr. boy. adddssu^ oddio^ puddif hhamiddó^ p
vdddo e gudddo^ fiddo^ méddipa^ "^44^ ecc.). 158. Un X (geminato
per una vicenda in questo dialetto e a Bova divulgatissima e non
affatto ignota neppure al comune romaico )Bp abbiamo in allidhw^y
e in prigaljdzu s. e. — É riflesso per ^ il p innansia a, in afsiniki
àpcrsvix^c, più comune di arsiniki 139 (cfr. yxfsinihó^ ed insieme af-
óinó afginó ipx'vGS Otr. 167 e 111^); e per questa via è assimilato
alla sibilo-palatale seguente, in piiiikia persico, missMa mortella
*(jLtp(rev^ e prdpuSi 10 (come allato di ifsé II § 110 e di ufiia [bov.
less. ozzia] si ha pure issé e «///a); assimilato, per la via appunto
di /*, alla s#iguente labiale in stemma (bov. less. sirma).
Accidenti generali.— 160. Costante T assimilazione di ^ a o
(au e p) susseguente, della quale nelle altre colonie (a Roch.) tro-
vammo solo qualche lieve indizio. Cosi : paraSuvm' « ^^ugvi (bov. -ogui) Assìmìi.
icQcpaoxeuiq; zéwu e ziwdri (bov. zéguo^ zogudri) CeuY» -Api-, fémm
(bov. féguo) (peÓYw, dulévvu (bov. deléguo) BiocX/yw, arméwu (bov.
-^guo) à^\U^<a (àtxsXfh)), étwa evvdte {égua egudte bov. 283 s. guénno).
Unica eccezione agguù {aguó bòv.) ocòy^v. 177* Normale può qui Metatesi
dirsi la metatesi nel tipo pel quale il bovese non ci dava che il solo
-' Veramente, sono ^empj di diéiimilazione, che ricordano molte an&logie
romanze ; p. e. i mil. naoéll Wasca di pietra' iabello- (avello), iinivélla cer-
Tello, tinwéUa trivella; cfr. Arch. I 513 532, Diez V 204 223.
104 • MoroBi»
éivérti; così: arguvélanu ghianda silvestre "^àypco^avov, argdUi (ùgrd"
sti boT.lOO)» nttritrtol46;- e nel tipo che avoYa pel bov. l'es* tawrói
cosi: kurvdUi (bov. hrev- e hruv^) xpa^dTi-, ngvtrmidi xpo|jL(jL63i-, pur^
iimi 146.
B. Morfologia.
Nome.— 188* Conservato non solo il -< originario, come vedeanmo
accadere alle colonie della Amendolea, ma eziandio il ^v, quando se-
gua parola che incominci per vocale, o in pausa, come sarebbe alla
chiusa di un verso o di una frase (cfr. n. 271). Laonde, non solo: t
jinékisi dgHari le donne brutte y) yuvatxe; *Ìx^P^'^* ^ urisi dspro il
siero bianco 6 òfóq &9irpo<, u iljuii irte S ^Xto« r^XOfi, u hjinisi éguike
il tempo ò uscito ^si ò rasserenato' 6 xnipó^ sxpTjxe, a mtnaii drti un
mese or fa 2va; (i^vo^ &pTi, a Usintóniu apissu un'invernata addietro,
duléfjvu ti lési colgo le ulive StaXfiYfo 7ftT< £Xoi7at<, ejendsti ua'juii ò
nato un figlio; na ddftulu liftusi un dito sottile, igu immu muncH
gHiSi io son solo; immuita imisi siam noi ^(AeT;, is^t iztsi siete voi
l(T^< (e, per falsa analogia, altresì: immu ig4Si son io, iii isiisi sei
tu), éni u j^sasi ò il figlio vostro 6 \à6<ì<txq^ én énasi ò uno ^vocc, den
en ic{ kanéii non c'è là alcuno xavs[va]c,' éni aflAnusi è costui au-*
ToQvoc, ecc.;- ma eziandio: na sikun dspru un fico bianco, 'na pidin
dgharu un fanciullo brutto; den e hrazi ma neróni non ò vino ma
acqua, na pulii munagH'àni un uccello solo, tu p4di e stenini il piede
ò stretto, % p4lla kdnni*tun aguiini la gallina fa l'uovo, fSidii tu
kugini acconcia il giogo; den e niró ma hrazini non ò acqua ma
vino, na mi pdi na pézi tu pidlni non vada a cadere il fanciullo^ na
mur^ici dsse fsumtni un pezzettino di pane, tu dlatru den éhii nini
l'aratro non ha vomere [6]v([o]v, velaninimeru ghianda domestica p«-
Xav(vii(jL.— Qui adunque non solo è conservato il -v del jiuflSsso di-
minut. neutro -tov, che a Beva e nella Amendolea ò caduto, ma eziandio
il V del positivo neutro (-ov) e dell'accusativo masch. , caduto nel
quotidiano linguaggio in tutti gli altri dialetti greci. E qui pertanto
si sente ancora la difierenza formale dell' accus. dal nominativo, la
quale in tutto il resto del dominio romaico l' uomo del volgo piti non
sente*. 280-1* Notevole che la forma originaria riappaja in glikd^
.' Questa conservazione del -v finale è cosi straordinaria, che pud dar luogo
al, dubbio che sia illusoria, che qui, ciod, in verità si tratti del -ve epitetico
famigliare a parecchi dial. romaici (cfr. Muli. 92, Otr. 117, e anche il dial.
di Roccaforte, bov. 174 n.). Ma contro la supposizione che si tratti di ua^epi-
tesj, sta il fatto che il -ni cardetano non ricorre se non quando la forma esca
Dial. romaico di Cardeto. Flessione. 105
prikd , neutri piar, di gluéio e prióio *yXuxuo? *irpix6o? ( vAuxu? , itt-
xp<^(). 256; Peculiare a Cardeto: aljuné aljimia 150. La stessa apo-
cope di aljuné è anche nel riflesso di xaveva; : kané>
Verbo. .261-5. Ricompare il tema verbale in alldwu cangio e ^t-
nàwu màovo, cioè *allàgvto *tindguo^ n. 160, in luogo degli antichi
e rc« (ìXX- TivduTffto (àXXay- Ttvay-), come in fildvvu proteggo e tiliwu
avvolgo a */¥/4^ua *til{guo^ a' quali rispondono infatti i re. ^uXo^yio e
xMffù (cpuXàacrco, tuX^oi). - Per xXuOio, i Gardetanì dicono klénnu *xXòt>*
v«i>; per x^^ctco: kiinnu^ cioò 'x^vcoax^io (cfr. dinnOj dì SternaUa, fra
le colonie otrant.sSs^fvo) [d{fìto degli altri dial. otrant.]»8t(xv(o [-vu(&t];
Otr« 171). — Per xpÓTcrcD, già vedemmo kriiu 119-122. Del resto,
pressoché intatti: vdftu e kléftu ^à^cTCD, xX^tttco. — Notevole inoltre:
kdftUf brucio, *xauT<iiinxa^, il quale spiega Timpf. bov. ékasta^*ékafta
(cfr. bov. 283 V^o'). 270. Perduto affatto è l'aumento temporale:
dkunna^ dkusa (bov. tk^)\ ed ésunnay ésusa (bov. /«-), impf. ed aor.
di siinnu oti^vcd. 271. Come a Roch., Rf. e Cndf., è qui pure pre-
servato il •< della 2. sing. pres., impf. ed aor. indie, att., col soccorso
di una vocale epitetica (-t): pfnnisi «(vece, élfjisi iXe^ec, nistifsisi èv6-
ffTeuffsc, ecCy cfr. 182; e ancora il -v finale della desinenza re. della
3. plur. pres^ impf. ed aor. att: éghuni Ì^o^ì ighani eT^ocv, iltsani
l^uvav; e della 1. e 2. sing. impf. del verbo sostantivo: /mmtini, isiuni:
sempre ne' casi indicati dal n. 182.- Nessuna traccia delle desinenze
delle 3. plur. pres. (-usi) ed impf. e aor. {-osi) che trovammo a Bova
e nella vallata dell' Amendolea. 275« Quanto ai verbi in -/co, con-
traggono sempre in tutte le persone del pres., come a Bova e nel-
r Amendolea; ma i verbi in -duo, che là omettono la contrazione in
tutte tre le pers. del sing., a Cardeto nella 1. si contraggono : gapu
(bov. gapdo) àycLiiitù, Qui si termina in -unni (cfr. --one Otr. 146-7)
la 1. sing. impf. att. di entrambe le classi; quindi gdpunni •^^itc[(x.]o^,
ipdtunni liTdlT[e]ov; e anche éklunnu cfr. bov. 278. 282. La 1. sing.
e la 1. plur. del pres. del verbo sostantivo si confondono con quelle
dell' impf. : immuni sono ed ero, immustu siamo ed eravamo. 283. No-
tevoli, tra gli irregolari, i composti di paivcn: mbénnu entro, ^u^nnu
esco f anivénnu salgo, kativénnu scendo, i cui aor. sono émbika *» ì\L'-
P^xa, éguika « ì^y^^^» anévika e fiatévika àve^- xocTe^Yixa, in luogo dei
bov. embilkjina ecc.; e in<dtre: kadhénnumi siedo x(£6o(Mce (bov. ka-
pizku)^ aor. hadlniniga.
anche in origine per -y.4^er iOtpfiexyOvi ^ a cagion d'esempio, non si direbbe
mai idhermdddhini^ ma sempre idhermdddhi.
106 Morosi,
Avverbio. 2S4-5. Peculiari a Cardeto: icimésa in terra "ixecp-eW
(cfr. Otr. 151*^) e purrd di mattino •iroupvà.
C. Lessico.
Non ricorrono, o non ricorrono talqaali, nel bovese e nel cornane
romaico, le voci che ora seguono:
azzdta zitella, che altro non pare se non *àCu[Y]àTa » £(uyo< innupta»
col suffisso -<£to( -diTx comunissimo in romaico (cfr. bov. 241).
artika pernice «= re. ópruy- ^pruxiov, bov. artici.
vrundia tuono; *PpovT(a, re. e bov. ppovt:^.
gìiitdri verticci cresta, quasi yjtixi^io^y da x*^*"! chioma? Ricorre x*'-
T^ptov, col preciso significato che mostra a Cardeto, in una
pergamena greco-ital. del 1099, dettata nel circondario di
Palmi, in provincia di Reggio; v. Trincherà op. cit.
jénda fuoco; *[cu]y\yii^'ccL 4o splendente'? Cfr. il re. (pcoTid, e il cipr.
XajAirp^v.
kuizu piccolo.- Si scosta per lo i, oltre che per racconto, dal re.
xoutC^c, bov. kuzzój mozzo. Un aggett. sostantivato ò Aizza
fanciulla, come il bov. e anche cardet. miccélla,
laguri zumi ho i sintomi del vomito; ò da raccostarsi al re. Xu^xt^LC^»
(XuYYatvoi)) singhiozzo? Cfr., per il p del suffisso, il re. Tcvcyou-
piàCci), cardet. prigaljdzu affogo, da icvfy^.
luttzu libero: •IxXuTfì^w? Cfr. yXut^vw «= exXur-,
mita volta, fiata, p. e. m{an allim mila un'altra volta.
mugMddi muffa; re. e bov. p.ouxXa.
nddma insieme: *lv T(p S(i.,a. Cfr. antdma Otr. 153^.
rópa virgulto (^|). Il bov. ha la forma diminut. nel composto
hhamorópi.
f tarmi 6(p0aX{A(^c. Il bov. «ha il diminut. attdrmi^.
' Non sarà affatto inutile il conoscere le voci cardetane che occorrono nel
comune romaico^ ma non nel bovese: ajéra cielo àyipaz = dépai'y aderfii -£
fratello, sorella; anaguUa nausea e anaguléì}ì>umi mi nauseo àvayouXca -a^o-
fiat; àrtima^ aliata ad artisia, condimento S/!>Tu[(r|/xa; askinida ortica àr^cxv^^a
(xvtJn?); dhani morte Oavì^; drukkdli caprinolo SopxiSi^' hrapi verro xa^r^/-;
krupia concime xo7r^«a (bov. kópro); ngrastuméni gravida iyyaor^wpw
(bov. 6: diimo); pagusia Trayuo-^a (bov. pdgo)\ pdtu impalcato, soffitto Tròéro?;
prigaljdzu 8. e. less.; sulavrtl fischio (cfr. re. o"tXeau^r?w, bov. aolizzu lesa.);
trcLJi caprio rpayl-' travvi toro raurt- da ravpoq.
Dial. rom. di Cardeto. Concordanze col bovese. 107
IL
Del resto, in tutti gli altri punti» in cui il cardetano discordi dal
re, concorda egli col bovese o coi dialetti a questo contermini; come
ci mostrerà la rapida rassegna che ora segue.
Fonologia.— In. arguvélanu 177. 4. tsiJ, agriistallu; e inol- ^^ ^
tre J4b6, non solo in éttri^ pur cndf., ma eziandio in Usunnu io verso
)^6vbi. 5. dndera\ e dfseru e&cacpo^ (bov. 115 ézzero). 6. -t{ e
(«bov. -d)a-^: i2ssti,*ecc. 9. nédUu ecc. 11* éfsimu ecc. — r„ <^
U. t (e bov. e) «a: iftiindu, likdtU jindri^ vildni^ liftu; e ma^rt^ftu ^
(bov. less. Ili m^i^ra^^o). 16-17. fsufrdtay munitdri\ e vrum^nu
bollito Ppa[9][iivo< (bov. vram-). 21-2. jti/ìf; e suZavrti. 82. pa- u
rasuwi^ junuUuy uffr^; e fungdri luna 96 YY" (l>ov. fenff^)^ mugdli^ e
femin. di tnd^a, {my^i] (bov. nt€^-), duZevvu (bov. 18: deléguó). —
88^. fugddi e iu2ia; ma, per l'influenza dellV: t;u(2ftt7/a » bov. tn<- y)
ju2/a. 54-5. c^ salvo, come a Bova, in kjinH xaip^c. 57. fagdda; x
e ^Mrr/ 1,20-2; cfr. gaéra a pag. 113. 60-67. sépi^ parasuwi^ ecc. ; (xx
e dsimu brutto Ì9x^(ao<. 68-4. skddif ecc.; ed érkumi^ ecc. — (^y^ py
71-85. Aspirato il y di àyo^^ta e ihyciti^: ghurdiu^ dhigHatéra. — ^
75. pdOy fio. 80. medJìdvri e medUému eco. 98. mlddìia , ptcf- x
dftinJ, ecc. 94 n. r«5 in o^ZZtdKa. 198. an'^ oaw'T-, 199. a<f^ vO, 8
lugìhu. 119, IV, V. t/jfe (^x-^e;), ufpru^ ddfiulUf mdftra ecc., cfr. « ^^ (yt)
roch., e qui il n. 113. 111. apurtàmtnizu'^ e arti orecchio *àf'vl ^
attÒT^-, cui ancora si aggiunge, in diversa formola: armini ancudine
"^àtpfA-à^^tjL- ei &x(A(^vi-. 118 (cfr. 110). Qui il cardetano combinasi col-
Totrantino. Abbiamo: fsilu^ fsénu (otr. fsilu^ fsénu)^ e altri es. al Accento
n. 142 del § I. 157. Intatto l'accento in ghurio^ x^P^^^' pedia itae-
S^a, ecc. 169. Assimilaz. di vocali e di conson. come nel bov. e in Aaiimiias.
particolare rr^pv: férru «pepvw; (tèrra irx/pva, ecc. — 169 n. mtr-
zirta (jt.u![i^Opa, e gUrundrù xovSp^c — 162. Dileguo di voc. iniz. come Dttagu
nel bov., ma con qualche maggiore frequenza: strdfti (bov. strdBti)^
e pdnu iTcdcvd), Iddi olio e ladikù creinolo dell'olio éXa$-, ri fi ^p^<pi-,
fld ititi ^ e vdomddi settimana £p8o(&-, skddi Iff^"» fì^ ^^'^**^ ^ fì^"
mèri ottava, spazio di otto giorni, f tarma Ó^SaX^i.^^ (bov. alddi ecc.,
arifi^ efìdf oftóy artdrmi), 168-5: agnimmulw^ e óuraét xuptax^,
trdnda Tpià[xo]vTx, maljó (cfr. [uaìki zaconio*) (auoX^c, mughldzu (aou-
yXiàCco, vragMna braccio Ppa^^cova;;- atù^ aeftint;- Pervólij nome di
* Vedi M. ScHMmT, Tjakonisches^ negli SAidt^n ^tir tot. und griech, gramm.^
ed. dal Curtius, voi 111, pag. 350.
108 Morosi,
fondo, neptP(^t-; trimizù 168. $aragust{\ ed ù, allato a ùdc (wòc),
p. e. èia u vieni qua; Aanti guarda tu (okanùna)\ aljuné e kané I 256;
Prostesi s^r/ (bov. less. Ili : stritta)^ vrundd tuonata («= vrunddda). 160. Al-
quanto piti rara che nel bov.: avudUizu (bov. afuddo^ attdlagìiu
(bov.sOsMIaATlo), agrùstalluy avlépu^ e aménu fiivw; ma: pM, pidti^
lismtmùj nugù , maljóy » bov. apetdOy appidénnOy addismondOy anogdOy
Epcntett ammialó. 172-8. Di vocale, in munttgUdriy e in askinida ortica
àTC[i]xv(8a (xv^Y)); e di y ÌQ ajéra I less. n., oltre che in nugù vosw,
kligu ìikgUù^ akùgu àxoòo); e in agguù^ parasuwiy zévvu ecc. § I 100»
ocmin. ove pur si propaggina, come nel bovese, Tu. * 176. Di tc: éppisa eics-
(TOC, ecc.;- di v: ghdnnu x'^vw» J5ì«hu ir^vw, dénnu Ssvw, /"wWiinnw 9op-
T^vd) ecc.;- di [a: immé l[ii, gUdmme x*l*°^^ immuni tJjjlouv, ecc.;- di
a: m^, ùssu^ tóssu (bov. «ss^, ds5u, <(Js««), ecc. ;- di X: ìirta, ^^mt2fó,
stafilli (bov. oc^io, khamiddó, staftddi), ecc., e aJZupikfa àXouicotj; —
Metatesi 6 di p: édHurra (bov. i^?lorra). ' 177. A pricio e grambù si aggiun-
gono: krapiy trawi e w^rasitim^nt I less. (ma viceversa: pitra^hoY.
285 prfta; e pu^nnti 7rp<«)Tetv<^;); e a litrujia (bov. Zw^r-) si aggiunge
drukkdli SopxàSt- (ma viceversa, 1 177).— Notevoli inoltrai garùdi
YaBoupt- (ma OddarOy cognome) e gruniiu Yvcop^C««>; dgulu cavallo iXo-
Yov; e adakapénnu inghiotto xaTapa^vcD, in senso transitivo, come pur
Attrai. s*u8a sifidu nei dial. ital. merid. ISO. dinéri e sulérL
Nome Mo r f o 1 o g i a. — 188. idldy vrdsta, ecc. 188. fó^w, plur. Ioga ( bov.
Z4J« , re. X^Y'*)> adérfùy plur. aderfia\ e /ìfarmii (5cpOaX[Ao<;, plur. ^ar-
mia. 189. A:^d/ìfa. 190. jitónu yaiTova;, ecc. ; e k^acu 10. 194. 200.
220. 228. Frequenti qui pure i suffissi feminili -ìol: vrundia I less. ecc.;
e -àda: fagdda II 57, vrundd[da] Il 168; e così i dimin. -élli -élla
(cfr. 1 150), "ticì: Sulikùci ragazzino, ecc.— Raro, come a Bova, -uri :
Verbo monùri manico (se non è da manubrium) e garùdi II 177. 280-1. glw
ciOy pricio y ecc. 268. Unico verbo puro: kléo xXa^w. 259. I. kliguy
pur cndf., e akùgu àxouw; II. -^mm (bov. -^^uo) = -euw, p. a, pi-
stévìiu irtoTTcóo), nistévrm v7)(TT£6a), ecc.; sull'analogia dei quali si for-
mano i verbi nuovi : dHuréwu vedo *Oa>pEU(o » OoipCo, murréwu II less. ,
e anagulévvumi àvaYouXixCofjiat ; e si flettono, come a Dova, i verbi
d'origine straniera, p. e. platéwu discorro, penséwu penso, ecc. —
Verbi nuovi in -a^vo) -dcC<o -^ca sono: Simbénnu e aplénnu (bov. ^tm-
bónno e aplóni^o); aldzu (bov. a/dnno), tiganidzu (bov. -^zzo^ pri-
galjdzu I less. ; cendiku e at^ud^/ii* (bov. 268-9 cenddo e afuddo)^ e
/l^^iru sputo icTÓo). 273. Pur qui in -Oa e -cOx la 2. sing. imperat.
medio-pass.: fsùnnidìia svegliati, ndrdpidha vergognati, dvlefpa guar-
dati, Jéne^a diventa tu, ghldddha riscaldati; salvo, come è puro a
Bova, in jtru e kadUuj dnjérrumi e kadhénnumi. 275. Non con-
DiaL romaico di Cai'deto. Goocordanze col bovese. ' 109
tratti nel singol., eccezioa fatta per la 1. pers. indie, att, i verbi in
-àfi>>;~ inserta la sili, -(rx- nella 3. plur. imperf. att. degli stessi verbi
dei verbi in -^u> : igapùssani igapussa amavano, ipunùssani ipunù$sa
sì dolevano. 279. Foggiata la fless. del pres. e dell' imperf. medio*
-pass, de' verbi in -xm sull'analogia di quella dei verbi in -èco: gapémi
mi amo, come imnémt mi dolgo; igapémmu mi amavo, come ipunémmu
mi dolevo. 283. Convengono coi bov. gli irreg. : jénumi^ aor. iji^
nàstina'j dónnu, aor. édikuy dhurévvu, (bov. Khoró)^ imperf. édHurrOy
aor, t'rra; fséru (bov. zèro) aor. \fsLpórUa\ pdo^ imperf. tppiguj aor.
(yàvina. 288. mane sì, de no. 290. dfs, dfsoh:\\ medhému ecc. particole
Lessico. — I. Le voci antiche che sopravvivono a BoVa e non piti
nel re, si riscontrano in buon dato pur nei cardetano: artaf drti^ vél-
lidha^ ci fall ^ kldnnu,[kunduruj %ide (bov. ódé)^ ptzilu^ ri fi (bov. ari fi),
rópay rùzii (bov. rusu)^ sinérkete, tamtssi, ftarmù (bov. artdrmi),
atéra (bov. stéra). II. Cosi dicasi dello voci d'indole romaica, che
vedemmo peculiari ai dial. del territorio bovese: Iddi e Uxdiku II 162,
ampatikévvu, artisia, rad/ita, veldtriy vrastdri, vudhilia^i kanunù^^
cifùluma, màtrighu^ miccéllij mitérru e métrimmaj ufiia (bov. oszia)^
* Veramente, questa voce non d propria, compio credevo, dei soli dial. ro-
maici d'Italia. Vive anche in Grecia, e ricorre in uno dei canti cleftici rac^
colti e pubblicati dal Passow (Tpay, p^fi. CXLVI: "Evaz ròv aXko xavoveé
X* Ivu^ TÒv SXXo "kéyet). Traggo questa notizia da una recensione de* miei Studj
sui dial. greci di Terra d'Otranto, pubblicata nel Centralblalt del 13 marzo
1873, recensione che ora soltanto mi cade sottocchio. Accetto senz* altro la
spiegazione che T accurato critico propone delle due voci askddi fico secco
e godéspina sposa (circa la seconda delle quali, ebbi il torto di pubblicare,
a insaputa del prof. Ascoli, un'ipotesi da lui messa innanzi, molto dubitati-
vamente, in una sua lettera confidenziale). Davvero devono esse ricondursi a
cV^^o^c- e ad ocxo^éo^ocva: spiegazione, che del resto mi era già suggerita
fin dal 1871 dal doti Deffmsb, nella monografia che ho spesso citata nel pre-
sente lavoro. Non credo però che Tetimologia di kanonó Ho guardo' , proposta
dallo scrittore del Centralblalt, ciod ^nond = *xavavoù, per assimilazione di
T a V, = xaravoój, sia da preferirsi a quella da me proposta {kanonó da xavùv,
come r ital. ^squadi-are' da ^squadra' ), eh' era del resto implicita in una delle
note di cui il prof. Comparetti ha illustrato i suoi Saggi dei dial, greci
dell'Italia merid, (p. 94), ove a confronto della voce greco-cai. cita la re.
xaveuu aprendo di mira/'. Non credo sia preferibile alla mia, non fosse per
altro, perché i dial. greco-otrant. possiedono un composto di voù somiglian-
'tìssimo a quello supposto dal critico, cioè madar^ó mi pento fiLcravos», ove
il T non ha sofferto l'alterazione, d'altronde afiatto insolita in codesti dialetti,
u cui egli imagiua che andasse soggetto xseravoù.
1)0 ' Morosi,
pttra (bov. 2So prita)^ spidhiOy fsufrdta (bov. zofr-).- III. Idrguy
mdgnuy pùUa^ skulli, stritta^ pldtu e platévvuy klunùha e flùppu^ di-
néri e suléri, IV. dhdmme, isdla^ Atini, kunduférru^ lille lilla zio
zia (boy. leddé leddd)^ murrévvu (bov. murtizzo)^ piazzi^ si'mtna (bov.
sirma)^ sulikélli (bov. sóliko), sfaldssi (bov. 5po2-), zikkiniayvidta. —
Ritornano infine a Gardeto quelle particolari significazioni che le voci
romaiche hanno assunto nel bovese: dgìiaru (&x^pi;) cattivo (cfr. bov.
less. I); amartémmul gaai a me! (cfr. bov. amartia disgrazia, guajo),
ambléhumi mi ^azzufib', dspri cenere, zéma brodo, dhéma uomo (cfr.
bov. less. II), ivra vidi (cfr. bov. 283 s. khoró), tu kjirii Tanno ven-
turo (cfr. bov. 283), *s tu m^Zi.alla campagna (cfr. bov. less. II *m&li').
III.
Ora le concordanze son tante e tali, che non ci è lecito dubitare
che il cardetano abbia col bovese, e sopratutto col rochuditano *, di
gran lunga più stretta attinenza che non con qualsiasi altro dei dia-
letti romaici fin qui conosciuti. Dobbiamo anzi dire senza esitazione,
che il dial. di Cardeto e quelli di Beva e della vallata della Amen-
dolea dovettero essere un tempo una sola e medesima favella. Ma»
ciò posto, come si spiegano le differenze, pur non poche e di non poco
momento, che tra questi e quello intercedono? Sono esse rampollate
spontaneamente a Cardeto, fuori della influenza di alcun altro dia-
letto romaico? Non ò possibile. Siffatte differenze dicono che il car-
detano s'accosta ai dialetti peloponnesiaci ancor piti che non facciano
il bovese e gli altri a questo contermini. Non solo infatti le concor-
danze coi dial. peloponnesiaci e in particolare col mainoto e collo
zaconio che avvertimmo nel bovese e ne' dialetti della Amendolea
(v. p« 78), ricorrono generalmente anche nel cardetano (salvo che in
questo la 1. sing. pres. indie, att. de' verbi in -ìm non si contrae, e
non ci si hanno casi di P[t7]e(A e di a dileguato fra vocali); ma le
medesime concordanze riescono anzi nel cardetano maggiormente av-
valorate, sia perchd son rese più evidenti e più sicure da più ricca
e più conclusiva copia di esempj, sia perchè si ricompiono quando a
' Rochudi è, tra le colonie amendolesi, quella che meno dista da Cardeto.
Ne dista, per la via mulattiera delle montagne, di sette od otto ore di cam-
mino; ma un tempo le doveva essere grandem9nte ravvicinata da ciò, che
tra la valle dell' Amendolea e quella del S. Agata, come ci accadrà di prò-'
vare in altra occasione, sorgevano altre colonie romaiche, che ora sono
estinte.
Dial. romaico di Cardeto. Riassunto. Ili
Beva e nella vallata deirAmendolea sono appena adombrate, e si ri-
ducono a regola costante quando là devono solo ritenersi come ap-
parizioni sporadiche. Si vedano infatti segnatamente le vicende: u^-x)
II 4 (cfr. zacon. diua SptS;, mùza (iiuta, ekju It6. hrù ecc. Deffh. 294,
341); ^aiQ li 9 (cfr. zac. vsVou a v^Ocd ecc. Schm. 349); ùf=6 ed iù
I 10 12 (cfr. zac. oroófia, ?cotkc « WSa, Tcpoóata ecc. Muli. 95 seg. ; zac.
ópo6(jL£ve, YXuxoÓTsps, i^ou, irou, xoXoiS, 5pou, 6à 6a{i,{i,a9toU ecc. >= 6pte>(jLevoc,
yXuxtÓTepoc, iy^i, icioc, xccXiS;, 6p{o, 6i Oxu(i.affOa>; e anche x^^P^ ® yp^^^^
«X^P* YX</>9aa id. ih.); u e ju^u atono I 22 (cfr. zac. ![ouy^9 xoupa-
xàe2;uY^c, xupiax^ ecc., Sehm. 351; e óhgjuma Ì^Im\».% Deffn. 310); u=»o
ed (D atoni I 40 e 42 (cfr. zac. ^ouOovS, xoupTocXoiS ecc. » Po[v)]6u>, xpora-
X^co Deffn. 311; vi (pu![ou[jLev, 5T<rou, ^tc^ctou, 8iou, d'àyacin^ou ecc. » vi ^uye»-
jxev, l^w, ^^<iw, 8^5a)[iAi], O'àYawi^ffci), Schm. 392 ecc.) * ; — ìiS^ *= X "•" J ^ ^
(cfr. zac. ^/e « tp^x^ ecc. Schm. 357), e il caso di metatesi I 177 (cfr.
zac. xouprocXou, xapSià^ou ecc. » xpoTocX- xpaS- Deffn. 311, Schm. 355). E
anzi non d povero il cardetano pur di tali concordanze collo za-
conio, che^ al ho vose e aWicini dialetti rimangano estranee affatto.
Si considerino in ispecie:- i^pj I 119-122; pronunziato dk I 62,
suono molto afSne allo zacon. q(z)^^\ st^fr I 139-142 (cfr. zac. séu
affocdo, ecc., Schm. 357), z^ì^ e 9 sonoro I 142, 146 (cfr. zac. iestó^
zugo ecc. « Cktt^c, ![uy<^; Deffn. 248) ; X e XX appalatìnati anche innanzi a
vocal non palat. 1 148-150 (cfr. zac. dXXc^ alibi °dXXf Schm. 350), roX
in pr, fr (« VX, 'yX) = icv, (pv I 131 (cfr. zac. xpTice, Xa^p^a, Bitpe , wpfy-
you a xvtirt;, Sa^vfSx, Cttvov, irv^ya) Schm. 355). — £ vero che lo zaconio
non ha mai, come ha il cardetano, ubo finale, si tonico, sì atono, e
che al cardetano mancano quasi affatto le note distintive dello zacon.
nella flessione dei nomi e dei verbi, ma è ad ogni modo innegabile,
almeno per ciò che spetta a' suoni, una parentela assai stretta del
cardetano collo zaconio o con qualche dialetto allo zaconio molto
affine. Onde bisognerà, io credo, conchiudere, che nella composizione
della lingua di Cardeto siano entrati due elementi diversi: un elemento
principale, che è lo stesso linguaggio che si parla ora a Beva e nella
vallata della Amendolea; ed un elemento accessorio, che ò lo zaconio
od un dialetto allo zaconio molto affine; il quale non è stato coSj[
pienamente sopraffatto dal primo, cioò dal bovese, più rigoglioso e
robusto, da non serbare qua e là abbastanza cospicui i tratti distin-
tivi della sua origine.
* L*i = c atono è senza dubbio il più delle volte dovuto ad influenza del
calabro-siculo.
' Figura intermedia fra lo hj di Dova e lo s zaconio, ciprio e otrantino.
113 Morosi,
IV.
Di qui verrà pur qualche lume alla storia di questa colonia e delle
due vìcìdo di Mosórrofa e di S, Agata^ le quali, a memoria d'uomini,
un sessanta o settant'anni or sono, parlavano ancora generalmente
il greco, e, per testimonianza de' vecchi di Cardeto, per V appunto
l'idioma stesso che va ora morendo, per non dir eh' ò già. morto, sulle
labbra eziandio dei Gardetani. Dovremo ammettere, cioè, che la po-
polazione di queste colonie si componga, come la loro lingua, di un
doppio elemento: che il nocciolo primitivo sia di coloni venuti dalla
stessa regione della Grecia, probabilmente dal settentrione o dall'oc-
cidente del Peloponneso, e nel tempo istesso che i coloni i quali abi-
tarono Bova e la vallata della Amendolea; e che intorno a questo
nocciolo sia venuta più tardi a raccogliersi una colonia novella, de-
rivata dall'oriente o dal mezziodi dello stesso Peloponneso, dall' Ar-
golide, o, come sembra ancor pih probabile, dalla Laconia. E in vero,
'che queste colonie sieno della medesima età di quelle del mandamento
di Bova, pare abbastanza provato e dalla strettissima parentela che
corre, come sopra vedemmo, tra le rispettive favelle, e anche, se
non erro^, dal fatto, fin qui, ch'io sappia, non osservato da altri,
che ad una di queste coionio della vallata del S. Àgata, a Mosórrofa^
appartiene una delle pergamene greco-italiche pubblicate nel Syllahva
graecar. membran. ecc. del Trincherà (Napoli 1865); la quale vi fu
dettata dal tabularlo del luogo nel 1122^. Che poi altri coloni piano
* Circa la quistione, se Pappartenere tina pergamena greca ad un luogo
della Bassa Italia possa valer come prota che un tal luogo era un tempo abi-
tato da gente di orìgine greca, ofr. Otr« 206, e una recensione del libro di
Spir. Zambslli intitolato 'iToXoeXXuvixft ecc., che ho pubblicato nella Rivista
critica napoletana^ voi. I, p. 36L ,
' II luogo, in cui la pergamena fu scritta, ò x^px tùv Mco-iuy, come ap-
pare dalla data. Che questa Herra dei Mesj' non sia Mesiano^ in provincia
di Catanzaro, come Tegregio editore delle pergamene suppone, riesce abba-
stanza chiaro dai fatti che ora espongo. Innanzi tutto, il notajo e stratego
rùv Mco'flÀv qui dirime una controversia inaorta fra un tal Teodulo, preposto
del monastero di S. Nicola, e un tal prete Teodoro De Chalco, iiltomo alla
permuta di certi fondi , uno dei quali era posto «ul fiume Gallico ( ce? ròv
norxfiòv Toù yoùlUoìj), Ora nessun fiume di questo nome io trovo in prov. di
Catanzaro, ma bensì uno in prov. di Reggio, neirodierno comune di Gallico
(mandamento di Villa S. Giovanni), vicino appunto a quello di Mosórrofa. In
un* altra pergamena poi, data a Reggio nel 1257, tre fratelli ^della terra de'
Dial. romaico di Cardato. Appunti storici. 113
venuti piti tardi ad ingrossare la colonia primitiva, è posto, mi pare,
fuor di dubbio da un fatto glottologico, dal rimanere cioè intatto a
Cardeto il doppio X, che a Bova e nella vallata della Amendolea ha
subito la influenza del calabro-siculo e si ò mutato in dd. Dì vero,
se le origini di Cardeto coincìdono con quelle di Bova e della Amen-
dolea, come si spiega questa conservazione del XX, la quale fa sup-
porre che questi coloni abbiano vissuto minor tempo dei bovesi in
mezzo agli' abitanti di schiatta e di lingua italiana, e ne abbiano
quindi meno dei bovesi risentito la influenza? Non altrimenti, che
supponendo siano stati i cardetani piti tardi rinsanguati e rinvigoriti
da nuovi profughi della Grecia, e la loro favella perciò ravvivata
da un innesto originale, che la fece meglio resistere all'invasione
dei dialetti calabri italiani.
£ in che tempi hanno potuto stabilirsi qui i nuovi coloni ? Forse
ce lo dirà la voce gaéra^ affatto ignota al calabro-siculo, che i Car-
detani usano per ^sedia'. ,È questa una voce della vecchia lingua
francese {chayere ^sedia'« cathedra, Diez, less. s. ^chaire*), che occorre
altresì nel dialetto ciprio (cfr. Cypr, 430 * ), la quale indicherebbe, che
i novelli coloni fossero partiti dalla Grecia quando già vi si era sen-
tita la influenza franca, buon tempo, vale a dire, dopo la fondazione
Lagodari nella giurisdizione dei Mesj'. (xaroexoe ^u/^iou "kay^f^apSiv, SiampaTri-
atta^ Mcauv) vendono due porzioni d*una lor casa posta ^entro i confini della
terra degli Erasf (ce; t^^v roTroOso'iav ^oj/9cou r&v c^ao-iùv). Ora del y^taptov
\ayo8(ip&v non trovo oggidì niun indizio, ma il x^P^^"" '^^^ ipoL^twt altro non
pud essere se non Todiema terra di Atclsx (nel mandamento di Reggio), con-
finante appunto con quella di Mosórrofa. Quanto al nome odierno della Herra
dei Mesj', cobì detta o perchè trovavasi a mezza via tra le altre due colonie
di Cardeto e di S. Agata^ o piuttosto perchè 8*adagia a cavaliere delle due
vallate del S, Agata e del Calopinace^ non mi par difficile che il x^P^ (tùv)
Mcv^y abbia dato luogo ad un composto *M«r(u;^&>^a, onde in questi dialetti
romaici si potò avere Afoso fora (cfr. bov. 32,61 e 61 n.; card. 117, 1 14);' e
poi, per metatesi e raddoppiamento del p: Mosórrofa (cfr. bov. 176, 177; card.
II 30, 128).
' Certo il ritrovarsi questa voce pure a Cipro non d argomento che ci porti
ad ammettere una immistione di elemento ciprio a Cardeto, come a Bova.
Chi ci assicura che questa voce non si oda eziandio sulla bocca dei Pelo-
ponnesj, delle cui parlate abbiamo tuttavia così scarsa notizia ? Né più con-
clusive sono le concordanze d*altra specie che facilmente si avvertono fra la
parlata di Cardeto e quella di Cipro; imprima, perchò di gran lunga sono
inferiori, e per numero e per importanza, a quelle che intercedono fra Cipro
e Bova, e poi perchè coincidono quasi tutte con quelle che già riscontrammo
fra il cardetano e Io zaconio.
Archivio glottol. ital., IV. * 8 '
[
114 Morosi 9
dell'impero latino a Costantinopoli e dopo lo stabilimento della si-
gnoria dei Franchi nella Morea e a Cipro; e saremmo condotti, con
tutta verisimìglianza. Terso la metà del secolo XIII.
Che intorno a questo tempo ci siano state delle cause, e delle cause
potenti, che abbiano valso a sospingere una parte degli abitatori del
Peloponneso fuori della loro patria, non si può mettere in dubbio. In
nessun tempo questa infelice contrada ò stata cosi scossa e sconYoUa
come nel secolo XIII (dacchò 1 Veneziani e gli avventurieri della quarta
crociata ebbero acclamato Baldovino di Fiandra imperatore a Costan-
tinopoli), duranti le guerre devastatrici che imprima vi si combatte-
rono tra i Franchi e i Bisantini, e vi finirono collo spegnersi della
dominazione di questi; poi tra le signorie franche e le signorie pae-
sane, che vi pullularono in séguito; e infine ancora tra i Bisantini
e i Franchi, dopo che Michele Paleologo ebbe assunto l'impresa di
ristorare nella penisoltv orientale l'impero romaico. Di tali avveni-
menti, piti di una volta la Zaconia, e la regione circostante, fu il
principale teatro, fino a tanto che il Paleologo non venne a capo di
strapparla, nel 1258, al signore franco delia Morea, Guglielmo De
Sablit*. Un'altra causa di emigrazione possono essere stati i rigori
e le vendette che il Paleologo esercitò, come parmi di poter racco-
gliere da scarse e oscure notizie di cronisti bisantini^, contro quelli-
tra i popoli peloponnesj che di buon grado, o almanco non reluttanti,
sì erano acconciati alla straniera dominazione e l' avevano pur anche
servita coli' armi. Niceforo Gregora. infatti ricorda che Michele Pa-
leologo, riavuto il trono de' suoi padri e tolta ai Franchi l'Eubea,
armò una flotta di sessanta triremi, la cui ciurma era composta quasi
per intero di Gasmuli o garzoni nati da nozze di uomini Franchi con
donne Romaiche, i quali avevano dei Franchi in gran parte ereditato
r indole e i costumi ; e dice che in compagnia di tale milizia era una
schiera di Laconj, poco innansi venuti, dalla Morea alV imperatore^
che il volgo con voce corrotta chiamava Zaconj. Ma che questi Za-
coDJ non fossero andati a Costantinopoli di loro voglia, bensì con-
' Cfr. Epam. Stamatiades, Oi KaraXovoi sv t^ ÀvaroXi? ecc., Atene 1859;
p. 215.
' Cfr. MuLLACH, 0. e. p. 102-3. Il quale, se ben intendo, ritiene i due cro-
nisti) che tosto citiamo, come i primi che facciano menzione dei Zaconj. Ma
il fatto si d che già Costantino Porfìrogennito ne parla, Cerim. II, 49, come
di gente che forniva air impero delle truppe leggiere e irregolari, insomma
degli scorridori. Cfr. Alfr. Rambaud, L'empire grec au dixième siècle^ Pa-
ris 1870; p. 238, n. 5.
DiaL romaico di Cardeto. Appunti atorieij 115
dottivi a forza, ò chiarito da Giorgio Pachtmbrbs, secondo il quale
10 stesso imperatore disciolse in Costantinopoli la milizia dei Oasmulif
soldati ^giovanilmente audaci e rotti al ladroneccio', alla quale ap-
partenevano non pochi Zaconj, ch'egli con lor donne e figliuoli aveva
dalla Morea trapiantato sul Bosforo. Finalmente si sa che il Pelo-
ponneso ha ricevuto dopo il secolo YIII una continua e grossa im-
migrazione di Slavi*, i quali andarono restringendo in limiti sempre
piti angusti il territorio abitato dai Zaconj, tanto che questo nel 1293
era dai Veneziani chiamato semplicemente ^Sclavonia de Morea'; e
una tradizione, ancor viva tra i Zaeonj, afferma che la lor patria
primitiva trovavasi piti in alto, sulle montagne, donde in una guerra
furono ì*espinti^. Or dunque,. conchiudendo, non credo improbabife che,
•poco oltre la metà del secolo XIII, una mano di Zaconj, perseguitati
e dispersi dai governanti bisantini (perchò indocili e riottosi, o per-
chè, come par piti probabile, al tempo della invasione franca nella
Morea, si erano chiariti per i novelli signori^), o incalzati dalla
invasione ognora piti irrestibile degli Slavi ^, abbiano cercato un ri-
fugio in questa parte della penisola italiana, ove forse non era loro
ignoto che altri Qreci avevano trovato una seconda patria, due secoli
innanzi.
* Cfir. HoPF, Griechenland im mitteUzlter und in der neuieit^ neirEncicI.
di Ersch e Gruber, voL 85, p. 96 seg.
' Gfr. Bern. Scebudt, Dos volhsleben der neugriechén und das helleni"
sche alterthunij p. 12, n.
' Nella Zaconia era la baronia Franca di TlouTffipx. Cfr. Stamatiades o.
e. 210. Non è a tacersi, a proposito della invasione slava nella Zaconia, che
slava sembra appunto questa voce di Passdoa,
^ Una colonia zaconia vede B. Schmidt, o. c. ih., nel villaggio di Trróxoà'
va; neir isola di Candia (eparchia di Selino) ; e la eoDuette colla invasione
filava nel paese dei Zaconj. — A Cardeto, come a Bova e nella vallata della
Amendolea, voci di origine slava non s*odono, se non forse zambaidri pastore
(v. sopra, p. 66 b). Ma che i Zaconj non siano un popolo slavo, come parecchi
illustri etnologi sostengono, e che anzi degli Slavi neppur abbiano di molto
sentito la influenza, ò abbastanza provato dai suoni e dalle forme della loro
lìngua, la quale tra le parlate romaiche é quella che più ritrae dalla lingua
antica (cfr. Schmidt o. c. ib., e Mullàch 104). E nessuno, a più forte ragione,
vorrà credere ciò che il Geldabt (The modem gréeh language in ite rela-
tion io ancient greek^ Oxford, 1870, p. 124, 128), traviato da fallaci analogie,
infelicemente imagina, che cioè il linguaggio zaconio sia <un ibrido prodotto di
greco e di semitico'; il che ci porterebbe a conchiudere che i Zaconj siano usciti
da una mescolanza di Greci e di Ebrei o di altro popolo della costoro stirpe.
116 Morosi « Dial. rom. di Gardeto. Testi.
V.
£7a kdtu, jinékaj an du pardnu;
*na lógu égHu na sti^pu igu u màru;
de fséru igù na iusu pu e' nna hdmu;
den immu madìhimménu jnvnsiiéLVxi,
parpatìi trdnda milja Un iméra,
ci vidta immun ambru ^s tim gapitana.
pu i dUani nd^rti na hUisi imménal
ti légu ti 6* nna gìiurxBtùmi nddma.
Vieni giti, o donna, dall'alto;
una parola ho da dirti io lo sventurato;
non so io a vivere come ho da fare;
non sono abituato (a fare il) lavoratore a giornata,
cammino trenta miglia il giorno,
e sempre sono innanzi al capitano (al capo dei lavoratori),
che la morte venga a liberarmi!
le dirò che abbiamo da partire insieme (che io voglio morire).
Marti hdfti - ti frdfti.
Marzo brucia la siepe.
Hsilja furtia^ hstlja domata.
Mille carichi, mille legature. [Quanti più uffici e dignità,
tante piti si hanno e cure e noje.]
■i ^ ■
Errata-oorrige.
Pag. 3, linea 24: leggi *apoTr&gma.
> 20, > 16: > 89.
> 23, > 13: > TK (n-fk ecc.).
> 25, > 29: » ^giporào lesa. I ^aporào\
» 30, > 27. Si cancellino le parole seguenti: mzs^pv ndassé-
^uo =: ^cvTajOOffO'cuak less.
» 32, > 5. Dopo flotoub» si aggiunga: Per u in dileguo, cfr.
num. 28.
IL VOCALISMO
DEL DIALETTO LECCESE.
DI
O. MOBOSI.
Par noQ tenendo conto delie colonie straniere che la Terra d^ Otranto o
Provincia di Lecce racchiude, romaiche nel circondario di Lecce e albanesi
in quello di Taranto, non si può dire che in tutto il resto ella parli il dia-
letto istesso del suo capoluogo. Perfin la campagna ond*ò Lecce immediata-
mente ricinta, il suo circondario, ha delle note idiomatiche sue proprie
almen per ciò che spetta alle vocali fuor d'accento. Come più dal centro ci
dilunghiamo verso gli estremi della provincia, più le differenze crescono di
numero e di gravità. Nei cii*condaij di Brindisi e di Gallipoli, le parlate sol-
tanto de* distretti che confinano col circondario di Lecce ritraggono nel loro
tutt* insieme i lineamenti distintivi del tipo leccese ; dal quale tuttavia or qua
or là dissomigliano nella determinazion particolare non pur delle vocali àtone,
ma eziandio delle toniche. Le parlate dei distretti più lontani (Maglie, Ruffano,
Presicce, Gagliano, Poggiardo, Tricase e Alessano, nella regione del Capo
di Leuca, su quel di Gallipoli ; e Ceglie e Gatuni, in quel di Brindisi) insieme
colle parlate del circondario di Taranto (eccettuati solo i distretti di Grot-
taglie, Manduria e Sava) più non si possono dire leccesi.
Mando innanzi lo spoglio del solo dialetto di Lecce, non toccando degli altri
della stessa provincia o deiraltre provinole meridionali, fuorché dove sia stret-
tamente necessario per chiarire e confermar qualche fenomeno che in quello
occorra; e a speciali Appendici riserbo la esposizione delle varietà offerte
dagli altri luoghi della provincia, per le quali il leccese, in ordine almeno
al vocalismo, viene graduatamente a sfumare da un lato, per il Capo di Leuca,
nel tipo delle estreme Calabrie e delle isole; dali* altro, per la minor parte
del circondario di Brindisi (Ceglie e Osfuni) e per la maggiore del circon-
dario di Taranto (Mottola, Castellaneta, Ginosa, Massafra e Martina), nel tipo
barese, il quale alla sua volta, attraverso alla Capitanata, digrada in quello
degli Abruzzi, intorno alla Majella e al Montecorno
Il lavoro che qui presento ò frutto di ricerche fatte da me sui luoghi me-
desimi consultando i parlanti e spogliando le seguenti scritture: 1.^ Puesei a
lingua leccese di Francese* Antonio D* Amelio, pubblicate a Lecce nel 1832
e ripubblicatevi, con qualche aggiunta, ma non ben correttamente, nel 1870,
presso la Tipografia Salentina;- 2.® Canti popolari delle Provincie meridio»
nali raccolti da Antonio C a setti e Vittorio Imbbiani (due volumi dei Canti e
Racconti del popolo italiano pubblicati per cura di D. Comparetii e A. D'An'
cqna)^ Torino, 1870-72;- 3.® abondanti saggi di canti, proverbj e novelline
Archivio glottol. ital., IV. 9
118 Morosi,
in dialetto, che mi venne fatto di procacciarmi da parecchi punti della vasta
provincia.
Rispetto alla distribuzion della materia ed alle trascrizioni, d quasi inutile
avvertire che mi son attenuto, per ^quanto 1* indole del dialetto da me preso
ad esame il comportava, alle norme che ci ha segnato il primo volume di
questo Archivio.
Vocali toniche.
A.
1. Dinanzi a consonante scenipia e nella posizione debole, in-
^^ ^f tatto: àia, àru aro, àcu ago, àpu ape; stài, fai, anemàle, -are :
cantare ecc., chiàe chiave, faìne, -àine -amen : rame, ntràrAs en-
tragno ^ ecc, pace 9 -àtu -aia: spergunxtu -a svergogn.; Me sai
e salit, mare, làu lavo, casa, minu, cita cadus, càpu, frate (fra-
tello), cr^pa capra, ecc. Quindi anche nàtunàti lo nuoto tu nuoti,
cfr. Arch. I 500. 2. Alterazioni di ragion comune: mllu mila
m^lo -a = malus ecc. (cfr. nura. 10); e liégru légra allegro -a
» alacer ecc. — In dia davo e stia stavo, è un t =: ^ di prove-
nienza analogica. S* aggiungono: tppi ebbi, sippi s^ppi (cai. e
sic. àppi, sappi). 3. Da davo- si viene, per *clauu *clóu, a
chiuéu, onde chiéu (num. 37). 4. Singolare Yo di sòme stra-
dina (sarmenti), poiché ripugna insieme air a della formola
*ame in ogni altro caso costantemente mantenuta (num. 1), e
al fatto generale, che in Lecce e nella campagna circostante
d po6. nulla vediamo poter sulla tonica la labial che la segue*. 5. In-
tatto Ta di posiz. latina o romanza: àgghiu allium, àrveru al-
bero, padda palla, sàrvu salvo, carne, ràsta glastra, chiànca
(banco da macellajo e pietra sepolcrale) planca, eddinza bilan-
cia, sàngu, chiànta pianta; àccu apium, pàgghia palea, làzzu
laqueum, ràgga rabbia,. ecc. 6. Anche Va delle form. A'LS-
A'LC- ecc., che nelle parti australe ed occidentale della pro-
vincia si colora in o (cfr. ^Appendici' I e III), è intatto nelle
• Seppure non ó un ^ventràmti* (cfr. éntre ventre ed entrisca num. 31).
' [Anche Vó per Yà di ^fàme' ò solitario nel portoghese e altrove (v. per
es. Arch. I 288); ma è un esemplare in cui Va si trova anche preceduto da
labiale. G. I. A.]
Vocalismo leccese: d. 119
normali ridazìoni leccesi àus- due- ecc.: fàusu^ sàusu; fàuce^
duce (calcio e calcina), càugi calcei (calzoni); àutu, àugu io
alzo, àHlru\ càudu, Caéiudu. 1. -ARIO -ARIA.- I. Intatta,
la tonica e perduto Ti (ed è il caso più frequente) : |)iru pajo
(coppia) Aso. I 295, aculàru agorajo, panàru paniere, gaddinàru.
(poUajo), farnàru (vaglio per la farina); puddecdru poUicario-
(dito pollice), sennàru genn. ^ frehbàru febbr., quadaràru cal-
derajo (zingaro), massiru, mulenàru mugnajo, trappitdru (co-
lono che attende al trappitu (frantojo delle oVwé), ecc. \pagghtàra
pagliajo, quadira cald., pisdra *pinsaria (macina per pigiar il
grano), attera quasi ^gattaja' (buco praticato nel basso della
porta pel quale passa il gatto), massdra^ mulendra^ ecc. —
II. Attratto fi dietro la tonica; onde imprima: -A'IR-, fase che
ancor ci si mostra in un esempio: djera aja = *aria ( che s* ode,
nel Capo di Leuca) = area; quindi: -jER-, Ma in questo secondo,
caso è da avvertire, che nella figura mascolina conservasi an-
che Vi organico, e, giusta il num. 55 (cfr. Asc. I 484), 8*ha
il dittongo: i^anz^r^ ( regalo che si fa in occasione di fiera),
allato a pandru s. e; cernièri (luogo ove si cerne il grano),
murtiéri raortajo, fuculiéri (fjibbricatore di fuochi d'artifizio),
chianchiéri *plancario- (macellajo) e uccéri beccajo, surtiéri
solitario (scapolo)';- filerà (fila), wanéra^ manièra (coperta
da letto), andèra bandiera ^ 8. Intatto Va della form. ASJO»
' La figura mascol. -tVri, che nel toscano divide il campo coiraltra -iéro
che Del lece , come nel calabr. e nel sic, domina sola, dev'essere da una
forma già antica ^RIUS, in cui di buon* ora il suffisso -ius siasi contratto
in -is: contrazione non infrequente già nel lat. (cfr. D'Ovidio, Origine del-
l'unica forma flessionale del nome t^{/., e Muss&fia, Romania^ I 498) e dal
lece, offèrta pur in altre figure, p. e. Vrd:ti Blasius, Ntóni Antonius. — [Cfr.
ToBLBR, Gòit, gel. ans,, 1872, n. 48, p. 18y9-900. G. LA.]
* Qui porrei anche ééra (.sembiante), pure ital. e grigione, cioò kera (ant.
ital. chìéra^ ant. frane, chiere^ mod. frane c/i^ra) = kaira =: karia=mlat. e
gpagn. port. prov. c(':ra (xa^z?). La fase kaira d ancor mirabilmente conser-
vata nei napol. cdjera di malacdjera mala cera, brutto ceffo, pezzo da galera.
[Intorno a codesto gruppo di voci, era ben legittimo di non rassegnarsi a
tenere per definitivo ciò che il Diez ne diceva nella seconda edizione del suo
lessico (s. cara); ma non tornava poi tanto facile, a ogni modo, il dir di più
e di meglio di quel che facesse il Maestro.
La nota del Morosi meritava d* esser conservata, in ispecie pel nap. mala-
120 Morosi,
non solo in àsu basium, editi caseum, ma pur in ceràsu céràsa
-rAjera (oltre il quale 8* avrebbe, del resto, sempre nel napolitano, anche il
semplice edira, edera ^ e forse par edj«ra\ Flecbia), forma che può parer
cotanto favorevole alla sua congettura d*una base càr-ia che fosse larga-
mente diffusa per il mondo neo-latino. Giovava però che insieme ci fosse ad-
dotto qualche altro esempio napolitano pec -^era a -aria, anzichd ^éra come
in lettera ecc.; sebbene non repugni T ammettere un esito diverso tra bas«
bisillaba ( *c à r j a ) e base plurisillaba (lectarja ecc. ). Ma quant* altro è
parso al Morosi che concorresse a persuadere la sua ricostruzione, o non
regge a martello, o almeno incontra difficoltà non lievi, come tosto vediamo.
Prima intanto sia notato, sulle generali, che lo stesso e à r j a , o come a dire
il postulato del Morosi, non debba parere cosa ben cauta, poìchd non è già
lecito d* imaginare la derivazione oziosa per -io ^ia dovunque ci tomi comodo
e anche da basi che non ci resultino latine. Poi avvertirò, che lo schietto
cara ritorna anche nel genovese (caa)^ ma che 1* attribuirlo senz* altro al basso
latino ('mi.') sulla fede dell* unico esempio che il Diez ed altri riportano e
giustamente valutano, è un cadére in queir abuso dottrinale di forme comun-
que pescate, che minaccia di nuocer tanto alla severità de* nostri studj. Fi-
nalmente premetterò, che di un ant. it. chiera^ non so donde ricavato, io non
mi fiderei in alcun modo.
L*ant« frc. chiere ha piena ragione anche dal semplice cara (Arch. Ili 71),
e non deve quindi andar disgiunto dal prov. cara. Come poi si verrebbe da
carja alFit. cera (ciera)^ come cioè si dichiarerebbe la consonante palatina
di questa forma? ^Precària (*preg&ria) dà preghiera^ e cosi calcarla
dà a piti dialetti calcherà (v. Arch. I 545); vi abbiamo perciò mantenuta pe-
rennemente la gutturale. Imagina forse il Morosi un così antico internamento
deirt nel nostro esemplare, da essersene avuto CAIRA e poi CJSRA e il C
di CJE ridotto a e sin da età latina (cfr. il caso di laq[u]eo' laccio, e simili,
e più specialmente quello che ò considerato a pag. 352 e 524 del I voi. del-
TArch.) ? Io di certo non vorrei negare, a priori^ un tal processo (v. Arch.
I 484-85 n.); ma, nel caso concreto, mi limiterò intanto a notare, che di qui
verrebbe un nuovo argomento contro il supposto che Tant frc. chiere si com-
bini, per *carja, col nostro ciera; poicbò, data la molta antichità della evo-
luzione CAiBA CiBRA occ, antichità che bisognerebbe supporre anche per aver
ragione del 6 delle forme ladine, avremmo piuttosto ad aspettarci un francese
piere. Ho, del resto, appena bisogno di soggiungere, che fo quest'osservazione
senza però dimenticare l'it. arciere allato alFant. frc. archier (arcuarins ar-
carius), uno de* più cospicui esempj ai quali si potesse riferire la mia nota
che testò citavo. Ma non d poi il solo 6 che nelle forme ladine possa far con-
trasto air ipotetico *carja. La voce soprasilvana, almeno a vederla scritta,
VoeaHsmo leccese: d. 121
ciliegio, ecc. 9. Un' alterazione sporadica in a, dovuta al nesso
ammette questa ipotesi {-era risponde iu queir idioma così a an lat. -arta,
come a qd lat. -era) ; ma non T ammette più la voce engadinese, che d edira»
6 non è diversa da quella che significa ^cera delle api' e legittimamente ri-
sponde, nello stesso dialetto, al lat. cera*
l vaij riflessi ladini, d* altra parte, e i riflessi che occorrono in tanti dia-
letti italiani (venez. fièra ^ ecc.), contrastano grandemente, per il semplice
ÙLÌto della loro esistenza, ali* ipotesi del Diez, già per sé molto stentata, co-
m'egli medesimo doveva sentire, che Y ital. e il lad. cera venissero di Francia,
altro cioè non fossero che riproduzioni delFant. frc. chiere; comunque resti
sempre assai probabile, che il far buona cera^ usato da classici autori italiani
nel senso del raod. frc. faire bonne chère, venisse efièttivamente di colà. Co-
munque, ei fu appunto uno de* riflessi ladini, cioè T engadinese caira^ che
m^ebbe a condun*e allo stesso pensiero cui arrivava per altra via un altro
studioso italiano, citato dal Diez nella terza edizione del suo lessico (la ci-
tazione vi d imperfetta; d Lorenzo Litta Modignani, che scrisse intorno a
cera nella ^Nuova Antologia' di Firenze, novembre 1867); al pensiero, cioè, che
Tit. ciera^ e le altre forme neo-latine che vanno con esso, abbiano a stac-
carsi da cara e farsi dipendere dal lat. céra. Senonchè, io naturalmente non
mi poteva fermare a parificar senz* altro Tit. cera o ciera (venez. ptVra, fritti.
fière) al semplice lat. céra^ col quale nelPordine fonetico non si concilia.
Dovremo veramente risalire a due diverse basi latine: <^a e cerea {cerce^
cerece imaginee). Dalla significazione, già traslata, d*^imagine', ^ritratto', si
potea facilmente venire a quella di ^fisonomia', ^aspetto', 'ciera' ; o anzi si sarà
avuta la più diretta successione: cera^ colore a cera (sciolto nella cera), co-
lorito, ciera, come trovava il Litta Modignani; dove, per la ragione storica
della base aggettivale (cerea), si pud a ogni modo confrontare, fra i molti
esempj: nivea (nivja) che dà il frc. neige ecc. 11 solo cera potè bastare fra*
Ladini e al significato proprio (cera delle api) e a quello d* 'aspetto', ^ciera',
come si fa manifesto per Tengadinese edira (at = ^), che era testé citato e
s* adopera anche nella denominazione caira dals oljs^ sopraciglio (Carisch),
quasi 'colorito degli occhi'. Nella Toscana, air incontro, e in più altre regioni
italiane, la forma semplice (lat. cèra^ tose, cera^ ven. gera) rimase limitata
al valor di 'cera delle api', laddove la forma aggettivata (lat. cerea, tose, cera
ovveramente etera, ven. ptVra) rimase alla sua volta circoscritta alla signi-
ficazione d* 'aspetto', 'sembianza', 'aria del volto'. Quanto alla ragion fonetica
del primo riscontro, sarebbe superflua ogni parola; e quanto a quella del se-
condo (cer-ea cer-ia)^ basti qui ricordare fiera e viera (feria, viria; cfr. Arch.
I 488). I prodotti delle due diverse basi, venuti, sin dai primi e legittimi
differenziamenti fonetici, alla condizione di due diversi elementi lessicali il cui
i
e
122 Morosi,
palatile susseguente, ci offrirebbe Va della form. ÀC'JO in ntt-
nézzu miniézzi io minaccio, tu minacci \
f E.
Lunga.- 10". Di regola, riflessa per i: mie me, tie te; tila^
candita t (mila^ v. nura. 2). sira, eira, ehireea chierica, na^
chiru nauclerus (il capo dei lavoratori al fra'itojo, che diconsi
trappiiàri ed anche marenàri), -ire -ère: aire habere ecc., rina
arena, ina vena e avena, ehinu china plenus -a, sina strena,
astimu bestemmio Asc. II 147, %mu -èmus: tenimu ecc., alice
(acciuga), fici flée feci -it, -<Ww = -etis*: altiu habetis, ecc.,
cn7a, rite^ eéltu aceto, trappitu trapetura num. 7, 4iu -étura,
suffisso di nomi collettivi di piante ecc.: leitu olivetum, cannilu,
preuUtu /pergul'f ecc.; iridici e sidici, cridi cride credis -it,
munitula monedula^, -ia -ebam: aia habebam ecc., siu se-
nesso etimologico non era più sentito, poteron poi andare incontro, in deter*
minati dialetti, a divergenze piti gravi. Così uel milanese, che a! C del lat.
CE può rispondere per e, s, z {cint cercd, semi, cinta e zintà entrambi per
'recinto', quasi 'cintata', séner e zéner entrambi per 'cenere'), s*ebbe dalPuna
parte s'irà e zila^ cera (it. cera\ iz=c, Arch. I 250), e dall'altra: cera ciera.
Analogamente nel bergamasco: «ira zira cera, cera ciera; cfr. berg. cerfgerf
cervo, ced éedi cedere, gemi, E nel piemontese: gira cera, cera ciera, cfr.
Arch. II 129. Sarebbe questo anche un notevole e specifico esempio per la
categoria delle divariazioni fonetiche applicate ad ulteriori scernimenti ideo-
logici (cfr. Arch. I 549 a. Il 468 b). All'incontro, dov*ò costante un identico
riflesso di codesta consonante iniziale, entrambe le voci naturalmente con-
suonano: tose, cera e éiera o c§ra\ sicil. eira e cera\ ven. gera e giera\ friul.
gere e giere. G. I. A.]
• In cuntriéstu il contrasto, del^ contado, avremo ié = é^ai; quindi -iéstu
in 'éstuzz'distuzz 'àstio, [Questa ricostiuzione, già in parte infirmata nel-
l'aggiunta alla nota che precede, non mi pud parer felice. Avremo qui un é
idi posizione, affatto legittimo. Degl'intrecci dì contestare e contrastare
si yegga intanto: Rajna, Contrastare, contastare^ nella 'Riv. di fil. rom.', I
226-34. G. I. A.].
' [-ia'-tt deve sicuramente ripetersi da -^h'-ou, col pronome pleonastico, dove
son da confrontare, comunque l'aggiunzione non vi torni superflua, le sec. pi.
sicil. e napolet. sui tipo del sic. purtdstivu portaste, con le quali concordano
nello stesso leccese: entsttu Teni&te, ecc., n. 31. G. I. A.]
. ' Ma facélula (beccafico) richiama ficédula^ che Appunto occorre allato
a ficedula.
Vocalismo leccese: é. 123
bum. 10*. Ancora: parile, e, nel contado, apitu abiete-, v.
Asc. 1 15 n. 10*. E parimenti: -is- = -ENS- Asc. I 19 n.: tur-
nise turonense- (moneta tornese), mise, paisey leccisu (pietra lec-
cese' da costruzione); sisi sise scesi ecc., tisi Use tesi ecc.; pisu,
e pisulu ' tose, pegolo, mpisu appeso, spisu, ecc.; a* quali esempj
aggiungo dal contado: prisi prise e defisi deftse, co* pcp. pn'^M
e defisu ecc. \ È qui però da notarsi che, se il contado è sem-
pre, senza eccezioni, fedele a questa vicenda, altrettanto non si
può dir della città, che oggigiorno, in grazia della influenza
ognora crescente del tipo napoletano pur ne' dialetti del versante
adriatico, tende a sottrarvisi, quando la form. -ENS sia il suf-
fisso derivatore di nomi di patria, perchè in tal caso, nel plur.
soltanto, se la parola cioè finisca per f, si ha regolarmente -15- ;
nel sing., finendo la parola per -e, si ha -es-: Leccése, allato a
leccisu testé cit., Francese, Ngrése Ingl., plur. Leccisi, Fran-
cisi, Ngrisi. Cfr. num. 34* in n. 11. Es. di è che non passa in i:
ire iréde tres; -èie di fìdéle, crudèle \ véru -a, -énu di serénu,
tarrénu terr., elénu ven-; e puléa bottega; alle quali voci però
il contado, come Calabria e Sicilia, risponde con i: tri (e cfr.
anche il lece, iridici num. 10"), fidile, erudite, de bbiru sinnu
di vero senno, surinu, larr<- iirrinu, vai- vilinu. — Inoltre:
mugghiére muliere-, cujéiu quieto; e fér[i]ay munastériu, mi"
sfériu, chésia, ov*è da considerare la vicinanza dell'i (cfr.
ScHUCH. vok. I 468, Asc. I 423 488, III 8). - In pésu pejus, può
vedersi assimilazione a mégghiu melius Asc. I 313, III 8. —
In tutti i quali esempj, s' ha la pronunzia e, tranne che nel
primo (tre), che è un caso di e all'uscita. Ma e ci danno al-
l'incontro: quaréla o qualéra quer. , quatéla cautela, spéru
spiéri io spero ecc., e quarémma quaresima. I primi tre ponno
dirsi es. comuni, e l'ultimo, pel quale non saprei senz'altro
affermare l'efficacia della posiz, romanza (cfr. num. 17 e 40),
troverà un correlativo nello nzòmma del num. 50; onde -émma\
'imma (cfr. cai. e sic. coraisema)::'ómma:'ùmma.
Breve. - 12. Rimane intatta quando la voce vernacola esce é
* Sole eccezioni: pénzu piénzi io penso ecc., e sénzu plur. sènsi (nel con-
tado, siénsu -tj, che pajono voci non bene assimilate in nessuna delle ro-
manze, ove se ne eccettui lo spago., che ha séso nelfaccezìon di 'cervello^ e
il port. che ha siso ^senso'.
124 Morosi ,
per a, e oà u che risponda ad o di uscita latina, o sia epite*
tico: èra éranu; féle, tnéreiu méreta merit-, mérula mérule,
leu léa lev-, tene iénenu, némula némule anemon-, me nnécu
m* annego, sécuUu sécuia io séguito ecc., réula réule regula -ae,
métu mite io mieto ecc, arrétu e derétu -retro, péde, lépure
lepre ^ Passa all'incontro in ié {je a formola iniziale) quando
la voce vernacola esce per i o per u che non risponda ad o di
uscita latina e non sia epitetico (ed ò insomma Vu che risponde
air -0 tematico del latino) : jéri tu eri e jéri heri ; miéreti tu
meriti, e cosi: liéi^ tieni, te nniéchi, siécuti tu séguiti, riéuli tu
regoli, mièti \ miédecu (cfr. n. 55) miédeci medìcus -i, piedi ^
liépuri^, 13. Per amore di eufonia, non ischiuso il ditt. in
Toci proparossitone, quando nella sillaba che segue immediata-
mente alla tonica s*oda un i (;) organico o seriore (cfr. Diez
P 152): mpériu imp., remédiu, presépiu (e cfr. munastériu ecc.,
al num. 11). H. E neppur s'ode, o meglio si discerne,* quando
hWe preceda una palatina od una palatile: céfalu mugil cepha-
' /^ ®fi>o, pud parere nn* eccezione; ma anziché Vi del dittongo {je da \é),
Ti doTremo riconoscere un j prostetico. Occorre, in effetto, jéu^ allato ad éu^
anche là dove non si conosce il dittongo deir^ o dellM, come, per non nschr
dalla provincia, nel Capo di Letica.
' Codesta legge della dittongazione leccese dell*^ e pur dellM (v. il n. 37),
nella quale ò particolarmente notevole 1* influsso deir-t neo-latino, riscontrasi
eziandio in tutte T altre regioni deiritalia meridionale che pure ammettano
il dittongo, escluso quindi il Capo di Leuca, le estreme Calabrie e la Sicilia,
le isole Eolie e Procida nel golfo di Napoli. Quanto alla ragione del dit-
tongarsi deir6 e delFo che si trovino nelle descritte condizioni, mi par sia que-
sta: che, riuscendo difficile alla glottide degli Italiani del mezzogiorno il pas-
sag^o quasi immediato e repentino dal suono largo àeXVe e delFo allo stretto
deirt e delFtì, sia stato d*uopo agevolarlo, col chiamare in ajuto della tonica
la vocale stretta a lei più affine, Vi in ajuto deir«, Vu in ajuto delFo. Gli
immediati continuatori di ^ e di o venivano ad essere così ié ed uà. Ma ti
suono del ditt. uó era ancor troppo largo rimpetto a quello dell* -» e deir -ti, e
il passaggio dalPuno air altro ancor troppo dovea stuonare al finissimo orec-
chio leccese, onde si restrinse ad tc^.- In fondo, in questa legge della ditton-
gazione ò da vedersi nuli* altro che un effetto della grande potenza di assimi-
lazione che ò propria deir^ti, e specialmente delP-t, in tutte le favelle romanze,
e s'esercita non solamente sulle voc. atone, ma pur sulle toniche, e fin sulle
consonanti; potenza ch*d nel leccese, alroen sulle vocali, mirabilmente con-
tinua e regolare. [Qui parrà opportuno che sia ricordata la nota apposta
a pag. 15-16 del I voi. deirArch. G. I. A.]
Vocalismo leceese: é. 1S5
lus» sélu gelaSy sénneru generus. 15. tu » EO : fntu mia^ diu.
Ma air incontro: méu méa, déu e pardéu perdio, del contado,
e il lor piar, nello stesso dialetto lece: mèi miei e mie, déi^
fanno qui sospettare influenza della lingua letteraria (cfr. tut-
ta volta il num. 29 e insieme il num. 47). 16. Singolare è déice
decem, quasi con un* anticipazione dell'i {-e), agevolata proba-
bilmente dalla conson. palatina. ^
In posizione.- 17. i anche per è venuto in posiz. romanza ^pos.
(cfr. il sicil., AsG. II 145-6, e il calabr.): crippi crevi, inni veni
(cfr. ital. crebbi^ ì)enni)^ simmenu semino, raéimmulu; endina
vindemia, crisu credfj]o, sicéa sepia (ma rézTia reticella, allato
a rite num. 10; e cfr. quargmma num. 11). 18. Ed eccoci ai
casi di i=e delle form. ELL, ESC, ed E+N complic, pe* quali
il lece, appar nelle condizioni del sicil. (cfr. Asc. ib.): stidda S
isca, criscu crisere^ diseiu (io desto, de-excito); ntinna ant.\
pinna co*diminut. pinnula e pinnulu, pelo della palpebra, e
col verbo spinnu; n-zinsulu, che, come T ital. cénco, riverrà
a "centjo-, cento -onis (cfr. fiézzu, foetor)'; minchia mentula,
/mcAtu dò delle busse, se è un Hent[u]lo, quasi, con una cotale
ironia, Wo tasteggiando'; tndu vendo, sindu de-scendo, e, dal
contado, prindu. 19. Ad influenza del vicina nesso palatile
si dovrà Vi di nina^ allato a nénaru (ingegno vivo e malizio-
setto), e di desprtzzu^ allato a priézzu pretium, e non già
ritenersi, come a tutta prima si potrebbe credere, qual conti-
nuatore della pronunzia chiusa che ci era segnalata ne* mlat.
Mnginua' e 'prit[i]um' e in alcuni de* lor riflessi moderni (cfr.
ScHUCH. vok. I 396 418)'. 20. Finalmente in ritiu deriitu
' Fra stidda e V-gdd- del num. 22^ tramezza béddu; ma il napol. ha bièlle
^ e il calabro-cosent biéddu.
* [Giova determinar bene, che qni sarebbe supposta una derivazione per -to
dalla forma nominativale (cento; cfr. p. 120 n.); e mi par sempre uno stento,
malgrado fiezzu^ che già il Flechia riconduceva a *foet-io (Riv, di fiL cU
Il 191), e mal si adatta per avventura, pure in questa regione, alle basi con-
getturali foeti[d]o- foeti[d]are. G. I. A.) \
' [Quanto ai riflessi moderni, bisognerebbe scerner quelli in cui I* t appunto
dipende dal nesso palatile (cfr. Arch. I 172-3); e quanto al ^mlat.', devo, una
volta per sempre, rimandare air avvertenza che ho fatto qui 8opr»(p. 120 n»)
e svolgo altrove. G. I. A.]
126 MòroBi,
non si dovrà veder un es. della vicenda 'Ut- = ECT, che appare
sporadica nelTital. {ritto e diritto, despittOy profitto) , nel napol.
(titte tectus) e in qualche dial. sicil. (pittu pectus, ptitini pec-
tine-), e troverebbe un riscontro nel mlat. erictus Schuch. ib.
333; ma si dovrà piuttosto raccostarne Vi a quello di ndrizzu io
dirizzo. 31. Uè passato in a, in tàntu io tento e nel contad.
stàntu stento; acquali andranno compagni i du<) nomi di città,
già abbastanza antichi, Taràntu -entum, e Utràntu Hjdrentum
fcivitas otorarjtana* nelle Carte del X sec.) \ 22. Del resto,
Ve di posiz. segue l'analogia d^lT^ (niun. 12). I. érta érte erct.
=:erer*t-: -édda -Mele -ella -ellae: renìinédda -e rondjn., ecc.;
pédde^ cumpMdu -édda 'éddanu compello (.io importuno con
molte e affollate dimanda*), ecc.; tèrra -e e suttérru -erra -^r-
ranti; ferve {hn\ìé)y sérvu -^, io servo ecc , érsu -a io verso ecc.,
smérsa »e *ex-in versa (rovescia ecc), pèrsa -e, pèrseca pèrse--
che, ntèrna -e int., èrme verm^n, mmèrtecu -a -anu *invertico
(io ribalto) eoe., pèrta -e ap., tèrza tertia, pèrdu •e -enu -ere
perdo ecc, sèrpe, èrva herba, lègga -e leggiera ecc. (cfr. Asc.
II 147), mprèsssa -e impr., rèstu -a io resto ecc., rèsta -e agrest-,
està veste, èstu èste està io vesto ecc., fenèsa -estra, lènta -e
(allentata, molle), parénte ^ sentii -e -a io sento ecc., ménta,
ùunfènta -e cunt., dènte, éndu suff. del gerundio: credèndu,
sapéndu ecc.; defèndu -e -a, tèndere, mpèndere ira-pendere.
' [LV di posiz. che passi in a, mal saprebbe ammettersi in questa regione;
e 81 crederà, ben più facilmeute, che tdntu stàntù serbi sotto l'accento Va
da e che si sarà prodotto nelle forme dalla prima àtona (quali sono, per esem-
pio, le basi stentare stenUli stentato; cfr il n. 70). Analoga e ancona più
ferma sentenza si vorrà portare intorno alFa della seconda sillaba di Taràntu^
considerandogli come questa silìaba riesca àtona nella pronunzia sicuramente
storica che sempre d nelPit. Taranto (lat. class. Taréntum); come del pari
troviamo Tacceutuazione italraua Otranto allato al lece. Utrdntìf, nel quale
esemi'io, del resto, non so neppure se si tratti d* un* antica e (Hydruntum)-
L* accento di Taranto e Otranto mi ricorda poi quello che si continua in
Teramo e Tèrni, e contrasta egli pure, e pur con formidabili effetti, alle ra-
gioni del latino classico (luteràmna). Abbiam noi in codesti nomi di luogo,
il cui accento resulterebbe di quartultima mora (Tàrentum, Intéramna), dei
liuovi argomenti per quel periodo in cui 1* accento latino non era paranco
stretto alla legge che più tardi lo governa, oppur dobbiamo pensare ad al-
ieramenti <^e.r accentuazione latina subisse nella pronunzia degli indigeni
che non erano latini? Starei piuttosto per la prima sentenza. G. I. A.]
Vocalismo leccese: é. 127
péccu -a, spéflu -a asp, pèzza, ménza mezza (merlia), sètte
septein. — II jértu -f, nièddn -i aneli-, cnsUéddu, cestiéddu, ecc. ;
piéddi le pelli, ciimpièddi (tu importuni), e cosi suitiérri, fiérvi,
siérvi, jèrsi; jèrsu jèrsi il verso ecc., smiàrsu -i, pièrsu -i,
piérsecu -ci, ìifiérnn '\\\i., jérnu liibenium (tempus), tièrnu,
piérnu, piértu -i, piérdi peiili, stèrpi^ Hèggn -i, mpriéssii -i,
rniéssi Me messi' (il mese di luglio), t'e riésli tu resti, riésfxi -i
agr#»sto '\, jèsfi Ih vesti e jèsti tu vestì, tésfu testura (coccio),
stièsfi, dièsli, ììénhi -i e taiéntn -?, parianti, siénti, runfiénlu -e,
diènti, defìèndi ere, piècrhi, liéffu -i il letto ecc., pièltu pectus,
spièlti tu aspetti e respirila despièffii; crièttu rrep'tus (cre-
pato). 2:^. Nella form. -UNTO -ENTI, a cui preceda immedia-
tamente un m, orij^nnario o seriore, non si svolpe il ditt., se
non nel caso che la silliilia tonici sia prece«luta da più d'un'àto-
na: pnrìamièniu, suramièntu p:inr., mmescamiènln mf'srolam.,
cangnmièntii, tesfamiènfii, astnnièntu bastim.. senfemièniu cce--
demiènfu 'urcidimeuto', e, dal contado, polemiènfu paini. Che
se air incontro la silbiba tonicji fossa Li seconda o la prima della
parola, vi si avrebbe e: l.imèntu, pnrnènlu palm., sumèniu
jum., turmèntu, mumètitti, cummèuLu convento, plur. samèn"-
ti ecc.; tie mmènti tu inventi, ecc. \ 24. Quanto a mègijhiu
melius, siipèrchiu , pruèbbiu proverb , ssèmpiu esempio, spèc-
chiù, ècctiiu vecchio, cfr. il n. 13.- 2">. E ctV. il num 14 circa'
gli es. sej^uenti: -icèddu -t -icell-: acèddu ac'ddi uccello -i, ca-
nicèddv (cagnolino), suricèdd i (topcdin i) ecc. ; cèusu gelso, c^r-
ru, cèrvu, tie cerni (e cernijèntu 'cernivento' cioè fannullone),
cèrtu, ngènzu incenso, cèntu, nnucènti innoc, argàntu, ^6. Voci
non bene assimilate, perchè, come pare, entrate nel dial. in età
recente: sèrvu il servo (detto di solito cnd/u *il creato', il ^ervo
nato allevato in casa), etèrnu, mudèrnu moJ., cumprèssu
complexus (comidessione), unèstu, hon , mttdèstu; ed èccu ec-
cum (pel quale più comunemente si dice t! tdil vedi, p. e. tlu
eccolo!).
' Notevole qui la concordanza del leccese collo spagnuolo. Dice Io spagn,:
fallamiénto (fnllo), parlamiénto, abaxiamiénto abbass., cumemamiénto, su--
frimiénto (pena), seguimiénto, ecc., allato a torménto, convènto, moménto ecc.
[ma anche aliménto e cimiénto]»
128 Morosi,
I.
4 Lungo.- 27. Se si prescinde da qualche lieve eccezione di
cui si tocca al num. 29, intatto sempre: filut -ire', ferire mu-
rare ecc., acantia *va canti va (fanciulla da marito), ccisu oc-
cisus, addetta gali., essica vex-, maritu, eddiculu bellico, ecc.
Quindi anche friddu frigidus (ital. fréddo ecc.) cfr. Asc. I 20',
I e spitu ant. alt. ted. spiz (spiedo). Breve.- 28. Pur di re-
gola mantenuto; dia dies, f ilice, pilu, pira e piru, me nive-,
rìsu, sinu, éinere, timu timeo, chicu plico, pice, éicere, ligu,
disetu dìgitus, site, itru vitruni, pudditru *pulidru Asc. I 18,
idi ide vides -et^pipere, desipulu (garzone apprendista). —
29. Lungo breve che nelle origini fosso. Vi passa in e [è)
quando un*altra vocal. palat. immediatamente gli sussegua: iéi,
plur. di ziu theus plur thti (cfr. sèi plur. di siu ragazzo), ed
-^i = fe in fusetéi plur. di fusetia (blapta) fugiti^va, e nel plur.
de'femin. in -la: massaréi masserie, mbriacaréi quasi Um-
-briacherie' (stoltezze), pueséi poesie, malancunéi, buséi bu-
gie'. 30. Es. comuni di ì in ^ {ié) sono: nziémi in-simul DiEZ
less. s. insembre (ov*ò da aggiungere il sicil. nzémmulay e
m-méée invece, che s'ode allato al più comune n-càmmiu in
cambio.
t pos. In posizione.- 31. Intatto: iddu idda illum illam, tnchin
impleo, tmbrece; quindi: sigghiu lilium, figghiu figghia filius
-a, ina vinea, sina simja, Hzzu licium, nei quali è un latino
e ; semtgghiu somiglio, migghiu milium e mlllium {middi mille),
dechiddecu *titillico (solletico); -idd- -ili-: angidda anguilla,
armulìdda *an'mulilla (animella), frangiddu fringillus, capiddu,
' [Ma la ragione deU*! lai. è anzi smarrita nei continuatori neo-latini di
frigido-, secondo T Arch., I 20 84 174.]
* Pare anzi che questa yicenda si estendesse in addietro più di oggigiorno,
e valesse ancora quando 1*» trova vasi a contatto con altra vocale, specialmente
con tt, uden(]osi eziandio: surge ulatéu quasi 'sorcio volati vo' (pipistrello), e
Del contado: fr-ditu permatéu fr. primitivus (primaticcio). Altro esempio ne
vedrei in léune, contad. Uune ligna, non ostante niuru nigrum. Ma in riénu,
origanum, si tratterà di riénu per rienu da rianw, cfr. i contad. nuru e Ijùne
pei lece, niuru e Uune testé citati, a tacer di esempj tose, come siéno sleno
siano, diéno dfeno diano, aoiéno avlano avevano, ecc.
' [Ma ora vedi Flech. ed Asc. nelPArch. II 407 454 n.]
Vocalismo leccese: {. 129
jancuìiddu -a (bianchiccio -a) ecc. ; -issi -t'sse -issem -isses ecc. :
facissi facessi; -ìsc-: entrisca *ventrisca Diez IP 389, Franai''
scu Frane-, tutiscu tedesco, ecc.; piscu e pi se; -isti -istiu -isti
-istis: enisti em'stiu venisti -istis; qwistu -a *eccu-ist-, ista -a
visto -a, canisu canistrum, capisu -istrum, t'ncu t'nci vinco -is,
ctncu quinque, lingua ^ inti viginti, siccu -a; -itchj- lc[u]l-:
ricchia auric- orecchia, fUrmiculicchia , sicchia sit[u]la sec-
chia; passartcchiu (passerotto), surgtcchm (topolino), tendic^
chiù (distendo adagio adagio, stiro), fissu -a fix-, enditta vin-
dieta, sittu -a strict-; -izia -izza -itia: ngurdizia ingordigia,
beddizza bellezza, ecc/; littera (deiralfab.), iziu vitium e
mmizzu avvezzo, isu isa video videat; issu issa ips-, scritta
-a, cippu (salvadanajo). E s'abbiano ancora: sinnu senno e
friscu fresco, oltre riccu comune coUMtal., antico-alto-ted. : sin»
friso, richi '. 32. Es. di i in e, quasi tutti di ragion comune,
sono* maraégghia -a viglia, e trégghia triglia r^iy'kn (contad.
-igghia), nérvecu C^niuricu) mi annerisco, nigrico, allato a niuru
nigrum; cércu circo", Érgene la Vergine (cfr. Schuch. vok. II
58; ma qui forse non è voce indigena), érde, ^\\xv.jérdi vir[i]de-
(cfr. Schuch. ib. II 29; ma calabr. e sicil. trdi)\ mésu maésu
maestro, riésu (suppellettile, inventario ed ordine della casa)
cioè ^registrx)', dov*è però in fondo unV etimologica (regestum;
cfr. Schuch. ib. I 369), menésa minestra Diez less. s. v. ; trénta
triginta, allato ad tnti viginti; cuménzu; tròzza *tricbja Disz
less. s. ^treccia' (ma calabr. e sicil. trizza)\ mpréttu mpriélti^
quasi *in-fricto ecc. (io stimolo, cimento, ecc.; circa fr in pr,
cfr. spriculu minuzzolo *s-f riculo, venez. frégolo qcq.)\ stéssu
ist'ips- (ma calabr. e sic. stissu). E qui ancora s'accolga V-étto
dei diminutivi: ramaréttu (ramer. rosmarino), sunéitu son., cuz^
zétlu (testolina) da còzza ^coccia', crapéltu capr., e trummétta
' Oggidì va però sempre più invadendo il campo la figura della lingua
scritta, ^é2za.
' Per Vi di liccu^ io lecco, posson darsi varj motivi; v. Diez gì. s. ^lec-
care', aggiungendovi la corrente latina: Ungere *li[n\ctare^ Arch. I 305 n,
[Ma sopra tutto va badato al tose, lecco,]
' Senza voler contestare questo riscontro, noterò, per incidenza, che ce = eie
= q[u]b sarebbe normale nel leccese, e quindi foneticamente assai bene am-
missibile : cérco = quaer[i]co.
130 Morosi,
tromb.y sacchétta^ ecc.; nella qual serie, il siciliano oscilla fra
i ed e. E ultimo sia: schéttu schietto, la nota voce germanica,
che è schitlu negli altri dial. meridioiuili. 33. Allato al ca-
labr. e sic. jimmu immu, gobbo, sMìa sùmmu nel le^'cese; ma
Vi e Tu sMncrociano per questo esemplare sin dalle forme fon»
damentaU {gibbo gimbo ecc.)^ e resta solo notevole che il leccese
rifletta una palatina dinanzi airu\
0.
6 Lungo. - 8t". w: iira bora, ùi voi, niii noi; siile, sùlu -a,
dùlu (io riquadro le pietre), suturi, aiitiq , sorores, dulùre du^
litri, me miamiiru mMnnam.; mura (frutto del rovo; morum);
*iira -ùrUf -oria -orio: mangaiiira -oj i, pastura -oja, caatùru
quasi 'cavatojo' (cilindro di ferro per bucar i maccheroni), pisa^
tiiru quasi 'pigiatojo* (pestello del mortajo), renatùru 'arenati»jo'
(polverino), muccatiiru (moccichino); scrùfoy tùfu tophus (tufo
anche nelT it.); riisecu rosico, eziiisu -a vitios- ; curiina, patrùna,
canziine, temiine, purmiine, masUnu mansione- (covile), dimu
e perdùnu io dono ecc., pμ [siica soga, tàja doga]; iiée
voce, cùsetu, quasi ^cogito' (pensiero, cura, fistidio), iita votura,
nepule, niitu nodus, scùpa, ttùore e nel contado ttru ottobre '. —
34\ Analogamente: mssONS: cùsu consuo cucio, sciisu scusa
ascoso ecc., respiisi respùsera risposerò ecc. 85. Decisamente
aperta è Vo di no (e con -ne epit., nòne), la quale sol nella pro-
clisi, divenendo atona, suona u (cfr. num 11"); e ancora s'ec-
cettuano :-ctin2;ó/u cunziiéli io consolo ecc. (cfr. spagn. consuèto,
e quaréla, cualéla al num. 11; ma per converso il sicil. cun^
' Qui avvien di ricordare, per ragione di analogia fonetica, il leccese fùn^
getu^ floscio, allato al nap. f'cele, ma sicil. sfincetu^ it. vincùh.
* Oggidì 8* inclina a non dar Va alle furme OR ON se noti quando la pa-
rola finisca per t o per u (cfr. i nu. 3S e 10*). Co^l nelle Puesei a lingua
leccese del D'Amelio, al sngol-, colTo i seguenti nomi: amóre, unóre, span~
dare splend., terróre, senóre (e nóre nóreta il padre, il padre tuo), pecore
pict., regóre rig-, Sarca óre, sar/nóne serm-, Ulemióne attenta, ducaiióne
educ-, pas^iióne, farcóne baie, spetturróne (urtone nel petto), purmóne; e
coir u trovo solamente: sudiire, te 'nnamìra, teizùne i\7,z, patrona. Ma nel
plur. sempre ti: culùri col., fiùri ecc. — Aggiungerò che per ^padre' i con-
tadini dicono nóre e per ^madre' nitra.
Vocalknio leccese: ó. 131
sùlu); ndóru nduéri io odoro ecc. (cfr. spéruspiéri al num. 11);
éui:iuéu uovo, plur 6e, che è Tesempio di ra<jrion comune, come,
hanno larghe attenenze anche i tre seguenti: nómu nomen,.
nóbbele^ cómu quomo|^do]; e finalmente nfócu nfuéchi io af-
fogo ecc., dove però trattasi di ò = au (subfóco» fauce); cfr.
n. 59. 36. Voci senza fallo d'origine letterata: gròria gì- ed
ettória yict-, deòtu dev*, sarcedóte sacerd-.
Breve. 37. Rimane intatto quando la voce vernacola esca ó
per a^ e eà u che risponda ad o or di uscita latina, o sia epi-
tetico (cfr. D. 12): ómu homo od ómmenet antiq., homine-, mói
mo[do] (adesso), sóla solea, ólu ola ólanu io volo ecc., ole ólenu
vuole ecc., se dóle, stara storea, (óre (che richiama 'fora^', non
già *foris'), sóru soror, córet nóa nova, móu mòe móere mo-
veo ecc , óe bove, rósa^ sónu -a sono -at, irònate tonitra, bòna -e,
ómmecu -a vomito ecc. (cfr. Arch. I 527 n.), sócu sóca joco -at,
cócu cóce coquo ecc , sócra^ ròta, p'ite -est, próu próa prob-., —
Passa air incontro in uè quando la voce vernacola esce per (
per Vu che risponde alfo tematico del latino (cfr. n 12); ma,
nella parlata odierna, il dittongo si as;)ottiglia ad e, quando non
sia o non sia stato immediatamente preceduto da conson. gut-
turale o labiale: uéli tu voli, uélu il volo, uéi tu vuoi, te dèli
ti duoli, cuéri i cuori, cuéru coriura, néu nei novus -i, muéi
tu muovi, uéi i bovi, séni tu suoni, sénu il suono, trénu to«
nitru, buénu -i, uémmechi tu vomiti, né*nmaru glomus (cfr.
Asc. II 424), sechi tu giuochi, seca il giuoco, cuéci, tu cuoci
e cuécu il cxxoco ^puéi tu puoi, rétu rotolo (peso), muédu mo-
dus, préi tu provi. 38. Ma entra nell'analogia delTd, V o del
neo-latino -tó/o = lat. -éolo^: figghiùlu figliuolo, falaùru e /ii-
raùlu "favareolo- (baco roditor de* legumi e specialmente delle
fave), latlarùlu dente lattajuolo, pennalùru guanciale di piume,
Turchiarùlu, nome loc, *Torculareolo, resigyhHilu orzajuolo,
pirùlu "pireolo (piuolo), pasùlu fagiuolo, caniilu, piniilu, lan-
zulù lenzuolo, ferrezzùlu ferricciuolo, Puzzùli Pozzuoli, rgùlu
orciuolo; currisùlu correggiuolo, pezùlu ^podiolo (colonnetta.
' Questa d vicenda comune a tutti i dial. ital. merid., e a torto Io Schu-
CHARDT, Zeitschr, f, vergi, sprachf.^ XX 283 seg., vede ne^napol. (iliàlu^ fa-
sàlu ecc. un affilamento del dittongo (uo) che é offerto da* riflesai italiani.
132 Morosi,
paracarro); e, passando al nome di chi eserciti qualche pic-
colo commercio: fugghiarùlu Sfoglia] uolo' (ortolano), aquarùlu
acquajaolo, ecc. Cosi è anche nel feminile in cagala cayeola
(gabbia); ma del resto, regolarmente: scalerà scareola, ana-
róla bagn., fumaròla^ ecc. Laonde 1'^ è costante solamente
allora che la parola finisca per t o per u (cfr. ìa n. al n. 34 e
il n. 10^). — Ancora è eccezionale il riflesso di ^morior', in quanto
vi si oscilla tra muéru e mòru (cfr. n. 43). 89, Non pre-
sentano dittongo le seguenti voci non latine: strólecu astrolo-
gus, arrófalu caryophyllon, cófanu cophinus (tino pel bucato),
e mónecu -achus.
(5po8. I'"' posizione.- 40. Di conformità col sicil. (Aso. II 146), V6
Tenuto in posizione romanza vi mantiene il suo legittimo riflesso
(n. 34; cfr. n. 17) ipùrpu polypus. sùr^e sorice-, tùttu totus (cfr.
mlat. tuta ecc. Sghuch. vok. II 114), cutùnu cydonium, cùcchiu
cop[u]Io (appajo, accoppio), col nome cùcchia (cfr. mlat. cupla
ScHUCH. ib. 108) e coU'aggett. cùcchiu (vicino); chiitppu piop-
po \ 41, Ma pur qui, come nel sicil. (Asc. ib.) e nel Calabro,
non iscarseggiano i casi di u^ó di poslz. latina (cfr. n. 18), in
ispecie dinanzi a R e N: cùrcu corico coll'co; n-tùrru terreo
(torrefaccio), cui si può aggiungere n-fùrra fodero, got.fódr
DiEZ less. I' 183; poi: sùrvia *sorbea sorbum (cfr. <jo6pPtx in
pergam. greco-ital. dell* a. 1154, ap. Trinchbra op. cit. in nota);
farsi forsit, dùssu^ mùsu muso {mùssu nel contado), sùrsu^
tùmu tornio, fùrma^ tiirta v. Arch. I 548 6, dir te ^ ncùrtu
(spingo il gregge nella corte);- canUscu cognósco (Aso. I 31);-
pùstu pos[i]tus e mpùstu compito imposto ; col quale manderemo,
oltre il german. rùstu arrostisco, anche casta constat e respùstu
risposto (v., più giù, il rifl. dì Vespondeo') ; - nùnnu -a nonnus -a
(nel linguaggio fanciullesco ^signore, signora')'; - funte, frùnte,
ntùntu atton[i]tus (balordo), pùnte, cùnte com[i]te-, cùntu il
' Ofr. jlàppo delle colonie romaiche delia Calabria; TrXous-Trot in una per*
gam. greco»ital. dei 1124, ap. Tbinchsra, Syllabus graecar. membranar,^ Na-
poli 1865. Notevoli poi i riflessi che risalgono a ploplo, cioè alla figura col
l anticipato e insieme conservato al posto suo (cfr. fiacco ta flacula, Asc):
abruzz. aquil. Jdpptti^ donde s'arriva al norcino óppiu.
' Singolare Va da o in ndnni nonni, avi, onde nanndseni bisavi e nan"
nuércu orco, nannórca orca. [V. la n. a p. 126.]
f un:','., tv ;
Vocalismo leccese ; y. , y 133
conto e il racconto*, pruntu prompt-, ncùnti^frùnda e frùnia,
tùndu tondeo, scùndu absc-, respimdu. 43. Del resto, in ana-
logia del num. 37: I. osse ossa, óne orane-, [de-pói], fógghia^
ógghiu voglio, ógghia la voglia, cógghiu coglio (colgo), spóg-
ghiUy me dógghiu, dog ghia la doglia, módde, mmóddu -a im-
mollo -a, ótu io 'volto, 'na óta una volta, fòrfece, mózzecu -a
morsico ecc., tórnu -a, dórmu -e, pòrca, tórta -e torct-, fòrte,
mòrta -e, la mòrte, pórtu -a, scòrga, mòrdu -e, còrda, n-còrdu
-a accordo (uno strumento musicale), róssa -e gross-, pòzzu -a
io posso eh' io possa, tòsta (dura), nòia -e nostr- e òsa -e vostr-,
mòsu io mostro, mòla la mostra,, 6e5Óna, lònga lònghe, spònza
spongia, cònzu -a io concio ecc., sónnu -a somnio -at, tòccu -a,
còssa coxa, nòtte, còtta cocta, zòppa. — IL égghiu oleum, értu
hortus, érgu horJeum, éssu ossura, écchiu écchi oc[ujlus -i;
léggkiu lolium, fuégghiu fuégghi folium ecc., cuégghi tu co-
gli, scuégghiu scop[u]lus, muéddi molli, mmuéddi tu immolli,
cuéddu coUum, fuérfeci, muérsu -i morsus 'pezzo', muézzechi,
tèrni, cuérnu 4, dèrmi, puércu puérci, fuérti, muértic 4, puérti
' Se pure nel significato di ^racconto' non risalga a ^convento (cfr. neo-
-ellen. xo^ivra: -cà^rA), alban. xojSsv^c, rum. cuvunt)^ nella quale ipotesi la to-
nica tì può essersi determinata dall' atona delPinfln. cunMrg = *co[n] ventare,
come anche in mpruntu io impresto, allato ali* infinito onde deriva, che qui d
mpruntdre, v. DiEZ, s. improntare. Si avverta intanto: 1.° che il prov. e il
frane, distinguono anche foneticamente le due voci (prov. com'ar e compie o
comte^ frane, compier comter e compie o comfe = computare ecc.; prov. contar
6 conte^ frane, conier e conte^ narrare ecc.); 2^ che il lece, adopera cunidre
nel secondo significato in modo cosi assoluto, che deve ricondursi ben più
ragionevolmente a 'conventare' che a 'computare'. Eccone degli es., che traggo,
fra mille, da una mia raccolta di canti pop. della provincia: Cu la mia Bédda
nu eòe ccuntu 'n'ara colla mia Bella non ci discorro un*ora; Mo cci hbinni cu
ccuntu a la mia Dònna or che venni a parlare alla mia Donna ; Ci bbue' ccànii
cu mmie divèrse fiate se vuoi discorrere con me ecc. [Quando il lece, càntu
rispondesse a 'con-vento\ non s'avrebbe già a discutere sul minuto particolare
se egli abbia Vu da o per via diretta o non piuttosto per la via dell* infinito
cunidre = 'euventare' ; ma si tratterebbe d* una figura nominale tolta di peso
dairalteratissima figura dell* infinito; poiché il diretto riflesso di 'co[n]vento'
avrebbe ad essere comméntu o cu[v]éniu. D'altronde, la differenza fonetica,
che ò tra comie e conte ecc., non potrebbe giovare:* all' ipotesi che fa càntu
r: 'convento', se non quando fosse mostrato che il frc. conte o V it. [rac]con-
tare ecc. possano ugualmente ricondursi a 'convento' ecc.; alla quale dimo-
strazione non credo che nessuno si vorrebbe avventurare. G. I. A.]
Archivio glottol. ital., IV. 10
131 Morosi,
tu porti, 6 puértu il porto, cuérpu, scuérgu (sinon. di scòrga^
muérdif n-cuérdiy réssu -f, puézzi quasi 'che tu possi', téstu -t,
nésu 4 e uésu -f, muési tu mostri, réspu, hesénu -i il biso-
gno ecc., léngu Unghia cuénzU sénni tu sogni e sénnu il sonno
e il sogno, iécclii, cruéccu uncino (cfr. Diez less. s. eroe, e più
specialmente T Arch., I 181), iéssecu tox-, nuéfti le notti, cuéttu
'i, zéppu 'L 43. Abbiamo in iiéttu octo, un'eccezione analoga
a quella che vedemmo in mitéru al n. 33. 44. Non ditton-
gano: cóccalu (cranio), sódu sol'd- (quieto, fermo), ccórtu ac-
corto (scaltro), Rónzu Orontius.
U.
^ Lungo.- 45. Sempre intatto: chiù chini plus, ùa uva, ùnu
una, midu\ -^ùra: cxiseiùra cucit., ecc. ; iwru juro, mùru, dùru;
fùsu, sùsu, siis- sursum; lùnay fùmu\ ràculu bruco, salute;
"ictu 'ùta: ferùtu ferito, eiita bevuta ecc., summùtu gobbuto;
xi spùtUy cùpu. — Breve. 4(5. Intatto: su sum, cu cum, addù
de-ddù ad- de- ubi; ùla gola, fùleca, petra-pùmmeóe, cucùm-'
merCf tùmmenu tumulus (misura di capacità pe' solidi), nùce,
criiée^ sùu jugura, fusi fugis, pùtu io poto, lùpu; ùtru otre
(cfr. DiEZ P 3. u, e Arch. I 185). 47. Quando, o dalle origini
per dileguo di conson,, trovisi Tw a contatto con vocal sus-
seguente, muta in o, che anche può passare in dittongo, come
fosse un o primario (n. 37 II): fai e fuéi fui fuit, e fuémmu
fuimus; chióe pluit, dói due (e, nel contado, rói grue), sóu sóà
suus sua e sói sui suae, e cosi tóu tóa e tói; góa ju[v]at, góane
ju[v]ene-, [tróu trovo].- Cfr. il n. 29. 48. Non peculiare al
lece, è Tff di nòra (=it. nuo7*a ecc.) nurus.
ums, ^^ posizione. - 49. Intatto: ùrtemu ult-, ùrsu^ una, ùntu
ùnta; nùddu nùdda nullo -a (nessuno -a), pùrvere pulv-, dùée
dulce-, mùtu multus, cùrpa culpa, sùrcu sulc-; tùrre, fùrnu,
fùrca, mùrca am-, cùrtu, sùrdu, trùbbu turbidus, fùscu, mùsca,
aùstu agosto, mùstu, cùnu cuneus, pùnlu, n-zùna axungia,
jùnda *flunda (fionda), mùndUy rùmpu io rompo, chiùmmu
plumb-, ùcca bucca ; cunùcchia, fenùcchiu ; ssùttu exsuct-, frùt-
tti, [fùsu fugio], stùppa, restùccu stoppia, sùtta subta. 50 (cfr.
n. 2Z e 37). In o: fòdda-ioWdL (fretta), v. Diez s. follare;-
Vocalismo leccese: u, ecc. 135
sliiélecii (stupido), se ha per base 'stult-' (stolt-);- descórru e
descuérzu discorro -orso, allato a cùrru cursu; ntórzu ntuérzi
*inturgi[d]o ecc. (io gonfio)- Jósa giostra;- ònza uncia (e, nel
contado, n-zònza axungia);- nzómma in-summa, e tròmma
tromba (cfr. quarémma num. 11);- stozza e stuézzu spezzo,
brano' Asc. I 36 n. ; - nfròttula (in frotta; DiEZ less. s. fiotta). —
De* quali esempj, fòdda, nzómma, trómma, posson dirsi di ra-
gion comune; e per culónnay che a loro s'aggiunge, giova im-
prima ricordare come il lat. arcaico ^colonna' suonasse tuttavia
nella becca della plebe romana attempi del grammatico Probo»
e più specialmente giova richiamare, insieme colla particolare
concordanza di più vernacoli (Flech. II 399), lo stesso it. co-
lónna, allato ad autunno, alunno. 51. Comune col sicil. è Vi
di rindina (sic. rinnina) rondine, del contado, lece, rendinédda.
r
52. Riflesso per u nelle voci pienamente romanizzate. Oltre
i soliti ùrsa borsa, tùrsu torso, tùnnu, ratta grotta, cito : cud^
dura collura (panetto rotondo e crosta del pane), e tùmu timo
selvatico. 63. Seguono gli esempj in cui s'ha a come da i {y)
in posizione: méndula à[AUYSaXvi (cfr. Schuch. vok. I 219); Lécce
Lypiae; e col dittongo dell' ^ secondaria: siéstu (;u<rTd5) sesto. —
54. Finalmente ammdce, it. bambeìgia.
Dittonghi.
M. 55. ié, e: siéculu, niéu naevus; éélu e cécu cfr. n. 14;
riécu reca graec-, prémiu (cfr. num. 13, se pur non è voce di
origine letterata), prédecu priédechi;- bbréu hebraeus. Cfr. il
num. 12, e anche il n. 7. 56. i: sudtu, pi. sudéi, eie. num. 15;
n^lnu, tose, inaino *encaenio èyjtatv- cfr. n. 19. OS. 57. e : péna
Asc. I 67;. 58. e: fétu flèti ioeteo ecc. efiézzu{oeioT;mepéntu,
te pienti \ AU. 59. Prescindendo da cute e cùda, che rispon-
dono a 'còte-' e 'còda' già latini, pur qui si contrae in o, dal
' [Lasciando questo secondo esempio, che ò di posizione neo-latina, ò da
notare^ circa V§ té di fieti ecc., come Tltalia sia concorde nel farci arguire
piuttosto ^faetor' ecc. che non Tortografico ^foetor' ecc. Vedi, per la corografia
del dittongo di fiéto, Flechia, Riv. di fil., I 99. G. I. A.]
136 Morosi,
quale o secondario, s' ha poi, nel verbo, anche il dittongo del
n. 37 II; còsa; repósu -uési, gódu guédi (cfr. n-fuéohi al n. 35) ;
órw, tresóru, pócu^; póeru e pòru pauper; iiósu inchiostro. —
60. Intatto solo in càulu (contad. c6lu), làura (contad. lòru)\
oltre Pàulu. 61. Perduto il primo elemento del dittongo in
chiiidu (ma cfr. Àrch. I 499); e il secondo assimilato alla con-
son. che segue, in nàssia nausea. 62. AU romanzo, ove se
ne eccettuino palóra parola e sòma, rimane inalterato: àula
bajula (balia), àuca oca, ràulu gra[c]ulus, fàu fa[g]us, fràula
fra[g]ula, àunu agnus, tàula ta[b]ula; e può qui ricordarsi an-
che il num. 6.
Vocali atone. .
A.
63. Di regola intatto, quando non sia originariamente inizialo:
malàtu, paria pareva, caatùru num. 34, pa^iàru num. 7, la^
méntu, devacàre de-vacuare (vuotare), lacértu (muscolo del
braccio), attia batteva, cadia cadeva, capiddi -illi; tagghiàre
tagl., caddùzzu cavalluccio, martedta, ncrastàre incastr. ,
chiangia piangeva, derlampàre lampeggiare, ecc.; e dopo l'ac-
cento: màndalu [jt.àvSa).o;, scàrdalu, càmmara, àmmaru ca-
marus, chiappavi cappares, sindanu scendano, stianu stavano,
lassarne lasciami, ftcatu, cànapa, 64. In e, oltre che nel
solito sennàrUy l'abbiamo, dinanzi all'a tonico, nei due es. assai
poco conclusivi: serà^ nell'accezione avverbiale di *forse, sarà',
allato alla desin. -ar-à (ital. -er-à) della 3. sing. del futuro di
1. conjugaz., sempre intatta: lassava, restarà ecc ; e pedata
patata, voce d'importazione affatto moderna; 65. e dinanzi
airi tonico, in man te^i'nw quasi 'manta-s«no' o 'copri-seno' (pez%
zuola), lemmiccu lambicco. In ecitu aceto, allato a citu. Ve va
forse ripetuto dalla palat. seguente (cfr. Arch. I 41 n., ecc.). —
66. Circa mónecu e stòmecu, v. Asc. I 546 e, 548 a. 67. Per
Talterazione in m, niente di notevole: méndula n. 53, curmu-'
nùsa cornam. 68. Mediano confluisce o si perde in càddu
' Nel senso di ^poca cosa' dicesi picchi; ed é voce che di certo non avrà
nulla di comune con ^paucus', ma andrà piuttosto col sardo ^i^tcu piccolo, ecc.,
di che vedi Schuch. vok. II )203.
Vocalismo leccese: àtone. 137
cavallo e n-carcàre cavalcare, sargemscu mellone saracinesco;
Raféli, mésu num. 32.- Ma Taf eresi, cosi dell'^j, come del-
r altre voc. atone, che primamente ponno anche essere passate
in a {eie. n. 77), è qui frequentissima.
E.
69, Di regola, intatta (cfr. n. 76): sciata 4a gelata' (brina),
cerasa, de-rélu, re-suHilu ecc., enerdia venerdì, fenésa -estra,
iremidizzu -olio (paura), seciiru, medùdda -ulla, [sepali siepe],
hedcUzzay cerviéddUy ergiina verg. , erdàte veritate, sentirei
essica vex-, restati -avit, desperdtu, perdùnu, ecc.; e dopo
Tace: àngelu] fàcere, dicere ecc.; pùrvere^ sénneru genero,
cmerCy óimnere vom-,- cuciimmere, carcere, cicere, pipere. —
Per e intatta all'uscita, agli es. soliti aggiungo: òse hodie, óne
omne-, dHce decem. 70. Es. di ^ in a dinanzi a r scempio o
complic. ; in sili, protonica: quaréla, puariéddu pover., sarf^nu,
ntaréssu interesse, nzarràgghia *seralia (serratura), allato a
nzarràre\ marrànga mel[a]rancia, tarrénu, sarmiine^ntarténu
intrattengo;- e ancora: sarafinu, paraménti quasi 'per-a-
-mente' (a proposito), taranóla forse *terraneóla (allodola), tara*
titffulu tartuf ) (DiEZ. s. truffe), carmusinu cherrais. , marcan-'
zia e marcantéssa, allato a mercàtu ; — in postonica: catàfaru
cadav- (vecchio cadente), pàpara, pàssaru, càncaru, — Dinanzi
ad altre consonanti (cfr. n. 77,) e forse, nell'uno o nell'altro esem-
pio, per un influsso, più o men probabile, dell' éi: malancunia,
calandàriu ; piata j staccàtu steccato; [vedi ancora la nota al
n. 21.] 71. Passata in e, nell'iato, dinanzi ad a ed e\ criàtu
num. 26, jàtu beatus, carniàle carne[v]-, tiànu teganum (Arch.
1525) e tiédda padella = *te[g]ella (tegula).; e, nel contado,
liànte (quello de' mietitori che leva da terra il grano falciato);
ma tuttavolta deàcu devacuo;- più raramente dopo à\ fràima
fratta fràisa fra[t]ema (il fratel mio), ecc. E sotto l'influsso
d'un % susseguente o di palatina attigua: rista 'eresia' (caso
strano); dicina, dicidóttu, cfr. déice num. 16; riésu num. 32;
per tacer di ùndici, dùdici, ecc. Dopo i quali mi restano: Mini^
jéntu Benevento, e minimiéniu *bene-mezzo', il giusto punto
di mezzo (cfr. Schuch. vok. I 395). 72, Di rado in u, per
effetto di labiale attigua (laddove nel tipo napol. è fenomeno
133 Morosi «
continuo): nfurgàre impastojare (cfr. férge pastoje), mulanése
(sorta di catenaccetto di ferro, che primamente sarà stata 'mila-
nese'), muntuàre mentov. ; rumami remaneo. A'quali aggiungo,
dal contado: fuddó (psXX'ic (sughero), furteciddu vertic-;mu-
dùdda medulla, a la purfine, piirééne perchè; hiàre lev., allato
a liànte su cit., prumintu prem- permetto, trumpàre (da trémpu
'tempero', io impasto, faccio il pane); — e in diversa congiun-
tura: sutàzzu^ surviziu, 73. Dileguata per coalescenza: le-
rénzia re[v]er-, dentare de[v]ent-; e per l'enclisi in sirma stria
strsa, 'sire-ma* il padre mio, ecc.
I.
74o Intatto nelle seguenti serie: iàggu jàggu viaggio, didulu,
castiàre casti[g]-, riénu num. 29 n. ; préite pre[vjite ; spilàre
«fil., piràzzu pero selvatico, minézzu num. 9; mamminiéddu
bamb.; asinicói PactAtxó?, miniminiéddu (iito mignolo), nfari-
natiéddu (un pò* infarinato) allato ad nfarenàre (farina) ; pri^
matiu -ivo (-iccio), allato al contad. permatéu; dinanzi a
suoni palatali: carrisàre *carnjare (carreggiare), entisàre 'ven-
teggiare' ventolare, annisàre bandeggiare, da carrtsu, ecc.;
figghiulisàtu 'figliuoleggiato* (ricco di figliuoli); capisàle 'cape-
strale' (cavezza); currisùlu correggiuolo, uftisàna gorno di
lavoro, cioè: 'quotidiana' (cfr, il neo-ellen. scaOr.jjLspivfi) ; -figghiàre
figliare, pigghiàre, scumpigghiàre^ ecc., nicchiàrecu (affitta- ^
judo ad anno) *annicularicus, ricchetédda orecchietta, sicchi-
tiéddu secchietto, -tinàre tarlare, pinàtu -atta, pinùlu -uolo;-
mpupicàre (pulir con pomice), prudicéddi (geloni); ma, per
contrario: erteciddu verticillus, eéinu vie. ecc. * 76. Del resto,
la regola è, che si muti in e, pur senza la condizione che suol
promuovere questo mutamento nello spagnuolo (un i tonico nella
sillaba successiva; Diez P 175). Quindi, in proton., non solo:
' Quasi superfluo ricordare Y -i dei plurali o delle sec. pera.; e, più che
per altro, qui n& tocco per avere occasione di citare ciéddi chicchessia (a
nessuno), checchessia (e niente), da ci-telli^ quasi 'quem (o quid) velles^; la
qual Yoce leccese rende più che mai inverosinoile la parentela a cui il Diez,
assai timidamente del resto, avea pensato, fra T antico ital. cavélle covélte
(anc'oggi in uso in Toscana e Abruzzo) col medio alto-ted. Aa/'(pula); v. il
suo lesa, a. cavelle.
Vocalismo leccese: àtone. 139
éelizzu cilicio, semi'gghiu simiglio, erteciddu^ ecinu\ decia
dicebam -at, purecinu pulì ice nus, ccedia occidcb-, preceptziu,
screia scribéb-; eddicu bellico, desipulu^ endina vindemia;
lessia lixivia; ma eziandio: pelare (pilu\ deràggu derài dirò
dirai {dtcu), reàre arriv. {riu), cela ci[v]itat-, lenàzze vinaccie
{inu), anemàle, checàu plicavit (cAicu), mesMa, ccedemiéntu
{ccidu) occid-, eulu bevuto {bbiu), seccare [siccu), mmezzàre
(mmizzu num. 31); fersiira *frixoria Asc. I 534, ériulùsu vir-
tudioso, descòrdia, pescuéiti biscotti, tezzùne tizz. S'aggiun-
gano, perchè voci proclitiche o quasi, i dativi pronominali me,
te, se (p. e. me fi'ce nu riàlu mi fece un regalo); se congiunz.;
ce quid; fen a mot fin a rao*.- Cosi in poston., non solo: fèm-
mena fem-, dumtneca, litecu -igo, impreée, dtsetu digitus; ma
eziandio: làecu laicus, ndecu nafvligo, miédecu, sóletu, etrób"
heca bydrop., ùneca, petrapùmmecci sùbbetu. 16. Alla me-
desima sorte par soggiacere, di regola, nella sillaba atona che
immediatamente preceda alla tònica. Vi che proviene da un*^
latina (num. 10, 17, 18). Ma non sarà piuttosto Ve latina che
fuor d'accento resti intatta? Cfr. il num. 69, e Asc. I 216-17.
Comunque, si osservino: telàru {ti la), esternare (astimu), ere*
dia (crisu), ntesàre (ntisu 'vo distendendo'), steddùzza {stidda)
endia (tndu), ecc., a tacer degli accusativi proclitici me, te,
se (mie, tic; p. e. quiddu me feriu). Ma Vi par che tenda a
ricomparire, quando sia atona pur la sillaba successiva, come
in fimmenédday simmenàre, ciHderànnu, zinzulùsu cencioso
(num. 18) K All'incontro: spinnàre {pinna), allato a pennalùru
n. 34. 77. Di t in a nella prima sillaba, ho i seguenti esempj,
circa i quali è da considerare la general tendenza neo-latina e
il num. 70 (e il 68 inf.): maraégghia mirab., varolétta (tarent.
varale) viria;- sarvàggu; frangiddu, lanzùlu, facétula ficedu-
la;- sanàpu sinàpi. Ancora assimilato: pastanàca; e in poston.:
rdndani grandines, pdmpane, trónate tonitra. 78. In u di-
nanzi a ^ dopo labiale: pónnula polline- (fior di farina); su-
vudia giovedì (del contado); oltre i soliti simula e niiula
^ ' Date due protoniche, la prima di esse pud facilmente diventar seniito-
nica, e quindi la sua vocale facilmente restare o diventare qual sarebbe sotto
r accento. Si consideri pure al n. 74; nfarinaiiéddu^ e qualche altro.
140 Morosi,
comuni coirital. {sémola, nùvola) \ 79. Pel dileguo di i {o j)
accanto a vocale, noterò: aderizza audientia;- scàu schiavo,
scàmu io schiamazzo, 5C<i^fi« schiatto, scuppétta schiopp-, ràscu
io raschio, miscu mischio, iiscu ust[u]lo (brucio);- -àru = -arius
num. 7; fera num. 11, stóra num. 37; -àsu = -asius num. 8;
cammisa;- finalmente: cuntadécima quihtad., n-custór*^ acquist.,
àcula aquila, sécutu, sangunàzzu. — Dileguato tra consonanti:
farnàru num. 7, arma an'ma; ndsche *nasikae (nari; cfr. il n.
p. lat. Nasica) e fors'anco naca, culla, quasi *navica; sùrge
sor[i]ce-, erdàte vep[i]tate-, trestiéddu, quasi 'trespitello' (tre-
spolo, sgabello).
0.
80, Di regola è u, tanto se in accento sia pure riflesso per
ti (num. 34), quanto se per o od uè (num. 39 e 42): calare
{cùlu io colo), nnamuràtu, ncurunàre, rusecàre, nutecàre (me
nùtecUy mi faccio nodo, indigestione); figghiulisàtu num. 74;
caggulédda, cussuprinu consobr., cusetùra, curcàtu, n-turràtu,
sufsicéddUj furmàrey furmica, canusia cognoscébam, cuntàre,
muntàna; — ulta oliva e volevo, curia corigia, muta movébam,
sunàta, dumtneca, sucàre, putta poteva, cupiértu, fugghiàzza,
utàre voltare, furfecicchia forficola, muzzecàta morsic, tur^
nàre^ durmire, puscrài post-cras, luntànu, tuccàre, ecc. - Dopo
Tace: némula anemone, trémulu, diàulu, lépure; -ure = -ora,
desin. antiq. de' neutri plur.: càpure i capi (le teste). — E nelle
uscite, sempre w. 81, In a nella prima sillaba (cfr. n. 77):
ammàce bombace, canàtu cognatus;- caniiscu cogn., 5car-
piime. 82. In e, od f, per dissimilazione, succedendo u: re--
sigghiùlu, quasi 'orzogliuolo' (orzajuolo), prefùndu, pezùlu
num. 3i\ precùru;- pósperu phosphorus (zolfanello), diàlegu,
oltre àrveru (ma lépure lepre). 88. Di a in au (dfr. Arch.
I 146), il leccese proprio non dà eserapj, ma si la parlata del
contado: auUa oliva, auriénte, aunéstu hon-. 84. Dileguato
nel contad. cruna corona, oltreché in cùrcu (ital. corco).
* Prescindendo dair Italia centrale, cfr. il calabro-cosent. pj«r^M/a pulvere,
rdnnula grandine; il sicil, tìccula ulcere, ecc.; e per analoghe vicende nel
romaico, MoR. IV 7-9.
Vocalismo leccese: àtone. 141
u.
85. Di regola, intatto: ulùsu gulosus, suramiéntu giur., /u-
nàtecUf sudùre; puddàsu pollastro, murmuràre, curtiéddu
cultell-, rumpia -ebam -ebat, muccatùru num. 34 ; e mét^ula,
àsula *ansula (occhiello), spingula *spinula (frane, épingle)^^
siécuhi, — In docéntUt ducentum, si continlia Vo' di dói num.
47. 86. È dissimilato ne' seguenti eserapj (cfr. n. 82): n-trau^
lisu quasi 'iutorbóleggio' (io imbroglio), cfr. n. 89;- chesùra
(chiasùray nel contado) chiusura (muricciuolo a secco che ri-
cinge un podere, e il podere stesso), presentùsu praesumptuosus,
reicmmu rugùmo (rimugino); sànsecu sampsuchus, tùmmenu
num. 46;- ma altresì: farnesi a alterigia (dall'aggett. fumiisu)]
e, nel contado, felinia fuligine. 87. In au- (cfr. n. 83) : ausànza
e aunitu^ nel contado. 88. Dileguato in séncu ju[v]encus, oltre
gli esGmpj di coalescenza: presentùsu testé cit.; de cuntinu di
continuo, j^erp^^M, deàcu devacuo;- tra conson. : réddu *rot[u]-
lus (di carte), onde il diminut. réddulu.
T
89o Di regola, , riflesso per u; ma non si esce quasi da' soliti
es.: nicuhzia regol., glycyr. (nel cont. anche aurizia, allato
al bar. ugurtzia, cfr. n. 86), marturisu martorio (martirizzo),
murtédda mort., mustàzzu mostaccio, cutùnu num. 38; poi:
tunndra tonn., tumàra (tratto di terreno ove cresce spontaneo
il timo), rutticédda grotticella, che rampollano dalle voci che
già avemmo al num. 50. 90. In a nella prima, come ne' soliti
sampima e arrófalu garof., anche in tampdnu *tympanium
(cocchiume) *,
Dittonghi.
AE OE. 91. Ve anche in fenùcchiu e cepùdda. AU. 92.
Raramente conservato Vau latino, come in caulicchiu {càulu
* [II DiEZ, traendo il frc. épingle da 'spin[u]Ia' (gr. s. NL, less. s. 'spillo'),
imaginava l'epentesi di g^ per la quale non aveva altro esempio. Il lece, sptn-
gula, che non presume il nesso N'L, rende più che mai improbabile il pen-
siero del Maestro. Risaliamo ben piuttosto a *spicula', coli' epentesi della nasale,
come ò ne' così ei*tesi nti[n]ga mica, co[m]bi(o cubito, e altri. G. I. A.]
* Forse qui verrà pure paprisa (upupa), cfr. cuccudsa (civetta).
142 Morosi,
cavolo); di solito, vi risponde u: luritu (fóurte), repusàre, uc-
càia boccale ecc.- Ma diremo piuttosto perduto il primo elemento
in utiinnUy come si pRrderebbe il secondo in nackiru nura. 10,
acéddu augello, adénzia n. 79. Allato ai quali si posson ri-
cordare aiiru auguriura, aùstu iistu agosto, e finalmente ric^
ehì'a. Vau romanzo, intatto: f ausare, fauéidda, autóre,
ausare, auniéddu od aunicéddu, taulinu («"fr. nn. 6 e 62). —
L'w d'entrambi gli au attratto dalla gutturale (cfr. Aso, II 145):
cuatéla cautela;- cuagéttu calz., cuacina cale, cuadàra cal-
daja. Singolare: satizza salsiccia.
Appendice I.
DIALETTO DEL CAPO DI LEUCA.
Toniche.- 12 e 22. LV, sì breve, sì in posiz., ben si contìnua
per Ve aperta, ma non dà mai dittongo, quand'anche la vocal finale
sia i od u: ert, teni^ tr^mub\ senuti^ tnedanu eco,; curfeddu^ f^'^^u,
(e servi, vertiu, perla, te vefiti, pQttu, ecc. 37 e 42. E avvlen simil-
mente deird: ommini, tu roti, tu vgi, mori, prO"i, tronu, focu ecc.;
occhiu, Sogghìu^ te vQti\ [orfici, cornu, dormi, ngsu, cóttu ecc. 59 e
62. L*a del ditt. au, si originario, si romanzo, sotto la iufluenza della
labial seguente si colora in o, fra il quale e Tu il più delle volte, ad
evitare IMato, vien inserto un v (cfr. Diez I* 171); rare volte è invece
assorbito Tu: cóulu cóvulu caule-, Póvulu, lóvuru lòru, tóvuru; [così
pel num. 6: fóvusu, cóuce, fóuce e fòce^ cóugi e cógi^ óutru óvutru
ótru, óutu ócutu òtu, cóvudu. Catòfu\\ óvuyiu, tóoula. Atone. - 70,
77. In prima sillaba si può dir costante V a éa. e dinanzi a r e a n
scemjj o complicati. Cito gli es. non comuni col lece: card'ia, n-zar^
rare, darfino delf.; carvéddu, jarsira jersera, [farsùra], varnedia
venerdì, marcàtu, sbrauTidtu svergogn.. vartecfddu, pardia perdeva,
sarpéntu^ ecc. ; — tandgghia^ tanta teneva, fanésa, sprandùre splend-,
In poston. : vónibaru vomere. — Per t in a: Sartgia gìngiva; frdbbacu
fabrico, duminaca^ fimmana, fAddaca, médacu. Ma T-i converte in i
Ve della sili, poston. negli sdruccioli: pdssiri, cdnchiri, ctóiriy ecc.;
e difende Vi organico: préviti, dmmmi, p '^*<?V, mèdici, ecc.
ì
Vocalismo leccese: Appendici. 143
Appendice II.
DIALETTO DI BRINDISI*.
Toniche.- 10, 34.- Per o ed Ó^ e per Te ed o di posiz. che sìeno
riflessi a Lecce come son Ve ^ Ve (cioè con t e con u), questo dialetto
si trova nelle condizioni del napolet. cioè non risponde con t e con u,
se non quando la vocal finale è un t od un u (cfr. la n. 34 del lece).
Così: I. m'iu, Mnu, tùi j astimi, avimu, f{ci, cUu ac-, s{u\ ddi misi^
due mesi, vindi^ crisi^ ecc.; — ma all'incontro : méla^ téla^ séra, chiéna^
jìli jastému, feci fece*, sétula, nzévu insevo; nu mési, sémmivu, fém--
mina, stédda, véndu, créscu, ecc. — II. sul4ri, li diHri i dolori, te
nzùri •in-uxor- (ti sposi), li stirici, muccotiiru, amurtUu, li craùni ì
carboni, nutw, scùsu\ [figghiùlu n. 38]; p'rpu, cariasi tu conosci,
reapùndi, ecc,; — ma all'incontro: óra hora, lu dilóri, menzóru, lu so"
rice, amurósa, lu craóni, fia vóce, me nótecu, scó^a, j\U canóscu^ jéi
respóndu, ecc. 28-31, 46-49. E il caso analogo si riproduce per i
ed ti, si brevi, si in posizione. Cosi: I. p{ru, ruinif li Cinniri (la do-
menica delle Ceneri), chichi, dtìutu, vivi bibis, ecc.; tu inchi, liimbriéi,
qurddu, li pisi, tintu, caul'cchiu -iculus, siftu, friddu ecc.; — ma:
péra, jAi menu, la cérmeri,jùi chécu, li désete le dita, néri^jui vévw,
jUi énchiu, lu émbrici, quédda, lu pési , tenta \ récchia, sètta, fréd-
da, ecc. — II. /{ pùlìci, tùrnmunu, li nùci, l'ai pùti, ecc.; ùntu, li
vùrpi, sùrdu, fùscu, mùstu, pùnci tu pungi, mùndu, ecc.; — ma: fó^
lica, lu cucómmeri, la nói:i, jùi pótu; ónta, la vórpi, sórda, fosca, ero"
sta, pónci egli punge, fènduta, vócca bucca.
Atone. 69 seg. Costante t per e, cosi primaria come secondaria
(cfr. il sicìl., Asc. II 146): li le, di de, pi li per le; sirénu, tinta, Di-
nidittu, libbirtàti, fibbrdru; óirviéddu^ pirdùnu, pinziéri, sintia, stin^
tinu intest., ecc.; stati aestate-, li f immìni , résiri reggere, offrici
affligge, ecc. 63, 69, 75. Costante Vi per a ed 6 di penult. nelle
voci proparossit., quando la final sia t: canili cangiali, scdndili, dm^
miri, àngili, póviri, ecc.; ed u i>er a, e, i, quando la finale sia u:
cdmpunu, érumuj érunu, aviumu atiunu (avevamo -ano), stésuru (stet-
tero), vómmuru, némmuru 'glomer-u (glomus), ciiutu cubitus, ecc. —
80-82, 86. Frequente t (pel tramite di e) da o, u nelle successioni o..d,
' Gol brindis. concorda, in sostanza, anche il di al. del ciroondario gallipo-
litano, eccettuata sol la regione del Capo di Lenca.
' L*-t secondario brindis. = -« lece, non influisce sulla tonica.
144 Morosi, Vocalismo leccese: Appendici.
o..i', o..tJ, M..d: figghidzza (fógghia), piscrdi postcras, lintdnu^ di-
tninaca, pricìiru, rimàri rum., sidóri, dilóri.
Appendice IH.
DIALETTO DI TARANTO.
Ove differisce dal lece, concorda col brindis., salvo i casi che ora
seguono. Toniche, i, Wd inclina ad a: cantà're, nrappare incap-
pava, liYiiarìe^ ch>anie^ chià'ghe^ ca/^e, crà'pe^ [frebba'rf ] , fenomeno
che non è da confondere con T altro delTcB alT uscita da AI romanzo:
tu sce sai, ree, dce^ sfa:^ assos assai. — 8. Intatto però sempre Va dì
posiz.: cavddde^ vdrve barba, marze ^ grd^if^e^ sdece sapio, ecc. 89-
60. Dà o così TAU latino come il romanzo: có'e^ fà-e', fà^e falso,
ó'f, ótre. L'au (av) è sol nella form. ALD-: cdvide^ Cutdvide, Alo-
ne. Sempre mute o quasi mute le finali*.
* [Comuoqne questo Saggio sia limitato al vocalismo, non va omesso un
avvertimento, che é richiesto dalla precisione istorica e anche si presta a
qualche considerazione abbastanza opportuna La combinazione TR (che oc-
corre, a cagion d*esempio, in tre ecc. n. Il, trónate irénu n. 37, trémulu
tremulizzu un. 80 69, tràbbu ntiaulisu nn. 49 86, ntrdme n. 1, pudditru
D. ?8) si continua nel leccese per una profferenza che il Morósi trascrive-
rebbe fc, ts cosi a un dipresso. Ora, una profferenza consimile s'udrebbe
anche fra* Siciliani; e, come già il Morosi stesso ebbe a vedere, ne vien lume
al fenomeno, che é nel leccese e nel noUgiano, di s da STR (v. Arch. II 458,
IV 151-2 n.); poiché se TR dà un suono che s'accosta a e, STR darà poi 5C,
onde s^ come 1* antico SKE SKI (p. e. pisce^^ ciod primamente piske') diede
sce scif e poi se si; dov^ò anche da confrontare Tit. 5^ da STJ {stj sé /),
come in angoscia ecc.]
FO.NM'TICA
DEL
DIALETTO DI CAMPOBASSO.
DI
Y. D^ OVIDIO.
LMntento mio d d* illustrare la famiglia dei dialetti parlati nel Sannio, ne*
tre Abruzzi e nell* Ascolano. Ed incomincio da uno studio particolareggiato
sopra uno di essi, per aver come un nucleo intorno a cui aggruppare le ri-
cerche ed i labori futuri. Ho scelto il dialetto di Campobasso, perché d il mio
nativo.
Come quasi tutti gli altri di cui dovrò poi occuparmi, esso non offre do-
cumenti scritti; onde slam per forza ridotti alla sola trascri/.ione della parlata
odierna, privi d*ogni sussidio storico. Oltreché, uu*altra difficoltà vi s'incon-
tra; la quale in certa misura si trova in qualunque campo, ma nel nostro ò
più che altrove grande Nel Mezzodì, per la stessa maggiore afSuità di questi
dialetti alla lingua còlta, le persone pur mezzanamente istruite non s^abban-
donan quasi mai al pretto dialetto, o parlare sporco come lo chiamano; e se
da un lato, parlando l'italiano cólto, lo impregnano d'infioiti provincialismi
di pronunzia, di parole, di fraseggio, di costrutti; dall'altro, parlando in dia-
letto, non san tenersi dal mescolare ai suoni e alle parole e forme vernacole
molti suoni e parole e forme della lingua cólta, dal mettere sul dialetto come
un intonaco letterario. Or l'eruire da cotali voci imbiancate lo schietto color
nativo, provandole col reagente del gergo plebeo, il ritrovar fra le tante va-
rianti la vera lezione^ per così dire, del dialetto meridionale, ha, rispetto al
descrivere un dialetto, p. es., pe'iemontano, la stessa maggior difficoltà che
può avere, poniamo, il leggere un ingarbugliato palinsesto rispetto al leggere
un manoscritto ordinario. A me poi veniva anche ma-jgior difficoltà da ciò,
che, vivendo da molti anni butano dal luogo nativo, dovevo l'accapezzarmi
tra una folla di reminiscenze; verso le quali, quantunque alla prova le tro-
vassi ben più fide ch'io non osai^si sperare, avevo sempre una volontaria
diffidenza; che forse avrebbe finito a sgomentarmi del tutto, se non mi fosse
venuta in soccorso l'amorevole cooperazione di due miei ottimi congiuuti,
Tito e Gennaro Cerio. I quali alle mie ripetute inchieste replicaron sempre
con una pazienza e una sagacia, che ogui dialettologo sarebbe ben lieto di
trovare in quelli ch'egli tormenta.
Intanto, a render più intelligibili le pagine che seguono, dovrò fin da ora
richiamare un fatto, già noto in verità, ma che nell'ambiente, in cui avremo
ad aggirarci, vedremo farsi d' un' importanza capitale: intendo l'efficacia pò*
tentisaima delia vocal finale sulla determinazione della vocale tonica. L* i finale
146 D'Ovidio,
fa restar spesso immutati Vi o Vu tonici che eoa altra finale presto «i mu-
terebbero (v. num. 28, 32, 48, 53), come per contrario Va ùaaìe li fa spesso
mutare in e o in o (v. num. 27, 32, 49, 53); e cos^, Vi finale fa volgere spesso
ad t o ad te Ve o Vo tonici (v. num. 9, 10, 36, 46), e Va finale li fa spesso
restare immutati (v. num. 16, 22, 34, 39, 44). L'a tonico ancora riesce, nel
campobassano come ne* dialetti campani, a sottrarsi ali* efficacia della vocal
finale; ma in una intera serie di dialetti, tra cui primo sarà da noi studiato
Tagnonese, vedremo anche Vd soggiacere con tutta docilità alle esigenze
deirt finale. Oru, trattandosi solitamente di finali di valor morfologico, 1* evo-
luzione della vocal tonica, in origine semplicemente fonetica, venne ad acqui-
stare una significazione e un* importanza morfologica; onde ben si deve pre-
«umere che via via si estendesse al di là de* suoi confini originar}. Ma
determinare dove per 1* appunto codesto sconfinare abbia avuto luogo, nella
mancanza in cui siamo di una conoscenza qualsivoglia delle fasi, anteriori
air attuale, dei nostri dialetti, à impresa, salvo rarissimi casi, malagevolis-
sima; alla quale tutt*al più potrem volgerci con qualche speranza, quando
r indagine nostra siasi allargata assai nello spazio, tostochà nel tempo non pud.
Circa le ragioni storiche di codest*-t finale, giova sùbito avvertire che per
esso intendiamo 1* uscita neo-latina, e non quella dello schietto latino; e così
si vengono insieme a comprendere i seguenti tipi: boni^ tu legi (leggi) senti»
tu vedi ami amavi vedevi; uomini. Ma T-i medesimo, nella fase attuale del
dialetto, à affatto indistinto, essendosi affiochito nella solita ^, che raccoglie
forse per più di due terzi l* eredità di tutte insieme le atone. Pure, T-i so-
pravvive chiarissimo nei suoi effetti. Onde noi abblam qui come una prova
palpabile, che la fase fondamentale, a cui il dialetto nostro assieme agli altri
d* Italia va ricondotto, sia quella specie di dialetto comune, quella lingua
franca^ che si stabili, neWIlalia propria^ tra le conquiste delle Gallio e la
deduzione delhi colonia romana in Dacia, e si distingue per il consumato di-
leguo del 8 finale e per la gran diffusione analogica deli* i desinenziale ( v
Ascoli, Lingue e Nazioni^ nel 'Politecnico*, voi. XKI, p. 95 segg.).
Altro fatto, pur esso tutt'altro che nuovo (v. Diez, P 152156 161 166 167 ecc.),
ma che acquista nelPambiente nostro una importanza assoluta, à 1* efficacia
^ sicura che sulla evoluzione della vocale tonica ha la posizione di essa nella
parola, il trovarsi cioè essa tonica piuttosto nella penultima che nell* antipe-
nultima sillaba della parola. E benché i risultati veramente stupendi di cotale
efficacia avremo ad ammirarli la prima volta nell* agnonese, pure già a Cam-
pobasso ne troviamo, per così dire, i precursori. Il fatto, p. es., che sgra so-
rella (num. 41) si faccia sorema mia sorella, che a ceca egli accieca (num. 56)
stia di contro cgchfnp acciecano, non trova, eh* io sappia, facili riscontri in
dialetti dell* Italia media e meridionale.
C
Il dial. di Campobasso: Vocali tonicbe. 147
Vocali toniche.
A.
1. Intatto, sia lungo o breve, e sia fuor di posizione o no :
care caro, carne, carrejà trasportare (pel sgf. cfr. Aso. Ili 68),
jalà sbaiigliare (^baiare'). 2. Anche qui par continuarsi
'mèlo-' anziché 'malo-* \ dicendosi mite, mela In. 26, e cfr. Aso,
I, 10). — Esempj di e = a, per effetto di i attiguo, ho: /fesca
fiascone, chiezza piazza, Chiejja nome di strada (cfr. napol.
Chiaja, *plag-ia'). Quanto a stejja, dejja stabam, dabara, e' son
dovuti a mera analogia morfologica (cfr. i pres. Ji denghe, sten-
ghe do, sto, coniati sopra tenghe, venghe)^ ed erroneamente il
Wentrup (Neapolit. mundart, 7) cita i corrispondenti napol.
deva, steva come esempj di scadimento fonetico. — Abbiamo a
in nel solito chiugve chiodo (Flech. II 334-5) e in ciavotta
ciabatta*. 3. -ARIO, -ARIA, serbando il r, cosi labile in to-
scano, o espungon Vi (j): panare, ugliare 'recipiente per olio',
wuttare cantina ('bottajo'), Jennare n. di pers. e di mese, spara
cercine (q. 'spajamento, stacco'?); od han la solita attrazione
e danno -iere -iera: maniere ramino (cfr. Diez, less. s. v. ),
fumiere letame, chianghiere macellajo (cfr. Diez, less. s. 'pian-
ca*), cusenera fèdera.
E.
Lunga.- 4. Perlopiù e\ me, legge, puteca, ji crede, vede, ve-
dérne, semena, femmena. Circa pejje v. n. 7, 17. Circa jeta
n. 107. In fiereja 'feria' abbiam un caso di propagginazione re-
gressiva". 6. Spesso eif ma solo in penultima sillaba: la
' Devo avvertire che le forme romanze che pajono accennare a ^melo-' po-
trebbero pur risalire a 'mllo-', che sarebbe forma coniata su ^puo-' (cfr. grete
suN^itìvis' ecc.). V. num. 26, 27 \ e cfr. Asc. I, num. 21, 40. Però il sardo, in
cui i continuatori delire e delPI non coincidono, presentandoci mela, starebbe
in conferma piuttosto del solito ^melo-' che del mio ^mllo-'.
* [Avremmo labiale attigua in entrambi gli esempj. G. I. A.]
' [Direi piuttosto un effetto particolare delPt nelFiato sulla determinazione
della tonica; v p. e. Arch. I 483. G. I. A.]
148 D'Ovidio,
chianeita n. 105, reità ^finestra con inferriata' (V^te' con -a
analogico), la chiuppeita n. 105, seira (quindi staseira, e, nel-
l'identico senso, masseira, che credo sia 'raagis sera [horà]';
cfr. abruzz. maddemane domattina presto, ^magis demane*),
Treisa, lu duveire. — I plurali di cotali nomi restano con éi. —
6. Non di rado i: serine, Salgite n. loc. ^Saliceto' (cfr. Nigra,
III 41), tridecff sive sego, pidete 'péditum', lu recive^ che è
Tital. ^ricevo' (n. 33), chjine pieno, cita aceto, [chjileca chierca] ;
e nelle yoci di impf. cong. le quali continuano le voci di pchpf.
lat. in -ssÈmus, -ssetis : leggassime -ss/telegissenius -ssetis ecc. —
1. Le desinenze d'impf. -ébam -èbat ecc. vengono a -ejja ecc. Si
potrebbe credere che spettassero al n. 5, rimontando ad -eiva di
f. ant.; ma è ben più probabile che da -èva (n. 4) si venisse
a *'ea (tose, leggéa), donde per tór l'iato ^-ejja (n. 17), e in-
fine aperta Ve per influsso di -jj- seguente, -ejja: wulejja, sa-
. pejja. 8. E[N]S, o segue la norma del n. 4: pajese borgo,
Larenese ecc., o quella del n. 5: pajeise territorio coltivabile,
meise, meisa madia, ji peise ecc., o quella del n. 6, quando si
tratta di '-ensus -ensum' : pise spise (Spendere') ; appise, 'mhise^
spise tolto da penzolare ('pendere'), ecc. — E per efietto dell'i
finale di plur., s'ha V{ anche nelle prime due serie: j^fly/é^ (pel
e V. il n. 93), micet Larenice, 9. Per effrtlto dell'i Anale di
2. pers. sing. ind. pres. , Ve si fa i: tu cride, tu pice tu pesi,
oppur ie\ tu spi ere, tu i'accujiete, tu 'rreziele rigoverni (quasi
Vizeli')^ tu abbiele 'copri il fuoco con la cenere' ('avvelare'),
tu shieìe 'levi la cenere' ('svelare'). La 2. sing. impf. è -i/j:
à tu sapije ecc. ^ 10. È notevole che le terze pers. plur. ind. pres.
seguono spesso la 2. sing. (v. anche s. e, i ecc.): cridene (però:
sbelene di contro a.ji sbele, tu sbìele ecc). Non può essere una
evoluzione meramente fonetica. Ma siccome molti nomi differen-
ziano il plur. dal sitig. per una modificazione della vocale tonica
(sing. e\ e, Si; pi. /, ie; v. n. 15, 20, 21, 25. 36, 42. 45, 46),
cosi può credersi che le terze pers. pi. ind. pres. riuscissero a
distinguersi in ugual modo dalle terze di sing., ricorrendo alle
* [Qui avremo, in effetto, Vie del nnm. 15; cosi, per limitarci alla pronunzia
toscana, sono con Vg, quasi si trattasse di antica é: egli spera^ la quiete,
lo 2§lo. G. I. A.]
Il dial. di Campobasso: Vocali foniche. 149
stesse modificazioni della vocale; già note, d^altrondei al verbo»
per la sec. pers. sing. Ognun vede come la frase: ^Lu Larenese
ze crede cajisse je mmeglie re lu Cambuwasane' ben si fa-
cesse tutta intera plurale, facendosi ^Le Lareniàe ze cridene
ca Igre so..,*'; e, anticipando il n. 21, 7m serpende ze s tenne'
suonasse perfettamente plurale solo col rendersi He serpiende
ze sliennené' ecc. Che se questa vicenda rimane affatto estranea
alla 3. pi. dei verbi di 1. conj. lat., i quali YidiXino e {shelene ecc.)*
od anche e {pesene ecc.), è da considerare come nei nomi dal
sing. in -a (femmena) non avvenga alcuna mutazione della to-
nica al plur. {femmene)t e manchi perciò ogni analogia nomi-
nale che potesse spingere sbelene , pesene ecc. a differenziarsi
nella tonica dai rispettivi sing. sbela, pesa ecc. 11« Per effetto
d*a finale, si resta ad e\ anche se lo stesso vocabolo, quand*ab-
bia altra desinenza, fa t o e'i: pedeta Spedita' (di e. al sing.
pidete n. 6), le pajesera (di e. al sing. pajgise n. 8) ; chjena (di
e. al masch. chjine), spesa (di e. al masch. spise) ecc. — Ed ^
pur nel plurale di codesti feminili: chjene piene ecc.
Breve.- 12. Piii spesso e: fele, pede, preta, preje precor, ve
venit, te tenet (ma te! prendi!), Ji sécute, jennere genero. —
13. Anche te: diece, ajere, siere, Pietre; miedehe, tienere, pie^
cure. li. Ed e:ji legghe\ merete\ji medeke; lepere, decerne;
e anche muglierema di e. a mugliera. Vedi la nota al n. 10. —
15. Per effetto di i finale si ha di regola te: piede pi., tuprieje,
tu vie, tu tie, tu Uegge ecc. Ma tu sicute. 16. Per Va finale,
resta e nel fem., di e. airt^ del masch.: tenera, pecura ecc.; e
resta pur nei relativi plur. : pgcure ecc. 17. In EU EI viene
a te, e si perde T atona finale: mie 'meus, mei' (sul quale si
coniarono le forme tie, sie; ma v. n. 51), ddie (anche ddijjé). —
In EA EiE EO, resta inalterata, e ad evitar l'iato sMnserisce
un -J;-: mejja, mejje (sui quali: tejja, ssjja ecc.);yt m'adde^
crejje mi ricreo {tu faddecrije. cfr. n. 15). Quanto all'essere
qui aperta, v. il n. 7.
In posizione.- 18. Spesso te: fierre, cierve 'cervo' e 'acerbo',
viende, -miende -mento % -ielle -elio, ecc. 19, Non di rado e :
' L*aec6nto in terzultima favorisce $ (cfr. n. 12 ecc.); altri es.: cfnd§sfmfy
patsteche (pi. patiet^ce) lento, d§bh^le (diebbft^) = tose, debito.
■ Però mumsnde.
Archivio glottol. ital., IV. 11
150 D'Ovidio,
verme, ceuze gelso, preuie, senie, i p^c. in -ende, -ette {lette ptc,
di e. al sostw lu lieite) ; ji perde, ji spenne ecc., i ger. in '§nne^
gli avv. in -mende^y e le terze piar. perf. in -er[u]nt : seme exiè-
runt, wulerne ecc. Ancora s'abbiano :jewf/ eccoti! (*én-[i]psura'),
jelle! ecco li! ('ellum'). 20. Notevoli i casi à' e in coincidenza
col toscano (cfr. Asc. II 145-6): ji cresce {eie. n. 131 in n.),ji
sceglie ìh\à.,ji venne, ji seenne, ji allecche. — E notevole pure,
oltre il solito deritte, anche titte tetto. 21. Dato Vi finale,
subentra ie allV del nura. 19: vierme pi., cieuze id., tu pierde,
tu spienne ecc., ed i kW e del num. 20: tu crisce, tu sciglie, tu
vinne ecc.; e linene pi. difett. 'lendini' n. 163. E le terze pi. se-
guono le sec. sing. {v. n. \0): pierdene, cmcene ecc.; fuorché,
al solito, quelle di 1. conj. : addevendene ecc. 22. Ma Va finale
esige imperiosamente Ve: funestra n. 64, prescia pressa, j9^//a
{-a analogica), perzeca, vecchia (di e. al rase, viecchie), cer~
wella (di e. al sing. cerwielle). Tuttavolta occorre 1'^', oltreché
nel solito stella (cfr. Asc. I 19, II 146), in meza fem. di mieze
mezzo n. 96. I pi. seguono i rispettivi singol.: vecchie vec-
chie ecc. 23. Coi casi di te, del n. 18, non son da confondere
alcuni di e iniziale con prostesi di ; (cfr. pugliese jacqua ecc.);
cosicché ;er^t;a erba n. 110 spetterà semplicemente al n. 22, e
jecche,je estyjesse essere, al n. 19. — Sotto la norma del n. 21
cadrà tu ci o tu eie' tu sei, da si sie di f. ant. (n. 93).
I.
Lungo.- 24. Intatto: spica, pi. spiche, Ripa n. loc, ji
diche tu dice, sendt, sendive sentii ecc. 25. marite e nide
hanno a plur. anche maretera e nerera, dovuti all'analogia dei
nomi ove l'i del aìng. é continuatore dell' ant. e (n. 11). Circa
fechete vedasi Canello, Vocal. ton. it., p. 6.
Breve.- 26. Intatto: pile, pire, cice, 'n ime (in seno) sulle
ginocchia, Mineche; ed in iato: vija, ggelusija (la pronunzia
secca del tose, vi-a non è qui possibile; sempre si propaggina
un J); e in terzultima simmela, pinnula pilula. 27. Spesso
e\ normale, anzi, nei verbi: ji veve bibo, ji chjeche plico, ji
* E cosi pure mf cf 'm m§nd^. E lo strano verbo ji tamsndf (vu tamfn»
detf\ e tu iamiende giusta il d. 21; e pur tan^mi^ndf) io guardo fiso; crasi
di «tener mente', come si dice chiaro a Napoli.
Il dial. di Campobasso: Vocali toniche. 151
freche ecc.; mene minus, 'm mece invece. Determinato da a
finale, primitivo o analogico: curréja corrigia, peca, pera (di
C. al msc. pire n. 26), vedeva, sénepa, cenerà ecc. 28. Gua-
rentito, all'incontro, dall'i finale: tu vive bevi, tu vide, tu mine
meni ecc. E le solite terze pi. vivene, videne; fuorché, al solito,
X • o
quelle di 1. conj.: menene, chjechene, 29. Alterazioni ter-
ziarie, in ié: 'niiémbra, détte cito (tosto); in /f; peipe, seita
siti-s, Wit?a, deità pi. di dite (cfr. Asc. I, 22-3), trejja *trfa'
accanto a tre 'tres''.
■
In posizione, latina o romanza.- 30. Intatto, quale che
sia la voc. finale; o perchè risalga a i: figlie -a, spingula spilla
(*spTn[i]cula'*), ji pitie dipingo (*pictare) ecc.; o per contatto
di date consonanti: ji appicce ("ad-piceare) ^metto fuoco', e
'prendo per mano', ji spicce pettino, j£ scippe strappo', ecc. —
' [Il primo esempio è d'antica e breve, ▼. Arch. II 407 454;- p^pf, sgita^
ngiva, e pur detta (cfr. p. e. Arch. I 175), formano poi il parallelo legittimo
del Q. 5, sempre confluendo i riflessi deiri e quelli delFi;- e tr§jj^a spetterà
forse addirittura a quel numero. G. I. A.]
' [Questa base ipotetica supporrebbe un accento arcaico di quartultima.
y. air incontro la nota cha apposi a p. 141. G. I. A.]
' Il Flechia (II 341) riferisce lo sippà dei meridionali, assieme al tose.
scipare, « al poco usato lat. ^sipare' », riconnettendo sciupare alla « pur la-
tina forma 'supare* ». Io mi permetterei qualche dubbio circa la opportunità
della modificazione che s'apporterebbe così alla etimol. dieziana da ^dissipare,
dissupare' (less. s. ^scipare'). Imprima, confesso che le mutazioni spontanee
di s in s ìtal. mi son sempre un po' sospette. In scimia^ scempio^ alla pro-
pagginazione del j nella prima sillaba può aver contribuito la presenza di u i
j nella seconda; sciroppo mantiene forse T iniziale dell'etimo arabo (^scharàb\
DiEZs. ▼.), e ^syropus' b. 1. avrà la iniziale latineggiata dagli scriventi; in scia-
pido e scip., /risulta da ss (s Un5.'; o ^dis^ap.' msf. Rmg. 101, 1 14) ; e scialiva sci"
Uva mi fa pensare a un ^exsalivare (come 'espettorare'); e sceverare, che non è
solo 'appartare' ma 'andar scegliendo', ben s'addirebbe a un *exseparare (come
*ea;-eligere = scegliere). Checchà sia di codesti sospetti, va in secondo luogo
avvertito che, se nell'ambiente toscano scipare pud parer fiancheggiato da
scimia, nel meridionale non é, avendosi quivi semplicemente óifta ( e nap. corta
sorte), di rincontro a sfppd con quello / che non continua se non ss ps cs sé
(n. 129 13L-3). Cosicché, a conti fatti, mi parrebbe meglio attenersi all'etimo
dieziano; o cambiarlo, se mai, con un *ezsipare, il quale converrebbe ideo-
logicamente assai bene allo sfppd^ che à 'evellere'. [Intanto io m'accorgo
d'avere assai probabilmente sbagliato, nel porre, per il leccese, seppau = strap^
pau Arch. II 458, sedotto dall' esservi normale: -/- = -«^*-; fenomeno questo,
I5f D'Ovidio,
31. Resta nella seguente serie, ma cedendo il posto ad e quando
la vece grammaticale il domandi: singhe n. 155 ('signum*) senga
fessura, misse messa ^ linde tinto tenda ^ sicché secca, nire
nera, oltre 4lle che si avvicenda con -ella, ed -ische (p. es.
pane schiawunische Sfarina impastata con mosto cotto*) con
-esca. Ancora si considerino: fisse gesso, vilere, pullitere (cfr.
Asc. I ISd.), spisse avv., vinde venti; ali, a 'ramegna, lenga,
fessa cunnus ('fissa'), pettula una certa parte della camicia
('pictula'?), oltre trenda con Ve.- 82. Viceversa nei verbi *è e,
pronta a rifarsi £, per efietto dell' -i desinenziale: ji nienghe
addito, tu niinghe, Igre nienghene, e cosi gli altri di 1. conj. ;
ji mette, tu mitte, lare mittene, e cosi gli altri tutti. Le desi-
nenze di pchpf. cong. in -issem ecc :ji facesse, tu faciSe (n. 129),
Igre facessene ecc. Le sec. pers. di perf. indie, sempre coll'i :
faciste, pi. facisteve ecc. \ — Notevole vicenda quella dei pro-
nomi dimostrativi: quille m., chella f., chelle neutro: e cosi
quiste chesta cheste, quisse (eccum ipsum) chessa chesse *. —
I nomi di 3. deci. lat. pajon pur essi preferire e\ pesce sing. e
pi., verde: e cosi 4nde' -enne, e *de-intro' dendere (a Nap. dinde.
che si crederebbe riproducesse 'de-intus', se non si sapesse quanto
a Nap. sia labile il r nella form. TR, n. 112). 33. Mi pajon
d* origine colta degne, vescheve, vatteseme, cresema, majestre
sing. e pi., pringepe id., recide n. 6.
che air incontro rimane estraneo ai dialetti di Napoli e Campobaaao, i qnalt
hanno essi pure il verbo scppd. Va però a ogni modo avvertito, che fra sfppà^
strappare, e scipare sciupare, la differenza in ordine al significato d abba-
stanza ragguardevole. G. I. A.}
* Il toscano ha facesti, vedeste, che accennano ad ^-Isti, -Istis', e dormii
«fts'dormnsti -misti'. Ma, se il meridionale ha sempre "ist^ (campob.: ji
faciv^, tu faciste, jissg facètte), ci<> non vuol già dire che esso accenni sempre
ad ^-isti' come il tose, dormisti^, vuol solo dire, che Vi merid. sia mante-
nuto saldo dairt finale. Quanto a fadstgvg e simili, vi si ha la sec. sing. co»
sufflssovi ve enclitico = voi.
' Nonostante la bella simmetria morfologica, codeste serie danno molta
pena alla fonologia. Se quanto all'uscita le voci neutrali coincidono con le
maschili, quanto airevoluxione della tonica, e al dileguo deirelemento labiale
che le precede, esse coincidono invece con le feminill. Si tratta dunque
forse di antichi plurali neutri? di feminili coli* ellissi del nome 'cosa'? Io
•fttrambo le ipotesi, T-a finale si sarebbe affievolita giusta il n. 61.
n dial. dì Campobasso: Vocali toniche. 1B3
0.
Lungo.- 34« Spesso g: sgle, sorece ecc.; ji nCaddgne m'ac-
corgo, ji me nzgre '^in(u)x5ro. Ed è il riflesso costante quando
siavi a finale: Jpra, pelgsa ecc., e resta nei rispettivi plurali:
Jgre ecc. 35. È ou nel sufiF. '-one'; lejoune, prufessioune ecc.,
e nel sufif. '-ore* : remoure, reloure dolore, seroure sudore. Però:
amgre, pe V amore ca per ciò che (cfr. Asc. I 25 n, 549 6; III
94 n), core flore. E contro al num. prec: crguna rosario, plur.
crune. 36. È u in nu, ru, nudeke nodo, chiuppe, cumme^
sule^ [cutugne]^ e nel suff. '-oso': peluse^ {g)ulejuse ghiotto,
'golioso' vmte voto. Quésto riflesso è costante nei nomi, quando
siavi i fin. : surece pi., uce voci, lejune, remure^ cure.peluse ecc.
S* hanno tutta volta i pi. ngme, spgse. 37. Nelle sec. pers. sing.
è ug\ tu te nzugre^ cfr. n. 42. 38. Wu sempre fermo, ol-
tre che tutte -a, ji stute smorzo (Asc. I 36), è esempio : ji me
seruppe *mi saccio in pace' (cfr. 'giulebbarsi'). 89. -ORIO,
-ORIA danno -ure -gra (cfr. n. 3): vendature forte vento (q.
'ventatojo'), 'nnaspalure aspo, cusature (cfr. n. 108) 'cilindro
di ferro cavo in cui si sofiia per attizzare il fuoco' ^;- chettgra
caldaja (q. 'coctoria'), putatgra, schiamatgra schiumino, n. 82.
Però: PrejatQreje, magnatoreje scorpacciata, 'n gernetqreje
girovagando ; e rasugle rasojo. 40. In funzione enfatica 'non'
è no e ngne; proclitico si vedrà al n. 76.
Breve.- 41. È g nella penultima di voce cha termini in a,
prgvUj sgra, Cgla (Na^iX-), ecc.; ed o neir antipenultima, data
la stessa condizione: collera, socera, e pur sore-ma suóra-m[i]a.
I rispettivi plur. restan conformi: sgre, socere ecc. Ancora nel
stng. di nomi di 3. deci.: egre, vgve bove, Jpme homo; e nelle
voci non sdrucciole del verbo, che non cadano sotto il n. 42: ji
mgre, jisse vgla, pg potest, vg *volit, move^ egee inf. apocopati;
mentre invece: votene; movere^ cocere. Vo anche in nove no-
vem. 42. Passa in ug nel piar, di nomi di 3. deci.: vugje
' Assai probabilmente il fisaturi gr«co-calabro, nonostante la radicale gre-
cizzata, à questa voce deir italiano provinciale del luogo; anziché contenere,
come vorrebbe il Morosi (IV 42), uno ecambio dì suffissi alla romaica: -t^*
piOìf in -TOVjOCOV.
154 D*OWdio»
bovi, juonìene: nei sìng. e pi. di quei di 2.: higche, fegliugle^
sugcere, bbugne; nelle.sec. pers. sing. di tutte le conjug , e nelle
terze plur. che non sieno di 1. conjug. : tu vugle voli, tu mugre^
tu pug, tu ioug; mugrene, puonne, wugnne. — Ma: stomeche^
moneche (pi. mugnece)\ oltre mg adesso; e qui stieno anche
'llgche 'llgcheta costi (illoc, nella ragione deird; cfr. Asc. II
434 446).
Di posizione lat. o romanza.- 43. Riflesso per p: I. in voci
in -a: cgndra, forma ecc. e rispettivi plur.; IL in nomi di 3.
deci.: mgnde, pgnde; III. nei yerhì : ji annascgnney Igre tgrnene,
ji sgrchie sorbisco (*sorb[i]culo), ecc. — 44. E ali* incontro per
0, 1. cossa coscia n. 132, cgecela conchiglia ("concheola, Flech.
II 335), vrocca forchetta (che sarà il fem. di 'broccus', da* denti
sporgenti; cfr. Dibz, s. brocco); li. conde^ ngtie^ fgrte {muglle
rìsale veramente a ^moUo' di f. ant), e rispettivi plur.; III. J^'
dorme, ji pgzze posso, cocca nevica, Igre portene.- S'aggiun-
gono: forze (tose, fgrse), il numerale Jort^, epQ post ^ 46. Passa
in ug nei sing. e nei pi. (non neutri) dei nomi di 2. : cuglle, ugsse
{fi. jossa), cugreje, cugcchele guscio (*conchulo: cfr. Dibz less.
s. cocca), sugcce eguale (*socius'), melugne bernoccolo, cugppe
(f. coppa) zoppo, cugtte (f. cgtta) tozzo; e nelle sec. sing. dei
verbi che seguono il n. 44 in: tu dugrme Igre dugrmene, tu
pugrte ecc. ecc. E ancora in attugrne, ugje hodie. 46. Si rende
per u in mucceche morso n. 114 (pi. mgcceca), cunde ^C9nto',
accunge ^acconcio', dov*è anche da vedere la prima nota al n.
53; e nel plur. de' nomi del n. 43 ii: munde (però pgnde), e nelle
sec. sing. de* verbi del n. 43 in: tu turne, tu annascunne ecc.
U,
Lungo. - 47. Intatto, qual che sia la finale: crude cruda, ji
zuche succhio, uoufera bufata ecc. Tutta volta, pertuse 'pertù-
sum' si lasciò sedurre dalle analogie (num. 34 36) e fé* pertgsa
al pi.; ed accanto a muttille imbuto c'ò mgttera grosso imbuto.
Breve.- 48. Intatto: lupe, ji fuje (cfr. Asc. I 185 n, 262;
' [Non sarà affatto inutile che 8* avverta, come questo duplice riflesso (num.
43 44) vada poi considerato in relaiione ai dialetti prossimi e agli italiani in
generale; così, p. e., con Vé^ anziché con Td, son nel sieil.: furma^ munti^
Arch. II 146. 0. I. A.]
I
li dial. di Campobasso: Vocali toniche. 155
III, § Il 3; NiORA III 14), Jt struje struggo ecc. 49. È g in
chiove piove (Asc. I 34) ; ji fgse fui (cioè *£u-si, con un suffisso
temporale ormai sparito dal resto della conjugazion locale, che
ha soli perfetti deboli in -ve: parlave, facive parlai, feci), Igre
fgsene\ in addg 'dove' e *chez'; e ne* nomi in -a: ngra, Igpa
gran fame (lupa). 50. Il riflesso conforme a quel dell*^ del
n. 35 l'abbiamo in nouce. croiice; coi pi. nuce, cruce. 61. E
alteraz. terz. ne*possess. tug, su^ s. e pi. ; f. tona, sona, pi. tgue,
soue: cfr. n. 17.
Di posizione lai. o romanza.- 52. Intatto, quale che sia
la finale : justejtista, ji agghiuste. Auste, urze, puzze, zurfe, —
53. In 0, stante Va finale: corta, corzeta corsa, fero, di curz-ete^
sgrda f. di surde \ tgnna f. di tunne rotundus, pgjena pi. di
pujene pugnum n. 155, jglepa vulpes ', jgna ugna, jpnrfa giunta ' ;
e nei verbi, eccettuate le 2 sing. di tutte le conjug. e le 3. pi.
che non sieno di 1. conj.: ji accorte, Igre accgrtene (ma tu ac^
curte), ji cgrre (ma tu curre Igre currene), ji vgne ungo, ji
vgtte urto 'butto' ecc. 54o L'g è anche in pgce 'pùl(i)ce-' n. 102,
pi. puce. Circa rouce dulcis, pi. ruce, son da confrontare i nn.
35 e 50; e alteraz. terz. abbiamo ne' sing. e p\.jugrne, denugc-
chie, fenugcchie, manugcchie covone; cfr. n. 35-6, 45. 55. Ap-
pare un i fondamentale in vrifte sporco f. vretta, che sarà una
divariazione di 'brutto', e va cosi con renena 'hirùndine-' n.
163; nel quale esemplare concordano più altri dialetti (sic. rin^
nina, ecc.).
jE, ce, AU.
JS. 56. In te: ciele, ciene fieno n. 99, nieje naevus; - pr leste,
priene *prae(g)nus. In ^ ed f : Cesere,secule,prgdeca:' g^eca,
prena, g^udeje, e ji ceche accieco (ma tu cieche, Igre cechene ; -
' Si sarebbe tentati a metter qai anche hfrdf tgrda stordito, ed a vederri
una conferma della derivazione di ^stordire' da Hurdus', rifiutata dal Diez
(lesa. s. y.). Ma ali* etimo preferito dal Diez, ^extorpidire, s'acconcia benis-
simo tinche il nostro turdf, che riverrà a 'torpMos' così come cundf riviene
a competo-, n. 46.
' Spgsa la Jglfpa gridano i fanciulli quando piove col sole.
' Sarà da ricordar qui il solito cgppa (cupa), 'n ggppa sopra; v. Diez, V
164. E cgpp^ia berretto sarà diminutivo di cgppa capo.
156 D'Ovidio,
ji 'mbreste (ma tu 'mbrieste). (E. 57. pena. AU. 58. Im-
prima i soliti cawule, Pawule. In q\ jg aut, tesare sing. e pi.,
CQsa cQse;ji ggde {tu gugde),ji affgche.ji strafgche strozzo ecc.
In o: poche poca, pave^^e. In ou : Joure oro.
VOCALI ATONB.
A.
Protonico. 59. Tranne Taferesi, frequentissima {'ttaccaglia
legaccia n. 103, Ndoneje, 'ppeécà n. 30; ecc.) ma non perma-
nente (cfr. n. 71), pressoché nulla di notevole. Al nap. rangella,
brocca, qui si contrappone rungielle (lagenulo). Nella pe-
nultima dello sdrucciolo. 60. Sempre e\ gàmmere (dim.
gammariélle), càndere cantharus {candarieUe), móneche (mu-
naciélle)^; canepa, senepa; màmme-tna {mamma'), sorema
{sgra-) num. 41, muglierema {mugliera-) num. 14, zijema
{zija-); vmfera bufala, càruìene cintano, cai%dàvfne, magnete
mangiati {màgnc^ magnatine mangiatelo). Nelle giustapposi-
zioni si elide talvolta Ve stessa: fe[g]urde! figurati! AlTu-
scita. 61. È, si può dire, Tunica vocale che vi si regga; benché
pur V* abbia una pronunzia cosi cupa ed incerta, da rasentare
quasi r^ (cfr. n. 39), quante volte vi si scorra su senz* alcuna
enfasi: terra, funestra, ngva, bbgna, ecc,
E.
Protonico. 63. Di regola, e: penzà^, arrecurdd, denare;
e le proclit. de de, pe per (ma e et). 63. Passato in a: assucà
exsucare, assaggia *exagiare, accujatà acquietare, Mecalangele
Michelangelo, calapine ( 'Galepinum' ) ; in ispecie dinanzi a r:
stranutd, Arriche, marenna, cummarella *(cu)cumerella, pas^
sariélle (dim. di pàssere), cangarejata rimenata (quasi ^canche-
reggiata'), sdarràzza ferro per 'sterrare' gl'istrum. agricoli,
tarramgte. Un filone interminabile costituiscono gì* infiniti in
' [Questo esempio spetterà piuttosto al uum. 72; cfr. Arch. I 546 e.
0. I. A.]
' Il MoMUSEN (UnieritaU dialekt.) cita come voce meridionale un pienzd,
deducendolo erroneamente d&tupienzf; mentre Ve in if non solo non si estende
al di fuori della see. pers. sing. (num. 19, 21), ma sarebbe assurdo poi, non
che falso, il supposto che si potesse ritrovare nelKe atono.
Il dial. di Campobasso: Vocali alone. 157
'-ere -ere' (cfr. num. 69) agglutinati con voci di 'avere' nei
condizionali e nei futuri: decarrija direi, facarrija, vedarrija^
vedarràje ecc. Ma qui, oltre il r, c'entra T analogia dei verbi
di 1. conjug. {candarrija ecc.). E che anzi quest'analogia possa
da sola bastare» lo prova il lilone, anch'esso infinito, benché
più sottile, delle prime e sec. pers. plur. deUMmpf. degli stessi
verbi in '-ere -ere' (cfr. num. 69) : decavame dicebamus, deca^
vctie, vedavame ecc. — Voce presa alla lingua letteraria pare
avoire; e sargende è forse uno spagnolismo, benché basti la
norma comune del nostro dialetto a ridurre cosi la parola. —
64. In u per contatto di consonante labiale : funestra, apputite,
pullecchia pellicula, puccate^ sumenda, putresinere, jastumà
{ji jasteme bestemmio num. 107). 65. Nell'iato passa in •
t, e quindi, come con lo stesso i atono originario (num. 73)*
si viene ad ej\ vejate {*viate di f. a.) beato, crejatura, rre-
jale re(g)alo. 66. Per Taferesi cito solo 'ngegnà encaeniare,
*nghiaste inezia ('emplastrum'), *cchieseja, Wenacce rammen-
datura (quasi 'parte ruvida, arricciata', 'erinaceus'). Posto-
nico. 67o Sempre e, e non fa d'uopo d'esempj. Nell'iato, vale
il n. 65.
I.
Protonico. 68. Di regola, e\ lenzugle, veglia, e le proclit.
se 'si' congz., le 'gli' art. e pron., ve vi. 69. Non vera alte-
razione fonetica, ma assimilazione morfologica, ò nelle serie con
Va: sendarrija ecc., o sendavàme ecc., già preparate dal num.
63 \ — Del resto: varuletta 'viria'. 70. In w, solitamente pel
contatto di cons. lab.: lusija liscivia. Lucile ilicetum n. 1., &uc-
chiere (assim. forse anche a 'bocca'), mucille muéella micio,
Spula. 71. L'aferesi è in tutti i composti con 'in', senz'am-
metter ripristinazioni (cfr. invece il n. 59): *mmireja invidia,
'mmite, 'nzireja stizzetta 'insidia', ecc. Sincope in urnale. —
Postonico. 73. Sempre e: utente num. 102, utele; libbre li-
bri. In penultima di voce sdrucciola, è talora ettlissi : spir'de.
* Anzi sfndavam^ ecc. Bpetteranno addirittura al n. 63, poichd di ^-ibain'
qui Terameote non s*ha traccia (sfndèva sentiébam, come sapeva Bapiébam)f
e perciò partiremo veramente, nel plurale, da ^sentetamo ecc.
158 D'Ovidio,
mer*da merita, Minghe (Do)minicus; micce *mitt[i]cì méttici. —
Nell'iato. 73« zejàne (*ziàno, zio); vtzeje ecc, c/r. n. 26. —
La combinazione àtona ut ridotta ad u: angunaglie^ secutd^
reculizeja n. 150.
0.
Protonico. 74. Di regola, u: uliva y purtà, murtale mor-
tajo, cumhà (vocat. di 'compare'), culata bucato ('colata*, e
riconferma la dichiarazione di Flech. II 328 circa 'bucato'),
Lunarde, 75. In a, nella prima sillaba, ma non senza che
se ne scorga qualche motivo: a{g)uanne 'hoc anno', addoure
odore, acchiale, accidere, appelà 'oppilare', cajenate cognato
nura. 155, canosère. Per sillaba interna sarebbe esempio Fer^
razzane n. 1., se risponde a^'Ferocianum* (Flbch. N. loc. nap,^
29)» 76. In e: pemmargla pomidoro, mezzoune mozzicone,
chettgra num. 39, chenocchia, tremenda penare ('torm-'), pe-
lite polito, cecculala, e le proclit. che =^ con, nen = non (cfr,
n. 40) : nen grede non credo, e persino nn\ nn d'avisa crede ca,„
non t'avessi a credere che..., mm bg sape' (lettor, 'non può sapere')
chi sa, caso mai. Per Ve s'ha poi e in (a)hhengunde a buon
conto (assimil. a hsne), e in gnerno (anche gngrno\ gnarno). —
77. Ettlissi: crouna, num. 35, frastiere. 78. Nell'iato si fa w,
sec. il n. 74, e quindi propaggina un w (cfr. n. 86) : Ogiuwanne,
puweta, purtu(w)alle arancio, porto[g]allo. Postonico. 79.
In penultima di voce sdrucciola oscilla, tra e e u: lepere; /«'-
cura fichi. All'uscita, dove si considera specialmente l'-o della
1. sg. pres. ind. del verbo, sempre e; cfr. n. 85. Uo finale ri-
pugna assolutamente a tutti i dialetti meridionali.
U.
Protonico. 80. Di regola, intatto: sputa, scutellare cre-
denza (q. *scutellarium), affunnà, curreme corriamo, ecc., e le
proclit. lu, nu, stu, 'ssu. 81. Ma non di rado e: checgccia (Diez
lesa. 8. cucuzza), pendoune pugno (q. Spuntone'), 'mbezzature
secchio (q. Hmpozzatojo\ cfr. *nnaspature al n. 39), n'ec-
CQune (oltre n'uccoune) un po' (^un boccone'). 82. In a nella
prima sillaba (cfr. n. 75): rasanugle *lu8Ciniolo, schiamatgra
schiumino, maccalure moccichino. Di sillaba interna : vettarglla
Il dial. di Campobasso. Vocali alone. loSksr'
somarello, dimin. di lettura' che qui dice: malo da sella, ^-
no, cavallo. 83« Aferesi: 'surpà imbeversi, wm, na tìglio -a,
*nguiende (che piuttosto rende un unguento'), mellicule ombilico.
Sìncope: niurà n. 34, crejuse curioso. Postonico. 84. In
penultima di voce sdrucciola, salvo le ettlissi comuni, nelle quali
però restiamo spesso al di qua del toscano {mascule, spicule),
di regola si mantiene: miccula lenticchia, spingula num. 30.
Ma le terze plur. ind. de* verbi (sdrucciolo non latino) hanno il
solito esito -(f)ne: leggene, scriverle; candarne, facerne, —
85. Air uscita, dove specialm. si considera T-ti (-o) dei temi
nominali, sempre e; escluse le proclitiche cit. al n. 80. Cfr. il
n. 79. 86o Nell'iato, il solito strascico del ìjO (v. num. 78, e
cfr. n. 26, 73): cundinuvoà.
Dittonghi.
^. 87: demoneje {f\. demugneje), Letizeja; lutarne; a{g)ua^
le; Mileja Melejeila^ siate num. 160. AU. 88: Jur^' godere,
repìAsà^ puveriellCj pucurille e cfr. napol. 'bhrugate rauco
(*abraucatus) : A(g)uste, a{g)ureje, arefece; aucielle e 'delle.
CONSONANTI CONTINUE.
J.
89. Iniziale. Intatto*: judece, jugche, jettà, jgnda n. 53,
jumenda, juste, Jennare. Ed ove occorra raddoppiarlo (num.
173 segg.; cfr. n. 136), se ne ottiene gghj: che ggìtjudiceje,
tre gghjonde, ecc. (cfr. n. 118). Talora si ha gg*: gga jam,
gggwene, §gurà^ Ogesii, Ggiuwanne, Ogiuvedi, Ggelorme,
Ggiugne. 90. Interno: Maje, pejje, dejune dejunà 'de-jeju-
nare', Arch. I 508 n. J complicato.- 91. LJ (LLJ) è glj
a Campobasso, anzi quasi nell* intero Molise, il quale tramezza
fra le Puglie a sud-est, ove sùbito incomincia il gghj- {figghie)^
e gli Abruzzi a nord*ovest, ove sùbito incomincia il j (fijje).
' [Cfr., per questo numero e pel susseguente, la nota che appongo al n. 139 ;
e i num. 92 e 96. G. I. A.]
' Da Roma in giù, il ^ ha sempre pronunzia intensa; donde gli errori fre-
quentissimi d* ortografia. Cfr. il sonetto satirico del Bklii intitolato // Saggio
d$l Marchesino Eufemia; il quale < Senza libri provò che paggio e maggio
Scrivonsi con due g come cugino >.
-«^
60 D' Ovidio ,
A4grisce in ciò alla Campania, che ha a sud-ovest \ — RJ, v.
num?^, 39. 92. VJ, BJ. Più frequente j: cajgla gabbia, aje
habeo, raja rabies; ma anche gg: suggette, Uegge *lev-io (Aso.
II 147). 98. SJ. Dà e, se è tra vocali': vaée basium, caée,
ceraéa, facuole, sfaéulate ridotto al verde (quasi ^sfagiolato'),
ammaéunate appollajato (*adma(n)sionato): arteéane (*arte(n)-
siano, Flech. II 15), ceniéa, sbraca, ji cuce (e tose, cuco, da
*cosìo = co(n)suo, Asc. I 141 n.); e anche raéa ^sedimento tar-
tarico delle botti', che dev'essere *rasea, onde pure Tit. 'ragia'
(DiBz). Anche SI dà talora per propagginazione sji, onde ci\ cina
(*sjimia), freneéija, hJyuéija, traci entrare (*tra[n]sjire; cfr. napol.
irast)ymice (*me(n)sji) num. 9, 72; ci si, accuci cosi, eie e ci da
^sié sV tu sei, num. 23. — La ragione, per cui non si vien mai
a z come in toscano, ò poi questa : che mentre il continuatore
toscano dell'antico s fra vocali è spesso sonoro (perciò */ai-
juólo fazuólo, ecc.), qui all'incontro ò sempre sordo (v. il num.
123). — Quando lo e si dovrebbe raddoppiare, cede il posto a
s (cfr. num. 108); per es. can^ e sine cani e scimie, che sié
mmenute a ffd cquàf a che scopo sei venuto qual e si ci! e
si si! 'gnQsi gnorsi, col r assimilato. — E mi restano gli esempj
epentetici di -SIA -SIO : 'cchieseja n. 66, Oghiaseje Biagio num.
107. 94. NJ è w": vina, ecc.; e anche nella crasi di due voci:
' Ed entrambo insieme s'accordano con la Toscana per la forte intensità del
glj^ che vi equivale sempre a lljy sia che risalga a llj etimologico (aglio)^ o
a semplice Ij (figlio). Anche sul /, si vede, il J ha quella sua efficacia rad-
doppiatila che dimostra sul b in abbiamo ecc., o sullo ^ delle attuali pro-
nunzie toscane visijo^ giustizzja^ ecc. In molte parlate toscane il j à ora
assorbito da t che gli succeda (Wecchi' si pronunzia vekhi)^ e in esse glji è
sempre Hi { filli = *fillji=:iilji=:'miV); cfr. n. 94 in n., e il n. 97.
' Lo e, cioò il suono del e toscano tra vocali, ò così perfettamente definito
dair Ascoli nei Corsi di glottologia (p. 22): « fricativa che si distingue sol
per minore stretta orale dallo se dì «cerno». Difatti, da noi si raddoppia per
s, come vediamo nel testo. Le antiche scrizioni toscane : bascio^ camiscia^ ori"
scello e simili, non eran che tentativi di rappresentare lo é (cfr. Flech. II
376 n.).
' S* intende che T intensità del suono è eguale a quella che ha in toscano,
ove equivale a nnj^ tanto allorché risulti da nnj (^somnium'), quanto allor-
chd risulti da semplice nj (^castanea'). La ragione à quella stessa che si
accennò in nota al num. 91. Ed anche ni (wiji) si riduce in alcune parlate
toecane a nni (banni^ calamni). L'intensità di n e di Ij spiega d'altronde le
antiche grafie toscane ngn^ IgU
Il dial di Campobasso: Consonanti continue. 161
nem (nen-jf) non andare (imper. 'non ire'). Cfr. n. 157, In sugnne
per 'sogno' {sunna sognare) non è a vedere se non il semplice
'somnus', che si estende a significare il 'sogno' ^ ; e dice, come
altrove, anche 'tempia'. — Epentesi in catccemuQneje num. 102,
e in 'Ndoneje Antonio (ma Sand' Andugne è T'A. abate'). —
Finalmente, pur qui col j in g\ venghe tenghe (non mai ve-
fle ecc.). 95. MJ anch'esso n: cina n. 93, vellena vindémìa
(cfr. genoY. e sicil. Asc. II 121 147); e anche MBJ (che ò come
dire mmj; y. n. 168): cane, canà, scanà 'perdere il colore (una
stofifa)'. Non parrà eccezione : mawulà miagolare. — Di C'J v. i
nuHH 97, 102. 96. DJ. Di regola, ; : jugme, [jutta mg! orsù! ],
UQje num. 45, ugreje hordeum, tremmojja tramoggia, 'nguajà
scommettere (cfr. Aso. I 253 n.). È z, ma necessariamente sordo
(cfr. n. 123), in miese meza. E coli' epentesi : meserecordeja,
'mmirejay nzireja n. 71, stureje, dejawule. 97, TJ CTJ PTJ.
In z {'ZZ-; e i dietro n): chiezza n. 2, puzze n. 52; cumenzà,
sendinzeja: Notevole che sì distingua fra azzejoune{zzj::^CTi)
e justizeja o lebherazioune {zj = TJ) ; laddove il toscano ha in
effetto sempre il doppio z^ pronunciando esso azzjgne gustizzja^
e il napoletano e il pugliese alla lor volta sempre il doppio z:
azzejgne justizzeja, — Per la riduzione in e (cfr. n. 145): scgrca
scorza, scuréà scorticare % pacienza pacienzejaj e colla sonora,
normale dopo n: accunge e scunge n. 46; oltre il solito caéóà
metter fuori {caccejà andare a caccia è già 'cacceggiare'). —
98. STJ: bbesteja. Nessun esempio di s. 99. FJ in ciene, fieno,
entra nell'analogia del n. 108. 100. PJ. Prescindiamo da pjeìà;
e a form. interna tra vocali avremo -ed-: sacce, peccoune, secca
sépia.
L.
101. Iniziale o mediano tra vocali, intatto: luna, lugnghe,
rnule^ fple; o scade a r: canarielle canaletti (dissim.), z'ac^
cuccherà accoccolarsi, alluterà infangare (*adlutulare), sbuterà
' Estensione che non d affatto estranea pure al dizionario latino; v. Enn.
ap. Gic. Diy. I 20: ^exterrita somno'. E anche il frinì, sun dice 'sonno' e
'sogno'. Cfr. 'campagna' per 'guerra'.
' li campob. scurcd equiyale per significato, e s^approssima nelFordine acu^
stico, al soprasilvano scorcdr (Asc. I 53). Ma, neirordine etimologico, la voce
Boprasilvana d 'scorticare', e la campobassana all'incontro ò 'scorzare'.
162 D'Ovidio,
rivoltolare ('svoltolare'), scuterd (e scutelejà) sbattere, *3Coto-
lare'; e i più plebei estendono codest* alterazione più cbe non
faccian gli altri, dicendo, p. e., anche ru, ra, per Tartic. lu,
la, — Il doppio LL, se resta interno, non soffre qui mai alcuna
alterazione, e quindi neppur viene a \l]lj dinanzi a vocal pa-
latina. L dissimilato in n, oltreché nel solito chengcchia n. 76,
è in pinnula n. 26. 102. L cui sussegue una momentanea
dentale o palatina, od una sibilante. In queste formolo,
tace il l costantemente; ma lo sviluppo dell' u, da cui resta
assorbito, non rimane manifesto se non quando la formola è
preceduta dall' a (*ault); e sono in fondo condizioni non diverse
dalle piemontesi (cfr. Nigra, III 29), né dalle napoletane (a
Napoli è però frequente anche il dileguo dell* te preceduto da
a: ale altro, cazgne, ecc. di e. a. fauze ecc). — ALT: Jaute
eiito 9 jauzd, Jaulare altare; Jam/j altro. AL*D: caure (ma:
scallàf callejja fa caldo; callàra calda^ja), maurilte mal[e]*
detto; kh^: fauze, sauza, sauciccia; ALO': cauce calcio, canèa
calce, caucemugneje num. 94, fauca falce; cauza, cauzoune,
scauze; AL'C: Salgite Sal[i]ceto, num. 6; OLT: vota volta,
vutà voltare, sputerà n. 101, cugle cgta, tugte tgta; ULT:
cutielle (ma anche curtielle *), uteme -a; VLG* ipgce pulce, pw-
cine pulcino, rouce dolce (ma: lu rglece ^dolciumi', ed è un*af-
formazione dialettale della voce colta), affaci rimboccar le ma*
niche ('affulcire') ; ULS'.puze polso, appuzà *appulsare, "mbuzà
''impulsare. E finalmente: meuza milza. — Quando il L è sus-
seguito da una consonante diversa dalle anzidette, o passa in r,
se ne stacca per epentesi di e: zurfe sulphur e 'niurfareze
adirarsi, scarpiclle (donde poi scarapielle , cfr. n. 109, 117),
farbalà;- maleva, saleva, cglepa^ glepa num. 53, e anche
pulepe polipo (napol. purpe) ; calecane, culecàreze (^colcarsi*),
halecoune. Ma pur qui: tupanara talpa. L compii-»-
cato. — 103. CL a formola iniziale riducesi a chj^\ chia-
' [Resulterà che la formola itona facilmente sfugga alla evoluzione: scalld
caliga callàra curtiellf, Q. I. A.]
' Che non d lo schietto chi^ toscano (A+j)« bensì un unico suono esplosivo
palatino, piU distante dal palatO'dentaU e che non ne ò il ^ ladino. É a dir
lo ste«80 appunto del gifhj^.
Il dial. di Campobasso: Consonanti continue. 163
màf ecc. Cosi pure CL o C'L a formola interna dopo consonante:
'cchieseja, *mmeschià; ed anche, per lo più, tra vocali: cuc-
chiare, macchia, 'recchia, wurticchie 'cerchietto dove s'infilza
il fuso' (verticulum), ecc. (cfr. n. 105); ma, tra voc, è pure Ij,
sempre in es. comuni: maglia, cuniglie, ecc., tra i quali pongo
anche mam^^za manic[u]la \ 104. TX: viecchie, secchia,
'bbruschià abbrustolire. Per T'L che s'ottenga in età più tarda,
e non abbia perciò dato T antico c'I (cfr. Asc. Ili 29 n , e al-
trove), è qui pure II in spalla, oltre fella fetta, comune a tutto
il Mezzogiorno, quasi ^fettula' (Morosi IV 69, cfr. Flech., Di
^cl = tl\ in fine). 105* PL P'L danno anch'essi chj-: chiane,
[chiugte -gta lento, *plotus'], acchianà la rróbha darvi fondo
(appianarla), cocchia, scucchia staccare ; ecc. Ma : duppje dgppja
spesso, cfr. n. 53. Con la sonora voluta dal n: 'nghiasle empla-
strura; e da nghj arriviamo a nj ìnjènere empiere, come ugual-
mente ci arriviamo da NC[L] in nostre inchiostro. 106. GL
G'L riducesi di regola a Ij, anche a formola iniziale: gliom^
mere 'glomere', glianna ghianda, ji 'gligite *adglutio, quaglia;
streglia. Ma: gna ungula ugna, cfr. n. 105; e pur qui selluzze,
singhiozzo, V. Flech. II 377. 107. BL a form. iniz. dà gghj-,
gghianghe, Gghiaseje num. 93, ej (normale poi a Napoli: Jan-
ghe) in jeta bieta (cfr. Arch. II 56 n., 121). E pur qui il singo-
la,ve jastema (Asc. II 147 n) bestemmia; che forse ebbe bl[a]
in gl[a], e quindi, espunto l, in ga (cfr. Flech. N. toc, nap., 10),
donde il g si dilegua giusta il n. 152. — Di B'L interno, 1 due
esiti norilnali in negghìa nebbia, suglia 'subula' ; e resta fibbeja,
che toscaneggia. 108. FL riducesi a é, il quale, dopo una di
quelle parole che vogliono la doppia (num. 173 segg.) cede il
posto a s (cfr. n. 93): cucca fioccare, àuccaglie orecchini (q.
' Questo etimo m*d suggerito dal prof. G. B. Gandino. Lo sp. manilla vi
si adatta, come i pure sp. cabillon a 'clavic*la', ^'tingut7/o airit giunchiglia^
ir. jonquille (Dibz I' 211, IP 325). L* etimologia dieziana da ^monilia' non
soddisfa dal Iato ideologico, valendo donile' nuiraltro che 'collana', nd appaga
poi del tutto dal Iato fonetico, poichd Vo atono non suol venire ad a senza
qualche ragione speciale (v. num. 75, e Asc I 46), che qui non c'd; essen-
dovi anzi nel m una spinta, non che a mantener To, ma a farlo surgere
se non vi fosse stato. A Campobasso I* unico significato che sopravviva d quello
di 'anello pendente dalla serratura d*un uscio'.
164 D'Ovidio, ~
'fioccaglia'), core {tre sure), nume, conna fionda (v. Flbch. II,
56 n.), cunndreze scagliarsi, coccà ferire con pietra (^fiaccare').
-FFL- è normalmente s in cusà soffiare, coir iniziale pur qui
assimilata.
R.
109. Tenacissimo, anche nelle formolo ARIO, ORIO ecc. (num.
3, 39), e superflui gli esempj. 110. Data la formola atona:
cons.^vocA^R^cons., dove la seconda consonante non sia v, ?,
n, esplosiva dentale, il R è attratto dalla prima: cravgune,
tremenda num. 76, 'niruwulejate (q. ^ntorboleggiato'), pref-
ferejà perfidiare, truppejdreze vergognarsi (q. 'turpeggiarsi'),
*ndreecugsce. intercoscio, pre[g]ulate, pergolato, abbre[g]Qna
vergogna; dove air incontro, se è t? la seconda consonante della
formola, non s'ha metatesi del R, ma epentesi di vocale che
lo separi dal v: cerevoune cervona (serpe), cui si aggiungono
altri due esempj al n. 117; e cfr. jereva erba. — Data poi, atona
o tonica, la formola: cons.-¥VOC.^cons. + R, il R passa facilmente
a seguir la prima consonante anziché la seconda: fraveca^ freva^
Frebbare, priibbeca moneta equivalente a circa sette centesimi
coniata dalla ^Repubblica' partenopea, Orabbejele, crapa capra,
preta num. 12; ai quali s'aggiunge, pur mancando il primo
elemento della formola: rapi aprire. 111. Epentesi di r: fri-*
schje (accanto a fischje), sperchje specchio (a Benev. sprecchje) ;
scrizze sarezzà schizzo -are, a tacer di truone tuono. 112. Et-
tlissi di r dopo t: quatte \jaute -a altro -a, patine -a padrino -a.
Ma è ben lontana dall' esser normale come a Napoli ; quindi :
funestra (num. 64) di contro al nap. fenesta^ menestra di e. a
menesta, mastre di e. a maste. 113. Dissimilaz. di r -r in r -/,
oltre che in murtale n. 74, anche in tronela tuoni ('trón-ora'
plur. di trugne n. Ili), e forse in rasugle n. 39. E il contrario in
Belardine. 114. È assimilato in zocchela topaccio (quasi *s6r-
cola', malgrado la incongruenza del diminutivo; e cfr. roma-
nesco ^sorca'), Bbattrumeje Bart[o]l.; e cosi forse un r secon-
dario, in cacche qualche; cfr. napol. cucca coricare, e il tose.
sirocchia 'soroi^cula'. Il r di 'per' si assimila a ogni consonante
iniziale: pe mme, pecche' ?, pe ppawura (circa pe lu, pe nu^
V. num. 173); e cade avanti a ogni vocale iniziale: pe ameci*
Il dial. di Campobasso: Consonanti continue. 1B5
zeja p* ameC'\ soltanto avanti a une si fa d: pedune a testa,
'viritim*. — Di RS qui c'è poco a dire, mancando pressoché
tutti i riflessi delle voci in cui entra (per 'addosso' qui dicono
'n guglie; e per 'suso' e 'giuso': 'w goppa e sgita^ oppure cap ' a
mmgnde e cap' a bballe). Solo c'è, degli antichi esempj: musse
(cfr. n. 36) muso, che il Diez trae da 'morsus'; e, d'altra età:
mucceche 'morsico', da *murzechef cfr. i num. 125 e 145, e
il romanesco mozzioo\ 115. Per la geminazione a formola
iniziale, v. il n. 172; a formola interna, è continua nell'infi-
nito che entra a costituire il futuro o il condizionale: candar-
rija ecc., num. 63, 69.
V, W.
V. - 116. Intatto: vacca, villa, jisse vg vuole; vevergune be-
verone del roajale, ecc. 117. A contatto di u, sia esso primitivo
sia normal succedaneo dell'o atono (num. 74), oppur succe-
daneo di altra qualunque vocale mutatasi in u per effetto ap-
punto di un contatto labiale (num. 59, 64, 70), il v, anche
sia epentetico, tende a vocalizzarsi , assumendo un .suono che
tocca il w inglese ('Wash.'): uwa, tu wug, wandaglie venta-
glio ; wummecà Womicare' (Aso. I 527), arrawuglià involtare
(quasi 'arri vegliare', cfr. Flech. II 20-21), cruwattine corvatta,
Wusseri 'Vosseria (-signoria)', Cambuwase n. loc. (laddove in
altri dial. contermini si sente Cambevase), ciuwetta civetta
('ciovetta', V. Diez, less. s. choc); zeruwizeje servizio, ceru-
toielle (cfr. Taret. ciaravelló); onde pur si passa a ùa, tu ug,
ummecà, Usseri, ecc. 118. Il rafforzarsi di t; in b, soprattutto
dopo 5, in casi di raddoppiamento, non è normale qui com'è
a Napoli (ove si sente i' vede, che bbede!\ la vesta, i' bb§ste ecc.) ;
pure ne avemmo già esempj ai nn. 9-10: abbelà, sbelà, al n. 110:
abbregna (e sbreunate)-, al n. 114: cap' a bballe; e aggiun-
giamo: che bbug?t e bbija sul, abbugte avvolto {abbutielle
intestini d'agnello 'avvolti'; e non c'entra punto 'botellus', di
' Delle assimilazioni toscano-rom&nescbe del r degl* infiniti dinanzi air ini*
ziale degli affissi (arrivedella e simili), qui non vi è traccia, perché V infinito,
quando pur porti dopo di sé un affisso, serba intero il suo ^re; p. e. fdrfme,
fdrfZf farsi (n. 125).
Archivio glottol. ital., IV. 12
166 D'Ovidio,
cui V. il n. 158). 119. Dileguato; iniziale: oce, glepa num. 53,
mediano innanzi a^": lusija, Bbujane Bovianum, e cfr. n. 92; tra
vocali nieje neo naevus num. 56. Il v secondario delle desinenze
dell'imperfetto cade sempre quando si tratti dell' -^&- latino in
accento, p. e. leggejja n. 7; ma resta invece sempre, quando si
tratti deir-^6- latino fuor d'accento: le^gavàme -avdte num. 63
e 69, con la nota, e resta in tutto il paradigma dell' imperf. di
1, conjug.: manàva ecc., come finalmente resta il v primario
nella 1. pers. del perf. : ji candave, ji fenive, ecc. 120. In m ' :
meni venire, menute -a, remevd ravvivare ('riv-'). — E la for-
mola NV finisce sempre in mm (cfr. Asc. II 147): 'mmireja num.
71, 'mmite ib., bgmmespere!, che mm' é state cummenende! che
mi è successo!, mmogliaddje! Dio non voglia! 131. Il W
originario par continuarsi intatto: wari guarire, werra, winele
guindolo ecc.; ma è illusione, ed esso passò per la trafila comune
del gw-, onde, nel normale dileguo del g (num. 152), ritornò
alla sembianza primiera. Nei casi ove occorra il raddoppiamento
si ha ggw: che gguerral ecc.
F. PH.
122. Saldo, anche interno, in froffeca forfex, e rafanielle. Dopo
n, s' indebolisce avvicinandosi al v (senza però toccarlo, come
all'orecchio toscano suol parere), o anche si muta inp: 'm paccia.
S, SS, se, CS, PS, ST.
123. S. Di regola intatto, ed è notevolissimo che assoluta-
mente esso ripugna a farsi sonoro tra vocali (cfr. num. 93),
onde si ha non men ro^a ('rosa') che cgga ('cosa') ; precisamente
al contrario dell'alta Italia, ove si ha sempre la sonora {roza^
coza) ; mentre la Toscana sta nel mezzo {roza^ ma coga). Tanto
più s'ha meife mensis, ecc. (n. 8), spase -a 'expansus -a', a
la 'ndragatta all' improvviso ('transacta'). Di guisa che, a Cam-
pobasso (e forse si dovrà dire in tutta l'Italia meridionale) Io
i sarebbe afiatto ignoto, se non si ottenesse, come di necessità,
av. a cons. sonora: zbattere, ecc. (questo i non è da confondere
con quel del n. 126). 121. Seguita da chj^ si fa s (caratteristica
' [Cfr. n. 169; e sempre ancora, malgrado la scempia, il luogo ivi citato.]
Il dial. di Campobasso: Consonanti continue. 107
pur questa, che credo comune a tutto il Mezzodì): schiave, schio^
vere (è curiosa la trsise parla a schiovere parlare a caso). Si
fa anche s avanti a t: stgppa, cy^ustine, Criste (caratteristica
sannitico-abruzzese). E analogamente, lo i (=5 av. a cons. so-
nora) si fa i, avanti a d: zderrupate ('sdirupato'), zdelummà
slombare ('sdii-'); unico incontro in cui si oda lo z, del resto
estraneo affatto al campobassano, come ad ogni altro dialetto
meridionale, s* io non m'inganno. 125. Spesso, iniziale, o tra
vocali, si fa ;;: ze si (il 'sé* enfat. non esiste), zuche, zucd
(anche per 'annojare'), Zembliceta n. di d. , zocchela\ì. 114 ,
puzella favilla (che dev'esser 'pusilla'), puze n. 102. E nor-
malmente dopo r : jurze orzo, perzeca pèsca, ecc. Per eccezione,
si ha lo i in vgrza borsa, forse perchè sia d'origine letteraria. —
126. Ma z {ds) è normale dopo n (cfr. n. 144 ecc): ji penze,
eji me crenze (curiosa fusione di ji me crede con ji me penze,
entrambi significanti 'io opino'; analoga a quella del bolognese
cmenzepjdr, che risulta da 'cominciare' fuso con 'principiare'). —
127. ÀlVuscita: s cs st cadono senz'altro: era cras, peserà post-
-cras (donde poi, pei giorni successivi al dopo domani : pescrille,
pescrelloune), nu vu num. 36; se sex; pò post. 128* SS.- In-
tatto: /ossa, appriesse, ecc.; assecurd, e cosi tutti gli altri com-
posti per 'ad-s-'. — 129. In s: vase basso, ruse rosso, tosa
tussis, presa. Un filoffe particolare, che veramente avrà a dirsi
di SSJ in i, c'è offerto dalle sec. pers. sing. degl'impf. congiun-
tivi. Cosi, accanto di ji ejisse candasse ^ cantdLSsem -sset, ab"
biamo tu canc^ase = *cantassji, per 'cantasses'; accanto a j t e
jisse /t^ssj = fù(i)ssem -sset, tu /Mse = *fussji per 'fù(i)sses'; ac-
canto a ji e jisse avesse = hab(u)issem -sset, tu avise = *avissj,
per 'habuisses* (v. num. 31); ecc. \ — 130. In zz] unico esem-
pio nelle seguenti voci di 'posse': ji pozze possum , pugzze!,
puzzate! (roman. pgzziate!). 131. SC av. e, i, sempre s:
pese, nu paseme^, ecc. 132. GS spesso si ferma all'assimila*
' Per la seconda pers. plurale s* hanno due forme, di cui Tuna non ò che
la voce della sec. sing. con ve enclitico (=:yoì): fuseoe, candasfvf, avisfVf
(cfr., per la parificazione della sec. pi. alla sec. sing., i toscani no' woevi^
vo' eri), e T altra d diretta continuazione della yoce latina in '-ssétis': av^s-
site, currassile ecc. (num. 6). E s^lat^ insipido sarà '(di)8salato? *
• Ed anche jt pase^ iQve pascne \jì naif, l. nasene; come ji CQce coquo»
168 D'Ovidio,
zione: matassa ^ lu Bbusse n. loc, cossa (però 'ndreccugse
num. 110), assucà num. 63, lassà\ Il s scempio di Lesandre
(Lisandro che si mescoli con Alessandro?) è forse un riflesso
illusorio; e tugseche andrà riferito a tugsche di f. a. = tox'cum
tosco, come si ha toseche = ìqsco 'toscano', nella frase parla
iosechey parlar in punta di forchetta. Ma nondirado giunge a
i: salày masella, si exire, sella ('axilla') ala. Dove stava o
riesca attiguo a consonante, si riflette naturalmente come un
semplice s; e 'nzgna axungia (cfr. Disz P 261) spetterà cosi
al num. 126, come sieste sesta sextus -a al n. 124 (e ha perciò
uno s di ragion diversa da quello di masella ecc.). 133. PS si
ferma all'assimilazione in jisse gypsus, e jisse jessa ('ipso-
ipsa') egli ella, quisse chessa chesse num. 32, *ssu 'ssa cfr. n. 71,
80. Arriva a i in casa, nesune (e necune); cfr. Aso. II 126. —
131. ST. Che si riduca a ss^ neir ambiente nostro mi par dif-
ficile assai. L'unico esempio che potrei ammettere genuino è
quello, congetturale del resto, datomi dal Flechia {N. loc. nap.,
49), di un 'Sessano' del Molise, che egli raddurrebbe a 'Sestia-
num'. S'è voluto vedere, ma a torto, questo fenomeno in 'ssu
'ssa, riportandoli a 'isto- -a', anziché ad 'ipso- -a'*; e ancora,
non meno a torto, nelle sec. pers. plur. di irapf. cong, fuseve
aviseve ecc., circa le quali si vegga il num. 129 e la nota, e
colle quali vanno le sec. pers. de' condiz. òandarrise canteresti,
sarrise saresti, dappoiché risultano dal combinarsi degli in-
finiti colla voce di pcpf. cong. (av)ise ^ habuisses. Esempio non
meno illusorio sarebbe finalmente calpesà calpestare, poiché
riviene non al '^pistare riflesso dal toscano, bensì al varroniano
'pTsare' riflesso dalle lingue occidentali; cfr. Dibz less. s. pestare,
lor^ CQCfn^ ; ji tgrcf Igre tQrcgn§, Nelle quali serie tutte, lo 5 o il e invade
anche le voci a cui non spetterebbe, per semplice analogia livellatrice di tutte
le persone del verbo. Cfr. Àsc. II 456, Nigba III 36 n.
' Le sec. pers. deirimper. di questo verbo {lassa^ lassate^ ed anche con
aferesi assa^ ossati o 'ssa^ 'ssat^)^ munite del pron. -nif, s*adoperano a costi-
tuire una prima pers. sing. d* imperativo, il che ricorda in modo singolare
la nota perifrasi inglese. Per es.: 'ssamm^ji (= lasciami andare), eh* io vada,
ho da andare, voglio andare, *let me go\
^ [4ste' mantiene il suo st, come si vide in quist^ ecc. al n. 32; e cosi nel
■apolet. chisl^ eccu' isto-, aUato a chissà eccu' ipso-, o nel sicil. chistu allato
a chissu. Quanto alla molta vitalità d*'ipse\ basti ricordare Tarticolo sardo.]
II dial. di Campobasso: Consonanti continue. 169
e Asa I 64 103-4. — Ma un esempio d'invertimento di ST (ts,
z) ammetteremo in mazzecà masticare; che andrà colVinzigare
(=instigare) d'altre regioni. E cozzeca crosta sarà *c(r)ustica?
N.
135. Inttato per lo più, e scevro affatto dalle alterazioni or-
ganiche (n gutturale, faucale) che altrove incontra : nocca na-
stro, venene ecc. 136. Notevoli le assimilazioni che subiscono
• • •
*con' e 'Don' {don; « donn dinanzi a vocali): chemmé (cfr. n. 76)
con me, chetté, cheppàtrete, chegguste (che è cosi indiscernibile
da che gguste!)\ dolluigge Don Luigi, dQmmechele, dorru-
bberte; dgm Ber arde, dom Basquale, allato a don Gesere, don
Ohiennare, don Dumineche, don Dejodgre ecc., dove son da
confrontare i num. 144, 145, 159, 165; 162, 89. La prep. 'in' è
poco usata, sostituendosele di frequente: a, oppur dendere, se-
condo i casi; ma, nelle locuzioni quasi avverbiali, facilmente
si ha r'in', che però, perdendo sempre l't (cfr. num. 71), serba
il n ben più tenacemente che non faccia il 'con', cedendo solo
ad una assimilazione parziale avanti alle labiali p, b, f, ed in-
sieme poi al V dando luogo al mm (cfr. num. 120): 'n gusienzeja^
*n dulie, - 'm baravise in paradiso; 'm prgnda in fronte, 'm
paccia num. 122; 'm mece, *m mgcca. 137". Di N'R (come
di L'R) mancan le occasioni, mancando Tettlissi: tenarrija
= terrei, ijenarrya = verrei , e cumbgne o cwm&pnere = com-
porre, maner eritta manritta;- wularrija-yorr&i, 137*. Un
caso òxnxnnd (cfr. num. 138) si ha probabilmente in pandeche
pànico, spandecà smaniare. — Talora dopo nn, da ND (n. 163),
si sviluppa y: sene scendere (cfr. Arch. I 87 n.). — Di NS, v.
il n. 123.
M.
138. Si conserva bene, e non fa d'uopo d'esempj. Circa te-
Jane tegame, comune a tutto il Mezzogiorno, cfr. A so. I 548 a,
Flkoh. II 56-7; e circa camberà, cambumilla camomilla, si
posson vedere Asc. I 308-9 n., Muss., Beitr. z. kunde ecc. 16;
e qui il n. 137. Non infrequente la geminazione, anche in pro-^
tonica : femmena^ 'nnammurate ; ma non però ammgre, fumme
fumo, come s* hanno a Napoli, dove il fenomeno è costante.
170 D'Ovidio,
CONSONANTI ESPLOSIVE.
c.
139. Saldo, ay. a» o, u, più che in toscano. Iniziale: Cajetane
castecà, cajgla n. 92, camelia, cgnnela culla ('cunula')'. In-
terno (cfr. n. 146): putya, lattuca, chiecà e frecà num. 27, 28,
trecà tricari, assucà ndm. 63, féchete fegato, affucà n. 58, ache
ago -ghi, actccella 'crochet' (cfr. Asc. I 76 n.), luoche, spica^. —
' Mi sia qui lecito chiedere, se a 'cùnula' non risalga anche T italiano
gondola (con alterazione ascendentale di nn in nd; ▼. nam. 137). La 'gon-
dola' ha comune con la 'culla' il concetto di cosa che oscilla ed ondeggia; e, di
certo, r etimo greco (Diez, less. s. y., da xóv^t; tazza) non ci dispenserebbe
dair ammettere un traslato vie più ardito e remoto. [Questo veramente
non mi pare, poiché, a tacer d'altro, 'bicchiere, coppa, e barca' stanno ben
riuniti anche nel gr. -Av^pvi. Ma non per ciò voglio dire, che T etimologia
del D'Ovidio non meriti d'andar considerata. Anzi noterò stibito, contro Taf-
formazione del Diez, che se il frc. gondole significa anche uoa specie di 'vaso
da bere', ò di certo affatto illusorio il conforto che neirordioe storico egli da
ciò volea ricavare ; il vero essendo, che il frc. gondole vien propriamente a
dire 'una ciotola che arieggia la gondola veneziana'. L*etimologia del D'Ovi-
dio, alla sua volta, parrebbe assai contrariata dalla forma gonda^ poiché sa-
rebbe cosa molto ardita il far nascere, com'egli del resto propone anche per
gondola^ questo nd veneziano da un doppio n che non avesse la sua ragione
nella forma originale (cuna); cfr. Arch. I 308 311. Ma di gonda (si cita il
pi. gonde^ adoperato dal Pulci), forma ignota a Venezia, ò forse legittimo
che non si faccia alcun caso; e un d insertizio potrebbe poi quadrar bene
nella formola N'L (cun'la), se anche i due elementi ne andassero separati da
una vocale più o meno perspicua (cfr. Arch. I 308-9 n.). Il romagnuolo ha
effettivamente conia e condto = cunula (v. Mussap., Romagn» mdart^ § ilO);
e quanto al g iniziale, cui parrebbe contrastare il venez. cuna^ si possono
addurre il ven. gordoniera e il chiogg. gordillo (Mussaf., Beitr, z, kunde ecc.,
s. gordilla), allato a cordón e corda dei dialetti stessi. Piuttosto sMncontre-
rebbe qualche difficoltà, malgrado la moderna posizione, nell'd venez. per Vii
lat., laddove è normale l'dn romagn. per Vun lat. G. I. A.]
* [Intorno alle serie in cui G (A) e T (n. 158) si mostrano intatti qusmdo Bon
mediani fra vocali, vanno fatte, com'io credo, delle riserve; e vi si avranno a
scemerà dei ricorsi, o doppie alterazioni, per le quali si ritoma alla figura
primiera. Mi limito per ora a richiamare il num. 153 e il num. 162 in f.; e
ad avvertire, come la condizione neo-latina di -ga- ecc. da --ca- ecc. solo in
tanto si manteneva, in qusuito a^vesse importato una degenerazione ulteriore
(nn. 141 152). -G. I. A.]
Il dial. di Campobasso: Consonanti continue. 171
140. Nessun esempio specifico per T alterazione in media a for^*
mola iniziale: [g]attay [g]ammere, [g]amma, come altrove; cfr.
n. 152. — 141. Ma a formola interna: laje, allajà, pajà, 'bòre-
jgna n. \\(i/pprejà\ di che rivedi lo stesso num. 152. 142. CR
perlopiù resta intatto: la crouce (di e. al napol. a 'race), crepa,
lacrema, secrete, acre -a. I comuni esempj grgita, girasse -a,
non li crederei indigeni ; ma indigeno è di certo : range gran-
chio e ricadrà realmente al n. 154. 143. CT: ditte^ pratteche,
jetteche (nV-) jetteca hecticus -a, nellecùte intisichito. — Di
CL, CS, V. L, S. 144. Dopo n scade a sonora (cfr. n. 126,
145, 159 e 165): bbangale tovaglia, 'ngundrd, anggra sempre
in senso di 'adhuc', mentre per ^etiam' si ha solo pure, non
essendovi traccia di 'anche'*. Talora, pur dopo s: sgrine, sgdn-
àule. 145. CE, CI. Mostrano sempre la schietta palatina (e),
senza che questa subisca mai la modificazione toscana in e',
eccettochè in Incerta lucertola, che resta un esempio 'sui ge-
neris' ^ E stenta più che in toscano a farsi sonora: duciende,
aucielle, ceuze: tranne il caso della formola NC, dove la ri-
' Confesso che non m'appagano le conclusioni del IDiez (less. s. v.) intorno
ad 'anche'; e mi permetterò di qui esporre, come per incidenza, il parer mio
suirorigine di questa voce. Notato dunque imprima, come 'ancora' e 'anche^
quasi affatto si equivalgano pel significato (cfr. il gr. src), essendocEò 1* 'an-
cora' sdruccioli ben di frequente fino a significar 1* 'etiam' (p. e., nel 'Cinque
Maggio': S(TÌvi ancor questo, allegrati)^ e T 'anche' sia normale nel toscano
per 'adhuc', specialmente in frasi negative {non l'ho anche visto nondum
vidi eum; Vho anche da vedere id.; e cfr. per anche e peranco^ e perfin per
ancora^ p. es. in Boccaccio, Teseide, IV 19); e notato altresì, come non meno
di 'anche' sia usuale 'anco'; io direi, che ancora^ in cui nessuno stenterà ad
ammettere un 'hanc-horam (^a quest*ora'), siasi venuto troncando in ancor ^
come d risaputo, e quindi in *ancó (cfr. gV infiniti: andare^ anddr^ andd)^
donde, con accento ritratto, dnco (cfr. dòpo = *dopó = de-post), e per ultimo,
con la finale affievolita: anche (cfr. com6 = corno = quomodo).
' Dico 'toscana', per esser sùbito capito. Ma il fenomeno mi si d riofferto
tal quale anche nel Mezzogiorno. Così a Ferrandina (Basilicata) il e tra vo-
cali d perfettamente alle condizioni toscane : la nouc^^ la crour^ (cfr. per You
da ti il num. 50); la liàjf (a quest'iti da u troveremo riscontri, a suo tempo,
nelFagnonese).
* Sono ancora eccezionali : gica un pochino, il plur. di 'cicum', e il solito
pimfce cimice, nel quale deve trattarsi, non già di evoluzione fonetica, ma
sì d*infius80 d* altri nomi di significazione affine (pulce ecc.).
172 D'Ovidio,
dazione è costante (cfr. num. 144 'e 159): 'ngienzft venge vìn-
cere, ecc. — Non cede il ce in dicere o dice*\ ma prevale
l'analogia di 'stare' sopra *facere' (Asc. I 81), onde fa. — CJ
si riflette quasi costantemente per e (-cfc-), il che forma anzi
una notevolissima caratteristica sannitica rispetto alla prossima
Puglia, dove domina lo z {-zz-) con una persistenza che ricorda
in modo singolare la Romagna, T Emilia e l'alta Italia in ge-
nerale. Esempj campobassani: ji /àcce, setacee staccio, velatila
{ng a nc)t canee, ecc. ; però cauza cauzgne^ e gnza^ pania. —
Vero è però che il e può sottentrare allo z di f. ant. , come
si vede in paccija scherzo, mucceche num. 114, éugppe zoppo,
checgccia num. 81. — Di SCE ecc., v. S. 146. JCARE, in
quanto non segua la norma del n. 139 {fravecà, 'rangecà graf-
fiare cfr. num. 142, pungecà^ 'nnazzecà cullare), è nelle condi-
zioni in cui ce Toifrono manejà ecc.; e s* hanno poi, con curiosa
duplicazione: affumeohejà, stuzzechejà, cuppechejà zoppicare,
rtisechejà (oltre rusecà)^ ze ioummechejd far moine.
QV.
147. Intatto: quatte num. 112, quinde -a, quinece n. 163,
quanne (quando; e gli risponde, pur qui, l'analogico tanne
allora, cfr. Arch. II 456; cosi riproducendosi la simmetria di
'quanto, tanto'), quande -a * ; e anche può aggiungersi accujatà
n. 63. 148. Dileguato l'elemento labiale: cacche num. 114^
caccgsa qualcosa, cacchedune; a tacer di ca (vale solo 'che'
cong., laddove a Napoli invade la provincia del pronome), chi,
che (laddove in Puglia e in Basilicata abbiamo già et, ce; v.
il seg. num., e cfr. Asc. I 286 433), ecc. 149. Esempj spe-
cifici di Q[V]E Q[V]I in ce ci, non avrei, tranne forse Ceree
n. loc, se è 'Querce'. 150. Dileguata la vocale che succedeva
al V: reculizeja e secutà num. 73. [151. Nelle voci avverbiali
e pronominali in cui entrò V 'eccum', abbiamo il singoiar fatto
che l'elemento labiale ceda solo avanti e: equa, quiste, ecc.
' Se Don é avverbio {quandf j§ bb§Ha! quandf la tip grgssaì quantam
vis ?), il 'quanto' ha sempre il valore di 'qnot', ma d sempre terminato in -a,
che dev^essere continuasione della voce di plurale neutro (quanda libbra tie ?).
Dicasi Jo stesso appunto di tandf -a.
Il dial. di Campobasso: Consonanti continue. 173
(di contro ai napol. coà^ chiste, ecc.), ma f. chesta ecc., neutr.
cheste ecc.: cfr. num. 32 in n.l
G.
153. Primario, o secondario che sia (n. 141), dinanzi ad a,
0, u, resta a formola iniziale, in caso di raddoppiamento (n. 171
seg.): tre ggalle ecc.*; e resta pure, si a forra, iniz. e si a forra,
interna, se gli preceda consonante: 'ngallà, nen galuppà. Del
rimanente, o iniziale o interno, si dilegua, e tutt* al più gli
aottentra quel j epentetico che serve a tórre l'iato: lu jalle,
la j atta y prejulate n. 110, ecc. 153. -IGARE (cfr. n. 146):
fatejày ji fatije; ma col g in e: ji castichey ji liteche; pel qual
fenomeno ho ancora: sichere sigaro, e cujfejà burlare (q. *gof-
feggiare'). 154. Pure il g di GR non ha scampo che dove gli
preceda consonante o dove sia da raddoppiare: tre ggrana,
arraggrenà raggranellare; del resto si dilegua: nu 'rane (la
moneta; ma, per divariazione: grane frumento), *ramena num.
31, *rattàf 'ranara granata, 'rattacace grattugia, vebberazeja
verbigratia. Dove può notarsi che rine reni dà sgrend romper
le reni, di certo non senza influenza degli altri -r- ^ gr-. —
155. GN. Ha spesso l'esito -/n: pujene pugno, cajenate n. 75,
ajenielle agnello, le lejena le legna. Antico invertimento è in
singhe segno, 'nzengà ecc. Il dileguo del g nel solito cangscere,
e in priene prena num. 56. 156. Di GV suol tacere l'ele-
mento labiale: sanghe^ tenga num. 31. Però: anguilla, angu^
naglie num. 73 (cfr. num. 150). 157. GÈ, Gì. Il g viene a^:
jelate, jennere, fujl, curreja num. 27, projere, vajenella Car-
rubba, prujette trovatello, quarajesema quadragesima, pajeise
num. 8, dejetale (cfr. metat. sicil. jiditeK, *digitale); sirene
stringere cfr. n. 31, pone pungere cfr. n. 53, ecc.' — Si finisce al
dileguo totale in ma mai (^magis'), 'rama ormai'. Dovendosi il
j^g raddoppiare, n'esce gghj (v. num. 9Q)\jé gghielate^ e sim.
' larfjfy largo, dev* esser *larg-io; Flech. Nom, loc. nap,^ 9 n.
' Circa san^a salasso, sand salassare, sanatourf^ allato a sanghf^ cfr, Aso.
II 455, I 525.
* Parallelo a A da p gutt. (n. 153), potrebbe porsi: cucinf da cugino; e
anche rofimfjd discorrere, che dev* essere un*afformazione dialettale del let-
terario 'ragionare'.
174 D'Ovidio,
T.
158. Anche mediano tra vocali \ tenacissimo: matina, cut^
toune, ceiere cedro, patre, maire , patrone ^ laire^ staterà y
retena, scutellare num, 80.— Subentra però il continuatore
della media (a. 162) nel solito ^botellus': wurielle, pi. -rella;
e s' hanno ancora: strada, spedale, spadine, sudesfa; ma pro-
vengono dalla lingua colta. 159. Dopo n o r, passa in d
(cfr. n. 144 ecc.): andiche, sande (che non sofiFre l'apocope to-
scana dinanzi a consonante, e perciò: sande Pietere ecc.),
'ndruppecà inciampare {ji 'ndroppeche, tu 'ndriLgppeche ; quasi
4nt[r]opp-icare'), 'Ndoneje num. 59; spirde num. 72, mer'da
num. 72, fejurde num. 60; ecc. 160. Nei nomi in -tatb -tute
è costante e ferma l'apocope di -te': caretà, veretà, canetd
(cfr. ven. cagnità) crudeltà, gguwendù, ecc. Ma pur qui la so-
lita eccezione: * state aestas. — Di TJ e TL, v. J e L. 161. Al-
l'uscita si dilegua, in generale, e più interamente che in toscano;
p. es.: e, g, non mai ed pd*. Ma qui è pur lecito chiedere:
Nell'-^^te della 3. sg. di perf. della 1. conjug. {purtàtte portò,
' [V. la nota al n. 13a]
♦ Però: rffCf(fp«^=:dec[emJ-et-octo; cfr. dfcgsselte^ decgnngvg, (col t assi-
milato).
' Come si ha a dichiarar questa apocope? La digradazione -tdde "tde -tà^
'tùde ^iùe "tti non d plausibile nelPambiente meridionale e nel toscano, a
cui ò estraneo il dileguo del -t-, -d-. Perciò vi fu chi mi suggerì il sospetto,
che r apocope non sia che apparente, e che bonià^ servitù stien forse a boti-
tate "tade^ servitute ^tude^ come sarto moglie stanno a sartore mog Itera, e
simili ; che, insomma, sieno i continuatori di ^b(5nita(s), 8éryitu(s)\ assimilatisi,
neli* accento, al continuatore degli obliqui. Ma forse T apocope d reale, e si
trova una via di dichiarazione, senza ricorrere a quella digradazione. In prima,
bontate servitute avran perduto Ve avanti parole comincianti per consonante,
poi il t rimasto finale si sarà assimilato alla consonante iniziale seguente:
bontdt vostra, bontdvvóstra (Schuchabdt, Romania, III 15; cfr. Diez, P 228).
Le analogie abondano, e mi basti ricordare soziopra {sott\o\sopra), venzei
{vent\i]sei\ cinquanzette, prezzemolo (pret[o]semolo), con t^s in jsr, e i fior.
Orsammichele (orto S. M.), Porsantamaria (porta S, M.), ove snrto il t-s
8* ebbe poi il dileguo del t, e finalmente sossopra, che corrisponde per ogni
parte al caso qui imaginato. Una volta poi surti molti nessi di parole come
bontdvvóstra, servitùg grave e simili, entrò naturalmente nella coscienza dei
parlanti, che esister dovessero le forme bontd, servitù e simili, adoperabili
parimenti anche avanti a parole comincianti per vocali. Inoltre, ciò che a
Il dial. di Campobasso: Consonanti continue. 175
wulàtte volò, ecc.) non abbiam noi un cospicuo esempio di t
nell'uscita latina, sostenuto dall' e epitetica (cfr. Arch. II 434-5)1
E V -ette delle altre conjugazìoni {wulette, vedette, sendette),
che è limitato esso pure alla sola terza persona singolare, non
potrebbe egli ripetersi dall'analogia dell' -aW^, che vorremmo
organico, della prima conjugazione, e quindi sottrarsi alla ra-
gione che dell'-^^te toscano, comune a tutte e tre le persone ca-
ratteristiche, il Diez ci ha dato?^
162. Il d schiettamente esplosivo non si sente se non quando
parer mio andò dal principio alla fine assecondando il sorgere e il consumarsi
della apocope nei detti nomi, fu la cacofonia delle loro forme intere, di cui
le due sillabe finali sono di eguale struttura (voc. + cons.) e hanno 1* identica
iniziale {t): ^bontotevostra' suonava male come *]do/o/atria, ^minera/t/ogia.
Tanto ò vero, che ^salus -ùtis', pur andando, in ogni altra cosa, di pari con
^yirtus -Gtis', non vien mai però a *salu^ e resta salute (merid. saluta). Forse,
anche 'aestate-' si sottrasse all'apocope perchà il primo t, complicato col 5,
non fa cacofonia col secondo. [La sentenza, alla quale s'allude in sul prin-
cipio di questa nota, d ora da me esposta, a mo'di quesito, a pag. 437-38
del II voi. ; e qui mi limiterò^ a poche parole intorno agli argomenti, che per
r apocope son messi o rimessi innanzi dal nostro D'Ovidio. Dico dunque im-
prima, che passa una gran distanza fra il caso di venzei o di sossopra e
quello dell* ipotetico la bontav-vostra (bontat-vostra)^ cioà fra un caso di com-
posizione permanente e quindi di permanente atonia pel primo membro, e il
caso d*nna combinazione accidentale, che nessuno, nel paese del Vossignoria^
vorrà supporre più frequente o stabile di quel che sia o fosse la combina-
zione inversa, ciod la vostra bontd[te\. L'argomento della cacofonia non vedo
poi come possa parere conclusivo, quando punto non ispiacciono: cantdte-tnij
le cantate vostre^ e anche 1$ cantate tue, e mille consimili, senza che mai s'ab-
bia alcun sentore d'apocope. E, per ultimo, il suffragio, voluto trarre da salute,
mi par debole anche per ciò, che salute, nell'Italia settentrionale per lo meno,
dev'esser voce della cultura (sanitas è la voce popolare : it. santa, rum. senf^
tate, alb. s^ntét), come s'inferisce, tra l'altre, dal dirsi egualmente salute pure
a Venezia, anzichd salude, come si dovrebbe, o saMe. G. I. A.]
' [Anche la doppia di -dite potrebbe aver la sua ragione etimologica. M'd
sempre parso singolare che i romanologi non si fermassero sAVd che d nel
frc. chanta (ant. chanta-t) e accenna a posizione ; e ho sempre creduto che
un popolare cantav't (cantaut) dovesse spiegare a un tempo V-du sicil. ecc.
{purtdu ecc.), l'-d ital. e spagn., e l'-a frc. E ora s'aggiunge V-dtt di que-
sta contrada, che però bisognerebbe meglio vedere nelle sue attenenze per
entro alla stessa flessione dialettale, e di cui piacerebbe sapere quanto sia
esteso nell'ordine geografico. G. I. A.]
176 D'Ovidio,
è doppio: addg addove, che dduloure (n. 173^), ecc., o quando
tien dietro a consonante, che non sia n della parola stessa (v.
n.l63, e cfr. n. 136): wardd^ ecc. Del resto, o a formola interna
tra vocali, od iniziale, quando noi preceda una di quelle parole
che ne producono il raddoppiamento (n. 173 seg.), scade sempre,
al modo greco-moderno, in cf, e nelle bocche più plebee passa
5n r: dà rà dare, dicere o ricere le rice-ca rice-ca son
OS ••> •
chiamate per ischerno, dai meglio parlanti, le persone che più.
s'abbandonano al vernacolo), afferata promessa sposa, lamba^
roune ecc. — Senonchè, in molte voci il d interno, tra vocali,
si sottrae a codeste peripezie, rinsaldendosi in t (cfr. e da ^ al
nura. 153): stupete, fracetCy 'nguiene incudine, fecetera fice-
dula ; quatre, quatrate, Matalena n. di donna, Matalune n. loc.
Un esempio di d finale superstite, pare ched quid: ched é?, o
cher é? (cfr. roman. 'ched éV che le edizioni del Belli scrivono
cKedèì), 163. ND. Sempre si riduce a nn (cfr. n. 137): can-
danne cantando, e cosi tutti gli altri gerundj in *-ando -endo',
munnà^^ sfunnà, ze zeffunnà sprofondarsi (quasi 'se subfun-
dare'), e nu zeffunne 'un visibilio, un subisso' (nome ricavato
dal verbo), dgnna de-unde, e V-enne di vait-enne e sim., 'inde'.
Talora, nn da nd si scempia: funéche fondaco, 'ranedineje
'grano d'India' (fattane unica voce maschile, che ricorda, co-
munque esempio ben diverso: vgccapierte aperti di bocca, sboc-
cati), winele guindolo, Imene num. 21, wunece undici, quinece^
renena nura. 55, sineche sindaco, scanaglia scandagliare (in
senso flg.) *. — Di L'D ecc., v. il n. 102.
P.
164. Saldo, pur tra vocali, più che in toscano : puteca num. 4,
cupiertfy cupierchie, recupera, capezza, capoune cappone, sep-
puldura; PP: stroppela inezia (cfr. Diez, P 278). — In can^
navoune canape non è da vedere un caso di p in v, ma bensì
la regolare continuazione del b di 'cannabis'. Ma è br da pr
' munnd mondare, e pur seglifr^^ dicono del 'toglier la baccia a una frutta'.
Airit. 'scegliere' qui risponde capare,
' [Questi esempj di n da nn=:ND, sono, per la massima parte, voci sdruc-
ciole. G. I. A.]
Il dia], di Campobasso: Coas. cont.- Accid. gener. 177
in barile aprile. — 165. E mp dà sempre mb: cambana, Le
Camberelle n. d'un rione di Campobasso (Xe Camporelle'). —
Voce letteraria, sblenngre. — 166. Di PJ PL PS, v. J ecc.
B.
167. Iniziale o interno, esposto di continuo a scadere a i? e
a subir tutte le vicende di questo: vgcca, vgve,* vesaecia, vace
num. 93, vase num. 129, votte, carune carbonchio. 168. MB.
Viene a mm e persino a m: Jamma n. 140, rendummerà rim-
bombare ( Vintombolare' ), camenà camminare (^camb-inare da
^camba' gamba, come 'ped-inare' dal 'piede', Asc). — Circa MBJ
y. n. 95. 169. Passa in m, per assimilazione, in mammaca
bambagia^; ma ancora in mescugtte biscotto; a tacer di Mab-
belloneja Babilonia ^ 170. Del rimanente, il &, ove per qua-
lunque ragione resti intatto, ha sempre pronunzia intensa: A&-
bele, abbetine abitino, bbrejande, ecc. Lo stesso è già in
pronuncia romana; e perciò, da Roma in giù, cosi facili gli
errori di scrittura in ordine al b.
ACCIDENTI GENERALI.
171. Quel che sotto questo capo va notato di più conside-
revole, è il raddoppiamento costante della consonante iniziale
di alcune parole {rre, ecc.), e Tattitudine, in certe altre, di rad-
doppiare la consonante, ordinariamente scempia, iniziale della
parola seguente {e ttu, ecc.). Ebbi già a trattare di ciò, rela-
tivamente al toscano, altrove (Propugnatore, V 64-76); e vidi
poscia con gran compiacimento i miei studj esser riusciti di
qualche utilità allo Schuchardt (v. Les modificat syntacti*
ques de la consonne initiale dans les dialectes de la Sard.^
du centre et du sud de l'It., nella Romania, III 1-30), come
già con non poca soddisfazione li avevo visti in molti punti
concordare con le ingegnose osservazioni del Rajna, A propo-
sito d'un mss. magliabechiano {Propugnatore, V 29-63). Il
' Ne deriverà mammacgcf (pi. -uc^), il becchino, che nel Mezzodì porta
una veste talare di boxnbagina bianca. Ma il suffisso mi é oscuro.
» [Cfr. num. 120, e Arcb. II 456.] ,
178 D'Ovidio,
soggetto, considerato in tutta la sua ampiezza, anche dopo le
dotte ed acutissime osservazioni dello Scbuchardt è ben lontano
dairessere compiutamente dichiarato, e potrà dar luogo a nuove
indagini. À preparar le quali conviene intanto raccogliere, nel
più sicuro modo che si possa, le norme speciali di ciascun
dialetto.
Chi si pongala determinar cotali norme può esser facilmente
fuorviato, quando non gli sienó ben familiari le caratteristiche
fonetiche del dialetto. Dalla frase chesse fa bbrutie ('ciò dis-
conviene'), a cagion d'esempio, può parere che la voce verbale
fa (facit) abbia anche qui, come in toscano, la facoltà raddop-
piativa (cosi, diremo, d*ora in poi, per brevità); ma non se ne
fiderà chi ricordi la norma del num. 170, secondo la quale il b
ha sempre pronunzia intensa (bb): egli sperimenterà invece gli
effetti del fa piuttosto sopra altre iniziali, capaci di diverse
intensità; e da frasi come me fa male la capa, mg fa jugrne,
ricaverà che fa, a Campobasso, manca d*ogni facoltà raddop*
piativa. Cosi, chi dal confronto di cchieseja col tose, 'chiesa'
ne argomentasse che la voce campobassana abbia subito un
raddoppiamento nella iniziale come rre, errerebbe di molto;
laddove, quando egli ripensi come sia frequente, o anzi, in dati
casi, normale Taferesi dell' atona iniziale (num. 59, 66, 71, 83),
vedrà chiaramente in 'cchieseja la più integra continuazione
di 'ecclesia'. Lo stesso dicasi di Uà illac, o equa ecc[u]'hac; e pur
di molti verbi, che, badando al latino o al toscano, si direb-
bero affètti da spontaneo raddoppiamento delia iniziale, e in-
vece ebbero la prefissione di a o talora di in, e quindi TaferAsi
di a- od i-, la quale lasciò scoperta la doppia consonante, stata
già mediana tra vocali; com'è il caso di 'rrecurdà (cfr. roman.
aricordare), 'mmeschjà {"amm- od anche *imm'). Questo, assai
probabilmente, è pure il caso di ddie' (num. 17), che, assieme
al tose, ddio (mio ddio, la ddea, gli ddei), sarà forma aferetica
di Iddio' (il dio; cfr. le assimilazioni odierne dell'articolo to-
scano: ippane = ì\ p. ecc.)\
• V. Propugn. V 75, e cfr. 71. Il fatto che il -dd, legittimo solo in *dio\
8i comunicasse a Mea' e a ^dei' 'dee', non ha nulla di strano. Ma lo Schnchardt
(L e, 20) par che mal s* induca ad accettare la dichiarazione che diamo del
dd di 'dio', e altra non ne dà.
Il dial. di Campobasso: Accidenti generali. 179
172. Di parole che raddoppiino spontaneamente V iniziale
posso citare: rre, rrejale rogalo num. 65, rrobba, mmerda,
mmummeja, mmolla, nimalatija, nne nec, cchiù plus, dde.
Meno le due ultime, tutte queste voci hanno per iniziale una
consonante continua; il che agevola di certo il raddoppiamento,
ma non si può credere che basti a determinarlo. In 7^re l'ec-
cessiva esilità monosillabica, discordante dal significato molto
augusto delia parola, può aver determinato il raddoppiamento;
e rrejale non ha forse fatto altro che seguire il suo etimo.
Anche in nne e in cchiù il monosillabismo e V intensità ideo-
logica han forse cospirato \ In rrobba , mmu-mmeja , mmo^
Ila ecc. vi sarà pure assimilazione dMntensità fra le due sillabe
attigue. Ma per dde (però pur te) non so vedere alcuna ragione.
173^ La facoltà raddoppiativa non ha nessuna efficacia sopra
l'iniziale dell'articolo determinato {lu, la; pi. le) e dell'inde-
terminato {nu, na)y i quali, proclitici e deboli, non si attentano
ad aumentare per nessun verso il loro modesto volume ; quindi,
mentre il toscano dà e ttu, eppoi, e II' uomo , a Campobasso
avremo e ttu, e ppo, e mmg?!, e cquanne?, di contro a e l'gme,
e l'uomene, e na femmena. Anche è da avvertire, che la più
leggiera pausa può bastare a romper il legame tra due voci,
cioè a sospendere la facoltà raddoppiativa; quindi, mentre in to-
scano abbiamo a mme ppure, a mme mmi manca, qui avremo
a mme ppure di contro ad a mme me manga. 173\ Le quali
cose premesse, ecco i monosillabi forniti di facoltà raddop-
piativa: e et; nne nec; no; se si ; cchiic plus ; ggià jam (giacche,
giacché); che quid quod; a ad (fuorché nelle locuzioni verbali
sul tipo /ho a dire', nelle quali Va si abbarbica cosi tenacemente
alla voce di *avere' da non potersene affatto staccare: àj-a fa
ho da fare, favis-a fa male?^ t'avessi a far del male?); che
con, num. 76, 136; jpe per, num. 114; so sum, sunt; je est (fuor-
ché in je vere, n*n e vere); ci eie num. 23, 93; me te^. Gl'im-
' 'L*imtiale renforcée de cchiù est due peut-étre au sens de ce mot'. Schucb.,
1. e, 9.
* Si notano come saggio alcune frasi : aja purtd tutta 'ssa sporta apposta
pe tte\ sg cce uoji vacce^ sg nno nemborta; uoel e ttu pg echi m'a pagliate ìì
quandg ci cciuccg^ figlig mif\ ci pproipa ciucce ! ^tutgng ugji (a) ffd mb§wng ì ;
180 D* Ovidio,
perativi fa, di, sta, va, non fanno raddoppiare se non T iniziale
dell' enclitica ifamme, deccelle diccelo, sfatte, vattenne: di
contro a fa prieste, di chelle c'ara dice). — Mancano poi, al
contrario dei corrispondenti toscani, d*ogni efficacia raddoppia-
tiva, i monosillabi seguenti: J^ aut, da, fra, Ila, ccuà, ma,
chi, tu, ha habet, fa facit, sa sapit, va vadit, da dat, sta stat.
^Ho, fo, so, sto, do\ che son fra i monosillabi toscani che rad-
doppiano, qui trovano corrispondenze bisillabe: jaje, facce ^
sacce, stenghe, denghe. Mancano finalmente di efficacia raddop-
piativa, cosi come in toscano, gli articoli, i pronomi proclitici,
e cf^a di, e mg; come anche i due monosillabi ignoti al toscano:
ca quam num, 148, ne (coi vocativi, tose, g); evg vuole, pg può.
174. Quanto alle voci polisillabe fornite d'efficacia rad-
doppiativa, le divergenze dal toscano sono notevolissime ; essen-
, dochò le ossitone tutte, che in toscano ne costituiscono la parte
massima, qui ne sieno afifatto da escludere. Perciò avremo: pec^
che mg? di contro al tose, perche mmai; jarrà decenne di
e. a. anderà ddicendo ; addg vaje ? , magna pane, vede terra,
sendi fama e cosi con tutti gì* infiniti; e Lunedi passate, L.
vendure, di e. a Lunedi ppassato o vventuro, e cosi tutti gli
altri nomi di giorno in -di {Lunedi mmatina o L. sseira e
sim. sono eccezioni illusorie, poichò vi si tratta di semplici
aferesi; come si vede chiarissimo dalle frasi Sabbet* amma--
Una S, asseira). All'incontro, il riflesso del pronome 'omnis',
che in toscano non produce raddoppiamento \ qui lo produce:
jognettande di contro al tose, ognitanto ecc. Concorda col to-
scano il cacche (num. 148): cacchevvgta = qualchevvoUa; e cosi
cumme comparativo: cummetté - cornette (ma cumme te chia^
mei di e. a come iti hiamif). Di ^qualche' si può presumere
che gli si attacchi un 'et' (v. DiBZ, less. s. v.); ma di 'come',
se può presumersi lo stesso pel campobassano cumme nella
comparazione (cfr. napol. cumm' a tte; e campob. grugsse
quand' e tte, accanto al napol. gr, quand* a tte), non si può
fa chellf chf pprgutf dicf, no cchellf chg pprsute fa ; tu che Uibbr' e llib^
bre mf va cundànnf! ecc.
* Ognissanti, come già dissi {JProp, V 77), è il contianatore popolare del
latino ecclesiaatico 'Omnes-Sancti'.
Il dial. di Campobasso: Aecidexiti generali. 181
per il toscano; ove il raddoppiamento proverrà dall' assimila-
zione del d di ^quomodo' (cfr. T emiliano ^cmod^), la quale ha
luogo anche nel semplice 'modo' {nel mq' cche ttuccredi, e cosi
come ccredi ^*comoi credis)\ knohe patre e vergette danno
patreffrangische 9 patrettoste (il padre Tosti), vergenemma^
rija. 175« Circa poi le iniziali che si raddoppiano, ò notevole
che la qualità d'alcune non s'alteri {p-pp, k-hk, é-éc^ m-mm ecc.),
e d'altri s'alteri o appaja diversa (j-gghjy v-bb, J-gg, d-dd).
V. i num. 89, 93, 108, 118, 152, 162. 167.
176. Iato. Chi sente uno di Campobasso (e cosi potrei dire
di molti altri paesi meridionali) a parlare italiano o a leggere
il latino, è colpito sùbito dal gran numero di J epentetici che
quegli interpone ad ogni più lieve incontro di vocali: pojeta^
VbejatOy pajese, majestro, V ideja non angora divenda jatto^
tre jannif ecc. Ma nel dialetto, l'occasione di codesti j si riduce
infinitamente, o perchò all'iato vi si rimedii per altre e più
organiche maniere, o perchò l'iato, prodottosi nel toscano, per
dileguo di consonante, qui all'incontro non si faccia.. Cosi, de-
gli esempj che testò davamo, solo i tre ultimi occorrerebbero
nel dialetto, gli altri andando risoluti a questo modo: puweta,
vejate, pajese, majestre; cfr. i num. 26, 65, 73, 78, 86.
177. Epentesi di e. Anche i nessi di consonanti sono
spesso avversati, e vi si rimedia con l'inserzione d'un e, che
però ha un valore irrazionale, comunque nella scrittura noi
non l'abbiamo potuta distinguere dall' ^ ordinaria. Cosi è in
cglepa, rolece (num. 102), vitere, vizeje, e in tanti altri che
si son trovati più sopra. 178. Epentesi di u, oltrechò nel
solito aguanne num. 75, in mascuarata mascherata; cfr. i na-
poletani stracque stacco, cucquaglie (di cui vedi il num. 108),
'nguacchiate macchiato (di e. al campob. 'nghiaccate; 'incac-
colato?'). 179. Prostesi: di t?, in vgne ugnerò num. 53,
vave -a avo -a, wute^ gomito (da [g]u[vi]to); di J, '^^je.jesse^
jecche num. 23,jereva nn. 23, 110, jietteche jelteca num. 143,
' [Non mi TO* pronanciare intorno a quest* ipotesi ; ma avvertirò nuova-
mente, che rem. cm^d^ e simili, sono aggregati neo-latini [che-mòdo], i quali
equivalgono al lat. quómodOf onde cóme ecci ma non ne provengono. Cfr.
Àrch. II 415 n. 2. G. I. A.]
' Napol. vut^. E plur. campob. vgtfra.
Archivio gloitol. ital., IV. 13
182 D'0?idio,
ji ego (eo, io, ji') ^ jije. 180. Attrazione di i, in avoire
num. 63, vojera borea, praipa propria(mente), maitenata 'suo-
nata fatta sotto le finestre d* alcuno la mattina di Capodanno' ^
e neiresito di GN (num. 155).
Appendice.
APPUNTI MORFOLOOICl *.
I
i8l. Gli aggettivi di 3.* declin. (felix, viridis ecc.) as^amon tutti
nel feminile la desinensa analogica -a: felica, verda ecc.; fatte, s'in-
tende, sulla pronunzia di quest' -a le riserve espresse al num. 61. —
182. La proclitica ed enclitica avverbiale e pronominale ce *ci* ha il
valore non solo di pronome di prima persona plurale, ma pur di quel
di terza singolare e plurale, quando però le succeda altra particella
pronominale: faccelle (napol. fangelle) e ce Vara fa è insieme Sfacci,
fagli, falle, fa loro... ciò'; laddove /acce (non cosi.il corrisp. nen^, fartge)
è limitato alla prima plurale. 183. E al Mo' masch., Ma', *-lo' neu-
trale, rispondono qui -{Ile -élla ^élle (cfr. n. 31 e n.), semprechè dalla
voce verbale li separi una enclitica: purtatille pdrtatelo, purtacélla
pòrtacela, deccélle diccelo num. 173. Cfr. --ènne nn. 32, 163. Mentre si
ha pure semplicemente pòrtele "la pòrtalo -a ecc.^ i84. 1 pronomi
possessivi qui (come in tutto il Mezzogiorno, s'io non m'inganno) vanno
posposti sempre al nome : lu libbre mie\ la casa tnejja^ le camera toue^
la casa tiostra ecc. ^ E coi sing. dei nomi indicanti gradi di parentela
i pronomi possessivi di prima e seconda persona singolare sogliono
fare una voce sola (sempre senza l'articolo): pdtreme^ fraterne y /T-
glieme e figliemay mariteme^ nep^teme -^ma^ cajenateme -ema num.
155, vaveme ^e/na^ sugcreme^ sQcrema,jenfteremey ngrema) e così pa-
tretCy ffglieta' ecc. ecc.; cfr. i nn. 14, 41, 60.
' [Qui va però considerato l' estesissimo tipo maitina mattino.]
' Nello spoglio fonetico ho gettato qua e là quel che di piti notevole avevo
in fatto di morfologia. Tuttavia non mi pare inutile il fare qui qualche ag*
giunta, e soprattutto il presentar tutto intero qualche paradigma verbale.
' Notevole il portai^ portala e sim., della Basilicata: quasi ^portà(iI)lum\
^ Non posso tenermi dal rammentare qui, come per incidenza, la strana
dicitura del dial. napoletano, il quale per ^un mio amico\ ^una mia sorella'
e sim^ dice 'n amiche dù mijf^ 'na sora dà tnija e sim., q. ^un amico del
mio\ ^una sorella della mia' ecc. E coti pure: chist^ é ddù mij^y chesta è
ddd mija^ ecc.
Il dial. di Campobasso: Appunti morfologici. 183
185. Paradigma* di 'avere' 2.— inf. Qve\ prcp. pass, aule -a, ger.
avenne. Ind. pres. : ji aje^ tu a\ jisse e ; nu averne^ vu avete , Igre
anne. Impf, : avejja^ avije avejja ; avavame^ avavate^ avejene. Perf. :
avive^ aviste^ avelie \ avemme^ avisleve^ averne. Futuro: manca. —
Gong, pres.: manca ^. Cong. impf.: avesse^ avise^ avesse; avesseme
(e avess{me)j aviseve (e avessùe; v. i nn. 6, 129 e la n.), avessene. —
Imper.: 2. sing. e 1. e 2. pi. « come le rispettive pers. dell'ind. pres.;
3. sing. e 3. pi., come le rispettive pers. del cong. impf. (v. la n.); ed
anche vedemmo una 1. sing. al num. 132 in n. ^ Condiz. : avrija avrt-
sfy avrija'y avrimme^ avriseve^ avrijene,
186. Parad. di 'essere''*. — Intjesse^ pcp. siate -a, ger. *ssenne.^
Ind. pres,: so, ci àie (nn. 23, 93), j e (nn. 23, 179); seme, tete^ so, —
Impf. epa, tr^, eva'y avame, avale, evene, Perf. fQse (num. 49), fuile,
fQse\ fQsemej fusleve, fQsene. Fut.: sarraje, sarrd^ sarrd\ 1. o 2. pi.
mancano, sarrdnne^, Cong. pres.: v. il num. preced. Cong. impf.:
fusse, fuse, fasse\ fusseme, fusece, fussevie. Imper.: v. il num. pre-
ced. Condiz.: sarrijay sarrise, sarrija\ sarrimme sarriseve sarrijene»
187. Parad. dei verbi in' -a re. — InLpurld, pcp. parfa^e -ala, ger.
* ^Ometto naturalmente, così in questo come negli altri paradigmi che se-
guono, i tempi perifrastici: Uo ho avuto, io aveva avuto, io avessi avuto, io
avrei avuto'.
' Tralascio di premettere alle voci di questo verbo, e degli altri comin-
cianti per vocale, il J prostetico, elemento mobile, di cui la presenza dipende
meramente dal posto che le dette voci occupino nel discorso. Si dirà, p. es..*-
quand' atei' abbuscatf? quanto avete guadagnato?; ma: jaofm' abbìMcatf ecc.
' Ed anche in tutti gli altri verbi, qui come forse in tutto il Mezzogiorno.
Vi si sostituisce T indicativo presente, ed anche, in dati casi, il congiuntivo
imperfetto (p. es. di chf rrapissf di* che apra). Di qui il tanto abusare, che,
anche scrivendo, fanno i Meridionali dell' imperf. cong.
* Valgon queste norme per tutti i verbi.
' Frequentemente la plebe sostituisce questo ali* altro ausiliare; p. es.: eie
vistf a ppatreme? hai visto mio padre? e sim.
* Il futuro, del resto, ò qui, come forse in tutto il Mezzodì, pochissimo
usato; fino a farci nascere il sospetto, se quelle voci, che pur se ne posson
citare, non sieno per avventura semplici affermazioni dialettali del paradigma
della lingua letteraria. Comunque, é usato principalmente nel senso dubita-
tivo; p. es.: sarrd vereì e sim. Ordinariamente vi si sostituisce Tind. pres.
E quando v* entra il concetto dell* obbligo o della necessità (il continuatore
di Mebeo', d* altro lato, qui manca affatto), abbiam le forme perifrastiche: dja
purtd *ho a portare' (v. num. 173''), dra purtd *hai da portare', dra p. *ha
da p.'; avema p., avetap,, dnna purtd, E cosi si conjuga via via aoQJja purtd,
avita p., atessa p., avrija p , eec. ecc.
184 D'Ovidio, Il dia!, di Campobasso: Appunti morfologici.
purtanfte. Ind. pres.: porte, pugrte^, porta] purtatne, purtate, porr-
tene. Impf. : purtava^ purtave^ purtava; purtavdme^ purtavate^
purtavene. VevL : purtave, purtaste, purtatte; purtamme, purtaSteve^
purtame, Fut.: purtarraje eoo.; y. il num. preced. Cong. impf.:
purtasse^ purtase^ purtasse; purtassemey purtaseve, purtassene, Con-
diz.: purtarrija ecc.; v. il num. preced.
188. Farad, dei verbi in -ire, al qaale si conformano altresì, fuor-
cbè neir infinito, tutti i verbi in -S re e in -ere. — Inf.: durm{y vede\
légge\ pop.: durmute, viste (però ulute, putute^ sapute ecc.) , lette e
leggute\ ger.: durmenne^ vederne ^ leggenne, Ind. pres.: dorme ^
duQrme^^ dorme] durmeme, durmetf, duQrmene\ e vede vide-.^ve^
deme. . . videne; leggile Uegge . . • leggerne . • . lieggene. Impf. : dur^
mejja, durmije, durmejja; durmavame, durmavate^ durmejene\ e
così vedejja ecc., legge jj a ecc. Perf.: durmive, durmiste, durmette\
durmemme. durmisteve, durmernei e cosi vedive ecc., leggive ecc. —
Cong. impf.: durmesse, durmise, durmesse; durmesseme (e durmas"
sfrne), durmiseve (durmassite), durmessene] ecc. Gondiz.: durmar^-
rijaj durmarrise ecc.
189. Gl'irregolari, in tutto tra loro conformi, sta e dà (v. num. 2),
pcp. state -a, ger. starme. Ind. pres.: stenghe, sta\ sta\ sterne^ stete
stantie. Impf.: sfejja^ stije ecc., v. il num. preo. Perf. stive, stiste^
stette ecc., v. il num. prec. Cong. impf. : stesse stise ecc. ibid. —
Condiz.: statrija ecc.
190. Parad. di Ji *ire'; pcp.^u^e -a; ger.jenne. Ind. pres.: voje^
va\ va] jame, jate, vanne. Impf.: jija, jije, jija\ javame, javate,
jivene. Perf. : jive, jisfe, jette ; jemme, jisteve, jeme. Cong. impf. :
jisse, jisey jisse; jisseme, jiseve, jissene. Condiz.: jarrija ecc.
191. Alcune irregolarità, circoscritte al solo ind. pres.: veni: ven-
ghe, vie\ ve\ tenerne, venete, yienne]^ t©né: tenghe, tie', te ecc,;-
uló: voglie, wuq, t?p; uleme, ulete, ìougnne\^ puté: jjo^jje, pu/, jp^;
puteme, putete, puQnne\' iti facce, fa', fa', faeeme, facete, fanne
(impf. facejjja, perf. facive pcp. fattf, ecc.);- aoi:jesche,jiesce,Je'
sce; sceme, scete, jiescene.
-♦-♦-
' E così tu cunde, tu pienjte, tu mine (v. i nn. 9, 15, 28, 31, 37, 42, 4&,
46, 53, 56), ma tu magnf, tu figlif^ tu agghiustf (v. i nn. 30, 38, 52).
* E così tu aiendf, tu cridf, tu canusf^ tu vive (bevi), tu mitt^ ecc. e /prf
sifnàfnf, Gridane, canuìfuf ecc. ecc., di e. a tu chiagnf, tu frijf (friggi),
tu fujf ecc. ecc. Vedi, oltre i nn. cit. nella n. al num. 187, anche i nn. 10,
21 e 48.
TESTI INEDITI FRIULANI
DEI
SEGOLI XfV AL XIX,
RACCOLTI E ANNOTATI
DA
TINCrazO JOPPI.
AvTertimento.
I pili antichi documenti manoscritti di quella lìngua friulana, che
vive parlata in tante varietà fra Trieste e la Liyenza, sono i pochi
Saggi ohe ancora ci rimangono del secolo decimoquarto; ed è, in
generale, perdata nel Friuli quasi ogni memoria scritta di tempi
anteriori. Le infelici condizioni di questa contrada, travagliata da
continue guerre, frequenti carestie e pestilenze, erano d'ostacolo a
ogni coltura letteraria; e quanto ci resta pur di scritti italiani del
Friuli di quel secolo, ò di gran lunga inferiore alla messe che ò dato
vantare a più altre provinole dell* Italia.
I Saggi del secolo XIY, come pur quelli del XY, furon raccolti
dai Libri delle spese ed entrate de' Comuni, delle Chiese, Fraglie e
Famiglie, che talfiata si tenevano nella lingua parlata, da chi igne*
rava il latino e l'italiano. Due hrevi composizioni poetiche, d'argo-
mento amoroso, sono i soli frutti letterarj che ci fu dato ritrovare di
quell'età. È prohahile, che i fatali avvenimenti, onde era impedito lo
sviluppo intellettuale del Friuli, contribuissero a disperdere quanto la
Musa popolare pure andava dettando.
II secolo XYI segna un vero risveglio nella nostra regione, spe-
cialmente in ordine agli studj classici; e le nostre biblioteche son
piene di opere latine di quel tempo, stampate e manoscritte, cosi in
verso come in prosa. Solo dopo la metà di quel secolo, cominciarono
i Friulani a maneggiar bene la lingua italiana, prendendo a modello
quanto di più elegante e corretto la stampa offriva alla portata di
tutti. I viaggi resi più agevoli, e il moltiplicarsi delle scuole, con-
tribuirono potentemente alla diffusione di quella coltura, alla quale
il Friuli si era andato preparando dopo il 1420, che è Tanno della
sua annessione alla Repubblica di Yenezia. Per quest' annessione, la
186 Joppi,
provincia nostra avea trovato pace e prosperitài ben largo compenso
alla perdita della sua autonomia, poiché, durante il fiacco governo
de' Patriarchi di Aquileja, desolata da perpetue lotte intestine, ess'era
sempre rimasta molto addietro nelle lettere, nelle scienze e nelle
arti.
Nel Cinquecento, illustrato fra noi da^li Amaltei, dai Luisini e dal
Yalvasone, coltissimi scrittori di prose e rime italiane, troviamo
eziandio i primi prodotti letterarj in lingua friulana, dettati da uo-
mini di qualche ingegno, quali il Morlupino, il Sini, il Biancone ed
altri. Non sono che pochi frammenti, la maggior parte poetici, ma
tutti preziosi per la storia della lingua. Il Liruti, lo storico della
letteratura friulana, che ricorda cosi gran numero di scritture pa-
trie, sdegnò di registrare le vernacole, quasi vergognandosi deirabito
incolto del parlare nativo. Erano i tempi della più assoluta ammi-
razione per le lingue classiche, e possiamo facilmente scusarlo di
questa noncuranza.
La vena dello scriver friulano scorre piti abondante nel secolo XYII.
Alla copia s'unisce lo spirito, che però spesso degenera in scurrilità ;
e la lingua si fa piti ripulita, piti elegante e piti dolce, ma però meno
caratteristica ed originale che non nei tempi anteriori. La fantasia
è fresca, lo stile facile ed il gusto piti corretto che non nelle ampol-
lose poesie italiane de' contemporanei.
Anche qui la messe piti ricca ò di versi; l'amore è il tema favo-
rito; ma un amore ben piti sensuale che non platonico. Le burle
facete, le avventure oscene, le satire, s'alternano colle poesie sacre
e di occasione; e, pur troppo, ben rare volte la Musa vernacola s'in-
nalza a celebrare nobili gesta o la dolce tranquillità della vita dei
campi.
I migliori poeti friulani del Seicento sono Eusebio Stella di Spi*
limbergo e il conte Ermes di Colloredo, questi vantato sopra gli altri,
anche perchè la stampa ne divulgò le briose composizioni per ogni
parte della provincia. Appartengono ancora a questo secolo le Rime
di Paolo Fistulario e de' suoi allegri compagni , oltre quelle di mol-
t'altri anonimi, che se non brillano sempre per la novità de' concetti,
ci debbono pure esser cari perchè hanno mantenuto ben vivo il culto
operoso della patria favella.
Nel secolo XVIII decadiamo. Abondano le Poesie Morali; ma se
il buon costume ci ha guadagnato, la lingua ha perduto all'incontro
molta parte della sua freschezza, e spesso diresti che si scriva tra-
ducendo dall'italiano, cosi nel verso come nella prosa. Si distinguono
tuttavolta: Gabriele Paciuni di Cividale e il Busizio di Qorizia, au-
TesU friolani. 187
iore del travestimento furiano dell* Eneide; e anche son notevoli al-
cune Canzoni villereccie.
Recheremo pochi Saggi di questo periodo di decadenza, e baderemo
a sceglier bene. Era poi serbato a Pietro Zorutti, nostro contempo-
raneo, di dare al verso friulano una venustà e uno splendore, che
non s'eran mai prima raggiunti, e che difficilmente potranno più es-
sere uguagliati.
Nei Testi f che qui sono offerti, ò sempre conservata l'ortografia
originale, salvo quel che s'aggiunge nell'interpunzione e negli ac-
centi. S'è pur data o tentata la spiegazione di alcune voci non piti
in uso e non registrate nel Vocabolario Friulano dell' ab. J. Pirona
(Venezia, 1871). E i Testi sono inediti, pochissimi eccettuati, che
però furon corretti sugli originali.
Udine, novembre 1876.
188 Joppi,
I.
SECOLO XIY.
< >
1. Spesb dxl Cobiune di Cividalb«
[Archivio notarile di Udine^ Mas. Vaij, Voi. I.]
1340.
Dedi adi 15 di mazo a queli chi furin a chonzar la Statato denari XI
per uno.
Adi 8 esondo zngno per uno spervere e a uno chi gè a Fagedis a chom-
perarln den. 78.
Adi 2 esendo luglo, al magistro et queli chi furin a portar li balestri et
li tnlini a corte et tornarli indirer 30 den. per uno. 16 ottobre per 8 cari
di savolono den. 8.
2. Dai Quadbbni della Fbatbrma dì S. Maria
DB* Battuti di Udinb.
[Archivio dell'Ospitale di Udine.]
1349.
Pagai a li predi di Sant Adori di fit per la tera che nus òé Lapro toscano.
Item dei den. 40 a Francischin nodar per scrituras chi elio fes alla casa.
Per tre miglars di modons e per las charaduras [lire] di frisachensi XVIU.
^ R. [ricevette] MagÌ8ti*o Niculuso Camerar marche IX da Lenart Bitus che
fo chamerar li inant di primo di zenar.
R. den. XX che fo vendnda la peyerada che romana de la charitat.
R. den. 12. da Chumina la madrigna cu fo di Zanda inpentidor per las
messas d-on-ano [anno].
3. Dai Quadbbni db' Cam bbabi della Fraterna
DB* Battuti di Cividale.
[Arch, delV Ospitale di Cividale.]
1350.
In primis recevé io bortolomio de Brìos fra di Josep de Flumisel VI star
T68U frìalani: Secolo XIV. 160
di formento cha dan e del an en cor V star de aTona, VI star de melg et
iìj conz di Tino.
1352.
Si die Stiefia di FlumiBÌel si a-achordà chal priul di Sent Dumini per un
star di forment e un d'aveno. E anchimo si s-achordà cha la priolo de lo zelo
per un star di forment.
1354.
Fo fata una carta con una vigna fo dado a Pedrus manual per VII anni
a miezis, la vigno si é su la mont di Sent Filip cu fo di Ser UdurlI la lonC]^
iij di gisint yendemis.
1355.
In d-ayost si fo comprat zera cun volontat delg Prinlg e delg cunsiglir li-
TTj 18, per X dina la liyre. Si fo spindut par spali di £& gli ziriuz. Si a eibut
tot per cero e per layuriduris meza marcha.
Si arecevir gli Frari menor per T anima di dona Felis soldi 40 e for daz
per chutuardis mesis soldi 14.
1355.
adi Vn di seseledó si fo spindut per un quaderno per seriyir li chanzon soldi 5.
Si fo spindut a Sent Dorat soldi 12, yot al predi e 4 per spensaris.
Si comprai io Jachu alg masaii di Flumisel tre [denari] cbielg furin doi
dinar di pan e 3 bosiz di teran per sis pizul la bozo e miez dinar di formadi
e miez dinar lu tngnoetri.
- Si ob Brunis per uno yìo d-oleio chel fes.
Si ob lu predi di Sent Martin chel dis meso soldi 2.
Si spendei cui Indrì cha dus lu fit, chelg bivir soldi j.
Si ob Lenart ohaliar quant el stié amalat in dos setemanis. Item fo dat
ad uno Tarfino soldi 27.
4. Dai Quaderni db* Battuti di Udhob.
[BibL Munte, di Udine.]
1357.
Per la oblacion da mese di marzo.
Pagaj per far lis viliis di Micul per una sela di yin denari XV.
Per doi ceris novi fati deyant la Virgin Maria.
Spendej in chel di chu furin chà gli massari di mas zoé la di d«ogna sent
per beyi, frixacenses iiij.
190 Joppi,
Par doi ceris pizuliz devant la Virgin.
Spendey per legnis chu furin comperadis per lavar li bleons de li poyeri
dea. 12.
Per doi star di zesera comperada per lo gustar, mezza marca di den.
Spendey per scortegar lu bus den. 5.
Pagaj per far cruvir TOspedal den. 24.
5. Dai Quaderni db* Cabcerari della Chiesa
DI S. Maria Maggiore di Gemona.
[Archivio municipale di Gemona.]
1360.
Adi 3 di zugno.
In primo spendey per fa meli lu lastrat su la chanpanili che io dey su a
^In filgli che fo mestri Grilg e a Salt marche di denari 4 et den. 10.
Spendey per una seredura di zep che fo mesa su lu usso del chanpanili den. 24.
Item per fa inflodrà lu usso de Sacristia et per breys che bisogna al det
usfio, den. 25.
Per uno cesendeli de vero, den. 4 et per saulin che bisogna ad un cesen-
deli den. 3.
Item dey a Miser lu Plevan per la spesa che-1 feys a tray lu libri grant
fur di Padova et cundurlu a Glemona lire de Soldi 5.
Adi 22 de Settember dey a Blasut per che-I conzà giù chandileri che teyn
giù dupleris deig morti, zoé vj chandileri lib. parv. 6 '/, [cioè lire di piccoli
veronesi].
Adi 2 di zener
per fa condur I-ago del batem in pasca tefania den. 2.
Adi 3 di marz dispeudey per fa adu la crisma de Agulea den. 24.
Item per fa giù grandi ceris di pasca mayor marche 4 di den.
Par chel feys giù ceris di pasca maior, den. 63.
Par chel lava lis anchonis den. 12.
Dei a pre Mattius perche porta lu chorpus Domini in torn tavola in sabida
de batem, den. 24.
De May
Per fa aplanch& lu solar chi-é sot li chanpanis.
Dei a Blasut de Ser Gabriel per lu (igl del agnul chel indora.
Item a chulor che aiudar tira su le scale et meti lu may su lu chanpa-
nili, den. 12.
Item dispendey per 12 chandelotti che fo mitut denan giù apostuli quant
fo lu in noval de la segra den. 6.
Par lu inaversari den. 20.
Testi friulani: Secolo XIV. 191
1360.
25 de 2agn.
Dey a uno pover, soldi 20.
Dey per Tarciavol lire 8 di soldi.
Dey a Zuanut inpintidor
1366.
Item dispeodié per uà Codes che despegnay in Venesia da li Frari di
S. Maria el qual fo fato a Padova ducati 13 Vt in oro.
1367.
Po spendut per dir lu Salteri a la zelo per un ano, marche
Per una trizera a donar a li noze di Pinta quando el vadigi la muglir
ducati 2 in oro.
Spendut per un star di favo in chaso, den. 36.
Spendut per dar al mostri de la schola per lis quartucis di pasche per Tin*
fanti, soldi 6.
Per lu ineyal del pari di Signu march, j di denari.
Per la intantesim di Danel e Setimina e in cera oferta 35 soldi.
Fo spendut per dar a Mestri MichuI inpintidor per inpintir lu zil, el drapi
di denant e far figuri in lu mur per gonseglo de Ser Ménaat, per la so fa-
diga marche 6 di soldi.
Fo spendut per comperar una cope per meter li ariquile sot Taltar, soldi 17.
Fo spendut per andar a Udin e Sofinber a fa la grazia al vescuf e a-do-
nar al so canzilir chi ni fes lu sigel su, den. 100.
1371.
Per andar al playt a Udin.
Dey a Zuanut inpintidor per far la salutazion in le fineatri davur r aitar
mayor, soldi 22,
1373.
Spendey gli quai dey a Zuanut impintidor per la so fadio per lavar e per
cumedar li figuris e lis ymaginis del crucifizo den. 40.
Item per far cruvir lu teto a copo de la Giosia.
Per lu fat mirindo e pan prendi ogno df azó chel no gisisin de lavoro e no
s-inderedasin ad ala chaso per duti lu sis dis, den. 4 per dt
Spendey per ricevi l-arciaul e gli previt per V boce di Romania. — Item
spendey per far conzar zoé cuvrir lu graduai .....
1374.
Spendey ch-id dey a mestri MichuI inpintidor per la tavola che Timpintl
devant 1-altar de Sant Jacu, Jibr. 7.
192 Joppi,
1389.
Spe&dey per la tavolo d-arigint soro indanrado de dar la pas chn io com-
perai de Qrabiel filg del Bai d*Udin per chomandament delg Prochuradors ,
march, di soldi 8, e sol. 116.
1392.
Item spendej li quali i<5 dey a Misser lo VeschQf per so fadio qiiant al
0egrà 1-altar maior^ due. 5*/s* Item al so infant, den. 10.
1394.
Spendey la di de la Amiunciatioiì di S. Maria per aricea Misser lo YeschoTO
et li previdi et li frari e con qaelli che aydé. el xago« per aribola, den. 22,
Item spendey per lo Arcionasi et a cholori che portarla lis crous incontra
lo Patriarcha, zoé per bevi, den. 3.
1395.^
Spendej per dar al l-arziavul, al so marnai per lai, per lo arcionasi che la
Olesia paga, march, ana.
1396.
Spendey la di di S. Maria per già Avenzonas chu adaserin gin ceri per
ricevergli, sol. 8.
1402.
Spendey cb*i<5 dey a mostri Qabertin per impintara che la feis in la anchono
de la S. Maria ch-i<5 compras, den. 5.
6. GaNZOMB, scritta sul BOVBSCIO e NBLLO STB880 CÀBAmBB
DI 17N ATTO NOTABILE, BOOATO IN ClVIDALE IL 14 APBILB 1380.
[L'orig, nella Coli. Pirona, Museo Civ. di Udine; edita nel 1864.]
Piraz myo doz incularit
Qaant yo chi viot dat stoy ardit,
Per vo mi ven tant ardiment
B sn snrz soy di grant vigor
Chiò no crot fa dipartiment
May del to doz lial amor '
Par manazo ni per timor
Si chu nul si metto a strit.
* Versi cancellati: Ni pur chescg ni per cnlor
Metinsi pur ben-a strit.
Testi friulani: Secolo XIV. 193
PirQ2 ecc.
Ogn-om moBtri voglo scaro
Gh-i<5 no intint may di lasà
Di pàsiris par pavnro
La pani pur semenà
Mo piai cha may intint ama
A chugle ch-aj simpri sirvit.
Piruz ecc.
Per zo damlo byelio e zintil
Qaant anch yo paes tus vaelg preyà
Vo no sayes d-anim tant tìI
Di may Tolemi abandonà
Par det d-algun malvas bosà
Ghtt ca simpri ni mai mìntit.
Piraz ecc.
Chianzunetto va can Did
A chello damlo saladant
Di chai fidel soi sirvidó
E so celat saray amant
A mil mil ang s-yo Yi^es tant
Al so amor si soi unit.
7. Da Quaderno di bmtbatb b spebb della Fbaterma
DI S. Maria db* Calzolaj di Udine.
[Museo Civico di Udine,]
1380.
Jacamuc di Yiscon don. XLVII per inprest sora dos araedis inferadis in
Sent Cancian sint a Santa Maria e pesonal j di forment.
Fo vendut vaselli iiij di 7in par dea. XXXjyjj lu cong vindat a dar.
Item martin di Laazao sol. iiiJ '|, par formadi par la fra di Gor in prisinza
Eler el fra di Qor adi XVI in november
Item Deiiel di Lauzac de dar dea. XLiiij fata rason adi XXVI november
item pix. [piccoli] yiiij par lis misaridaris in prisinza martin e laurino
pÌTÌdor.
Par imprest adi XX in mare pasonalg VII di sigela in sent mare, stars ij
di melg adi iij in'iang.
Item zaan dal degan IL [lire] Tiiij di dinars; Hostasi di percut ò fedesor
e pagador iato reson MCCCLXXX. adi XXI in decenber.
194 Joppl,
%.
Item martin de dar marcha -^ e den. viij per inprest e per j yistit e per
j mantel. Item den. iij per pes. Item j star di sorc.
Item 11. iij -^ di caro di porc per den. iij la lira.
Item den. ij -^ per saladic e per vin adi XVI in mare.
Adi XXVij in iung termit in sabida per imprest sora j zupa e un camisot
adi Xìij in seselador.
1381.
Gnesa mnglir chu fo lenart di lauzac marcha j per imprest per apagar j
Tacha ; Eler e martin di lauzac for pagadors in oblegant la vacha e j boi e
tati li beni: martin e Eler in prisinza Niculau tesedor e pieri caliar filg di.....
di bore d-auléga e beltran di lauzac nevot martin, MGGGLXXXI adi Xiij
in aprilis, termit a Sent Michel.
Item den. XL per lis caraduris del vin: item p. [piccoli] per lis misiridu-
ris del vin.
Item den. XVI per j acro va e den. XLViij per un star di sigela.
R. [ricevuto] di Zuan ziner di denel, vasel j di ?in per den. XXVj lu congi.
Item per par j di fiergis de la chavala.
Item pesonalg y di tramesta.
Item den. iij per la spesa dal boi e Gnesa é siuritat per la biava e per
tuto e si m-a inoblegat i boi e se no m-a contentat di tuto, Gnesa mi deba
menar la boi in anzi Sent Michel.
8. Spese del Cameraro del Comune di Cividale.
[Archivio notarile di Udine ; Voi. I Mss. Varj ]
1380.
adi 10 di iugl diey a Pieri Bri eh chel porta 2 letiris una a Ser Redolf a
Triest e laltra a Michulus di Cararia per comandament degl Provededors, de-
nari 60.
Jn chel dì diey a Ceco per la part chi gli tocava di 5 magi pes degl be-
cari chi farin incondagnadi per comandament degl Provededors, den. 20.
Adi 17 di Iugl diey a Culosis chu zie inbasador ad Udin, den. 72.
Adi 19 di logl comprai libre 21 di colac di sef per deber far pagnarogl
quant yes la nuela di Pola, den. 63. .
Adi 21 di Iugl diei a Damini Brich chel fo a Puriesin a comanda cari chi
ciesin a menar arcUa in cort per la brasagl, den. 4.
Adi penultim di Iugl diey a 24 pedoni che debevin alar a Cavadistria e si
furin mandadi a Triest par rason chi Cavadistria si fo tolta per Viniciani e
si debevin ave la ferma per un mese per cascaduu, marche 2 di soldi al mes.
Testi friulani: Secolo XIV. 195
Adi 2 d-avoet diey agli caradori chu zirìa a Triest chn la pedonagla mar-
che una di den. e ad un di Pola che porta una casa di piloz daur gli cari
che zievin a Triest den. 2.
Adi 9 d-aTOst diey a Ser Redolf ed a Zuan tant chi zirin in Udin al Par-
lament a deber diputar gli homini a rezi la contrada, fortoni 3*
Item per un coder di carta den. 7.
Adi 14 davost diey a Ser Redolf quant el ala cun Zuan Toni chu zirin al
Parlament ad Udin cun 5 cavali e Ser Redolf stiet 2 di e Zuantoni stiet df
uno per li spesi e per In nolo degli cavali, fort. 3.
1380.
Adi 16 d-avost speadey per braza 3 di vergado per lu palit da pé, costa
al braz grossi 25 e per braza 25 di scarlatin per lu palit di cavai in rosson
grossi 30 lu braz.
In cel df diey per la purcita cui fumiment den. 28; per lu speruar den. 80;
per la storiga den. 14; per un gaio den. 5; per doy astil a portar su li palj,
den. 16 ; per lu nolo di 5 cavali che portarla lì palj in tor la tera per quela
not e per in deman, den. 32; per pasa 12 di soga per far lasar li cavali, che
costa soldi 2 lu pas. Per vin agli pividori la villia di Sanct Donat den. 6. —
Item spendey lu df di Sanct Donat per Kbre 6 di pignocat e di cochuli, con-
feti chi costa la libra den. 32. Item per gli dopliri ad andar intor la Tera
chu la prucision e si furia lib. 25 */a ^ì cera in rosson di den. 15 la livra. Per
far colazion chugli furistirì den. 16.
Adi prim di vendemis comprai livra una d-oglo per far meti entri In ces-
sendeli a deberlu far arder in cela not, den. 6.
Adi . . . d-otor per una maza di tela di lin per meti intor gli suanpugl
dela fontana den. 9.
Adi 25 detto, diey a Candit Infant del Gastalt per far sona lu consegl che
gli Deputadi mandarin una letira chi noy debesin mandar 20 pedoni a Ma-
ran per casson chi 1-armada di Viniciani debevin If vignir, den. 1.
In cel midiesin df diey a Zuan Gillo chel zie ad Udin là degl Deputadi a
portar una letira comò egl no podevin mandar al prissint nissun e si li altri
Gumunanzi e Castelani facesin lu lor deber, chi noi volevin volentera far lu
nostro.
Adi 26 d-otor dey a quel soldas gli quagl cirin a Maran imperzoche-1 vigniva
det chi lis gallegis di vinizians la avevin presentai e furin pagadi per 8 df in
rason di 8 marche di den. per mes cascaduna lanza.
Per dispegnà la quamamusa di Yacugl pividor, la porta quant che-gl cirin
a Maran, fort. 3.
Adi 27 d.^ diey a Ser Jacupin Canoni per lu so salaiù de I-an presint par
poni li arloy in ordin, marche 4 di den.
196 Joppi,
Adi prin novembri diey per una letira mandada di Trieat notificant che li
galegi di ZenoYesi si garin in la puart di Pola«
1380.
Adi 9 di logl di Toni Nodar per chel fo let nodar del Goman e chel non
vos iestri, marche una di den.
Adi 18 iugl di Panli becar per una ìncondagnason chel fo ineondegnat chel
no fea car un di, den. 80.
Adi 10 Settembri a Chulus di Toglan per una incondagQaK)n chel iole la
spada di man a Ser Nichulo di Triest cum plusors compagne.
Adi 5 noTember par cegl d-Iplis e d-Orzan per una incondegnason chegl no
ulirin mena lis armis degl soldaa a Maran quant egl debeyin alar a Gloza,
den. 80.
9. Dagli ^Acta Camerariorum Comunia*'
nell'Archioto Munte, di Cividale.
1382.
Racio Receptoram per Henricum Gamerarìam Givitatis Austrie.
Adi tììJ di zenar marchia LViiij di denars par la tiar^o paga del dazi della
bichirigis.
Per chunpliment del dazi delie stazons march. XVij.
Adi Xiiij di iung di Ser Zilii inperzoche-1 rifagdà di gesir Provededor,
march, di den. ij.
Item a Vorli di Pniizut che rifugdà di gesir di Ghonselg, march. J di den.
Suma deli sumis di chel del ariziet marchia 500 e fortons iij.
10. Richiesta di oggetti appartenenti a Giovanni
MABCBSSB di' Moravia Patriarca di Aquileja, morto nel 1394.
[Archivio notarile di Udine. Garta volante nel Voi. Tatto di Gividale.]
A chi soth Bon aeriti Ha aresona e la domanda che Bartbolomio domandi
per lo Patriarcha 2nan, che fo imprima:
Fata raaon cum Ser Francesch lo Vuraiainger d-unia chopia e d-ona chian-
dilira et de unia impella et de chialia et de una apada, reatami a dar du*
cati XV.
Item per chonziduria di dea chopia di arunt [aie; 1. arifnt] et per arunt due.
ij, Ha quala chopia dei a Ser Blascho.
Testi friulani: Secolo XIV. 197
Item per chonzidaris di ij bazins et de una stagnada et d-un naph resta
d-aver due. vj.
Item per onzis dos de arrint et per faturis et furimìelg de la spada del
Boradet Signor Patriarche Zuan conputada 1-onza soldi C, la onza monta mar-
che de soldi j et soldi XL.
A chestis chiosis dey a Ghamicho magistro di la Ghamira e al so chom-
pagno, lu qual Ghamicho per pegno del pajament delie chiosis sora scritis
mi die la stagnada et la schudella et lo naffo in salvo.
Item Ser Zuantoni per uns furimegl d-una cintura del soradet Patriarcha
Zuan due. miez. Salvo a chel che io debeva aver de la famegla.
11. Quaderni db* Battuti di Gividale.
[Arch, dell'Ospitale di Cividale.]
1395.
Mestri Zuan inpintidor [paga] den. 40 per star un di forment per lu fit
viedry lu qual fo fat in pan e fo dat per I-amor di Dio per I-anima di Ghu-
lus Sartor.
Spendey den. 2 per domanda mes per li fiz non apayaz. anchymó; den. ij
per spangà la casa delg heres de la muglir di mestri Luri caligar.
Spendey den. 22 per un selo d-aribuelo lo qual si fo dada a la fradagla de
Qnrizo lu di di Sent Jachun e Filip.
Spendey per fa mena lis dodis tras di Udin soldi 40.
12. Dagli ^Acta Camerar%orum\ come al num. 8.
139(5.
Adi viij di luyo per quatro mestris li quali conzarin lu legnan per meterlu
in oura, lu qual legnan fo fato lo spalto chi é sovra lu rifoso apresso la
braida di Toni Gallo den. 53.
Adi viij di avost alay a Udin per comprar lu palit da chaval, spendey per
nauli d'un chaval e per la ustiria den. Xiij. *
Item comprai drapo scarlatino per lu palio brazi Xiiij, march, vij di den.
Adi Xiij comprai una storia den. Xiij.
Adi XVj alay a Udin a comprar lu palit da pé den. Xiij.
Gomprai drapo biavo brazi V */» lu qual chostà lu brazo den. XLV. —
Item comprai ij astil chostà den. Vij. — Item passi X di saga la qual deba
lasar li chavali den. XVij.
ArohWio glottol. ital., IV. 14
198 Joppi,
Item per un gallo, den. iiij. — Item per una purcita den. XV; item per
conzar e cozer la purcita den. iij et per uno vedero che fo posto la salsa,
soldi uno.
Adi XViij diey ali plvidori li quali piva alla festa del palio duchati d-oro
iiij.
Per ricever chulor che porta la vilia di Santo Donato li palij e li altri
choBsi den. iiJ.
13.
[Archivio notarile di Udine; Voi. intitol.: Savorgnanù]
MCCCLXXXXVII adi XIIII de marzo.
Io Pauli de Quglan son contento e confesso de deber dar e pagar a Indri
di Ser Nassinvero trey cento e trenta quatro due. per resto d-ogna rasson chi(5
aves affar cum Iny, da chi al df prisint. Ancora debo dar al det Indri io
Pauli marchis quaranta sis di solz per li spesi del purcielg chi son staz in
fayo quest an passat. Ancora debo dar mi Pauli al det Indri lu vadang di
questi porzi al det Indri quel chi si guadagnare per la so part. In prisinzo
di Gabriel di Lenarduz e di Michel di Lonfranch, andoy de Cividat.
Testi fiialaoi: Secolo XV. 199
II.
SECOLO XY.
-«-♦■
1. Dagli ^Acta Camérariorum Comunis^
nell'Archivio Munte, di Cividale,
1400.
Adi XXiij d-otobri di chomandament di Misser Chorat si gli manday ft .
misser Chorat per Zuan so famelg fra de Dreo chu sta chnn no per lu so
salari dello pirvidorio, marchis iiij di denars gin qualg i<5 gli manday in
dnc. Tiij in reson di march. '/, prò dnchato.
In Sabido adi XXiij d-otó si die a Dono Zaano mogli di Mostri Pieri dello
Schnello per la so salari chi é difinit chi lu Chamun gli dà liris XXV di
solz per an infin a la Tito so.
In martini adi XXVj si die ancbimó a Mestri Zintil mestri dello Schnello
soro pur lu so salari denant lu lus chi el ten la Schnello in prisinzo di Ser
Zuan nodar diegli due. Liiij in aur, gin qualg Ser Zuan & ben seriz su lu
choder del Chumon.
In Miarchurs adi XXViij d otó si die anchimó a Ser Zuan nodar ed a Ber-
nart di borch di Puint chi furin mandaz a Montfalchon là di Misser In Pa-
triarchio per difinizion del Chonselg anchimó soro lu fat del ort di Dorde e
dello mogli di Misser Luchin Visconte die lur due. i\j per om e due. yj ad
andoy.
In prindi di novembri si die anchimó al Mes inperzo chi el stió di pini chi
jaro pat chi el no puet avo responson chi el gli fo inprumitut si el stievo
pluy chi oy lu pagares di plui, dio den. viij.
In Sabido adi XiiiJ di novembri dio per doy chiavalg chi io chiatai per
Pieri di Monastet, chi fo mandata Santo Mario di Mont per favella a Ser
Nichulau d*Anzelf per debó iestri sore lu fat di Dorde e dello mogli di Messer
Luchin inperzo chi el lare dat ordln di debé iéstri chul Signó iiij o ▼ dia
' di pò chi el vignis in Zividat.
In Domenio adi X]^ di novembri dio a mestri Fran^eseh dello Qlemonaso
liris XViij di cholaz chi el dio a ehello gnot che fo lu fu a chió di Marchus
ed a chió Luzio so mari in Puarto Brasano, diegli per gin diz cholaz di saf
den. ilj dello liro, montarin dinas Lii^.
Dio per vun choder di scrivi areclams den. 54 et per ingiostri e per vamis
e per atro chiarto di scrivi die in dut den. e. .
200 Joppi,
XXIV novembri.
Speso che io ay fato per fa chonzÀ la fontano quant chi elg la fazirin
aronpi in plusors lus e quant chi elg chomandarin torzij lis disinis per Zì-
TÌdat.
In miai*chars adi viij di de^embri die ad un mostri di Glemono chi fo fat
vigny per vede lu mot che si debes tigne dello fontano e per vede si el fos
ben chi on la debes meti in legnan di chomandament di Vuglem Provede-
dor e di mostri Lenart si chu diputat soro la fontano diegly mare, j di de-
nars oltro la speso chi el fes a chió di Jancilg cramer al ustirio per se e
per iu so chiavai, diegli anchimò per lu det chiavai den. Xij in prisinzo di
mestiù Lenart chepellar.
tn Miarchurs adi prim di de^embri di chomandament di Bernart di borch
di Pmnt vizi provededor in pit di Misser Ghorat die a Chistofol brich chi
fo a chomandà chiars per lis villis intor ^ividat chu menassin piero al Tor
in borch di Sent Pieri, den. viij.
In prindi adi vj di de^embri di chomandament di Vugelm di Lupot did a
Ser Zaan nodar d*Atims chi tols per se e per Virgili chi furin mandaz ad
Udin a iestri chuUa Chumunitat d*Udin soro Tinbasado chi vins a fa Znan
di Susano per part del Signó sore lu fat chi la Chumunitat di Cividat debes
meti lu lor siel su la letire del chuncordi chi ave fat lu Signó chun Ser
Fidrl di Zupinsperch, diegli per chest march. '/, di den.
In la villo di Nadal si apagiay a Vigelm di Lupot ed a Vulgelmin ed a
plusors atris quant chi elg vignirin di mety la fontano den. ij di chonfet e
den. ili di vin.
In martirs adi XXViij di degembri si die a Grabiel nevot di Tomat di
Pinzan e chugnat di Chullau di Spirit chi fo difinit per lu Chonselg chi el
volé toma ed ala indau a Bologne a studia, fo difinit che el gli fos dat du-
chaz XX in aur e chusl gì* ai dat io Zan.
Si die a Cristoful Brich chi arestavo a voM anchimo sagint chemerari Mian
ed Octobon chi el no fo chunplit di pagià di lor del so salari, due. j.
1401.
in domenio adi ij di (enar si die a Vugelm ed a Bernart di borch di Puint
ed a Ser Zuan nodar che forin diputaz per lu Chonselg a debé »là ad Ara-
manzas a iestri chulg vuming d*Udin soro lu fat di debé acherdà Misser
Ricart di Valveson chun chelg di Zopullo e di Prodolon soro la deferendo
chi elg an vuns chulg atris, dio lur den. XXXij per om zoé a lor tre
den. 96w
Testi frialani: Secolo XV. 201
Dai Quaderni de* Battuti di Cividale.
[/oc. CI*.]
A D. 1406. A chi si comenzo lo intrado delg fizs de lo fradaglo di Sento
Mario ascudazs par mestri Culaa CasueTich cortelar e par mostri Zuan cha-
liar ziner di mestri Bertul diJPuarto Bresano sica cameras de lo fradaglo di
Sento Mario sot In reziment di Ber Alexi sicn priul e di mestri Zoan sot«
priul.
1406.
Pre Pantalios si paga per lu fit dun ort lu qual é atant a Sent Pantaleon.
Si paga mestri Mian chaligar per tre chiasis e per tre orz pnestis in borch
di Sent Pieri den. 38 e di cesti dinars sin debin dar a 24 predi» azo chelg
facin oracion per Tanima di Nicuiau.
Niculaa si paga per una chiasa puesta a pruf lu mercbyat, di nivel den. 3.
Pagin li figlis chi forin di Pieri di Toglan per uno chyaso puesto in lu
borch di Sent Dumini den. 34.
Giù herezs di Piligrin si pagin soro un ben puest in Muimas di fit nivel,
fortoni denari 3 giù qualg 3 fort. pagin la stazon di Zuar la qual posset
al prisint Vignut e si debin paga per simpri in fin a tant chi elg tre for-
toni non vignin compraz in bon lu.
La Pividresso di borch di Sent Pieri pago soro un chiamp puest in lis par-
tignincis di Chiarandis frumento star j lu qual si debo distribuì a la fradaglo
quant e lo yen di Sent Donat
Item Zuan di Merdiul pago soro uno selvo puesto in lu chi si predicfaya
in lu df di Sent Michel, den. 24.
[Nomi de* mesi: zenar, fevrar, marz, avril, may, Jung, julg, d-avost, setem-
bri, octubri, novembri, decembri.]
A chesto d la speso degl dinars spinduz:
Si dey a la fradaglo di Pristint per aiutori del confanon due. 1.
Si diey a Nardin per vardà la eros la gnot di Viners Sent sol. 4.
Diey a tre yoris chu adusirin seyolon di yidison sol. 27.
Si diei alg batadors, giù qual baterin lu forment solz 8.
Per far bati lu pani di miezis del chiamp di Spirit solz 6.
Speso fato alla procesion di Sento Mario del Zorn.
Per un zochul e miez sol. 21, per uva passa sol. 2, per yin bivut sol. 12.
1419.
Se notori e manifiest a zaschidun della fradaglio di Sento Mario chom
Margiaretto moglier chu fo de Zuan di Ruvignaz saynt in buino malmuerio
202 Joppi,
e in bon intellet per la Diogratia YUglint per remission delg sie pecchiaz e
per 1 animo delg eie passaz, lassa daTXir la so mnart alla detto fradaglio un
star di forment e miez e un quinz di yìu, la qual forment e Tin si debo vigof
pagiat soro lo braydo del Mestron, lo qual brajdo si é pnesto in gliu confina
di Luinis, con chest chu lo fradaglio debo fa in pan lu det star di forment
e lu det pan si si debo parti in lu di chu lo detto fradaglio ven di Sento
Mario del Zorn e quest elio yoIs chu fos fat ogni an imperpetualmentri com
appar instrument per man di Ser Nichula del Filitin nodar per rason di do-
neson e per rason di muart. In mill et quatricent et sedie.
142a
Sepi zisci^idun chu lo fradaglio si ó tignudo di fa ogni an uno favo over
uno almuesii^o per T anima di Spirit di Gividat cum IX star di forment e
cun tre star di £&yo e cun la chiar di purziel et cun lis altris chiosis ohm
s-apartignin a fa favo buino et grasso.
1425.
Ses avisat chu la chiasso chu ten Bartholomio di Pustiarnulo debo fa far
per man delg Ufficialg dello fradaglio viestis di pan X, lis quals si debin dà
per I-amor di dio a dis povers ogni an. El si debo dà a Sento Mario di Cort
un miedri di vuoili.
Yardo ben chu la chiasso di Ortal si ó obleado a fa di ogni an per 1* a-
nimo di Spirit messis XX e a fa di lu so anniversari in quel lu chu tuI la
Ufficiai e si debo fa di uno chianzon su la so sepulturp.
3. Spbsb DSL Cabcbrabo del Comune di Udine.
[Dai Quaderni de* Camerari del Comune di Udine^ de* quali non esistono
che alcuni frammenti in copia del secolo XVIII, nel Museo Civico di
Udine,]
' 1411.
adi i[j de Otober, ricevey de Ser Moyses e Ser Nichulau Filitin compere-
dors del dazy des quartis a prontis pecuniis per 1 an prisint scomenzant a
Sent Michel de I4I1 e flnint a Sent Michel de 1412 e costà lur per chest
ano marchis de sold. 46 e dermi lu pagament in ducaz e ponermi zascidun
dacat sold. 102, segondo chi sa Misser Luis de Zignot»
1411.
V otobre. Spendey per comandament deli Deputadi che comandavin che-1
fosÌ4 preifentaz giù Nobilg Inbasadors de Miser lu Cont Zuan Mainart da
Testi Mulani: Secolo XV. 203
^ Game e forin dogy inbasadors, qoé in nobil omo Mis. Franeesch de Gormons
e uno Capelan del det signor Gont e etiamdio fo deliberat chu-l albiarc Inr
fos pagai; e prime forin presentaz chnn lib. IV de confet chi cosU sold. 88
e bocis IV de Romauige chi costà sold. 12 e bocis IV de teran chi costà
sold. Tj e yi\j ingastaris sold. xij comperadis de Rigo spedar. — Item ancora
pagade l*iistirige al Enrager chi monta in tre pasti chnn Jx cayalf^ e jx bochi
sigondo chi fé la rason chel osto due. ìij, sold. 62.
1411.
adi zij d-otober. Spendegy chilg Deputat mandarin Eler chun une letire là
de inlostrisime Signurige de Vignexie pregant chi I-aitory cheig nus avean
parflart altis orìs, cheIg nu s-al debesìn manda prestamentrj in per zo che-I
blsognave e digli per nanlg del cavai per tìj dis, sold. 100.
Adi xTiij d-otober. Spendegy chi fo mahdado uno Ambasador al Re d-Un-
ganga e fo el discreto homo Ser Nicolo de Matinso chon cavaly 4 e tre
'famegli e stié al zir e tornar di e prima spendegy chi diegy a Zuan
del Meglo chi fo guida a scorcerla fino a Gormons sold. 40.
1411.
adi 23 d-otober. Spendegy per comandament di Mes. Tristan [Savorgnano]
e delg Deputaz chi fo presentat lo Egregy Mis. Palchart di Ìlobinstang*im*-
basador delg inlustris Signors Dus Obsteric, marche 16*
adi X di november. Spendegy che pagagy Zuan nodar di Glanglan chi fes
TÌiJ copigis delg capitulg e degl paz chi no fazerin chun Mis. Pulchart de
Robiston Lutignint delg inlustrisins signor Dus d-Osteric e digly sold. 28.
Adi 11 di decomber. Spendegy per deliberazion del Reng grant chi fo fat
sule case del Gonselg, quant si mantigné pigia 1-aitory de inlustrissime Si-
gnurige de Vignexie par manda un Mes a Ziyldat portant une letire chi si
contignive chi no voleTin manda nostris imbasadors al Re d-Ungarige s-egl
nus Yolevin fa trivis fin chelg ziesin e tornasin e dis dfs dopo la lor tornado
e digly par so fadie soldi 16.
4. Dagli ^Acta Camerariorum Comunis\
[Archivio Munic, di dvidale]
1412.'
adi 23. d-avost diey a Ghulau di comandament di Ser Ugelmin Provededor
per un vasel di vin chi dona la Ghumunitat alli Ongeri di Grudugnan \ due XI.
' Giod; alle truppe ungheresi accampate a Gordignano.
204 Joppi,
Adi XXVij didj a un mas che dus nove là chi la champ di ViniciaoB era
rot, due. V.
adi V di Setembri per far conzar lu pimt di Sent Dumini, sold. 2.
Item diej a Mestri Blas chi conzà la chaDpano, den. Viij.
Per liris X di chavilis per far conzar lu'punt in doa oris sold XX Viij.
Adi XXVj diey a Nicbuiau Dodar curidor del pupilg sora la so salari,
march, j di soldi.
Adi iiij otobri per una lira di oli per lu cessendeli di plazo, sold. Vj.
5. Dai Quaderni della Fraterna di S. Maria de* Battuti di Udine.
1413.
Chumuz Muliner chu fo di Nichulau page di fit semplis sora lu mulin mi-
tut sot la puynt di piere e sora la chasa chel sta, chi fo di Fava, mitude
in 1-androna di Sant Cristophul, appresso lis sos confins, fre termini, la ultim
a Sent Pieri di seseledor.
6. Da un FRABfMENTO DI ROTOLO DI UNA FAMIGLIA DI GiVIDALE.
[Mi4$eo Civ, di Udine; origin^j
MCCCCXIII.
adi XXVIII d-avril, sumo fate ogno rason io Zan chun Michello mogUi chi
fo di Vizenz di Prapot di chi i<5 Zan ave aybut da fa chun Vizenz et infin
al di prisint oltro la 7in chi el mi die ed oltro ogno atro chioso la deto Mi*
chelo mi resto a dà a mi Zaan marcha j e selz LXXII , prisint Juri neyot
chi fo di Tristan Barbota.
Adi iij di may si imprestay io Zuan a Vignudo brut chi fo di Menziz di
Giaglan di pur iDprest solz XL chun giù qualg elio dis chi elio yoU chonprd
una ehialdiruzo.
Anchimd del mes di iung si gl-inprestay solz L chi gli besognavin per un
so mamul che iaro amalat In lu di de] Ghorpus Domini si gl-inprestai su lu
mi<5 balchon marcha una di solz chi gli besognavin per un so mamul chi
gli murf.
Item si ha dat me Mari alo bayo di Butinijs pesonalg ij di forment.
Adi Xij di marzo sumo fato ogno roson chun Jachop di Gruso di ze chi no
avin aybut da fa vuns chulg atris, io 1-ay chontent e payat di dut lu vin chi
el m*a dat e d'oguo atro chioso e d*oltro ogno chioso lu det Jachop mi resto
a dà solz LXXXXVij.
Testi friulani: Secolo XV. 20^
Anchimó adi XV di maj si gì ai dat star ij di siallo la qual el no mj
Yul dà pluy chi elio ya al prisint may elio mi chosta a mi solz XViij lu
pisonal.
In doman di Sent Zuan di iung si ai dado io Zan a Bachin da Risan misar
di Blas, runzino uno negro varbo d'un volli per due. iiij e si el mi vorà dà
qualchi chioso di vadang. Lu runzino é muarto e damy dut lu chorgan: io
crot chi la bon on no mi se tignut di nuglo.
Adi Viiij d-otom si ay paiat per Dono Zubet me chusino un star di for-
ment di sem solz LXXXXVj.
Adi XXViij di decembri sumo fato roson chun Ghuius di Premergas, la
vachio raman pur in suez par meytat.
MCCCCXIIII.
io In di di Sent Blas si impresta a Toni filg Zuan di Menziz marcha una
e solz LXViij chel nos dà per un purchiel in presinzo del pari, eh io gli hai
cumplidis march, ij chulg Xij soldi chi io era ingianat.
Doi dis denant chi la figlo alàs a marit si imprestay io Zan a Janzigl di
Claro march, una di solz giù quagl el impromis enfro Viij dis.
Item imprestay a Matio di Cravoret solg Viij adi XXViij di iung chel nos
conprà pan chu no iarin mituz in rason, debomi refà sol. Vj eh io die a
Marchet plui che-I mi disé ehi gli debe dà.
Anchimó adi prim davost si gl-inprestai en tello me ehianivo solz Viij pri-
sinz plusprs di Godie et adi XXViij davost solz XX ehi el vos dispegnà una
ehiavallo ehi gl-avó fato tuelli lu fradi di Gristoful sertor.
MCCCCXIIII.
Sumo fato rason io Zan cum Domenis pistor di ze chi el nus à quet pan
fin a chi, el é content e payat fin al df prisint e in chest midiesim di si gli
hai dado la entratado di chest an zoé chi comenza a paseho tefanio, la qua]
é solz L.
Adi XVII di zenar hai R [ricevuto] quinz iiij di vin vermegl per solz LVI
lu quinz.
77 Canzone.
[È sul rovescio d*una pergamena, che serve di coperta a un libro scritto nel
1416 da Simone del Pittore, notajo di Cividale. Collez, loppi \ edita nel
1864.]
Biello dumlo di valor
Jo cgiantarai al vuestri honor.
'206 Jbppi,
Con egio Borj in grant pinsir
Jo vul diray sì vo Tolés
Ghu zamay no puds dnrmir
Mancgià ni bevi piai d*nn mes,
Vo la Tddés ben a pales
B egió moriraj par yaestri amor.
Bidllo ecc.
Si par me ta mariràs
Ta zamay non fos ploj gran,
Alegro may no mi vedràs
May el sar& par la to dan,
Vacgint tìv chal malan^
E 8i cgin zir ano altri fior.
Bielle ecc.
Bielle damlo inchalarido
Ghel non de al mont zardin
Gha se flor chasi flarido
Gom TO ses si cha on flarin:
Vo ses achei zintil rabin
Gh a Gividat arint splendor.
Bielle ecc.
Biell infant va par chan Dio
E no mal a (a chest) attentant
E cgio mi das an amador
Anc par me Ta par cgiantant,
Si ta fos Tignat inant
Non coraTO daltr amador.
Biello ecc.
No mi stait a chasi cradel
Biello damlo dolz chest siar,
Aa vas scio tant fldel
Sirrit aas simpri di bon car; .
Dio no mi lasàt di far
E cgió marires di chel dolor.
Biello ecc.
Lasàmi sta si dio cgia Tat
Ta mi pars masse insorit,
Ghon està a chi Wgnat?
E parco està tant ardit?
Si ta mi stas a chi di pit
Ta por&s ayé temer.
Testi fipinlani: Secolo XV. 207
Bielle ecc. *"
Dio sa ben con mal eontent
Un df di YO tuel . . . . at
Sufrirai preson e torment
Pini eh ogno altri inamorat
Vigno Tus di me pecgiat
Di lasàmi in tant ardor.
Bielle ecc.
La te grant hnmilitat
Mi Bcomenzo di pluj in pluj,
AI mi yen di te pecgiat
D*abandonaegi par altruj
Ve^'omentri t^es achulnj,
Ghu sarà la mio amador.
Bielle ecc.
Simpri mal io dìsidrai
Di vigni ad a ohest pont,
Siryidó Tnestri sarai
Fin cgi(5 vivarai al mont,
Ben mi par cgió sei un cent
Quant cgió yiot lu Tuestri color.
Bielle ecc.
Bielio infant no si cgi pij
E si cgin pij par cnrtisio
Ghn tu no debis si spes vigni
Unguant par chesto vie,
Imperzó ch-altruj ne dio
Chu io sé in desonor.
Bielle ecc.
Bielle dnmlo al mio podé
La Yuestri honor si vaardarai
Uno boro in di par ve vede
Par In cuntrado passarai,
Qnant al balchon vus vederai
Et a cgi cbnn Dio zintil tresor.
Bielle ecc.*.
' Segno della stessa mane: Se io ti dicessi dati le mie pene
Che sofferisco, dona, per te onore
Si moveresti el te nobil qnore
Ghnm pietati come a ti conviene
Dhe fami gratia non mi lasar morire
Gb*io son te servo, non posso altro dire,
208 Joppi,
8. Dai Quaderni de* Battuti di Cividale.
1417.
Marin ne voi di Chin d*Ontognan filg chi fo di Florian page per la mas
alll mitut per lui arizut formento staja sei etc.
Michel Simnnut page per la meytat d-un ben chi fo di Paldus etc.
• 9. Lettera rinvenuta frammezzo a carte che provenivano
da Cividale.
\VQT\g, nella Collez, Joppi.] ^
1423.
Salutatione premissa. Sapiade Ser Zaan di Ser zorzo che io Nichulau lom-
bari ve mandi Simon portador dola prisint letira pregandovi che a lui piasa
di cerchar una santencie scrita per man di Ser Zuan Pauli la qual santencie
fo dade in favor di M . . . . . e di lombart over delg area già qualg
bens forin dì Bonin so marit gin quali bens son in lago dit Sapans apreso
Marchuer e apreso zuanut tuluin la qual santencie fo irate funi e fu persa,
cerchade in MCGCCXXII o XXIII che i<5 lombari vi pagare a vostra piaser.
10. Rotolo del Monastero della Cella di Cividale.
[Afuj. Civico di Vaine]
1424.
Chulau figl che fo di Fanton caligar paio de fit semplia sora lu baiarz con-
fino apreso la Qlesio di Seni Mori e de la fomas di li Signors di Spignimberh.
Noia che la charia de la deta fitison é publicada.
Juri la nevoi di Morasin si paio sora lu baiarz mitut fur de la cento de
Albano e soro un prai ponui in lis periinenciis di Dalognan.
Jacun di Cros si iignevo uno nostro ierren cun braydis e campi e un setor
di prai. Paio ornis di vin Vj, nota che Forno son sellis Vj di misura.
Nota che ci chu ten lu dei mas deba esser decan del Monestei ed atignudo
a comanda i fiti ed ave del Convento uno capei e una ceniura.
Item payo di fit per la praydo de Vj campi computa lu trep che va in-
torno
Item paiavo per lu mas chel iignevo de li doni ......
Testi friulani : Secolo XV. 209
11. Da rotolo membranaceo della Fraterna
DI S. Giacomo db*Pelliciai di Udine; scritto tra il 1400 ed il 1430.
[Presso la Fabbriceria della Chiesa di S, Giacomo di Udine.]
Franceschia mogli chu fuó di Zuan Gortelar habitant in lu det borgo di
Glemona, paga sora una chiasa mituda in la deta puarta^ lis quals son lis
confins, una part posse t Zuan Taschiar e l'altra gl-arez di Grior di Val e
la via publica, marchia mieza di dinars.
Domeni dal Muzou paga sora lis chiassis lis quals chel sta, achestis son
lis confins: dogna Zuan det Tirer e degna Jachum dalla biella e dalla pai't
di davur degna giù Fratis di Senta Lucia e di denant la via publicha, mar-
chia di denars mieza e denars Vj.
Philipus filg chu fo di Ghulus di Candit habitant in mercat nuf aret chu
fo di Domeni Ziliut, paga sora una cassa chu é in borch di Glemone la de
Zele, la qual cassa fo di chel midiesim Domeni Ziliut, iij star di forment, iij
quart. di fave e XVI libr. di car di purzel, den. XL di fit nivel.
Margirus mogli chu fo di Pus e Toni Chaliar, a pagin sora una chiassa
ponetta in lu det lu, lis qual son lis confins dogna Jachum pilizar figlastri
chu fo dal Tos ecc.
Jachum dal suelg, el fradi e Niculau filg chu fo di Chocoy so nevot, payn
sora duch giù lor bens alla fradagla di Sent Jacum dalg pillizars, dinars iiij.
Zuanut filg chu fuó di Bertolemio di Ser Meglorancis, paga sora una chiassa
in borgo d*Aguleia cum gì orz, lis confins son achestis, dogna misser Indreya
di Muntichulg, dogna lis vigijs plovijs di denant e di davur, Va march, di
denars.
Tomat tesedor paga par ziartis chiasis e chul teren chu partignin alis
dictis chiasis di denant e di davur, march, j '/}•
Un camp mitut in la taviela di Pusquel par donge lu simidir che si va
al merchiat di Sante Katarina, lu qual lassa Tenie figle chi fo di Zuan
Mis, afitat par mestri Michel pilizar camerar de la fradagla di Sant Ja-
cum a Mestri Agustin Sartor pagant di fit semplis ogna anno, star di for-
ment uno.
Dona Zuana mogli di Jacum filg di Dumini pilizar di merchiat nuf, page
di Uvei al nadal, sora la so chiase chi fo del pari, murade, solerade e di copi
coverta, in la qual si é do figure di Senta Maria cun uno leon mituda in
Spemorigis ' : dal las di sora si posset Machor caliar, di davur possedin giù
arez di Ser Niculau di Ser Gabriel e par denant e par del las di sot son li
* Contrada detta di Speronarijs,
210 Joppi,
vigijs publicis, marcha di den. nati e dinaro disi la qnal si fo eomperade della
fradagle dalli batudi da Udin, chomo apar in una carta publicada per man
di Querin nodar in lu mil CCCCXViiJj, indicion Xij adi Viij di septembri.
12. Dai Quaderni db -Battuti di Ciyidalk.
1432.
Sepia chn In Fradaglo si è oblegiado di fa ognanno uno favo over elimosino
chnn star di forment 9 e chun stars di favo 3 e chun chiar di pnrziel e choo
al tris cMosis chu s-aparten a fa uno buino lottho e favo grasso. Et a chesto
favo si debo fa per I-anima di Spi^^it, parlo chn gliu dinars dello Gomunitat
gliu quaig elio debo pagié. ogni anno per la util di duxinto ducaz.
13. Quaderni della Fraterna di S. Maria de* Battuti di Udine.
[Archivio dell' Ospitale.]
1434.
Spendej adi domenie ViiJ d^avost par chiarn fresche al povers, SL [soldi]
XXX.
Spendej adi sabidi X di setember par chiarn fresche pai povers e par
chùlor ch-alar a fa vignf la vin S. XL.
Item spendi adi prim .di zenar per charne fresche al povers e pai massara
e par chel chu fasin lis arasons, S. CI.
1435.
adi XIII di fregar pe chiarn fresche al povera e a di chel chu menar gin
lens e lis breis de armadnre, S. 92.
Adi XVI d-avril per 4 agnel al povers amontar S. 91 e 4 pes churtigiduris
e pes piels S. XViiij.
Adi Xij di mai spendi a dich chu fazir la fave S. 40.
[Nomi de* mesi: mare, mai, ginn o gun, gul, avost, setember, otober, no-
vember, december.] •
1434.
adi X di decomber si diei ad uno chargele ch-avé uaste une gambe, par
amor di Dio par chomandament dal consel, S. IO.
Adi XXX di mai dat par amor di Dio ad un chu fo firut, S. XX.
Testi friulani: Secolo XV. SII
Adi XI de gal dat par amor di Dio a la muglir di Zalian Pilizar letevanò,
S. XX.
[Seguono spese: par aràs, par ns, par un par di polee dac in chusine, soldi
7, breis di pec, ecc.]
Adi XVII di gol imprestat al gestat pai chaval duohaz d-anr Vj.
Adi XVII gnl pai chemerar Tieri e lu schodedor nuf e un chnn lor par ti
mena la savolon, S. Viij.
Spendei par £& inoleià ij feminis S. X.
In la dit di spendei par chocis al povers par fa mlgnestre S. 2.
Adi X d-avost spendei par miniduris d-an len chu mena la masar di Pre-
chat e la masar di Preserigan. "
Adi XVI d-aTOst dat al Predis par df diespal e indoman la messa chan-
tade S. 48.
Item par mena lis chadenis levoradis tal simitieri di Seat Francese S. 8.
Adi XXj d-ayost spendei in dos oris par os e par ont S. 12.
Adi iiij de setember spendei par ij vignons di cerclis per leià gla Tasel,
S. 18. — Adi 12 Sept. expendidit prò daobas bignonis de circulis soldi XX.
Item par compra cacher al povere, S. 6.
Adi XXìj de november per ij charadors cha menar aradanac par chonzà
la strade dal Ospedal cha yen par donge Sent Francese, S. XX.
1435.
adi XXij di zenar, par ane zarcle chan une araede, soldi 4.
Item adi 23 di zenar par cholecion eoe peverade, e milac e altri S. 8.
Item par C claac d-an vomes e par L ciane de 4 vornes, S. 24.
Item spendey la dì di sivrat par f& fazint fertulis al povers S. Vij.
Adi 8 di mare dat a Sor Jacham dal inpintidor par ohampliment de paie
che-i sirvf, S. 29.
Adi 12 di mare par chiars ij di viminis par achiudi lort S. 29.
Par pesonal V di line, iij di cesire Soldi 76; e iij di pieni al povers S«
XXViij, par al e par cevole S. XXViij.
Adi 22. di mans spendey par la bochasin dal chonfanon e par lichof di ta-
glul, S. Xiiij.
Adi XXVij di man par pan al povers ed a lis voris chu lavorarin lis tras,
S. XX.
Adi 9. da avril par chucer j pan e pesa liris 4 per S. 24, amontà dat soz
G mene 4 sot.
Item spese per la cholaceion quant Misser Zuan di Muises arefuidà par
Tomaros, S. 5.
Spendei par specis e par zafaran in plasors oris, S. 20.
Adi X di mai spendei par coiifet di fa ala dal qnarp, S« 8.
212 Joppi,
Par un saz di zafaran par intenzi lu fil dal grop dal confauon, S. 5.
Adi 10 di gun par Ila chunci de cinturge d*arigiot, S. 26.
14. Da un Quaderno della Fraternità di S. Maria
DI Trigesimo dal 1426 al 1436.
[Collez, Joppù]
MCCCCXXVI.
[Del mes di zenar, fevrar, marzo, di avril, di maj, di jago, di seselador,
di avost, di yendemia, di atom, di novembri, di decembri '.]
MCCCCXXVI.
Lis spesis fatis par me Zuanel di Quel Mulan.
In prima spendej per fa ley lu testament di dona marie sol. V.
per iiij liris di vueli sol. XVIII.
par scuedi la chiarte dal chiamp sol. XLV.
per V pesenalg di fave sol. LXVIII.
per un chiar di lens sol. IX.
per XXVIII liris di chiarn di purciel sol. LXXXIII.
^ per pan ad a ches chu remondar la fave sol. iiij.
per cere e per fatura deìg ceris march, j di soL
per fa quei lu pan del muesine sol. LVI.
par chiar freschie a gusta alg fradis sol. C.
per giù lens a fa quei la fave sol. XXiiij.
per formadi lu dì de la fava sol. iiij.
Per fa ley e scrivi lis resons sol. XXXiìj.
MCCCCXXVII.
Recepta de la hereditat Stefin Purtin :
Per biave vindude sol. XLVIII.
per ferament e per masariis vindudis sol. XXXV.
per une zachete vindude sol. XXV.
da la reytor di Cortal sol. XXV.
per un draz vindut sol. Xij.
per une archie e un cason sfonderai sol. Xtj.
Spendey per la anima di Stefin Furtin lu di de la sepultura, marcha una,
• Dal MCCCCXXIX al MCCCCXXXII, s' ha nel ^dicembre' : dal mes di
bruma o di brume.
Testi friulani: Secolo XV. 213
lu di del setal per mesis e paia Michel des corz di chel che-1 lu vegU
sol. LXXVI. — Per lu trentesim e per lia mesis di Sen Qrior marcha di sol.
una e sol. XXX.
Spendey lu di che fo partit ciars bens mobilg di Stefin soL Xij.
Per squedi lu testament Stefia Furtin sol. LXXXiiJ.
Spendey per un chiar di lens sol. X;
per ala ad Udin cui predi sol. XVII;
a Oulau zenar per che-I fo ad Udin in servisi de fradagle soL X.
Per la anima di un povar todesch la vilia d-ognisent per la so sepultnra
sol. XXVIIL
Per zevole a fa la fave soL XXXij.
Per fa fa lu pan de alimuesine e aremondà la fave sol. XX;
Lu di che fo fat gusU alg fradis e in giù lunis del mes di fevrar due. ij
soL LX;
A la fomadrese per quey lu pan sol. LXXij; per ij star di fave sol.
LXXXXVij ;
per fa scrivi lu anual Stiefin Furtin V sol.
MCCCCXXVIII.
Spendey per Xf culumieig e dos culumlis sol. LX;
al masar di Gortal in salear in aiutori de chiase sol. XLVIII ;
per lu chialiar di Va} sol. LXVIII;
per masani la forment, per vin sol. XVI;
A fa gusta alg fradis e alis saros^ liris VII '/> 4^ ^^»
Par chiam di purciel per fa la fave march» ij mens. sol. V.
MCCCCXXIX.
In prima spendey ad Areane per vin in dos oris e per manza sol. Xllij; per
un cesendeli sol. Xiij.
Spendey cun avochaz e nodars e brix per la custion dal mulin march, j
sol. XViij;
Spendey cun Ser Zulian di Florence per la santencia che al die sol. XL e
per un par di polez sol. VII;
par lichofz di vachis di usuez, ed asay altris chiolsis sol. XXij;
per ij bocis d-aribola alg predis sol. iiij;
per fé, quei lu pan sol. LXXij, per falu aburatà sol. iiij.
In MCCCCXXX, indicion Vili adi Vili di zanar prisint fo Ser Pauli di
Trasesim e Lenar chi fo di Nichulus Machor di Laypà. Ibique :
Dunijs da dorgnan chamerar de la fradagla di Sancte Maria di Trasesim
cum volé e consintiment di Ser Bortolomio nodar e di Ser Host di Trasesim
e di Ghiandit Qrior di Conglan si chu sinix e prochuridors ut sora det, lu det
Dunijs si chu chiamerar afitt^ a fit simplis a Nichuiau Pidrus di Fregelà
Archivio glottol. ital., IV. 15
214 Joppi,
alla vita bo nn lor ohiamp franch propi payant alla deta fradagla formeat
qnarta una ognan a Sante Maria d^Avost, si la det ehiamp si clama piara
rota inxta Martin filg di Ser Nichulau di Montagna, inxta Damini Miehoo
di Montagna atc. Achest lo scrit par man di Mathi in la stnva di Ser Host.
MCCCCXXX.
spendey per lafitison dal mulin sol. YiiJ;
Per zafaran, sinaf e peverade sol. Viiij ;
per malta di fa ami^r& la iona, sol. Xiiij.
MCCCCXXXI.
■
Recepta — Dalg haras di Baltram forment St. *l^•
Saspensa — Per conselg dalg bong hnmini de la fradagla diej ìó Pieri. a
Pilin camerar de la glesie per allori de I-ancona march, di sol. iiij.
Par fa ben ad nn povir an^alat di Cargna soL Viij ;
Per fa instizà In pesonal sol. J ;
per un cesendeli e per la siulin sol. XYiiij.
MCCCCXXXiij.
Spendey per un centeipiar di dauz sol. Viij;
Per fa scrivi lis arason sol. X;
Per la setimine di Stefin Furtin sol. Lìj.
15. Scongiuro in versi, orazionb ed esbmpj,
che si leggono in calce a un protocollo del 1431, di Pre Nicolò di Cereseto,
capelIajQO de* Battuti in Udine e notilo.
\Arch,wio no,taril$ di Udine.]
Piripo par vie al lave
En tal fel dal lof chel s* incontrava
Ulà chìn vastu fel dal lof?
Jo mi voy a la verdure
A Ciri la frue ramagnude;
Jo voy a fa dam al masar
E paura al pastor,
El corian indegnd
f! la chìarn mangia
EI sang jntorgolà
Torna torna fel dal Igf:
Testi friala^i: Secolo XV. 215
Jo ehi ascrior pai pali e pai ceadal
Che Dio fo Tistid e involuzat^
Per la boa seni innooent.
Che Dio fo vistld e zent:
Per la pape di rome,
E per la sente corone, .
Per già predis e per grabaz
E per graming asegraz.
Per lis mesis eha vìgnin ditis
A pascfae a da natdal
E ogni bon di principal.
Cha Tent obu t*es vignut ta pueschis torn^, chi no pueschis fa dam al ma-
sar, ne paura al pastor, ni-1 corian indegna ni la chiara mangid, ni-1 sang
intorgolà, Dominidio, e-1 bon Sent Martin gles nu art es gnot di mal. Dist V
pater e V ave.
Gin peccai gin qnalg a deletat f& In qaesta vita el acreserà alis nnestris
animis in Tatre si Dio no avari misericordie di noy.
Peccatonim que deleotavit nos committere in hac vita, reddebit nostras
animas in altera si Deas non miserebit nostrum.
Als'virtuos apartignir usar paciencie e dar esemplo alg atris di virtat.
Yirtaosoram esse uti paciencie ac ezemplam dare.
16. Bando di Matrimonio di Biagio di Ghiarmazis e LeseoIIa di Precenico.
[Bibliot. di 5L Daniele^ Voi. XLIX; Varia Mss.; edito nel 1864.]
1432,
Honorabilis et honestis personis, la cason per la qaal no sin chi vignas e
congregas cescheduna persona la debia savé per veritat, et inpertant ì6 vi
voi preà per la vostra bontat chel vi plasa a indiadi et ascolta* Principal-
mentri no sin vignas chi e congregas par vole landa lu.nom del nostri Signor
Jesa Christ e la so dolze mari Madona Santa Maria e dui li sey» Senz e
Sentis e duta la cort celestia; et etiamdio noi sin vignas per oasoa de volle
compii qnisti matrimoni lo qual è stet comenzat infra di chisti dos personis
li qaal sam chi in vostra prisinoia presentaz cnm volontat di lor, d-una part
Ser Blas di Tondons di villa di Uarmat, de 1-allra part LescoUa figlia de
Jachim de Prossinis per voleysi aconpagnà in veyr matrimoni segunt ca si
debia di rason fay: et inpertant si vi prey ceschadaua persona chi olt e in
voptra prisintia chi saves per qualchi differentia quis^i matrimoni no si in-
216 Jop{»,
tint chi podes fa e dllivrA per compatranza o per parentat OYeramintri ehi
la zo^in o la zovina aves ad altmj inpromitut per Toleyai amaridà, la debia
di chi ad alta tos e manifesU, chi sei la dires for di chi el no seris cridut
se non per un bosar dislial: mo yàrdise ogni homo eho che-I dio la vertat,
che-I no dises la falsitat per la veritat
17. Dal quadbbno di M.® Beltbamb PELLioaAJo im Udine.
\ColL Joppi^ Udine.]
1437.
27 de otober. Mi de dar Grabiel ehaligar che sta in boreh di Olemone per
une flodre de lo so vistit di pelle de agnello, lire de soldi 12. Ricerei de lo
dito par di scarpis ij a mio pit de mi e anchora un par di doplis scarpis.
Item mi de da Ohalau di Goloret di Poschalo per une pilioe asgnerrade.
Item vendey a Ser Zaan di Vendoy la chastelano une pi^sute di mamolete
per livre 4 e anchora ave de mi per un ducato in aur mens soldi 40 per la<^
vorir che Io avi de mi e uno pilizut per soldi 60 perché lui era piculg la
dito pilizut.
Mi à& dar la moglir de lu selaf di Vischon per une ghone di ruokini8^
18. QUADEBMO DELLA FbATBBNITA DI S. QbRTASIO DI UdINB.
[Museo Civico di Udine.]
In MCCCCXXXViiij adi XXVij di agosto.
Spendej per far portar la chros in tor la tauvele, S. Viiij.
Spendej per ala in propision in tre orla s. Xiij.
Item spendey per ala ad Aulege.
Questo é lu spendut di me Zuan di Dorli e Domeni Chamera^ de la fra-
dage di S'ent Gervas.
Spendey per li ceris di dà a li fradis lu di di Sente Marige di chandelis a
doy ceris in lis glovis IL [libbre] di cere' X Viij Vi % monte 11. di S. [ lire di
soldi] XiiiJ e S. XVJ.
Spendey per lavureiacion di Paschut di Chosul e di Fosche for di Óhosul ^
lu campo che roventa S. Lij*
* In altro luogo é detto: chona di pelle.
' furono [figli] di Coscio.
Testi friulani: Secolo XV. 217
Spendey per la ohoetion di Ramanzaz per stima la terent S* K.
Spendej per chonsà la lent del cesendeli, monte S. X.
La domenige d*olive S. y poar rames de alives.
19. Dagli atti di Giobgio q. Sign. Giacomo dì Maniago^
NOTAJo m Valvasone»
[Archivio Notarile di Udine»]
ff
Anno 1453, die XVIII Janij. Àetam in Valvasono, coram Nobili Tiro Ser
Antonio de Modano Potestate VaWasoni sedente cam tribas jaratis ete.
NieoM q.m Martino di Valvasone presenta la seguente denuncia:
Questo si è la mid articul, eh* io sìnt in la chiamin di Stephin a eircha
on^hora di notte, io domandai al Chargnel soldi 40. Mostri Mis si é li e
rispuint e si disé: Ghulau ven là di casa me che id ta li darai. Id li rispon-
dei, lasin a doman eh* a Ve massa tari Lui rispondo: se ta no Tens, id no
ta li darai doman che id voi fora de casa e cassi id sei davor de lui e si la
damai eircha tre horis o veramente qaattro e dis: Mostri Mis, io soi ehi,
daimi li denari»
Lui non fas altri eh* al mi sburtà la puarta par miz e fasmi^chi chiadd
in terre. Al prisint dttianoi la puarta si era Toni da Arta, Zuan de Musset
20. Quaderno dbllv spbsb fatte per la Chossa di S. Elena
DI MONTENARS PRESSO GeMONA.
[Da una copia che è nella Collez, Pirona, ora nel Museo Ciò. di Udine,]
1463.
Memoria chome 16 Michel si foy ponet chamerar di Santa Lena di Mon*
tanars la di d. Santa Grose del meis di may per vostra memoria e per mia.
Id Michel non recevey de la uferta che fo schududa la di di S. Lena si fo
Bchududa per In chnmon, el chumon si la porta la dita uferta in dipuesit per
fin a Udin e a ly chel-a fat la dipuesit id noi say. E del di di S. Lena a
S. Zuan de zugno non mi impazai de la uferta de la gleisia.
Spesa del an prisint; prima spendey barile di olio cinque e lira una di
olio, li quale barils amonti soldi 60 1-una mens soldi uno che montin ala suma
di soldi 15 in dut.
■
Spendey soldi 10 che id dley a doy ptedis ftiristirs che diserin messa lis
flestis di nadal in la glesia di S. Lena.
218 Joppi,
Spendei lire di soldi 5, soldi trey per la tabernaeal che sta lu corpus do^
miny entri, si lu fejs chel mostri des tauHs che sta a Qlemone.
Spendej sol. 37 lu di che noy forin a lidia a presentarsi denant delg prò-
Tededors de la Signuria, si forin trey zoe lu nostri predi e pieri xnatia e io
michel, si sterin dis trey.
Spendey sol. 6 per un cèntenar di claus d>UQ vornei» Tun, giù quaig foria
spinduz in la chase che sta lu predi.
Spendey sol. 24 per la spesa del nodar zoé Ser rìdolf che cerchd una charta
chel det aridolf debeva aver fata e non la chatà.
Spendey sol. 9 per pane, per charn che io comperai per aricevy tony
picul nodar e per pieri ohe forin a far la rasoa di Zaan lacer ed agl-atris
plusors.
Spendey per spesa di bocha che io feis quant i<5 foy a Udin per Giostrar
la rason alg provededori de la Signoria zoé per la entrada de la gleisia di
S. Lena' e per la diesima che voleva la Signuria: stati dis quatro in doa orìs»
fo adi 14 di zenar (1464) che i<5 foy la segonda ora.
Spendey per doy ceris grandi e doy piculg che ì6 feys per la gleitia, già
qualg feis pieri steronar che montarin lis faturia chan la cera che ei mete
entri che fo so, lire 7. sol. 17.
Spendey sol. 14 per spesa di bocha e per lu nauli per far conzak* lis vis
del broili de Ja glisiuia.
Spendey che id diey ad un predi che fo ad ajudar far lu «fici in la gleisia
di S. Lena la setimana Santa, lu qual predi io non say lu so nome.
Spendey sol. 14 das al plevan d-Artigna che mi die la crisma la Sabida
Santa.
Spendey sol. 8 das al muyny d-Artigna per lis ostiis che el mi die per
quest an.
Spendey solt uno per seda rossa per far chusir lu parament che iera
squarzat.
Spendey sol. 47 das ali preti che fazerin lu inaversari per Ulvin di
Prampero.
Spendey sol. 16 per far sapar lis vis del bayars di S. Maria, la bela di
Qlemona.
. Spendey sol. 4 daa alia mes feminis che lavarin giù mantilg de la gleysia
la setimana Santa.
Spendey sol. 47 daa a pra pieri per lu so salari che el sirvf sot di me
micheU
Testi friulani: Secolo XV. 219
21. Dai Quadbrni DB^BATTUTini Cividalis.
[Log. cit.]
U63.
31 de luio. Fo dif nit che Blas aartor zuri per sagrament se-I forment la
qoal li mancd siando Camerar se li é stai involat oyeramentri chel diga quel
che! sa: lo qtlal aura.
22. Quaderni della Chiesa di S. Pietbo d^Alnico.
[Mus. Civ. d' Udine.]
1470. ^
adi 14 di mid io Sabadin ai fat la me resoti in plen Camon, ìó Sabadin
si dey in chianive a 2nan di Bertnl lire di soldi 10 a non di Sent Pieri.
Spendey in In df di Sent Pieri chuig predis sol. 18.
Par Tiniversari sol. 10. — Qaant fo Tendemade Tne par Chiam fresca sol. 33-
Per 2 lires di neli sol. 12.
Rezeve per lu Tuasel del Tin Tuindnt de glesie, lires 20.
220 Joppi,
III.
SECOLO XTI.
-* ►-
1. Lettera
d'Antonio Belloni, notajo udinese, al pittore udinese Giannantonio Cortona,
nella quale è dato T elenco dei Castelli della Patria del Friuli, perchò il
Cortona se ne giovi in un suo disegno geografico di questa regione';
[Da una copia di mano del notajo Nicolò di Fontanabona,
che è in un volume della BibL Civica d* Udine, intitolato: Castelli ecc.]
Toni Bellon Kodar a M. Guantoni di Cartone dipentor da Udin S,
Vo mi domandas cun grande instantie, chu fazint vo un dlssegn di tutte
cheste Patrie di Friul io vuegli daus in note gliu Chystielg duch hierin den-
tri agi timpa dagl Patriarchjs et non si chiatin vuedl se no ruinaz. Id azd
chu TO sai podes cumpll vus agi meterai a chi un daur T altri par Alfabet
aeiont ch'io hai chiatat in scritturis et instrumenz antiche.
In Chiargne: Agrons, Amonay, Biellhort, Chystiel des Domblans, Colle,
Chystiel Nuf, Cesclans, Feltron, Fors di sore et di sott, Fratte, Guard chu
si clamave Emonie là chu nassa S. Pellagi, Invilin, Impez, Laucb, Moschiart,
Nonte, Noijarijs, Riutij, Socle£^ Sampquell, Sndri, S. Pieri zoà ZugI, S. Lau-
rinz, Yerzegnis.
In Friul: Azzan, Blessaie, Brazan, Buie, Barbana, Buri, Cbystiel Paian
over Feletan, Chiarisà, Cbystellut là chu é Flambri, Cemegrat, Chialminis,
Cuchagne, Chiastellir, Chiassa, Cimolaijs, Flavugne, Forgiane, Groagns, Go-
tenech, Grasperch, Intercisis sot Cormons et Achlu, Chjstiel di Cormons sin
ten poch vuei dì, Luserià un poch, rechinzat pagi Chiandiz, Mochumberg, poe
da vie di Fratte et ijere Cbystiel chu partignive a Ruigne, Mizze dongie
Mania, Manzan, Morsan, Mosse, Marzinis, Puzugl, Prate, Prion,' Ravistayn,
Rutars, Siat sot Chiampegl, Savorgnan, Solunbergh, Sutperch, Sacilet, S. Sten,
Sdriche, Topalich, Yarian, Urusperch, Vendoij, Versola, Zuccule, Zoyose.
Des Cittaz di Friul vo saves cho chu sta Auleie et Cuncuardie: ben us
arevuardi chu Udin d Cittat e Tiare di Vescovat seiont chu si viot pagi Pri-
' Il Belloni fu a* suoi tempi famosissimo notajo e uomo assai dotto. Morì
in patria nel giugno del 1554. Il Cortona, del cui pennello nulla pid ci ri-
mane, morì in Udine nel 1559.
;♦•?
TesU friulani: Secolo XVI. 221
vilegijs di Carlo Magno et di Otton Imperador. Et Oividat é Tiare di Studj,
seiont chu appar pai Privilegi di Carlo 4 Imperator. I<5 haTevi aggrnmat
d^Instmmenz antiche qnalchi bielle memorie des chiosis de Patrie chun fan-
tasie di fìi un Chudisut, ma id mi tollei iù dell' imprese, astret d^altris impaz
et dubitant di piardi lu timp sì chnn pijart piai chu sta a petenà chiannz
di domane fine a di seria. Vuardasi vuò, chu lis Tuestris lunghis fadijs intor
lu dissegn senze stil, no fazij vaij la vuestre briaduze chu tuI alg di metti iù
pe gole; eh* io non stimi, eh* al se ben fatt che Thom s*affadij d*honorà la
Patrie chun sos scritturis o dipinturis et lassi in chest miez la so briade di
chiase muri di fan, chu nissune rason dal mont patiss che par un puchitine
di glorie vane nus lassln vigni sul nestri sangh tante mine. Massime quant
chu servint a comun, si servis nissun, che chun timp si porà ben chiat&
^ qualchi persone, chu senze alcun so signestri farà tal uffici par so aplasd et
cum galantarie; et la Patrie, si vuedl vul iessi servide, ha ben lu mnt.
Stait san. *
2. Due sonetti
di Nicolò Morlupino di Veuzone (1528-1570).
[Dall*autogr. nella Collei. Pirona^ al Museo Civico d* Udine.]
a. Al Colle di Rosazzo.
Rosazzis, lu da ben to Murlupin
Chiarvuedule vuargnach, chiargnel toschan,
Poeto che par cest plaidant furlan
Reverentmentri ti faas un inchiin.
a
Da pò id benedii lu Pandolfin '
Cu ti governo cun indizi san.
Fra Benedet, Fra Grior* e Fra Zuan,
E chel spiri t zintiil dal Sivulin.
Id scunzuri lis Tiespis e i scussons.
Tramontane, garbin, buerre e tavans,
Aghe salse, secchiarie e torteons,
E prei Dico chel tigni a se lis mans
E no traii di claps iù par chesg Ronchs,
Ma fazzi ridi iu quei, lis monz e i plans.
' Questi era governatore dell'abazia di Rosazzo, tenuta in commenda, dopo
il 1565, dal card. Alessandro Farnese. I nomi che seguono sono di frati di
quel monastero.
'*. »
^^ Joppi,
~ 6. In laude del primo d*Ag06to.
Tu S008 In ben vignnut e '1 ben chìattaat
Di benedet, di sent, di glorioos.
Di ducbg iu bogn compaogns ad alte toos
Dal levant al ponent desideraat.
Prìm di d^aTost, tu sool sees chel beaat
Chu faas ch^ogni pizzocbar Yen goloos,
Stuarz, strnppiaz, redroppichs e mendoos,
Eticbs, tisicbs e ogn*iin cb*ò smagagnaat.
Ogn*un par te si sfuarze di chiattaa
Vìn d*aronch, vin di quei ch*ebi intellett,
Par fati honoor duquang vuelin saltaa.
Ju Todescbs van chridant doos vain ist guett^
Ja Sclaas ang loor si vaelin bisebiantaa
Daitime dobra vina e poi dia pett.
Al fd fatt un dìfiett
A no ti metti ang te sul calendari
E scriviti di ros sul breviari;
Lu to aniversari
Yen celebraat ogn'an pardut Iu mont
E la to sipulture d in Tauz-i-lont *.
Ogni marchees e cont
Ti spiette cun pipponis e melons
E iu vilaans cun iade e chialzoons
Schialdansi iu taloons
Cu lis sgrippis in sii disgiambassaaz
In chei soreii si cu purciei ittaaz;
E quant che son sglonfaaz
Ai tossin par dauur a fozze muss
Ch*al paar eh* ai sarin bancha ed avrin Tuss.
In fente iu cattuss,
Zuss e zuittis, alochs e barbezuaans
In chel di bevin vin fuur da vagaans:
In cleris e i plevaans,
Fraris, chialunis, vescui ed abbaaz
Son in chel dì si cu fulzizz 8glonfaaz<
Al si vioot remondaaz
In chel di benedett dugh iu boccaij
Ed han un grant daffaa iu urinaìj.
' DeuUchlandy Germania.
Testi friulani t Secolo XVI. 2S3
Salfliz e znodealjf
Pirauz, àmia, bradoons e zavelaas
Pur culia verzis TÌgnin cusinaaz.
Ai forin tre cugnaas
In seri, Sen Martin e *1 prim d^avost,
Gomparis dal vin doolz e dal bon most.
3. t)UE ALTRI SONETTI,
probabilmente dello stesso autore.
[Dal codice stesso in cui sono i due precedenti.]
€U Accompagna un Ercole*.
Lu Paladin chu trionfk dal taur
E pianta i columiti a Zabiltierre,
Dopo havò damassat par mar, par tierre,
Yus Yen a presenta lu miluz d*aur;
Parzè chu si chului là sul lid raaur
Al dragon foropà le gran panzerre.
Cussi '1 vuestri valor ch^ogn* altri attierre
In Trent doma il Miscliz e *1 Minotaur.
Lui chulle matarusse e cun fortezze
Vuidrigà lu leon, e to Thaves
Dismesteat si ben, eh* al vus chi erezze.
Signù, chul gran Baron le diestre vie
Misurat a bon pas, che montares
Sore iu siet pianeta in compagnie.
b. Libertà de*gusti.
D*amor la zuvintut e d*aur Tavar,
Un merchiadant di trafichs, e d^intrichs
Un avocat, e un bon villan di spichs
Favelle e d^interes xm usurar.
* S*era trovato nella Gargna un Ercole di rame, con la clava in una mano
e i pomi esperidi nell'altra, e si donava al Patriarca di Aquileja, Giov. Gri-
mani, col presente sonetto, che ha molte allusioni alle fatiche di Ercole ed
alle persecuzioni del cardinale da Mula, delle quali il Patriarca era riuscito
vittorioso nei Goncilio di Trento (1564).
224 Joppi,
Di chiaitrons e di bus zanze un bechiar
E na povar si complas di dì dai riebs.
Di selopez uu soldat d^archs e di picbs^
Di barchis e di Tinz un marinar.
Di cators, di pamls e di chiapons
Dirà mo un altri cha see un Ter goloa
E chu i plasaràn i bogn bocona.
Di comediis, di gioatris e di spoa,
Di mascheradis, fiestis e chianzons
Celdbrares in aeri un hom gratioa
A tal mo chiaf e dos
Di bettoles, mangions e di vreas;
Non altri é cbu lauda chel chu plui plas.
4. Tre sonetti
deir abate Girolamo Sini di S. Daniele (1529-1602).
a, Simet dal xà Sior Jaroni Sin mandai cun alguns uccilluti vijfs*
. Là cui gran clap fas spalla al Ziman'
E *1 Tijiment tiol la so Ledre in sen,
D*un grand amor us mande un pizzul pen
Fur dal sd bosch lu spiluchit Silvan.
'Signor, lu Yuestri trop cun giostre man
E cu i Toij cervirs rezis sì ben
Che fra pastors furlana ogntm tus ten
Di eheste nostre Arcadie un altri Pan.
Di Yodeus ca su no viod mai Thoro
E di tante allegrezze si ten bon.
Ce faran ij altris se Silvan T*honore?
Vedet chu ogni uccillut cussi preson
No pudint plui vede la bielle aurore
Si rallegro a vede b\ biel Titon.
ò. In kMde de lenghe furlane.
Al par al Mont chu cui chu scrif in rime
Al sei tignut a falu par Toscan;
SeiJ pur chui cu compogn Napolitani
Lombard o d'altre tiarre o d* altri clima.
Colle presso S. Daniele.
Testi friulani: Secolo XVI. 225
16 rhai par un abtut, parcè eh* un stime
Chu chel cil sool seij rich e vebi a man
Dut cibel di biel chu chiaat in cnr human.
Ni chu ad altri Pamaas mostri la cime.
Io no soi di pareo che in tal Friul
La ffase sei mior, sint sparnizade
Di Tallan, Franees e di Spagnnl:
Par chest V historìe yen tant amiradot
Lu moni é biel, havint par cui. chu tuuI
Tante yarletat in se siarrade.
e Si domande di qtMtiri mai, guai sei lu piar»
■
Lu spiettà cun gran brame e ihai vignij,
Lu no podé durml issint sul iet,
L*amor no sei gradii tant eh* un palet,
E M TÒ gran fam e no Té ze murfij.
Chesch quattri mai fazin eiart Thom murij,
Qual eh' è di lor lu mal plui maladet,
Dumble zintìjl, ma dimal in t*un selet
Cumd Tores che mi savessis dij.
Dimal Signore to che ves inzen
E che pai Mont pur assai timp sees stade
E che Yes let 1* historie dal Mont nuf.
iJn miluz ros vus donarai o un uuf
E Tua farai un biel inelin par strade
E prindis spes cun un muzul biel plen.
E id *1 farai da sen.
Ma dilu dar, qual chu dà plui dolor
E qual dai quattri sei lu mal pidr.
Che quant ch*id *1 sai d* humor
Io farai la ricette de mattane,
Fazinle spes al hot d'ogni ehiampane.
5. Pbovebbj*
[Da un ma. della metà del secolo XVI, contenente Praoerbf in più lingue;
Collezione Jopp%^\
À poch a poch, si va un bon strop.
Biat a chel chu bavera ben somenat.
226 Joppi,
Brutte in fazze e bielle ìa piazze.
Chel chu ven di buf in baf, va di rnf in raf.
Ghui chu dat tuI, di rabie mur.
Chui cha Dudris gnezze o nevot, nudris lu so dolor.
Chui chu dà lu det al mat, al tuI lu dei cun dui la braas.
Chui chu Yul pijà In gut, al bisugne eh* al si bagni *1 col.
Chui chu faas merchiadantie, faaa la scquacharie.
' Chui chu Tul vedo un trist, gli dee la Imn e *1 stis.
Colui chu mint, la so borse lu sint.
D^aTost ognun mangie a so cost.
Fevrarut piòr di duch.
Giambo cerrina e potè asinine.
La botte dà del tìu che Tha.
Là chu Ta la tovaie, là va battale.
Lune di sabide, lune ladine.
La prim di d* inseri ò San Pas, lu seiont San Creper, lu tiarz. San Sclop*
Marz sut, Avril bagnat, Mai temperat.
Minazzie non ò lance.
Mur d'inviarn, mur di fiar.
No bisugne impazasi ni cun maz ni cun baraz.
Ogni lette s'acette.
Par dui Avril, no issi dal cuvil.
Sossedà no vul minti o fan o seet o sen di là a darmi o qualchi chiosse
eh* al no olse di.
Spore e mont, faas lu cui taront.
Vite d*entrade, vite stentade.
6. Versi
di Gerolamo Biancone, udinese; 1571.
[Da copia del tempo, nella Collez. Cat>e</<, Udine.]
a. ÀTTertimenti cristiani.
Su noo no volijn lessi solamentri
Parsero vie e christiaans di noom
E su noo no voHjn credi altrimentri
Di chel che pur fazijn profession:
Di Christ noo credarijn sinceramentri
Al Vogneli veraas e al Sent Sermoon,
E che pini prest lu cil mancghi e la tierre
No chu la 600 peraule no see verro.
Testi friulani: Secolo XVI. £27
Par bocchie adoncghie al nos disciare e dijs
Di Zaan, di March, di Luche e di Matthioo,
Gh*ogiii lunch, ogni tierre, ogni paijs
Vigaarà a credi in tal Fij sool di Dioo:
E chu mittude ogn* altre lez so ij pijs,
Ubbidide sarà sole la soo,
E sarà infijQ un sool pastoor a poont
E sool un chiap des soos pioris al mont.
Ma prime chu see chest, si vedaraan
Di Tuerris par dui moont- stranis rnnioors :
Regnam quintre regnam, di maan in maan
Ijnt quintre ijnt, mezzaans, grangh e menoors,
Peste crudeel e dispietade faan:
Di terramoz, spayenz e granoh tremoors:
Duquant chest maal ò sta Yiduut fijn chi
E provaat angh par noo cai d cusì.
E prime 8*ha yiduut tirribil vuerre
Tra Signoors e Gran Mestris Christiana,
Lamagne, Franze, Spagne, Tlngilterre
Sote e sore, Lombarz e Taliaans.
Ogni Tille in dirup no eh* ogni tierre
Pes garis di Sti*umijrs e Zambarlaans ' ;
E see Tessempli sool d*un timp in chà
Ln biaat Friul par chest cemuut cai sta,
E dapò s*ha viduut mortalitaaz,
Pestis e simils al tris malatijs,
Pettecghis, maals mazzuchs, maai disperaaz.
Da faa dnul fijn ei claps chu soon pes vijs,
Qnintre dei quaai chu la loor art soon staaz
Di band i miedis e [lis] spiciarijs;
In pini luuchs, in plui viers no si pò dij
L*infinitat chu s*ha viduut murij.
E si gran chiaristijis da plui bandis
Al nuestri timp, ai nuestris dijs soon stadis.
Cai 8* ha Yiduut pes faans fuur di muut grandis
Colaa la biade ijnt muarte pes stradis:
E par vivi a mancghiaa jerbe e vivandis
Chi m*arrjzi che seijn nominadia;
E mil e mil foor dal settante chei
Chu mancghiaar cfjbs da stomeiaa purcei.
Nomi delle fazioni udinesi.
228 Joppi,
Tramoolz di tijmp in tijmp e tangh e tangh
Soon 8taaz cai no si pò rijndi boon coont,
E Bl dismisuraaz e cu&ì grangh
Chei han fat spaventaa daqnan la moont,
E chiasis e palaz e Tierris angh
Han fichiassaatf scantinaat, mandaat al foont,
* Ferrare e Cathar Fan settante e tm
Pei grangh tramoolz no restaar quasi ad un.
Dei cancilijrs di Ghrist in tal zornai
Fijn chi duquand lù maal chu si conteen
Staat e viduut e tangh dal cijl segnaai
Chi mi strimls s*a revordaa mi veen:
Taal eh* al ò fuarze alfijn daspd tangh maai
Gal see segoond chu veen discrit lu been:
DaTur lu maal par ordenari appaar
Lu been: nò pò duraa sijmpri un^contraar.
E za lu been cha' da vignij nus mostre
La tierre e *I maar plens d* allegrezze e *Ì cijl:
La tierre a miez inviern nus fas la mostre
D*un bielf d*un verd e d*un vistoos avrijl,
E quant chu plui doves comparee in giostre
La glazze e *i freet segoond lu propri stijl:
Air bore s*ò viduut cecghiaa lis vijs
E di floors e di frutz ij arbnj vistijs.
S*ha viduut di decomber sul rosaar
Lis roosis in tal chiamp, iltirijz iu spijz,
lu brugnui soon nassuuz £ul brngnulaar
E flnalmentri sul fiaUr iu fijs:
E quant chu chest si vioot pur Ghrist dijs claar.
Gal à segnaai cai see Testaat da cijs,
E fazijnt fuur di tijmp sì biell uffici
La tierre d'allegrezze e si no indici.
Lu maar gran tijmp di Turchs tirannizzaat
E di corsaars serraat sot la loor claa^
Par merachul de Sente Trinitaat
Liber al dut chumò fatt à di sclaaf ,
E 8* ha di Turchs taalmentri vindicaat
Ghu Turchs non alzaraan mai plui lu chiaaf,
Tante Vittorie e si no cert segnaai
Dal been ch*& da vignij passaat lu maal.
Testi frìolani: Seeolo XVI. 229
Ghun trae pijz une stelle oomparnde
Parecghis dijs tas lampiuaaat e ^elle
Viers rorient mai par denant vidade
Sì eh* un soreli al paar d*ogni altre stelle
- Al timp chu fò la gran Tittorìe hibbnde
Pe qual ai Tarchs in maar no resta velie,
Signlfiche allegrene e gran eonteent
Al la fldeel Leghe in Orieent.
Quant cha dal moont la Redentoor nassò
E si visti de nnestre debelezze.
La stelle in orlent angli si vedo
Ghn deve al mont de soo salirat eertene:
Così la gnove stelle a noo fitas fò
Di been nniversaal e d* allegrezze
E mi denote d'OrXent Tacqu^st
Chili vignij dat la moont e Fé di Chr^st.
La timp adoncghie ò ohà ehal sen veraas
VogoòU a dovee lessi nos diseiare
E zamai d^ogni bande e d*ogni iaas
Si vioot di chest biel tgmp certe capare:
la Princips elirtstXans soon dntgh in paas
Conzoonz in saaneh e mnarte ogni loor gare
E sì qniet ò *1 popul Christian
Cai paar tomaat lu tijmp d*Ottavian.
Altri romoor no reste, altri garbnj
Cha di sterpaa la Torch in so dispiet
di redaal e Fò di Christ angh lai
DispresXsnt la lez dal so Maomet;
La maar Tha sì.pargaat cai non ha plti^
Speranze e la tierre angh tant ij promet
E conqoistaat chest chiaan si porà dij
Che Tetaat d'aar sei cha no da vignij.
Allegrinsi, Signoor, za chi vidijn
Ln ben dacijs e 1* allegrezze a pmnf:
ChéStgh signai mostrin allegrezze in^jn
Sì cha Faier boon tijmp qaan chu no plauf ;
E sperìjn oert in Christ e in lui credijn
Cai s*ha da vedee prest an mont da nanf,
E la cha soon chamd Tarchs e Paians
Cai marcghiarà lu nom di Christlans.
Archivio glottol. itftl., IV. 16
»
!
230 Joppi ,
Povar Bianeoon ad 1 cheet paa Tiginrat
Id mi vioot in te meo ploi bielle etaat
Chi Tioot o pooeh o nule havijiit vidaut
Tant ch^ogn'on altri eh* al mid tijmp eee staat;
Al non è ohest deffiet mio prncidniit
Par iesei di nature magagnaat
De Tystei ma par mees mincghionarys
Fattia da sovijn in piai muna e t^s.
Ami da boon e da veer Christian
SavQnt di lesti staat gran fallidoor
B eh* hai di tQmp in tymp di maan in maan
Disnbidijt e let dal mio Fattoor
E oh* in pQt di landaal sere e domaan
Id sci staat dal so Noon blastemadoor
I confessi pini prest ch*ogni maal ch*hai
D* altri no see c^tnsaat chu dai miee fisii.
Parcd chnl just Misser Dominidioo
Vidijnt chi no temijn pooeh la so Noon«
Par demoÉtraa Jostitie qnintre noo
Spes al nas mando qaalehi afflition^
E dot proceet de gran clementie soo
E de 800 Tiers di noo dilettlòn^
Ch*al ij plaas in chest moond chu noo patijn
La pene eh* in chel altri i meretijn.
E i soon alghnos chn Tivin in chest moont
Vintaraas d*ogni chiose e tas conteni,
Dat iar Tà been, daqaand iar coor seiont,
Di roobe e di flijs rìjchs, saans e potens
E tamen al si vioot che i faas pooeh eoont
Dal Noon di Dico, di Christ e dei siee Sem.
Ce si Tal dy? cho Dico see partiaal?
Cha dà dal maal al boon, dal been al maal?
No no, noo no Tol^n chest feiTellaa,
Cha la caase dal dat sool di chi veen:
Qaalchi poco been castoor han paduat faa,
E Christ, cha d*inflngt mierit é pleen.
In oent mil doplis si iar vai paiaa
In cheste vite chel loor pooeh di been,
E si reserve pò di faa Jadici
E soo tornado al moond d*ogni loor tìcì.
_
Teati frittlani: Secolo XVI
B par tant proYaod io mo chest, mo ehef
Contrari in te mee vite, mena di ed,
Dei siee comandamens sì eh' a ribel
Ogni pene, ogni maal sta been in me,
E lu ringraci d'ogni so flagel ,
Chi hai Tere eperanse e vere fé
Chu si di chÀ la vite al mi tormente
A la farà di là tan pini contente.
Tant chi sai, «1 chi debi e pini chi pnes
lo remgracii Signoor la too clementi e
La quaal mi dà qnalchi caatygh ben spes
E mi dà similmentri pacientie.
Pruntnmàmi, Signoor, la chiam e i vues
E fayt ai moond dei miee pecchiaaz sententie.
Por eh* in chel ultijm dì par gratie yuestre
Voo mi clamaas chui bogn de bandie diestre.
Sai no baste chi pierdi la vedee.
Sai no baste, Signoor, chi resti «arp,
Marturisaami a boon Tuestrì plasee
In datte la persone, in dut lu qau*p,
Chu dut in straz, chi voo farees de mee
Vite mi sarà dools angh cai see garp
Ed accetiarai sijmpri par segnaal
Dal vnestrì grand Amoor ogni mio maal.
231
1
b. Sonetto.
Al mircUfil MànKh^ lu Blancoiu
Signoor chi sees piai prest prijm chu seioont
Di mierijs grangh ad ognt gran signoor
E meretaais pai gran vaestri valoor
Ch*ogn*an fasi di voo gran presi e coont,
S*id fos chel sari, chu fo vaarp a poont
E fò di Grecie così gran scrittoor
I Tores sobunentri faami honoor
Di voo scrivijnt, chi sees V honoor dal moont.
Ma za ch'ai cijl ha tant slarcghiaat la maan
Des soos gracijs chon voo, cha *1 vaestri noon
È da se tas famoos in mont e in plaan.
Giacomo Maracco vicario generale del Patriarca d*Aqaileja, 1560.
232 Joppi ,
E no sijnt degn, sì chi vores, nd booa
A dij di Too lu mio gof stijl farlaan«
Accetaat la bon anim dal Blaacooo
Lu qual us faas un doon
Di chel cai ha, savijnt chul bon volee
Vaal doneghie un cuur sintil tant chu'l podeo.
7. SVLLA r^BBBIOA. DBLL*B8CUBIALI,
Sonetto di Luigi figlio di Valterio Amalteo, di Pordenone,
cancelliere e notajo in S« Danide.
[Archiv. notar, di Udine.]
1594.
Cesar, chel grant Imperator roman,
Qaant che dal traditor i^ fo portai
L* onorai chia^ di lagrìmis lu piai,
Bagna par aquindi miei la cor di chian*
Filip' dee falaÌB Spagnis dar iiran
Une devote Glene ha conaaorai
A Seni Laurias, mostrani pure piotai
Par podò aquindi miei Tanim maran*
La fabriche ò ben duite eignoril;
Ma fra lis maraveis mi parò
In chesie sole havd intrigai iu pis:
Vedei inzenoglai Filip humil
In chesie glesie; mi parò vedd
Un guarp in cil e, 1* anime in abis.
' Filippo IL
Tetti friulani:' Secolo XVI. 233
& Tbavbstimknto
del I e di parte del II Canto àeìV Orlando Furioso di Lodovico Ariosto;
d'anonimo Friulano della seconda metà del secolo XVI'.
a. Canto primo.
[Da un ms. della Collez» loppi.]
l Lis polzettis, gVinfaneh, gramSrs, lis armis,
Lia balfneriis, plases e i gran remora
Chn for dal timp ch*hav6r in cui lis iarmia
E zir eerchiant ehii i es gratàs. iti MOrs,
Corrlnt datir la colare e *1 Ikt d'armis
Dal lor Re, chn volé porta grhonSrs
Di Yendiebà In cQl dal Re Troian
Chu Carlo gli rompe sot Mont dal pian.
ì lo Tus dirai d*Orlant dut in un flSt
Chel chu no fò mai det par litirtim,
Ch*al Tigni par amOr mat, insens3t
E al haTÒ simprì insen di vendi un gmm.
Su chuid chu m*ba tant imb^rtonSt
E m'ha fat là la mid cerviel in tam
Mi dà pSs e intellet almeas un p5ch
Parcè chu io soi ehumò miez mat e grdch.
I * S'al vus plases a vò, Signù mio dolz,
Figi di vuestr'ume, fale di chest mont,
D*udìmi un poch chumd ch'id grappi e molz,
Tal volte fSs formadi, squette et ont,
E s'io no vus puarti robe e solz
Contentasi di dnt anch vo, segont
Chu fSa ogn'luHn sintil eh ... .
poch o Irop . . * . . un gli '.
* Deve il nostro anonimo essere stato persona colta e di spirito, e molto
probabilmente udinese, o per nascita o per dimora. Tutti i caratteri del co-
dicetto, in cui si contiene il travestimento del primo Canto, lo fanno ascrivere
al declinare del secolo decimosesto, e lo stile e l'ortografia vengono in ap-
poggio a questa opinione. Abondano in questi versi voci e modi mancanti
al Vocabolario del Pirona. È poi estranea al codice la distinzione della vo-
cale lunga addoppiata {d ecc.), che la stampa qui introduce.
' Lacerazione del ms.
1
234 Jeppi ,
4 Vo Biotares fra Dnchis e Barons
E Tiis fiorai Tede sì eh* in t' un spieli
La bon Lizèr, cha fd dai YiiestrÌB voaa
E dai strabasaTont iu loch pini vieli,
E i lor fai d*anni8, Tueris e coBtioiia
Gh*id Tns dirai chi chi bì chnl vognòli
Pur cha laasaa ogni yneBlri pinsTr
D* nne bande siar&fc in t* an canùr.
5 Orlant cha fd piai di tre mes inani
In te 80 Bosdilèche inaiaorSt
E in Mangie e in Miarde, in Paarte vie in LeTant
Di beyi e di cechà havé laasSt
Par zirassi in Ponant e zi leccant
Une polxette, ha la cui imbrattSt
Là cha so barbe havé di datte Franse
Ai moni, al pian gran \|nt in ordenanze.
^ Par fa a Marforia e al Re Sgraflluit marlon
Daei in tal cui dai piz e pò zapà
Par iessi atSt chaaaì lizer minchion
Di Tigni chan tang Mdrs a ressaltà
E mena ih Spadagnai a fk costion
Par Tolè ih Franzds aravinà
E cassi Orlant riva dret in che norie
Ma pinti la fee sorte traditone.
7 Che ij fd trafalde la polzette ;
Ghiaie s*al fo merlot, lizèr di chiftf.
Che eh* al s* havé chal spiot e la eroeette
Quistade in slingie di Talent e brfi^
Glie tiolòr tra gramis far de burette
Senze savé B*al è todesch o sdSf.
L* Imperad5r par distudà un gran fuch
La fees roba e mena in un altri liich.
8 PSs dls denant 8*inzenerà un ram5r
Tra *1 Cont Orlant e so cosln Ribalt
E chest vignlTC duquant par am5r
Di che ohai fees suda senze havè chialt.
Carla ch*haTé chesch maiorenz pai fl9r
D*ogne gran malandrin, d*ogae ribalt,
Parcé cha ié causale dut achest,
A un Duche par sot man la die ad impresi
Testi friolaoi: Secolo XVI. 235
9 Prumiilnle fra tanch a d* un brighent
Chu fos pini sclet e bolp in che baruffe
Di Ì688i chu la sable plui Talant
Schiampant in qualohi ciso f&r de zuffe,
Ma iù Chrìstians no havér lu so contant
Che lassSr sì chiamòse e sì la schuffe
E *1 Duche ehui soldSs fo &t prisòn
E sì chui cui in su lu so caaòn.
10 A tal chu la polzette chu debdTe
Jestri muìr dal plui valent soldat
Puij Bun un runzìn chn*l cur lai deve
Chul dam aore i Christians sarda allSt,
B parcè eh* in che furie no saTÒve
Su *1 chìaT&l ses par chiamp o ben par prlt,
Zè, per sorte, in un bosch e in une strette
Scontra un soldSt chiaminant a staffette.
11 In dues In sach, in ciiiSf la so celàde.
La sgnaimèse de bande e U.bruchulir,
E correre plui prest ne par che strade
Gh*al drap revost pastOr scholz in lizér,
E no fo mai pobeette d'hom chu vado
Par chis cisis regnant senze braghir
Sì prest chu Busdiléche smuzà yie
Tuest che vedd 1 soldSt vignint pa Tie.
12 Al jare chest chel hom che cussi grant
Py di so pari stint in Mimt dal pian
Ch*al iìJ Jare smuzSt lu so Sbaiart
Un dì par male sorte fur di man,
Subìt eh* a la polzette dio un stravuart
Al cognoscè, ben che jare bntan^
Che musse chu*l tignile *1 dì e la gnot
VilupSt in te rét sì eh* un merlot.
13 La polzette *1 chiavai Tolte in daur
E scemenze a zucca yie par chea firaschis,
Senze chialà 8*al è chiarande o mur
Ma pe plui selette ij puarte vie lis tasehis
Ch*al par propi ehu*l diaul ij se daùr.
Si urte in chei baraz, bedechs e maschia
E zi tant par che selve d*ogne bande
Che nvà sore al fin d*un aghe grande.
236 Joppi,
14 Sun che rive si ehiftte Forecul
Plen di audor e dnt impoWeràt
Gh*a nne cosiion devant volta la cui
D*mi6 gran set e une gran anm tirai,
Stid une gran dade e aìk pini eh* al no tùI
Parcd eh* al Jare chntant assedStt
In chel ehu Taghe ehu la bocMe al ionz
Gli chiadé la celàdè iii in tal fona.
15 Qnand che podè pini presi vigni cridant
Vignève Bufidilèche sbirlnfiide,
A chel cinlà presi e zuppa in denant
Forecul e si fès a mieze strade
B cognoscà, tuest ehu id ij fd denant,
Anehimò eh* lare smuarte e sgiatulkde
E ben eh* un mes e pini no havè nuvielle,
Che lare eiart Busdilèche la bielle.
16 E par iestri zintil schortès e brSf
InemorSi in ié tant ehu Ribali,
Anchimd eh* al no havòs celade in ehiSf,
Al trSs la sable e fés un zup in alt
E tant ehu 8*al havda di taià un rSf
8CU88& un pitinis chui dineh biel ehialt,
Al ven là ehu Ribalt no ij volte *1 cui
Ma al la farà eun lui eimùt eh* al vai.
17 Ai eomenzSr ai grande rimiaaine
Se ben ogn*un di lór è a pi t e airaeh
Che havaressin tai3t ehu la squarcine
Une squette o polente ni chul zach
E intani ehu I5r ai dan la discipline
Di tal, di pottie, di man dret, di plaeh,
Buadildehe al chiavai dà dai ialons
Che no havd ni atombli ni apirona.
18 Da pò che seombatér di bant un piez
lu doi soldaz par taiaaai *I coreian
E ehu niaaun iu pare o pon di miez,
Al fd prim lu paron di Moni al pian
Ghu dia al Saraain: atà sali e lez
Chu no atijn chi e io nua fui lontan;
E cheai al dia dui par havd tant fuch
In tal magon eh*al no chiatàve luch.
Testi friulani: Secolo XVI. 237
19 Disd 1 Paian: o mat tn oh^hSa peneSt
F^ mal a mi e t'hSs fat aneh a ti,
Che 8* al d cause di^cbel iia beSt
Che nus ha fat scombàti tant a chi
Mostrimi un p5cb ce chu vìn. vodegnSt
Ghn 8* tu mi havès ben discoffit chulì.
Par chel tu no haTarés la bielle fie
Chu tant chu no stijn obi, ié schiampe Tle.
20 No sares miei, vulintgli anch tu sì ben,
Di corri intant e tnèligli la strade
E rìtignìle sun un faa di fen
Deyant chu plui da lunz currint e vado.
Quant chu no purln dì, iè chi, ten ten.
No là dispidarln pò chu la spade,
E se aulin sta plui scombàti a chi
Nus farà si no dam a ti et a mi.
21 A che peraule al no stiò a stuarzi *I nàs '
Lu Forecùl e *I quel si chu la grinve,
Ma come dis Ribalt, cussi ij plàs
Gh*al fd content che si fazés la trìùve,
E in tal volò volta d'un altri l3s
Preià Ribalt ch*a pTt no si schittve
Ma a gli zuppa in groppe e zir pes peschis
De màmule che jarin anchimd freschis.
22 O gran bontat di chei soldaz vedrans,
Jarin nimis, un Cristian, un M5r,
E sinttyin al chiaf, ai braz, es mana
E alla schene pai boz un gran dol5r,
E pur par selvis, stradis, raonz e plana
Sin van senze suspiet, senze rumor;
In un stomblart o dei lu ehiaTal rive
Là eh* une strade di dSs bandis Hve.
23 E parco eh* ai no san pensa di qual
Bande che yade o drette o man sedò,
Parco che si vedevin biol ayuSl
Dichà, di là lis peschis anchimd,
Bi si pensSr di zi par lor mens m3l
Un par cheste, un par che chiattansi o no,
Foreciil cerchia assai pai bosch a stime,
Ma al torna là ch'ai si parti di prime.
23S Joppi,
24 Al si cbIaU anchimò là bui che roie
Ghii la eelàde Ij chTadé sul foni
E pareo eh* al no pò paaei la voìe
Di che chu gli fui e *1 eìir IJ poni.
No havint venti là rimpln ni soie.
Un gran ramàz iù d*nn faiSr al jonit,
B in dispede e va pai foni eerehiant
La eelade in te Paghe, ma di hant.
25 Pur ehon che piartie Innge fine insomp
Va talpaasant ani foni par ogni bande,.
Ma al no tire mai sa ni fiSr ni plomp
Che jare 1* aghe trop torgnle e grande
E tant eh* al ata in che edUnre e eh* al romp
Lu len di stiaie, al Ti5t d* nn altre bande
Ijnint da Taghe un hom in fine al flanch.
Di broaehie cere, inenlnrlt e blaneh.
26 Al Jare armSt dai spiei in fine al cui
Ghnl celadon in man, dal làs la daghe
E haye propi chel cha Forecul
Cerchia une dado inant sul fonx de Paghe,
Lu quSl gli dia: ahi lari, ahi mariul.
Ahi xugid bauBfir, ahi spongie, ahi baghe,
Parcé no Tustu rindi *1 celadon
Ch*al è mio par promease e par reeonf
27 Ramàrdiehi, Paian, chu tu mazyjna
Di Bnsdilèche 1 fradi eh* id eoi id,
E eh*al fd pat tra no chu tu iettasa
In aghe *1 celadon pos dls daapd,
E BU la aorte t* ha iuniut al paaa
Chu tu fSa no volint lu ddbit td.
No ti atà a atnani, e ae tìIs atnani *1 quel,
Stoanlu, chu t*haa mena fé no eh* un purciel.
28 8* tu Tlla pur havè tal elm chu cheat,
Chiatichint un e ehiàtel chun to on5r.
Al puarte Orlant in chiSf un tal impreat.
Un tal Ribalt, a* al no è anchimò mi5r.
Un fò d*Almont ma Orlant gì* al auffa preat
E un di Slambrln lu qual non d pi9r.
Quiete un di chei e làaaimi lu mio
S*tu Tua ieaai tignut un hom da so.
ì
Testi friulani: Secolo XVL S39
29 AI ijssì di che anime dal finm
A Forecul fhl daquant lu sanch
E ij pardye quasi sì chn in snm
Di vedo Forch, la strìie e *1 zuppe sanch:
Ma tuest chu la paure zè vie in fnm
E eh* al si ravuardà dal dut biel plancb,
E chugnnssint d*haTè manehiSt di fé
Gran dolQr e dispiet daspò al havò.
30 No pudlnsi impensà scluse sì prest,
Gh* al vedo ben d' bave lu tnart in sume,
Sense rispuindi al si tneld vie tuest,
Ma al zurà ben pe potè di so urne
Gh*al no yolé par solz ni par impresi,
S'al podò ben cumpràl chun une piume,
Si no chel elm ch*Orlant told ad Almont
Scombatint sa chun lui in cime un mont.
31 E mantignì plui d*hom cheet zurament
Gh* al no fazè chel eh* al zurà denant
E si partì da chi tant mal content
Gh*al si zi un timp dulint e lamentant
E no gli cessa mai chel gran torment
Fin eh* al no si zuffit chul cont Orlant.
A Ribalt chu volta d*un altre bande
Intravignì une sorte un pooch plui grande.
22 Gh* al li vigni devant lu so Sbaiart
Ma no *1 lassa monta mai su *1 spinsi
Gh*al lu spietave e pò corre vìe fuart
E si postavo sun qualchi rivSl;
Spiette, disé Ribalt, eh* id soi miez muart
E senze te id patis di gran mal,
E lui no scolte e fui e svuinchie e rippe.
Ma zin daur Busdilèche chu lippe.
33 E fui par seWis scuris di faiSrs
Là chu no bette si no *1 I5f e Y &rs,
Ghu *1 sbrundulà dai rdui e dai aunàrs
Oli fes fallì fuint la strade e *1 cOrs,
S* al si m5f iu baràz o iu noiSrs
che sinte currint lisiarte o sbórs
s'une sole fraschie e sint si m5f,
Gli p5r di iessi zonte in bocchie al iQf.
240 Joppi,
34 Cossi chu*l zuchulut o chu *1 agnel
Qnant eh* al si ten pai lavri e si cnnfiiarte
Chnl Ì5f sMnbatt e ch'ai si Ti5t In biel.
Al gaffe l*ume eh* al la slambre e squarto
Nette di ehà e di là a schiarazse quel
Là chu *i tim5r e la rivesse *1 puarte
E *ii ogni sterp, ogni bradasch che tocchie
Li p3r chu *1 masariiil la crusti in bocchie.
35 Che! dì, che gnot, o 1 d\ daspò sin là
MalaMant senze savè in ce bande
Tant eh* in t*nne lonbrène e si chiatta
D*nn Yintulin chn*l fresoh al cìir gli mande
E zive aghe cnrrint aventi là
Che tigni ve la jarbe freschie e grande
E corrdve pai claps sì doleementri
Che fazd sdn di slavazzassi dentri.
36 Chi chi parìnt a ié che foss lontane
Cent e xnilante mijs di Ribalt,
S*inpen8à di polsà snn^he tarbane,
Stracche di sta a chiavai e dal gran chialt;
Zoppe di sielle sun che mazorane
Gh*al no fò mai vidut In pini biei salt,
E *1 chiavai zi a passon par sore *l flam
Che Jare venti là 1& jarbe in gram.
37 E da ij dongie ai jare nn sterp flnrit
Di zuansalmin e pnliznt salvàdi
E li zive sbatint la rin da pTt
Sì eh* aghe chu dal tiet in tiare cbiadi,
E si pon ih, fSs in ta che iarbe un nìt,
Cossi foss stSt a covala ij mid fradl
Che jare tal lonbrène in ta che
Ch' al no nus havards chiatSt lu scrinz.
38 La jarbe jare custi freschie e dolze
Che clamavo a ijtassi iti in tal miez
E par che voeie a pont ch*un si stravolze
E elupi, *1 voli siari e duarmi un piez
E in chel eh* in sum fj pSr eh*algnn la molze,
Sint un remSr denant di se un chiavez,
Cit cit e ieve in pTs e sore Y aghe ^
Viot un hom a chiavai chu la so daghe.
Testi friulani: Secolo XVI. Ziì
39 S*al ò ami o nimi e noi conosfii
Ma stiò a pensa sore di se e alfin
No pndintlu conossi choi ch'ai foss*
No xà che ves dolOr di chel misehin;
Lu poyar hom eh* altri mal ha chn toss
Dismontà par polsà iii dal runzin
E si mettd a pensa iù ohul chiaf flap
Gh*al parò propi un hom stampfit di clap.
40 Lacrimos *n ore e plui« chol quel in Stuart
Al stiò lo povar hom disoonsolfit,
' Pò al seomenzà a vaij e eridà fuart
E lamentassi sì eh* un amalàt
Gh*al havarès amòt un lèn, un muart
E indalcit un ors invelegnat,
Suspirant al vaìve tal eh* un flum
Gli parò ij Toy e spite di fuch e fum.
41 Pinslr pai qual no stoi mai pini aldgri
E sés cause dal mal chn mi cunsume
Ce vuòio f& eh* ìò soi stàt masse pegri
Ch*un altri inant di me la citte sbrume;
D*un sol chialart dal mid mal mi rintògri
Ghu i altris han tochiSt la barbe a V ume,
Ma se no hai toehiàt ni fi ni fl5r
Par iè no vuei muri za di dolor.
42 La zovin bielle d propri sì chul lat
ChaglSt ad un, ehu ixiflnte eh* al è (resoh
Ogni vieli pastor^ ogni infanzat
Si freie tulintu* par dongie *1 desch.
Ogni bufibn si ietto, ogni gran mat
Pur zuppant e si fas dot e manesche
Ogn*un ij traij de sedon e dal sgrif
In fine *1 mulinar s* empie lu sehif.
43 Ma tuest eh* al ò viguiit smamlt e lai
E eh* al no n*ha sav5r plui di chaglade,
Ogn* un si stroppe *1 nSs, ogn* un lu trai
Par disietat in cort od in te strade,
Par chest no diebis bielle zovin mai
Lassa chn U timp senza giòldel sin vado*
Chu quant eh* un no ha plui amDr ni suoh»
Un sta su la cinìse a stizza *1 fuch.
242 Joppi,
44 Sé Til agraltris e di chel ben ▼ulùde
Chu gli dò lu confet e '1 smarze pan.
Ah sorte traditone, ah sorte crnde !
E trònfln graltrìs e id mQr di fan,
Debbio dismenteiàmi se s* ingltide
Di me che F hai in ciir sere e doman.
Ah no, chMò vnei pini tnest tira la pTt
Che tìyì senze ama *i so ns pnllt.
45 S* algun volès cognossi *1 cavairr
Ghn si brnnthle e vai e cride tant,
Id dirai; ch^ al ò nn hom di va t* ai clr,
Chel sbirlnfat d*am5r Re Searpisant,
Id dirai chn *1 so mSl e U so pinsTr
E *1 80 lament ven par amor duqnant
E pur è nn mazorent di cheste chijee
Chu no *1 lasse rossa là ohu ij pice.
46 Là chnl sorèli la sere si squint,
Jare vigniit par fin di là eh* al ieve,
Gh*in Indie uldì par ver e ciart disint
Ghn la polsette fin in Spagne zeve
É pò al savò in Franee eh* ad un altre ynt
A salvament Tlmperador la dieve
Azd ehe fos massarie dal pini bon
Ch* havds mazSt plui Mdra in che cusUon.
47 Al jare òtàt in chiamp e havé vualmàde
La &ee eha*l Re Garin bave *1 dì inant,
E cerchia Bnsdildche dilicàde,
Ma 1 domanda e cerchia fò dat di bant,
Cheste adonchia è la gnove dispietàde
Ghn *1 fas ZI sa e iù e vaij tant
E f&s tant brontola che so fnrtune
Gha par pietSt si poste in cTl la lane.
48 Intant chu*i povar hom vaij e si dfil
Ghni voij d*aghe plens sì ch*ane spongie
E trai sosplrs pe bocchie e fur pai cui
Gh* al no *1 er5t ben choi chu no jare dOngie,
La so fortune benedette vfll
Ghn iè uldì duquant par iestri dongie,
Gh* in tant chu *1 mont biel dret sarà in so iestri
AI no havares hibut lu piai biel diestri.
Testi friulani: Secolo XV. 243
49 E atiò a scolta la bielle Bnsdilèche
La brontola par fine un pel dnqnant
Di chel chn mar e cha *1 cerriel si sbeche
Par am5r so la dì e la gnot di banté
E dis tra se in ehel sterp, mai zuppe e leche
Cha tu no havàrSs mai di me tant
Chu sé chi^rebaldan o fros segont
Che ehu no stime un pél duquant Itt mont«
50 Pur lu chiatassi sole in che lombrène
Li fes pensa di tuelil par compagn,
Chu chel chn pò tigni 1 chiavai pe br^ne
Al è mat a lasaSl dà di calcagn,
Se lu lasse volta cifinò la sehene
E no lu met mal pini in tal argagn,
Che havè provSt custui ben tSs inant
Par un boa maiorent e un bon infiant
61 Ma e no si impense di sfianehiai il mài
Ch'ai ha patit par ié di trente bandis.
Né di lassa ch*al i alci lu grimSl
Intant eh* al schiasse un pOch lis s5s mudandis.
Che penso di prometti e pò gabSl
Fin che lessi des sQs fortunis grandis
Par fin che tome in chiase so siipre
E pò gli Ghiacce in tal cui une cure.
52 E ieve su biel planch di chel stirptis
Che bave stSt sence di ni ceu ni beu
E chun bid garp vigni denant planchiu
E d*in tal jonxi a dis ah Deu, ah Deu !
Dio ti mantìgne in pSs, la mio fradtis
E vuoi preià Missér Dominideu
Cha no ti lassi credi eh* io sé tal
Cha in chest liieh et in chel id faci m&L
53 E no corre mai cusì prest la mari
Inquintre *l fij chu vigne da lontan
Che lu vai] sì eh* un piehiSt par lari
E chel vede tomSt da ben e san,
E no havè tante legresze *1 pari
Quant eh* a la fie *1 nuviz romp la foran
Ni bolp Tore quant eh* in te mll al leche
Si chu bave Scarpisant di Busdiléche.
244 Joppi*
54 Plen d*am5r, di conteut e di dolcezze
E zuppe inani la so chiare sperance
Tant cha*l chiavai smnzzà fur di ehiavesse
Parcè chu iè *1 atrenzè par mia la pance;
In chel content e d*in che gran legrezze
Jè Bubit B^impensii di laasà France,
Toma al 80 paia finte in Lerant
Daapd che lì ha chiatSt Re Scarpizant.
f
55 E gli rendè la coni pnllt e biel
Dal di cha iè i* abandon& in Levant
E ce ^ch^ al fes chel timp fine un chiavel
Gnl Re di Scalinbrane e dia duipiant,
Chu di moart e di mài e di rÌTiel
La yè Yoardàde spes la Oont Orlant
B che jare casi virghine in same
Ghu chel di atea cha la piasà ao urne.
56 E podè iestri *1 Ter, ma l'è gran dhbit
A d*an ch*hebbi ceryiel e sai in zucchie,
Ma al la credè la bon compagn di aùbit
Parcè eh* al no si dà sì preat in bruchie,
Chel chu r hom yi5t, am5r gli pon ia dhbit
E 8* al no vi5t al crot ogni furdruchie,
BastCf eh* ai la credè sì chu si crót •
L*hom eh* è privai chu no pense e ho viót.
57 S' al savè mSl lu bon soldat d* Anglant
Taèlisi *1 ben chu fui sì eh* un tarlap.
Al sarà par ao dan, chu da chi innt
AI no porà mai fa cosi biel zup,
Gasi disè tra se Re Scarpizanti
Ma io no soi si gof e si marlap
Gh* ìd lassi *1 ben che m* è vignai par man
E ch*id mi stie a grata pò la foran.
58 Id queiarài la rose incnlurìde
Ghe se sta trop e ven smarìde e flappe
Ch* id sai ben eh* a une fèmine di nido
No si dà miei eh' un bon mani di sappe,
Anchmd che trai di pTs, anchmò che cride
E che barbdte e qualcbi volte e frappe,
Id no vuei sta par timi di pia o spalle •
Gh*iò no meti *i chiavai un p5eh in stalle.
I
Testi friulani: Secolo XVI. « 245
59 Casi 8* impense intant eh* al met in ordia
La lance par fa almens dei o ire core
E chu dui dei a poch a pòch s*accordin
Par z\ iti inquintre sì chul giat o Tors,
Ai sint un gran frachas, un^gran disordin
Chu gli fes rompi ogni so biel discors,
Zuppe a chiaTal e met celàde e vuant
Zafife lu spiòt e pò si fas inant *.
61 Cho eh* al ò dongie^ al lu dame a bataie
Ch*al credd di ietài chul cui in su,
L* altri chù no lu stime anch lui *ne pale
Yen par falu ebiadd chul chiaf in iù;
DIs Scarpizant: purciel nudrìt in faie,
Ce astu di Tigni chenti là th?
E sence plui plaidÀ TignTr currint
A chiàf a chiSf inquintre si chu *1 Tint.
62 E no van iu moltons o i bus a dassi
Si grant urton chui quars in tes mascellis
Sì chi vignir iu soldaz ad urtassi
Et ei romper dai doi lis sòs rudeliis:
Pai gran rumQr scomenzàr a schiasassi
Lu moni, lu c7I« lu sordi! e lis stellis
E s*ei no haySTin ben armSt lu Tintri ^
Ei si dispantezavin sastu cintri.
63 E i lór chiavai no corrérin in Stuart
Ma B* urtàrin par mis sì chu i chiastrons.
Ma chel di Scarpizant chiadò iù muart
E no zovà a tochiàlu chui spirons,
Chel altri die su in pls prest e gaiart
Ch*al si sintì pochaat chui zingiglions
E chel di Scarpizant resta iti in tiare
Del so paron aduàe aegont eh* al jarst
64 Lu soldàt chu stid dret sì chu pilot,
Chu vedo r altri a bas sì eh* un purciel
No terne a fa custion un altri hot
Ch* al gli pare eh* al bave trop di chel
E scemenza a zi pe selve di trot
E a corri ch*al parò un svolant ucel;
Devant chu*l Zngiò levi, di volop
Al zi currint plui d'une mie e d*nn strop
* Manca la LX ottava.
Archivio glottol. ital., IV. ^'^
246 Joppi,
65 Guaì cha *1 Toarzenar e chu *1 beole
Daspò paasàt la gran ram5r si dresz»
Di là cha 1* ha iettSt in tiarre *1 folch
Dongie iù bus maarz, smarit ti eh* one piotia
E eh* al Tiòt la emnièrie vaaste • *1 soleh
E schiaTaszat la pia su la ehiaTeiie,
Così parò a eulai qaant eh* al ieTà
Gha*l so inim) aventi al no ehiatèu
66 Sospira e zexn, no eh* al s*hebbi ni Tnes,
Ni zenòlif ni plt, ni stoart ni vaasti
Ma al Tigni blaneb di stizze sì eh*nn zea
Oh* al ehiadè iii si prest in ehel eontrast
E piai eho iè ij tira *1 ehiaTàl di daes
Al poTar hom aneh eh* al haves bon tast,
Ma al stid simpri ben senza favela
Se no gli scomenzàve iè a plaidà.
67 E disd, deh Signti, dàisi mo pSs
Oh* al no è vaestri fai ehe sès ehiad&t,
Ma dal chiavai cha sdaramà in l5s
Par no havò pols^t, ni pan prindat,
E no rade par chest stoarzlnt la nàs.
Se ehni eh* al vai, parcè eh* al ha pirdvt
Par dret e par reson, eh' al d lui stSt
La prim cha di seombatti al ha lassSt.
68 Intant cha ié console *1 Sarasìn
Eecati an armentSr chun an canur
Cha vlgnìre quaraant sa*D a» rancia
Ch*haTé ciere d'hard bielle ma7r
*
E eho eh* al io iunziit lì da tìsìb
Al domanda s*al lare an caralTr
Currut aventi là vistùt di gris,
ArmSt doquant di fiSr dal ehiàf ai pis»
69 DIs Scarpizant, casi no fòssal stat
Gh*al m*ba battut chumò iti dal chiavai
Ma azzò ch*id sepi cha eh* ha vaadagnSI
Ghni esal, di ce ville e di ce vai:
DIs r armentSr: fradaz e t*ha iettSt
Une polzette in tiarre iù cai spinSl
E ié par ciart stade one zovin bielle
Ghu t* ha parSt in tiarre iù de sielle.
Testi friaUmi; Secolo XVI. 247
70 E id gaiarde ma pini bielle trop
E no ti Tuei tasd lu so biel nom,
Jé Sbrarant chu ti dò sì mal intop
Ghu V ha tnelèt 1* hoii9r e *I credit d* hom,
E si chiazà pò a corri di volop
E *i lassa reyoiant cosi eh* un pom
Ch*al no sa par vergonze ce eh* al fas
Ma al sta sì eh* al haves taiat lu nSs.
71 E stiè un p5ch a pensa sun che baruffe
E qnant eh* al ha impensàt al ehiate e yi5t
Ch*ane chu file e chus e pnarte schuffe
Ha abatut nn chu dovre sach e spiot^
Monte a chiavai e stuarz lu nis e sbuffe
Ma al taso pò pai miei segont eh* al er5t
Di tioli Busdildehe e pense e zure
Di fa pur aleh sul fea o in qualchi bure.
72 E no zerin dSs mijs par che strade
Gh*uldirin un remGr dnt venti intom,
Ch* al par chu *1 mont duquant in frdulis vade^
Ch*a] trlmuli e ch*al chiade *1 cTl dal foni:
Pò al die fur un chiavai eh*havd quinzade
La sielle d*aur e ce eh* al ha d'intorn
E salte ogni plantum, ogni fossSl
E romp iti in ce ch*al urte dut avuSh
73 Su chei bedeehs e l'imbrunì de sere,
Dis la zovin, iu voij no m*aeòie,
Ghel è Sbaiart, ch*id *1 conos a la cere,
Ch*in te code, in tai pTs al lu semèie;
Al è eiart lui chu ven a la frontdre
Gh*al sa cumò ehu*l td al si scortole,
Gh*al nus ven -a iudà, ch*al sa chu chest
Ghun doi no pores zi ni planch ni prest.
74 Smonte *1 soldst e ven senze di nule
Par dongie e erot di dà di man sul smuars
E lui gli volte *1 cui no ch*al gli fhie
Gh* al rippe sì chu *1 diaul ma rippe schiars.
Scarpizant smuzze e schive la ehalziiie
De more par no metti *1 eiart in fuars
Gh* al ha *1 chiavai tante fuarce in tai cali
Gh' al rompards une puarte di sbals.
248 Joppi»
75 Po al yen plasèul quintre la bielle puppe
E gli fas chiariautie b> eh' un chiaa
Ch* intorn la a» paroo s* alégre e sappe
Par Ì6S8Ì BtSt pirdùt trop di lontaa,
Gh*al sa eha iè in Levant in Tieste, in zuppe
La strigijave e *1 paasève di 8# man
Quant ch*a Ribalt taut ben e toIò
Gh^aL centrar a chumè noi pò vede*
76 Jò ij pon su la brese la man aampe
E chitn che altre Ta palpant la pance
E lui ch*have eeryiel lasse la Tuampe
Palpassi e *1 cbiaf e dut ce cbn ij aTance;
Intani za ch* al no scalee e ch* al no schiampe
La Sarasin su la scbene si slanee,
Busdiléehe ehu Jare In groppe e ponte
Lis mans sul cui e d*in te sielle monte.
77 Po volte i yoij e chialle e viot ch*al ven
Sglinghignant dut di fiSr un gran soldSt
Ch*al gli mette un dol5r a dues e un sden
Che *1 conossè tuest che V bave YualmSt
Gh*al è Ribalt ebel cbn gli tuI tant ben
E id lu fui ch'ai pSr ch*al se morbSt^
Za fd chu iè lu ama plui cbu so pari
E lui r odiai cumò al ò *1 contrarL
78 E chest vignlTe duquaat par dds aghis
Di rissurture che ha cutal Tirtùt
Chu su tu befii d*une di \^r tu incaghis
A chel chu puarte Tarch e svolo nùt;
Bivint da T altre fra mil spioz o daghie
Tu zirds par amor in aghe, in brut;
Ribalt ha biCit d* une^ amor V inflame«
E iè da r altre e fui lui cbu la dame*
79 Cheste aghe è intoseiade di raschas,
Che fas rompi ai madSrs la massarie;
Intorgulfe e polsette *1 vis zoi9s
Tuest che vede Ribalt vignint pe vie
E prèie Scarpizant chui braz in cr^a
Chu par so zintilece e seurtisie
Ch'ai no spieti Ribalt plui dongie nhle
E chua iè a plui podè prest al si ftiie*
Testi friulani; Secolo XVI. 240
^0 DTs Searpizant a Bosdiléche, adonchie^
Vo m*hayd8 par un zos e un hom di stram
Ch'io no se bon ehni spiot e cha la ronchie
Di fale chun cnstui e falm grami
No sdio io, no è cheste la conchie
Chu stìè piai salde no eh* al fich la ram
E tanch pilòz eh* io stiei qmintre un trop
E i fes fui di trot e di Tolop.
81 iè no rìspnint, né sa ee che si face
Oh* al d TÌgnut Ribalt trop ìndenant ^
E sint Toemai eh* al brave -e eh* al manaee
Oh* al cognossè *1 chiavai e Scarpisant,
E cognossè la nò màmnle in faee
Ghu*l fas brusà e cunsnmàln tant.
Ohel cha tus (Sa dapè pan prendi biel
Vus chiantarà duqnant fine nn chiave!.
6. Canto secondo.
pa copia antica nella CoUez. Pirona^ voL Poesie frinì.,
ora nella BibL Civ. di Udine.]
1 Deh fals Am9r ti pnessi dà saette
Daspò che tu ai madoors dSs si no imbastì
Dontri ren, brisighel, eh* al ti dilette
Di yedd fra doi ccirs Ut e contrasti
Ta fas eh* io si vuei ben a une polzette
Iè ha *1 Cttr qnintre di me dut frèt e voast
E s*une mi tùI ben e mi bulpkie.
Tu fas, eh* io vueli mal a che meschine.
2 Busdilèche tu fas plasè a Ribalt
E io no *1 pò vede ne mens sintl;
Za fé, zude a sares cun lui al salt,
Lui simpri la Tolè smnzà e fai;
Bisugne batti '1 fiàr quant eh* al è chiaK,
Mamui mie chiSrs, 8*un no si tuI pinti;
Chumd *] povar Ribalt fuart si lamento
Ch*al fu fui si chu*I diaul dal aghe sente.
250 Joppi,
3 Ribalt al Torch dot raToiant eridà:
Diflcent dal mid chiaTSl cha t' haa robSt,
Ghu 1 mio mi sé chiolet al no mi va^
Ma il fas a cui cha *1 vul costà salat
E Tvei sto Dnmlo iaant cha sin di cha.
Che fares a lattale um gran pechiSt,
Chu BÌ bielle Domblan^ chìaT&l sì bon
A no stan ben in man d*un tal ladron»
4 Tu *1 minz pe gole eh* hebbi mai robSt
DIs lu zngiò sbuffant si tSs cha lai,
Ben tu mo chest me ehel has BassinSt
Par mTI t*al proTarai, ch'io sai par cai;
Ma chamd *1 vederla chu *1 flSr sfodrat
Cui la Damle e *1 chiaTàl merito piai;
Anchgmò cha *1 bataià fra no par ié
Sé naie al presi gra»t chu vSl caschiè.
5 Si cha dei .chians isSs d* alcan de int
Cha son chiatTs par foarze e mal nadriz
Si van Tarn qaintre 1* altri i dincgh rinsint
Chai voi piena di fuch duchg sbarlaflz,
Chai sgrifs, cboi dinchg stizSi si Tan murdinl
Chai spinai sì cha riz dachg spilachrz:
, Casi al romor des spadis e al davoi
Si larin a chiatà i soIdlTz dnch doi.
6 Un è a chiavài e 1* altri a p?t, ce sa
Sa 1 Tarch piai dal Christian ha miór pai,
Fruzoa in ehest al mi6 stima al non ha,
Ch* al pò mens d* an past5r, d* an infanzai,
Parcè cha chest chiavài di natare ha
Cha zi qaintre 1 pardn no vul an trai
Chan mans non ò bastant né chai spiron
Pala movi da \ par un frazon.
7 Al si cetto s*al vul chMnant al vadi
E s* ala vul tigni vili volopà.
Sai pettoral si pon la chiSf sforadi
E pò si met chai pTs faart a rippà;
Al fin al sMndaviSt cha no i cadi
A sta san chel chiavài a matexà,
Sa r arzòn di davant al pon la man
E scalze e zappe in pls si ch*na pavan.
Testi friulani: Secolo XVI. 2U
8 Scarpizant distrigai chul salt eh' al fés
Di chel chiavài raibos e dui alegri.
Si tachin a custioa parcè ch^offes
Ohusl si sint In Tarch cha chel ch*d segri;
Van su, mo iù li sablis di grani pés
Chu *1 mai dal battefiSr ere plui pegri
Quani cha 1* ha Paghe grande e tire *1 fiSr
Par fk palis, sapons, flibis di chiar.
9 Mandrex fals e riviera si dan par dui
Mostrani chu *i zuch de sgrìme il san dnquani
Mo iu yedes su ree, mo ih crufniut
Platànsi soi la targhe, mo chncani
E cnsl la chu *1 plt un ha ibiii
L'altri sdet e manesch ha 1 so pugniìt.
10 Ribalt si tache sot a mieze spade
E mene al Re CirchlSs fur di misure
Lui ite soi la tai'ghe eh' è invnessade
Chu lis lamia d*arzal di fuari misture;
La sable la sciapa e pe gran dado
Si scudhle il plantum e la pianure
E r arxal el Tues dui va sì eh un zucar
E *1 bras duquant lassa immatit al lutar.
11 Di fai si tulminà dui la Dumlutte
Chu yedò *1 colp ih sdurumant sì porch,
Giambà *1 biel mostazut e vigni brutte
Sigoni chu fas <H gnot un chu vidi l' orch ;
Disèy s*id stoi a chi une dadutte,
Ribalt mi gaffe e mi pon ih in tun sorch.
Ma inani chu chest gaiof mi toehi mai
Id mi darai lu tuessi e *i rassachai.
Ì2 Ziro *1 chiavài e in tun buschui si fichie.
Si chiaze par un irci stret e intrigSt
E si poschiale e di dolQr 8*appichie
Parint d*havò Ribalt ai flanchs chiassi;
Pdch a lunch In chiavai chui spirons trichie
Che *n tun Rimit tas vieli s*ha incontrSt,
Ch*ha chianude la barbe e lungie un braz
E par un Seni Jeroni in tal mostaz.
^S& Joppi
i3 Al vigni ve bel planeh san un mussut
Flòvar dal viglitum e dal zana
E mostrave di iesai e ciere dui
Qaintre eheat moni e no volés pechià;
Ma di fai eh* al vualmà *1 biel nioatazut
De zovin chal *1 ven rette ad incontra,
Anchgmò ch'ai fos tàs trifit in apparenzie
I comenzà a tira la cnnscienzie*
14 La zovin dia a Dea tal prim riva
E domande la strade di zi a an paart
Che fur di chel franzam bì vuI ievà
Par no senti Ribalt ne vlf ne maart»
La Frari cha saveve scanzurà
No rafìne di dai gran canfuart,
Di giavàle d*impaz simpri bradaschie
E pon la man dal ISs a une aò taachie.
15 Barata fur un biel codèr cha fès
Meracul grant eh' al noi sei 1 dut plen
Ch* al zupà ì an Spirt eh' ognnn diròs
Ch*al fos stat un galup d*un hom da ben;
La Erari chel eh* al tììI dut i comds
E *1 Spirt eh* ha lu magon di vizis plen
Va rat là dai soldaz eh* in tal bosch son
E *n miez di lor chun un biel garp si pon.
16 E dia, vas prei ch*an di vo dei mi die,
Finide la custion cha fra vo tove,
Ce vi mereterà la gran fadie
Su 1 cont Orlant va senza h«vò une brie
E senze pur havò bude une sove
E volte di Paris chun che polzette
Chu vus ha puesch in custion si strette*.
18 A chel mes si strimls duch iu soldàz
E si ehiàlin Tun 1* altri e no si movin,
Dìsinsi suarbonaz chu no sin stàz
A lasàsi roba di Orlant la zovin:
Ribalt vualme Sbaiart chui vee spietaz
E i va inquintre ohun suspirs chu sbrovin
Zurant e dinsi al diaul s*al zona Orlant
Di giavai il polmon cui cur duquant.
-4 -►
«Manca la XVII otUya.
Joppì, 253
IV.
SECOLO XTII'.
-^ p~
1. Squarci
dalla traduzione del quarto e quinto Canto dell* Orbando Furioso^ opera di
Paolo Pistulario (^Dottor Turus')».
\CoUez. Caiselli^ Udine.]
a. Lu Quart Chiant dal Sior Lidui Ariosi,
tradut in Furlan di Jh^rus P.
57 E 8U lu to Talor cerchis proTà
T'has chi chiattade la plui bielle imprese
' Riferisce correttamente Nicolò Villani , nel suo Ragionamento sopra la
poesia giocosa^ stampato in Venezia nel 1634, che nella lingua furlana si
distinsero poetando^ Gaspare Carabello, sotto il nome di Rumptot; Girolamo
Missio, sotto quello di Lambin\ Daniello Sforza, di Nator\ Brunelleseo Bru-
nelleschi, di Mitit\ Francesco de* Signori di Zncco, di RHur\ Plutarco Spo-
reno, di Ruptum\ GioTanni Pietro Fabiaro, di Ritit\ e Paolo Fistulario, di
TunM. Eran giovani udinesi, allegri e colti; il Garabelto e il Brunelleschi,
notaj; Io Sforza e il Fistulario, avvocati; pittore il Fabiaro, preti lo Spero-
no e il Missio; nobile Io Zucco e dei primi magistrati cittadini. S'unirono in
società, al cominciare del 1600, per isfogare in rime il loro buon umore, come
allora la moda portava (cfr. Àrch. I 266-7, 421). L'amore è T argomento
de' loro sonetti o canzoni, che molte volte non mancano di leggiadria, e si
contengono per gran parte in un codice cartaceo dei tempi, ora nella Col^
lezione Joppi^ mutilo però verso la fine e perciò privo d'ogni componimento
del FabiarOé Da questo codice provengono i sonetti che raccogliamo sotto il
num. 2. Ma al Fistulario (morto circa il 1630) diamo anche un altro e nii-
glior posto, sotto il num. 1. Viene poi, sotto il num. 3, anch'essa da altro
ms., una bella canzone del Missio.
' S'ha la traduzione di tutt' intiero il quarto Canto e di 75 ottave del
quinto. Negli squarci, che qui si riferiscono, la dicitura della traduzione
corre più spontanea, o meno stentata^ che nel resto.
S54 Joppi,
Ghn pai paasat mai si sintì conta
E eh* a un eavalir puartas la apeso.
Si Yen la fio dal nestri re a chiatta
Gnmd in biBOgn d*ajat e di difese,
Qointre un baron chu Lurcani si clame
Cha la yite i yores tioli e la fame.
58 Ghest Lurcani a so pari Tha cnsade,
Fuars par odi plui prest chu par reson,
Chu su la miezze gnott al Tba chiattade
Sun un pujnl a tira su il berton;
Ju statutz dal regnam V han condanade
Ai fuc su iè no chiatte un campion
Gh*in timp d* un mes, eh* è biel dongie a finì,
Ghest so fals querelant fui minti.
59 La lei dure di Scozie e maledette
Yul che ogni donne, e no fas altre part,
Gh'a ci no i d marlt si sottomette,
S*al yen in Ins hebbi subit la muart
E ié no pò schiampà eheste yendette,
S*al no compàr qualchi cayalir fuart,
Ghu tioli la difese sustentant
Gh*a dai la muart al sares un ial grant.
60 Lu re pe so Zaneyre dolorat
(Ghu cussi just ha nom eheste so fie)
Par eittaz e chistiei Tha pubblicat,
Ghu su la so difese qualcun pie
E chest Lurcani reste superai
(Purch*al dessendi di nobil zenie)
E sarà so mulr chun un stat tal
Ghu basti in dote a dunzelle real.
61 Ma s'in t*un mes qualcun par io no yen
yignind no yodagni e sarà muarte;
A te plui eheste imprese si conyen
No chu là in boses là chu *1 chiayal ti pnarte
Che tu ti pus fa onor puartanti ben
E di fitti fitmos eheste d la puarte
E tu yodagnis la plui bielle dono
Ghn mai ai nestrb diis puartas corone.
i
Testi frìalani: Secolo XVII. S55
G2 E doogie une richezse e un tal stat
Ghn eimpri ti pò fa Tifi contenta
E la grazie dal re cha ritomat
Si yedarà *1 so onor in t*ìm moment
Ta, pe cavalarie soos obleat
A vendica custiò dal tradimenti
Chu i ven fat, e han duch npinion
Che sei di pudicizie il parangon.
63 Rinalt si pensa un poc e rispuindè.
Une polzette donchie ha di muri
Parco cha*l so madòr e si tidè
Sul so jet in tal bras nut a durm) ?
Sei maladet cui chu tal lez mette.
Sei maladet cui chu la pd patì.
E stares ben la muart a une crudel
No a ci dà Tlte al so madòr fidel.
64 Sei ver o no che Zanevre tiolet
Si hebbi il madòr in braz« no chiali a chest.
Io la laudares ben d* un tal efflet
Qnant eh* al no In saTes ni chel ni chest.
Di folòle diilndi al CU promet,
Daimi pur un chu mi cundusi presi
E mi meni là ch*d raccnsador,
Ch*a Zanevre toma speri Tonor.
65 16 no Tuei mighe dì: id no Tha £it
Chu no *1 saTint Jò pores dì bausìe.
Ma dirai ben, chu par un simil at
Lu re no debbi ehiastià so fie,
E dirai eh* al fo injust e che al fo mai
Chu chu mette cheste lez di ca vie,
E che si debares iù scabazzà
E chun plui sai in zuchie un* altre fa.
66 S* al d un sol desideri e un sol arder
Chel cho proTìn dentri di no dnquanch
Chu nus inchine e sAiane al fin d*amor
Ch*al popolas paar un pechiat dai granch,
Parcé si debbi dì eh* al sei error
Se fas la donne mai chun doi infisnch
Chel chu fas 1* om chun tantis eh* al pò ave
E laude in pit di blasm ven a gioldò?
1856 Joppi,
67 In cheste lez, chu si viot che sta mal
E TÌgniQ faz 68 donnis masse tuarts
E speri ciart di podé jessi tal
Gho farai dall*error duquanch aqnarts.
Rioalt Té lu eoQsens universa!
E che forin injasch chei chu son muari
A consenti tant maladette lez,
E il re fas mal chu pd e no chiatte miez.
68 Daspd chu la bielle albe blanchfe e rosse
Lu doman jur mostra, lui sclettamentri
Lis armis e *1 chiavai chu no sta e mosse
Si tiolé e un regaz di chei là dentri ,
E chiaminant pai bosc là eh* al s* ingrosse
Simpri chiatant lu folt orrtbilmentri
Vadin là eh' in steccat s* ha di prova
Se la polzette s*hebbi a liberà.
69 E cerchiant di scurtàle un puchittin
Chiavai giavin pai troi lassant la strado,
Quant che sentirin un vai visin
Ch* introno dutte quante che vallade,
Un ponz Bajart e 1* altri U so Rnnzin
Quintre la vos a brene relassade
E in miez di doi poltrons une polzette
Vedin, chu di lontan tas Jur dilette.
70 Ma e jare vaiulinte tant e quant
Chu polzette dal mont podes mal Jessi
E doi i son intom ognidun grant
Cui pugnai nutz par fa chu*i ilat i Jessi,
La muart ié chun prejeris va slungiant
Sperant chu dal so mal pur i rincressi,
Cho chu Rinalt di chest sMnaquarzè
Gridant e manazzant subit core.
71 Ju malandrins no vederin la strade
Gho chu *1 soceors sintirin a vigni,
E si jplattarin ben in te vallade,
Ma il paladin davur no i volé zi
E la dunzelle prest ve dnmandade
Ghu la cause di chest i vueli dì,
E par vanzà lu timp fas che il regaz
La chicli in groppe e torni al so viaz.
i
Tetti friulani: Secolo XVII. /257
72 E vinsi chiavalgiant miei dai di voli
Al TÌot che je tas bielle e galandine ,
Si ben tremo dal chiaf fin sot zenoli
Pe paure de muart che Tè visine;
Cussi biel tant eh* ai par ch*ognidun Sfoli
I domanda ce chu la fas mischine,
E io chun umil tos scomenxà a di
Ghel che in ebeat altri ehìant Tuei riferì.
6» Lu Quint Chxant,
7 Yes di savé ehn frutte inchimò sìnt
Id yignii al aenrisi d* une ile
Dal nostri re e pò chun iè orissint
ChiaminaTÌ in onora pe buine vie.
Amor, invidie dal mio stat avint
Mi mala il cnr cu la so mnlatie
Mostrantmi chu d*ogni altri inamorat
Lu duche d'Albanie foa plui garbat.
8 Parco chu lui mostravo assai d* amami
Id chun il cur mi fasei so madresse.
La Yos s*olt sì, la man podes mostrami «
Ma in tal cur no si rive cussi in presse;
Cridint e amant id no Tuei mai fermami
Fin eh* id no V hai in braz, né *i yold cesse
Si ben io Jeri in chiamare chu lette
Zanevre sol* ave pe plui secrette.
Chi lis chiossis plui biellis di puartà
Io ten e ven ben spes anchie a durmì.
Si pò d*un pujulut dentri passa,
Gh*al discuviart dal mur ven a issi,
Lu mio madòr là su teei monta,
E la schiale di cuarde di vigni
Là su di chel pujnl io i calai
Quant chu di vel chun me desiderai*
268 Joppi,
10 E tantis Toltis la volei atè«
Che Zaiieyre mi de commoditat
Chu di jet si rnudaTe par no Té
Trop fret dMnTiarn o masse chialt dMnstat.
Nissan a monU sa *1 podd vede
Cha che! las dal palai no Ten chialat
Par ciartis ehiasis rotUs cha son ì
Chu mai passe nissan ni gnot ni dì.
11 Pareehis dis e mes continaà
Tra nd secret Tamoros nestri zac
Simpri eresse *1 mio amor e Tigni là
Cha datte dentri al mi lazo di fuc
E *i mio cor dot brasat mai no pensa
Ch*al m*ingianas amant in altri Ine
Si ben chu i siee ingians tas discaviarts
Podei Tede chon mil segnai ben ciarU.
12 Si mostra finalmentrì naf amant
Di ZaneTre la bielle, ma no sai
S* al seomensas allora o por devant
Chn io mischine il mid cur i donai.
Chialaat, s*al jare fat chon me arrogant,
S* al Jare mio paron e se Tamail
Ch*al si scrufl chan me seme rispiet
E ajat mi domanda par chest effiet
13 Al disd che la plije pochie jere
E poc jare T amor eh* al vee a castié.
Ma chu fasint Tinamorat al spere
Chu par muìr la re i e fasi ve
E eh* a fala Ùl chest sarà lixere
Chiosse ogni Tolte che accunsinti ié«
Ch*in dut a chest regnam di sane e stat
Non è dapd dal re la piai preseat*
14 Al mi met in tal ehiaf cha s*al podes
Cai so re, par mid miez, imparentassi
(Ch* io Tiot che fasint chest al s' alzares
Dongie il re tant, che ognan podes alzassi):
Ch*id Tares qaintregiambit, nò sares
Un tal sarrizi par dismenteassi
E cha di so malr acre in onor
Simpri pores afela par madòr.
Testi friulani: Secolo XYII. S59
15 Id chu di fa a 80 mnt simpri foi strenta
Ni savei o volai fai quintre mai
E chei 80i diis o iari tas contente
Che Tela complasnt id mi chiattai,
Id pii Toccasion cbu ai presente
Di dì di Ini la miei ch*id pnea e sai,
E doperi ogni afnarz, ogni fadie
Par fa dal mio maddr Zaneyre amie.
16 Faaei cnl cnr e cai effiet ben dut
Chel ch*id podevi fa, ch'ai la sa Dio,
Né podei chon Zaneyre mai fa frat
Che cunsintìs a chel ch'olevin nò
E chest parco chu la so car ridut
Vee a an altri e a ini Toltat il pinsir so,
Ch* un biel cayalìr jare e cortesan
Vignut di Scozie, di paìs lontan.
17 Chnn un altri so fradi anchimò infant .
Vigni d* Italie in cort ad abita
E in tes armia cui timp al fo da tant
Gha nissun chenti 1 podd mai riva;
La re Tolintii ben, i al là mostr&nt,
Cha di gran stime al i Tigni a dona
Villis, cbistiei e iorisdizions
E r agrandi al par dai granch barone»
18 Al re chiar jare tas, e fie piai chiar
Ariodant, che il nom ò dal eavalìr.
Ben parcè chMn valor al non vee par.
Ma pini za ch*al Tamave vulintir.
N' ardo mai tant la mont ch* ha *i fogolar,
Né Troje qnant che de Tultim auspir,
Chu Zaneyre savé chu chest maddr
Ardeye in t* al ardent fuc dal so amor.
19 Chel amor donchie ch*a custui puartaye
Chun cur sincer e chun fede perfette
Fase chu pai mio doche e no scoltaye
Ni mai yei *ne speranze maladette.
Anzi tant chu par lui io plui preaye
E cerchiavi io. so cheste polzette,
lé disint mal di lui a datte vie
Di dì in di jare so mi^or nimie.
260 Joppt»
20 Id ben spes cnnfuartai lu mio maddr
Che bandonas cheste so imprese Tane,
Ni speras di tira mai al so amor
Custiò parcè che jare tas lontane ;
E i fasei yedò chun biel lusòr
Gh*al ò Ariodant chel chu *1 condane,
E che l'aghe dal mar no studares
Tantin dal fae« chu par lui i art in dues.
21 A?int di me me pini Toltis Polines
(Chu cussi ha nom lu duche) uldit a chest
E ben considerat dentri se stes
Chu chest amor tas mal i lave a sest,
Al no si tuel par chel i*amor di dues.
Ma sint supiarbi e vidint manifest
Ch' un altri i zis devant, al no '1 suffrl ,
Ma in odi e in raibe dut si cunvirtl.
28 Al pense fra Zanevre e '1 so mad^r
Metti tante discordie e Ut tant grande,
E une tal nimicizie, chu tra lor
E no si quinzi par nissune bande,
E di ZaneTfe a tal riduu V onor
Che sei tignude simprl par nefande;
Né di chest so pinsìr yolè chun me
favela chun altris chu chun sé.
23 Fat lu pinslr, Dalinde me, al mi dis
(Che chest è lu m;6 nom), tu has di savè
Chu si eh' un arbul tome di ridris
A zermojà da nuv di ir a vuò,
Cussi si ben ìò viot chu senze pie
Cerchi di chiaminà in te chiosse me,
Lu mio pinslr chiattiv chiate ogni strade
Par ah fin a l'imprese scomenzade.
24 E no lu brami tant par mio dilet
Quant chu di podè d\ di vele fatte,
E za ch'io no pues falu cui efliett
L'anime imaginantsi è satisfatte,
Vuei quant tu mi vus ve chun te in tal jet,
Che è ore a pont chu Zanevre sv chiatta
Dispojade, tu chiolis lis sos viestis
Che veve in dues e dtttte tu ti viestis.
Testi friulani: Secolo XVIL 26i
25 Sì chu si qninze e b1 chu *1 chiaf bì faa.
Fai sì chu io e cerchie a to possanze
Di semeale, e cussi yignaras
A butta jù la schiale a nostre usanze,
E io cridinti che chu tu varas
J*abiz in dues e la so someanze
Presi speri me biel sol cussi ingianant
Di 7ignì chast amor dismeuteant.
26 Cbest mi disò: id chu di me lontane
Jari plui no eh* un crot, no dei a menz
Chu cheste so prejere tant umane
VeTe tas discuviartz dai tradimenz^
Di ZaneTre ben spes cu la sotane
I dei mut di Tigni ai abbrazzamenz ,
E no mMndaquarzei mai dallMngian
Se no quant chu al ve fat duquant lu dan«
27 Lu duche Teve chun Arlodant
Fat a chei diis o ehesch discors o tai,
Chu granch amis e jarin stas devant
Che deyentassin par amor rivai:
Mi maravei (seomenzà *1 mio amant)
Ohu vinti tignut enfri i miei avuai
In rispiet e chu vinti simpri amai
Io sei di te tant mal rimunerat.
28 Id soi ben ciart chu tu comprenz e sas
Di Zanevre chun me Tantich amor,
£ me mulr fuars presi tu vedaras
eh* al la farà lu nestri re e signor;
Parcé venstu a impedimi? chu tu vas
In custid senze frut mittint Tumor»
Id vares ben, seugneli, rispiet id
Su tal fos lu to stat che ò cumd *1 mio.
29 E id, i rispuindè Arlodant,
Di te mi maravei maiormentri,
Chu id soi d*iò rinemorat devant
Chu tu la ves vidude solamentri,
E tu sas su r amor nestri è indevant
E eh* al no si pores là trop plui dentri,
« E si no par marit di vemi e brame
Chee eh* id sai chu tu sas ciart che no t* amo.
Archivio glottol. ital., IV. 18
262 Joppi,
30 Parco donchie no m' hastn ehel rinpiet
Ghu pe neetre amicizie tu domandis
Oh* io t* hebbi e t* avares aach* ia efflet
Su tu yes cuq custid cbiossia plui grandis;
Par mulr tant cha tu id me promet
Si ben tu soa plui ricb in cheatis bandis.
Id fuars no sol di te tatit chiarezzat
Dal re, ma ciart plui da so fie amat.
31 Poh, di8d il duche a lui, al ò grant chest
Error, al qual t* ha lu to amor ridutl
Tu croz di jessi amat io *n d* hai pretest
Di chest istes, ma si pò vedo *i frut;
Tu che! chu par io t' has fai manifest
E id lu mio secret ti dirai dut,
E chel di no cha di vee 1 mens si Tedi
Cedi al compagn e d* altri si profedi.
32 E soi anch pront su tu voras eh* io zuri
Di no dì chiosse mai eh* io V hebbi uldide.
Pur chu *i to zurament al mi siuri
Ch* in chel eh* id dirai t* has la lenghe fidia»
Par ch^ognidun di lor cerchi e procari
Di zurà prest, e quant che ver cumplide
La zerimonie tra lor di zara,
Axlodant scomensà a favela*
33 E al no si ferma mai fine chu dit
I vò dut chel ch*ò tra Zanevre e lui,
E ch*a bochie zurat i veve e in scrit
Di volai par marit e cha di piai
S*in chest la re mai i ves contradit
Che altri e no volò mai tioli piai,
E chu senze volessi maridà
Sole la vite so volè passa*
34 E ch*al jare in speranze pai valor,
Ch*a plui segnai al veve za mostrat
E ch*al vares mostrat in sol onor,
E benefizi dal re e dal so stat,
Di cresci tant in grazie al so signor,
Ch*al lu vares biel sol par degn stimai
Chu cheste fie par so muìr i dea,
Quant cha di chest contente al la vedes*
I
1 Testi friulani: Secolo XVIL 263
35 E pò disd: io soi rivai a tal
Cb*ìd no crot cha dal dart niseun mi riyi;
Nò brami plui di chest n* altri segnai
Dal amor che mi poarte, e anehie sebi?!
Di brama pini si no sì cha pò dal
Un matrimoni cba di Dio derivi,
E sai eh* altri nissnn pores ave
Cugnussint ia bontat che regno in ié.
36 Subit che ve finii Arìodant
Di di 'l premi eh* al spere e so fadie,
Polines, cha si Tè pensai de?ant
Di fa ZanoTre al so madòr nemie»
Scemenza: soi di te ias piai indoTant,
E Tnei chu la to bochie istesse il die«
E tu vidint la radrìs dal mio ben
Confessis chu id sol filiz da sen.
37 Id fenz chun te, no t*ame e no ti stime,
Cha di perauUs e ti ten passai,
E la to amor mei de matterie in cime
Quant che chon me pò favela a so mui,
L*hai ben vidade altre certezze prime
Dal grani amor chu simpri e mi ha vulut.
E soi la fò in secret io t*al dirai;
Se ben tasini fares miei pur assai.
38 Al no va mes chu e une e dos e tre
E ben spes au'^h piai gnoz chun iè no passi
Nude sul jet par chel chu fas parò
Chu vigni il fuc d*amor a mitigassi:
A chesch miei spas in tani ta pas vedo
Su lis zanzis chu Vhas puedin vuajassi^
Cidintmi donchie proviotti algò,
Vidìnti inferior al solaz mio.
39 No ti vuei credi chest, i rispuindò
Arìodant, chu tu t*al mentz pe gole,
E t*has pensai chestis chiossis ira te
Azzò chu cheste imprese sei to soie;
Ma sint r infamie so, io hai pareo
Volò chu la peraule chu ti sVole
Tu mantlgnis, e io chu bausar
Sos vuei provati e un traditor ias rar.
264 Joppi,
40 Ma, disò *1 duche, al no sares onest,
Che si Toleaain metti in cuation
Di chel ch*id t^uffirìs par manifdst
Mostrati ai voi dal quarp e de reson.
Ar!odant resta smarit par chest
E su pai fil de schene un sgrisulon
I coro, e 8*al i t68 cridot dal ciart
Sot ai sui Toi ali chiadeve rauart.
41 Chun cur trafit e chun la muse smuarte,
Chun Tos ehu trimulaTe e bochie amare
Rispuindò; su tu a cheste Tiste aquarte
Faràs vedo la to Tinture rare,
Id ti promet di lassèi discuTiarte
Cheste chu t*è tant largie e chun me ayare;
Ma chMò t*al 7ttei credi no fk stime
Se chun chesch miei doi toì io noi yiot prime.
42 Quant chu sarà lu timp tu*! savaras,
Dis Polìnes e di lui si partis.
Doi diis no yan, chu noo ognun dal so las
Din ordin chu la gnot chun me al durmis.
Par fa donchie succedi il chiattiy cas,
Ch*al yee tramat, cidin chu ni un sintis,
I dis Arlodant, ya isgnot ti squint
In ches chiasatis chu no sta mai int.
43 E i mostra lu lue ch*ò just par miez
Lu pujulut, sui qual prime al montaye.
Arlodant i pensa prime un piez
Chu ciart di tradiment al sospettaye.
Parco eh* in chel luo fuars chun qualchi miea
Al yoles dai la muart al dubitaye
Sot fente di yolei fa chel yisibil
Di Zaneyre eh* a lui par impussibiU
44 Di yolè 1 yignl pia partit
Ma in tal mut chu di lui no sei mekis fuart,
Aszò su di qualchun fos assali t
FoB tant fomit eh* al no temes de muart;
Al yeye un fradi sayi tas e ardit,
Lu plui yalent de cort e lu plui fuart,
Ch* ha nom Lui*cani, e chun lui tant sicur
Al d chu s* dut il mont al yes dayur.
Testi friulani: Secolo XVII. 265
45 Al la clama chun se e eh* al tioles
Lis armis e chu presi la segultas;
No mighe chuU secret al i dises
Ni*l lu dires su la vite al i las;
Un trai di clap lontan volé eh* al stes
E eh* al las là di lui s*al lu clamas:
Ma su tu no mi sintz, no ti partì
Di chi, chiar fradi, se tu m*us sirvì.
46 Va pur, lui i disò, no dubita;
Cussi di l si part Ariodant
E in te chiasatte al si yen a plat&,
Gh *al pujùl eh* io disei jare de vani ;
Si viot dall'altre bande presi rivÀ
L* altri chu di fa mal si va legrani,
E sì chu al jare solii dà il segnai
A me eho no pensai mai a chesi mal.
47 Chun une sieste blancbie, recamade
Pai miez chun listis d* aur e par da pis ,
E chun d* aur une rei dutte quinzade,
Chun flocs sul chiaf si chu rosars natis
(Foze chu sol fo da Zanevre usade,
E no niun altre), al segnai, chu mal dis,
Ven sul pujùl chu jare fai in mut
Chu la fazze e ogni flanc jare vidui.
48 Lurcani iniant fra se stes dubitani
Chu so fradi a pericul fuars no Tade,
pur si ch*ogQun brame anch lui cerchiani
Di sftTÒ chiosse eh' un altri ha passade,
Piane piane lu jare vignui seguitani,
Simpri tignini pai major scur la strade,
In che chiasatte istesse alfia vignut
Dis pas lontan di lui jare squindui.
49 Io no Bacini di chesi chiosse nissune,
Ven sul pujùl Tostide come hai dei,
E si ch^jari yignude za plui d*an6
Volte e di dos simpri par bon effiei;
Lis viesiis si yedein pulii pe lune,
E semeani aneh*id in ial iraviars strei
E in ie muse Zanevre un fruzzugnut.
In fai par iè mi fasd iioli in dut
266 Joppi,
50 Tant plui parco eh* al jare un piez loatan
Di chea chiasatia rottia la pujul,
Ai fradia chu atein là chan qualch* affan
Dò facilroentri intindi lu mariul
La bauaie: penaait chun ce malan
Arlodant reatas e chun co dui:
Pulinea yen e au pe achiale al monte
Là aù di me eh* ad accetta *I foi pronte.
51 Subit rivat id j butti i bra» al quel,
ChMd no credevi di ieaal vidude,
Lu bussi in bochie e di cheat laa e chel
^ì ch*id faa aimpri in ogni ao vignude:
Lui chiarezzia mi faa trop plui di chel
Che al aolò fami e lu ao ingìan al judo.
Chel altri un tal apetacul maladet
Viot di lontan miachin, al ao diapiet.
2. SoNBrn.
€U Dello atesao Paolo Fiatulario.
[V. la nota 1 a p. 253.]
Sunet di Tunis, fideel no inemoraat,
Sfadìjchi puur Amoor di trai di frezzis
E di leìj fuur cheea ch*heebin mioor ponte
Chu lu to maal in me la fò no aponte,
Ne puea faami madoor d*altri8 bellezzis.
Id za par prove aai Ha toos prodezzia.
E aai preat a* al ò veer quant eh* un Ha conte
E vioot apea chu B*ardijt un ti faaa ponte
Selet ai eh* un giat altrd lu pijt tu drezzia.
Hai ataat avendo aot la to bacchette,
Chun mio dam imparade hai la to sgrime
E cognoa lia atoccadia plui aecretia:
Amarai aimpri e airvirai polzetia
Cuaal paraoore vie, cuasì a la aclette,
Ma no mai plui ai eh*id fazevi prime.
Testi Mulani: Secolo XVII. ^^
&• Di Plutarco Sporeno.
[Si riveda la nota citata di sopra.]
Sunet di Ruptum inemoraaK
Sa la me Ghetie par no fami tuart
Ridint mi mostre un voli biel e claar
Ghn luns tant tas eh* in tiarre non ha paar,
Id speri e m'inemori in iee plui foart.
Ma su chnn voli brut mi chiale in Stuart,
Id mi sint la persone dutte in suaar,
Id mi chiatti in furtune in miez dal maar,
Trimuli di paore e soi miez muart*
Par chest dal chiaaf ai pijs id soi dat chialt
S*id speri e s*hai paore hai brutte ciere,
Soi glazzaat e patis un cruut infiam.
Si Tioot anch chu la rose a miez inviarn
É dutte secchie, e pò la primcTere
Piccutide la met chul chiaaf ad alt.
e Di Gaq[kare Carabello.
[V. ancora la nota come sopra.]
Ài JHoo d' Amoijr chvk l'ha fat inemoraa, Sunet di RumioL
Amoor tu puur pai diaul m* al haas fracade,
No m*ha zovaat lu laa scaramuzant.
Tu m*haas firijt, tu m*haas ridut a tant
Ghn di schiampaa la muart no chiati strade.
La me salunt sta in man d^une ustinade,
Biele ma pini crudeel di Radamant,
Plui dure dal azzaal, plui dal diamant
Di mnud che' la mee vite è biel spazzade.
Ma tu sool Dico d* Amoor di chee possanze
Chu nissun ti paregle in tiarre o in cijl,
Id met in te Signoor ogni speranze.
Fàjle mugnestre, su fòile Eintijl,
Fai che mudi custum, che mudi usanze
Gh*anchj iee zomi in too laude *1 mees d*AvrijI.
268 Joppi,
d. Di Brunellesco Brunelleschi.
[V. la nota come sopra.]
Quintre Amoor, Sunet di Miiit
Maladl sestu Amoor ci fha fedaat^
Maladì see lu sea chu Vha nudrijt,
Maladl see la fasse chu *1 schialtrijt
To quarp tigni un timp iuTuIuzaat.
Maladl see lu Teel chu ten bindaat
Chel to zarneli faals e chel ardijt
To arch sei maladet chu m*ha firijt
Anzi m*ha M cuur in miez lu pet passaat.
Maladl see lu fuuch, maladl see
La faretre crudeel ch*i pent dal laas
Di te supiarb Arcijr e Tagabont.
Maladettis voo altris chu *1 portaas
In cheste e d*in che part si chu lu meni
Prive d*ogni content, d*ogni applasee.
3. Canzone.
di Girolamo Missio.
[Tratta da un itis. del tempo, nella Collex, Joppi^ e emendata
sopra un altro antico esemplare]
Chiatijron di Lambin*,
No mi dà plui martuèri,
Crudél, no plui dolor,
Ahimd chu par to amor
Soi simpri in pene;
Id sint par ogni vene
Tante flame e tant fuc
Ch*id no pues chiatà lue .
Ch*in se mi tigni.
No spieti chu mi vegni
Ai ut altri chu muart
S*tu no mi dàs cunfuart
Id ies di vite.
'V. ancora la nota l a p. S53«
TesU friulani: Secolo XVIL £69
L* anime ò tant afflite
Par co&\ lune stenta
Ch'io no pues plui dura
Pene tant dure.
Tu pus iessi sicure,
GhMò soi par te in cheat stat
E soi tant tormentat
Pe to durezze.
Dee par che gran bellezze
Chu si Tiot tante in te.
Mostriti Tiars di me
Vuemai pietose!
La pene dolorose
Mi farà al fin muri,
E tu lu pus patì
Crudel sassine!
Qnal vite tant meschine
Si chiatta in tiare mai,
Qual Tite in tant tramai
Fo mai yidude?
Sarastu mai tant crude
Chu tu no Tueis havè
Gompassion de me
Pene incredibil?
Saraial mai possibil
Chu iu miei chialts suspirs
No mudin iu pinsirs
E la to Yoie?
Donchie la crudel doie
Chu par te simpri o sint.
Mi farà là zimint
Senze mercede!
E la me pure fede
Yorà tal guiderdon,
Penis lu premi son
Des més fadijs.
No fo ma' in tantis vijs
TormentSt un amant,
Nissun no vd mai tant
Triste furtune.
270 Joppi,
No fo mai sot la lune
Hom di miserie plen
Gom* id chu nissun ben
Par te no provi.
Donehie pietat ti movi
A dami qualchi aiùt, .
Indimi in qualchi miit
Vite me chiare.
Tiolmi la vite amare,
Almens deh falu prest,
Che tu pus ben fa chest*
Senze discomut.
Ti tornai fuars plui comut
A vedami in chest laz,
Sintstu qualchi solaz
S* io mi lamenti ?
Hor su, id mi contenti
Di fa ce chu tu yua^
Fai pur ce chu tu piis
Par tormentami.
Amanz, donehie chialSmi*,
ChialSmi chMd soi &t
*
Di penis un ritrat,
Cui mi console?
Cufitiee d*une muart sole
No pò sintl content,
Par chest ogni moment
Id Tùl chMò muori.
I 'Crudèl tu pus fa chest.
I 'InemorSz chialàmi.
Testi friulani: Secolo XYIl. 271
4. RlMB
d* Eusebio Stella di Spilimbergo '.
a.
Id eoi com*una succhia senza 7in,
Come senza la coda ogni paTon,
Soi come senza mani una sedon
E come senza bees borsa o taschin.
Soi come un compradoor senza un quattrin,
Soi com*un litigant senza reson,
Id soi un chiarbonaar senza chiarbon,
Senza mus e ploris un^Asin.
Soi com*un*ingie8tara senza cnul,
Com*un iet commodaat senza linzool
E com*un camevaal senza trastuul.
Soi eom*d senza bec un rusignool,
Soi Tooli chu no iood, naas chu no nuul
E com*é senza barchia un barcarool.
In summa, si stoi sool
Cnsìn gno chiaar' un dì chi no ti iood
Mi disfàas, mi cunsumi e toì in brood.
* Nacque lo Stella in Spilimbergo, nei primi anni del 1600» da civile
famiglia; e tì divenne, e rimase in sino al 1671, cancelliere de* Signori di
quella terra. Poetò in spagnuolo, in italiano e nel dialetto friulano del suo
paese nativo, maneggiandolo con rara facilità e vivezza. Ma gli argomenti
della maggior parte de* suoi carnii vernacoli essendo lubricissimi, hanno sem-
pre tolto a questo brillante poeta gli onori della stampa, e perciò il suo
nome d sconosciuto nello stesso Friuli. Il Codice autografo di tutte le sue
Rime si conserva nella Biblioteca Comunale di Udine, e fu già dell* abate
Jacopo Pirona. Da questo codice sono trascritte le poche poesie che qui si
offrono; poche e non le migliori; ma il buon costume vietava che di più e di
meglio ne fosse dato.
'Murosa chiara.
278 J®PP* »
b. Ottaois cu si chiantavin denani il siò balcon par fai stizza,
Nassi pur, vita mee, ce cu ti vuul
Che mal dall' amoor chid mi partirai:
Anzi, ch'ai mi sarà com'un trastuul
Patij per amor chid qualchi travai.
E se qualchnn mi tetterà in tal cunl
I sai pò io in chist caas, ce chi farai,
No sarà mai nlssun cu podi faa.
Anima mee, ch'io no ti Tueli amaa.
Io farai ben bonaa la mala ijnt,
Chu no si lassin gioldi in santa paas :
No dubitaa che si zerìn gioldint
Prest, che nlssun ti porà daa tal naas.
Taas pur, eh' al fin lis strazzls yan al vint,
Amimi pur, coor gnò, com'i tu faas,
E si Tuei ale di te di pur di sì
Che dal restant lassa la cura a mi.
e.
Fradi gno chiaar, io sol tant* occupaat
E mi Tan par il chiaaf tanch interes.
Chi tu dires, eh' io fos (si tu '1 credes)
p Un pulz in talla stoppa invuluzzaat.
Dutt il pees dalla ehiasa sta poiaat
[ (E tu sas, eh' i soi debil) sul gno duds,
[ Terren, spesis, elientuì, si che spes
f Jes dal gno Studi mtez imbarlnmaat.
S*i non haTes sch'intrìehs, i ti promet
I Chi zeres qualchi volta anch' io in Pamaas
! (A bas però, eh' a noi pò ascendi un zuet).
I S* i no serijf ogni volta, seusaraas
Donehia l'arnij, parco, eh' a dital sclet
■' Il poetaa eumò no mi confaas.
Ma tu mo (s'al ti plas)
Mandimi viers e lettaris ben spes
Che dami maior gust tu no- poresT^
Testi friulani: Secolo XVII. 273
Signor, jee che cun alta e regia man
Ha r haTer e U domini dal Friuul,
E che la soo joatitia simpri a tuuI
Usa tant cui Signor che cui Yillan,
No permetterà mai che un Publican
Un cert hom chu no Tal un foracuul,
M* ebbi par siò ludibri e siò ti'astuul
E mi trati cun mod tant iuhuman.
CuBtui cuntra la lez di Jesu Christ
Vul il Just faa patij pai Pechiadoor;
Cui aiuti mai un att ùmil a chist?
Id cun tanta &dla e tant sudoor
Hai procurat di fa cognossi il trist
E sarai id stimaat il malfatoor?
No no; sai ben Slgnoor
Che la 800 gran virtuut, rara bontat
No Tuul che r innocent sei chiastiat.
e.
Fradi gno chiaar e gno fideel Gusin,
Il vin da la mee breida 8*d vuastaat
E *1 Tascel di Siquals aPò scolaat
Tan eh* a dijl alla scletta, i non hai via.
S' al mi yen in sacchetta un bagatin
Id rhai, denant eh* al vegni, diapensaat,
Ti nei mò dij, chi Thavares comj^t
Ma chist a noi compuarta il gno taschin.
Tu donchia, eh* una Tolta mi disds,
Chi no mi stes par tìu a disperaa,
Cha s*al mi fos manchiaat, tu min dards;
Damint, fradi, un*urnuzza: ma no staa
Fluì, se però tu pos, ch*i no Tores
Che par me tu ti zes a incomodaa.
Intant stoi a siettaa
Rispuesta s*tu pos darla o si o nò
Àzzd possi proTodimi ad altro.
274 Joppi,
/.
Chiara Jacama mee, tu sos par ta
Ghee cn mi dà dasinta muarx al dì,
Ta par sos ehee eh* io clami gnot e dì.
Ma faas crudeel di no sintimi tu.
Id no crod mai che quai id sint ca su
E chUt mai par l*amoor ch*id paarti a ti^
Tai tormenz sintia chei, no cert casi
Gh* in tal infier tormenta Balzabiu
Deeh, chiara vita mee, fai che content
Resti nna volta chist gno povar coor
Deeh giavilu, ti prei, di tal tormenti
Tu saas par vita, s' id ti paarti amoor
E chi zeres par te in tal Tijment
E cert 8* tu no mi jadis prest, io moor.
g, Rispuesia di Jacuma a MenoU
Meni gno chiaar, id cert ti vuei gran ben
E azd chi tu mi credis chei chi di],
T*ha8 da savee ch*jj gnee duch han da zij
Doman a restalaa no sai ce fen;
Tu, com*a son partijc adonchìa, ven
Ghi tu poras senza suspiet vignij.
Grostu, eh* anch* id no mi sinti a murij
Par te? eh* a noi see fooch in tal gno sen?
Ma par segnaal yen cà piai dongia me
Fai ti anch* un pooc, eh* i ti vuei daa un buasart,
Chid, Tua#da mo si t* ami anchia io te.
Testi friulani: Secolo XVII. 275
/i. Chianj^on a certi pulziiussis ch\ dal looc»
Gratiosis polzettie
Biellis e nemoradis
Chi Teea chee bielli ^itis tant garbadis,
Sintijt; disio a too donzellis mamulis
Chi zees par cbischi fora menant Ila gramulis.
Voo sees simpri crudeels
E noo sin tormentaaz
Per amoor vostri e vivìn disperaaz.
Ne mai tì podìn dij quattri peraulis
Chi sees cnn noo crudeels piai no cu giaulis.
I zin malabiant
Pur simpri in dentri e *n foor,
E cun aitris finzln di faa T amoor,
Ma si porln un di tochiavi e iòdivi
Chel che fora no credees, i farln .crddiTÌ.
Par strada i no TuUn
Mosti^aasi svisceraaz
Azò che dalla \jnt no sin notaaz ;
E cognossln, ch*an d*d chn van di smania
Par semenaa fra noo qualchi zizania.
Di gnott mo si Torees
Bassi cumudltaat
Che cun too podìn pascisi di flaat,
Cognossarees si sin masclis o feminis
E si savìn faa ben li nostri seminis.
Ma si no vi degnaas
Voo di staasi a sintij
Voleso mo chi si lascìn murij ?
Noo sin sfuarzaaz in altri loocs proiodisi
Za che voo yìJs o muarz no voles iodisi»
Sai chi vi pintirees.
Però fin a qualch*an:
Ma a noi vi zovarà da Christian
Quan chi no varees plui che vitis morbidis,
E varees in tai voci pupillis torbidis.
Gioldit donchia o cumò
Chi vi fazln Tinvijt,
almanc in aitris loocs no si impidijt.
Il zij zanzant son chiosala da pettegulis
E ai nemoraAZ no plaaain chisti regulis.
276 Joppi,
Vitis, Ti saludlD,
Fait chi si Tolees ben
E coaservaasi in tal biel vostri sen.
i.
Ursula vita meo
Anima meo, coor gno, dolc il gno flaat;
S*Amoor in* art il fiaat
E mi consuma il coor simpri par te,
Parco, crudeei, parco
Bramistu e vustu mo tu la mee muartl
Da Christian t* has tuart
A no m*amaa cumò, chi tu voraas
Amaami un di che fora tu no poraas«
A;. In talis ottavis^ chi sottoscHttis, io narri un gno nemoratnent
e d' un amij.
Si si, disessin duch ad una voos,
ChMj sonadoors no si poran manchiaa,
Ch*an d*era 11 tra noo di virtuoos
Che divers inatromenz a san tochiaa.
Nissun di noo si dimostra redroos
In chist e scomenzassin a tramaa
Che tella che m*ha tant invuluzzaat
Chi no sarai mai plui dispresonaat.
Ognun ai afadìà plui eh* al podò
Ognun li aoo mui*OBÌB invidi^
In Bumma in tun subit si ridusé.
Che cusl gno Cusin si contenta,
Culi su la aoo aalla, dongia me,
Duquanti li pulzettis eh* un chiatta,
Biellls tant eh* al pareva airimprovijs
Ch* a fossin anzuluz dal paradgs.
Testi friulani: Secolo XVII. 277
Fra li altri polzettis chu vigni
(Ohimd, chi moor o chi nome a pensaal)
Jacnma fo, chee chn^l gno coor tigni
E lu ten inchimd par tormentaal.
Ogni polzetta a iee cedi a quignì
Cb*al non d in dut il mond bellezza taal,
Jaciima a id tra donnie e donzelli^
Gom*un altri soreli fra li stellis.
Ghei siee chiavei chu son tra il neri e 1 biont
Son acc a*nchiadenaa duquanch i coors;
Chee spatioosa e turunditta front
A id stanza real di mil amoors;
Pazza com*d la eoo non ò in chis mont
Ch*ebbi plui vijs e naturai coloors,
E chei siee tooì a rindin tanta luus
Gh*ogni human intellett resta confane.
Perlis ij dinch, ij lavris son rubina
Vignuuc da chei paijs orlentaai.
Dai plui biei, dai plui raars e dai plui fins
No crood ch'ai mont in see nassuuc di taai.
Aveva al quel ceraia e fnrusins,
Mei sai, chi stei un piez a contemplaai,
E sì ben fatt e Mane al d il sid quei
Che Tavoliu d* India ò mancu biel.
In chei biel pett ch*Amoor forma di neef
Al si vedee eh* al zee calant un troi,
Gun doi biei colisei,facc a rilee^
Id non d*hai mai viduuc, da chei chi soi
(Gha noi vi sei chiari polzettis gi'eef)
In vita mee, plui biei di chischi doi:
Ogn*un di lor pareva un armilin
E blanc e ros, iust cumu latt e vin.
In voo simpri si lodln a suizzaa
Bellezza e crudeltaat, Todi e Tamoor;
La gratia d in voo; cun voo sool habitaa
Vénara. Hor di speranza, hor di timoor
I coors dentri dal pett fais palpitaa.
E id fra tanch tormenz al fin no moor ?
Ahimd, no chi no moor, cVal mi ten vijf
Amoor o pur dell'anima soi prijf.
Archivio glottol. ital., IV. 19
278 Joppi,
L Sonetto che accompagnava il Caas amoroos^ capitoletto in oftava rima*
In giambi dal librnz chi mi mandaas,
Id yì mandi, Signoor, un caas segnijt,
Chist è caas amoroos non pini BÌntijt,
Fin mo id sool i hai mituu dentri il naas.
Ldilu donchia e scriveeimi 8*a tì plaas
IL snggett, e ae i viers corrin pulijt,
Accomodaal dovent eh* al d falyt,
Gh*ad ogni mood anch yoo eees di Pamaas.
Vi sai a dij chi vees da ridi un pooc,
Voo pò in particolaar chi cognoseea
Ogni piz, ogni strada di chis looc.
Stait san, e governavi si podees;
E se qualchi polsetta vi faas zooc
Battavi pur, eh* in dutt no pierdares.
5. Rime
di anonimi Udinesi .
[Da un ms. del tempo ', nella ColUz, JojppL\
a.«
Haratio. Daspd ch*id peni par te,
Toniuzze vite me,
Daspò che ti puarti amor
E chMd vif in tal brusor,
Mo no vustu havò pietat
Di chest quarp anime e fiat.
Refrigeri di chest cur,
Tuniuzze, ohimè ch'io mur.
* £ im codice in-4% di p. 135, e contiene anche delle rime italiane. Qai si
stampa xm buon terzo delle vernacole, badando a scegliere le più spontanee o
le meno ammanierate.
' Con le varianti del Cod. Caiselli.
Testi friulani: Secolo XVH. ^9
Tuniujgze» No pensat o biel Signor
Par fa il biel, par fa *1 mador.
Ni par f& Fappassionat
Di robàmi Thonestat,
Che no soi mighe di ehec,
Pensat pur chel che voles,
B tignit a To la man,
Sior Horatio stait lontan.
Hor. Dal princìpi eh* id chialai
Dei tiei voi m' inaxnorai,
Mi learin chea tos strezzis,
Poi ferit dea tos bellezzis,
E ensl cnntinuant
Simpri a te^ mio ben, pensant.
Si consume chest mio cnr
Tuniuzze, ohimd, eh* io mur.
Tun, M*indaqaarz che to pensas
Di fh dolz, ma s^ingianas,
Id US nei ben, id ns puarti amor
Uei salva perdi mid honor
Che piardnt mai pini cl^iatà
No si pd, nò raquistà,
Domandat, che dng la san,
Sior Horatio stait lontaa.
Hor, Di lontaa id no pnes sta
Donge te mi sint brasa.
La mid pet d une fomas,
Pos smorzala e ta noi fas;
A te sta la dami aint
Di sanami tu has la mat.
In te spere chest mid car,
Tuniuzze, ohimè ch*id mur.
TuH, No pensat za ch*id sei come
Che poltrone di Micone
Che bielsdle le a chiatà
Chel Signor par fasal fa '
Come ogni un di za la sa;
Mi vores plot prest mazza
Di me stesse e di me man,
Sior Horatio stait lontan.
* Cod. Cais.: Chel Signor senza pensa,
280 Jq»pif
Hor, Deh se tu Tedd podes
Chest mio cur, ta*l vedares
Pini d*ogne altri tormentat
Cause pur la to impietat,
Cause tu che se ben t*ami
E d*ogQe altre plui ti brami,
No ti curis dal mio cur,
Tuniuzze, ohimè chMò mur.
Turi. Vo ses bien un bei infant
Ch*ai miei toì plases cutant.
Che 8*id fos di vuestri par
Vo saressifl lu mio chiar.
Di bianchezze ses un lat,
Di rossezze un biel scarlat.
Ma sci fie d^un artisan,
Sior Horatio stait lontan.
Eor. Tizio simpri tormentat *
Dai uceì, Tantal danat
Chu in tal miz dal yin, dal pan
Mur di set, crepi di fau,
No n^han pene ciart custor
Par e me nò cu major,
Ch' al lu disi chest mio cur,
Tuniuzze, ohimd ch'io mur.
Tun, Credit ciart che s'al mio honor
Compuartas lu fa a Tamor,
Cu la Tuestre signorie
La me chiare compagnie
La me vite, lu mio ben
Vo saressis sì da sen;
Ma che mai id fares chest,
Murires dal ciart plui prest
Biel istesse di me man,
Sior Horatio stait lontan.
' Cod. Cais.: Par te soi tas tormentat,
Ogne di mi manchie el fiat,
E in tal miez dal tìd, dal pan
Mur di set, crepi di fan:
Nò crot ciart che un tal brusor
Sei al mont nò meus maior.
Testi friulani: Secolo XVII. 281
Ma *1 mio honor no sta di man ',
Sior Horatio stait lontan.
Ilor. £ posaibil che in beltat
Regni tante crndeltat.
Che in un qnarp ai gratlos
Vivi nn cur sì disdegnos:
Qnant a chest set biele rose
Sool la spine ang sta nascose.
Ma no fa, inde chest cur,
Tnninzze, ohimò ch*id mur.
Tun. lo US avifii, io us al dij
Mi rencres di dius cus).
No Tignit par cà a sunà
Chu tas poc US pò zovli,
Onglis, quardis e chitare
Fruarés» vite me chiare,
Senze park vie la fan,
Sior Horatio, stait lontan.
Ilor, Fossio almens in chel telar
Che tu dopris, ben mio chiar,
Fossio id che navisiele
Che tu trais fur par che tele,
Chu feliz in dnt sares.
Pur che man id tochiares
Chu sana pò chest mio cur,
Tnninzze, ohimò eh* io mur.
Tun, Sepi amor, 8*al mi rincres
Id US Tores iudà e no pues,
Chest US basti e lu mio honor '
Cnsl ul o biel signor,
Però pini no si afanat
E di me plui no pensata
Che la fé pensas in van,
Sior Horatio, stait lontan.
Hot. amor erudel, ingrat
bastart disgratlat,
* Cod. Cais. : Ma il mio honor patires dan.
' Ib. : Chest us basti, o mio signor,
Ch* hai a chiar lu mio honor.
282 Joppi,
Pareo fastn ehn 1 mio cnr '
Ami chd chu no la ni,
Ta par me M la Tendette
Tu ehiaatìe ste polzette,
Mof pietat in ehel so cnr,
Tnniuua, ohimè eh* io mnr.
5. Cingaresca*.
Còrit domlÙB ai balcona
Che 8on cà in gìai maimons
E de nostre mercaneìe
Sintares la malatle;
No di giai a diventa
Marehiadans volérìn sa,
(kmgeiùa^ Fé un trìst mistur!
Trento diavi in t*im earnùr.
An passSt di eamoTal
No mangihrìn biel anal
Fin che Tèrin dnqnang no
Pan e Tin e co cu fo
E di & come i signors
Por ang no Tèrin fumors,
Yìtì al mont senxe pinsTr
Trento diani in t*mi canùr.
Si Tolèrin pastiià
Simpri nn Taltrì e soIaià
Legramentri col bocal
Fin che al dora *1 carnoval.
Fin che in borse fo qnatrins
E gaiettis snldins ;
Tràit dal Tin pnr sar ostir,
Trento diani in t* on cernir.
* Cod. Cais.: Parcè fastn ch*iò tant brami
Che chn mai no tvI eh* io Fami
Met pietat in chel sd car
* F« già stampata nel 1867.
• •••
V
Testi friulani: Secolo XVil. 283
ArivSz che forin pò
In te cresime dug no,
Sef di Chiàndit e Straselie
Ore Tost ore Tosidre
Manazavin di fa mSl,
Di manda lu chiavalSr
Come ang la festiur,
Trento diani in t*an camlr.
No aldrot disperSz
Senze-béz dng impaz3z
Si adnnàrin a consei
Eleiòrin cbest pai miei
Di lasà cheste citSt
Là che ogn*un disé: paiSt,
E lontan fa altri mistir,
Trento diani in t*un carnir.
Nns fo dit ch*al é nn paTs
Prif di giaz, plen di snrTs,
Si che di condù là Tie
Une buine marcancie
Di tal sorte d*anemai
Si acordàrin dug auai;
Tal d*ogn*an fo lu pinsir,
Trento diaui in t*un camir.
E cusì dug di briàde
Cu lis feminis in strade
Si mettdrin par riva
Al pais cu giaz non ha.
Ma chiatlf nostri destini
Si soleva Sar Qarbin
Stint no in mSr senze pinsir,
Trento diaui in t*un.carnTr.
Si leva cutSl furtune
Che Tot dls nus tigni in sume
Quatri déz lontana de muart
Senze mai podò pia puart;
E manchiant lu mastià,
Giaz e giatis a pesta
Scomenzàrin sul tair,
Trento diaui in t'un carnlr.
284 Joppi,
No vidint cusl a là vie
La gietesche mercancle
Cun chesg pós ca eon rest3ai
(Manca il fine).
e.
Son in uestriB chiavòi lin muniglo,
La front cnn biei rizòs ò rizulade.
La bochie ò une rasute inzucarade,
£ i layris doi picoz Bon d^amaschio.
Fall cont cu la musute ò un armilin,
Cu sei quet iti dal arbul e rosade,
Guaì di blanc e ros ses Tergolade
Si cu duquant[e] ses mai lat e vin.
Yo rèa pò no sai ce gratiùte in vo
Cbe Tés costuma zintij e cusl biei
Ch*ogn*un us reste scl3f e servitSr.
Cun To sta zugulant lu Deu d*Amor
Platansi mo in tal sen, mo in tei chiave),
E là eh* al mi pò dà dol^r mai<3r»
d.
Olà Massarie Ten a bas, ven sclet,
Paarte cun te la chiandelle impiade.
Fai prest, no ti tarda che mi ò saltade
Une bisce in tal chisf di fa un sunet,
Ce diaul stastu a fa ; see maladet
Se mai tu vens: o fostu scorteiade,
Spidit chiamine, c5r« Gheste pichiada
E tarde a pueste par fami dispiet.
Tu sìòB pur chi, met in tal mio mezat
La lun e ies plui in presse cbe tu pus,
Che uei scrivi un sunet che m* hai pensai.
Ma cazu, che io biele! intant che hai stàt
A spietà che mi puarti iù la liis,
Gospiet di Beo, m' al hai dismenteiSt.
Testi friulani: Secolo XVII. 285
6.
La me madresse ò date faropade,
Id crod ch*am<3r Tebi cun un bolzon
Fat chés cavernis par sta eh est giaton
Dentri sqindut a sassinà a la strade.
Ma pò, se ben cbe id cusì segnade
D'amar, o par dìj *l ver, dal uaruelon,
E no reste però di pare bon
E no reste però d*iestri garbade.
E ce plui dolz d d*un pidtin di mll?
E ce piai biel d'un abit ricamat?
E ce piai bon d*un formadi ztntTl?
E pur ognun di iQr d foropat:
Ce caad a dij! al saref brut lu eli
S*al no fos dut di stellis uaruelat.
Bàrbare, Tite me, id muriròs
Cert 8* tu tuelés un fari donge te:
16 mi consóli però un pQc parcé
Che no pues credi mai che tu *1 tuelds.
Ma se tu fos risolte e tu Tuolés
Un fari par marlt, deh tuolmi me
Che par to am9r, id ti zuri la fd,
Puarti une farle di contìnue adués.
La foslne èl mio pet che simpri al art,
FoiJ iu sospirSy rinctidìn èl mio cur,
Lu martiel è'I martiel eh* ai bat su fuart.
Ste Toie ha di dura insin eh* io mur
Se il fiar di to nature in gualchi part
No si mulificas cu è cusì diir.
chiatlve fortune o sorte me,
passion che io provi o gran tormeut.
Ni favela no pues, nd piai vedd
La md Tinutte biele e*l mio contont:
Cfaiadi lu mar e mont e ce cu id
Che plui no mi pò fa gram e dolent:
Id soi prif d*ogni ben, d*ogni speranze
E une mlsare vite sol mi avanze.
286 Joppi,
h.
Vo prisomrs dolenz e disperaz,
Yo galloz, [e] to sclSz in chiadéne
Dal aguzin batùz e tormentSz,
Ch'un mufòs pan biscot us dà di cene,
Vo di fortezifl pedoglos soldaz
Co &Ì8 chel chivalà cun tanta pene.
Cui mio mal conBolSsi, che mai5r
Stimares (so i pensas) la mio dolOr.
Io Tif gram in preson stret e leiSt
Fra dds strezis che mai i penai isaij,
Di chea eoi d*ogni bande inchiadenSt,
Amor cu id T aguzin mi fSs patì,
La biscot ch'io mi pas é cradeltat.
Di lagrimis bagnSt idi nei pur dij.
Di Tine no, ma dal mio trist destin,
De me sorte crndél ca non ha fin.
S*id ami sepi amdr e s*i nei ben
E s'io brami vede la so beltSt,
Se mi ha robSt lu ciir dret fur dal sen
Par feliz senze oiir un timp soi stSt,
Un timp qnand ohe discori e yedd a plen
La podévi e clama: Tine pietSt;
Ma cnmd seme id, ìò peni a tal
Che la maart stimares un manco mal.
Id voi di su e di iti malabiant
E lì no chiati mai lu mio cunfuart,
Chel bore ca mi solève plasd tant
Cumò mi Cu vigni i sadors di muart:
A chi Steve *1 mio ben, io voi pensani,
Bore d*ogni mio pinslr quiete e paart.
Ma cumd^prif di Tine ahimò eh* al è
Un infiar spaventSs al mio parò.
No si vi5d ai balcons plui che beltat
Chu non ha par e chu mi sta in tal cur
Di vedale: o mischin, cui mi ha privStl
Cause che disperSt io peni e mir;
No za di Tine sden ni crudeltat
Che iè non ò crudel ben soi siìir,
AmSr sarà foars stSt la traditor
Par gioldd dal mio mal, dal mìo dol5r.
i
Testi fri alani: Secolo XVII. 287
Am5r, se pur tu bob la ciaf dal zuc
Canse che id non hai ben ni dì ni gnot,
Se tu ti giavis spas che dal te fuc
Id resti incenent frit come un crot,
S*ta yùa che M d* aspre amareze il sGc
Cundìsi lu mio ciir chn ti è devot,
Fai almens che chialant Tinute id mnéri.
Dolce sarà la pene e lu martudri.
i.
Eom* Done Lucie yo ses tant disgratiade
Che in te citSt yo no yes parangon,
E yeramentri in cheste contrade
No chiatares nison ch^us dei rason,
Parcd cu la yergonzo ves mostrade
A Qurize, a Cormons e a Monfalcon,
E par dì*l ver to ses une poltrone
Che un par y estri non ò in bore di Glemone.
Femine* Tu sós un bec futut e un buzaron
A Tolè dì co sei une poltrone,
Nisun no porà dì piés dal mio non
Parco ch*id sol da ben tant eh* ogni done:
Ma id ti dij ben chest, che al cospeton
Di Sant Antoni, se ben si buffone.
Che un di id ti vuei dà une curtisade
Par insegnati a dimi disgratiade.
Honu Al si sa par dui mont ce co tu sos
E anchimd tu has front di dineià,
Tu sSs che ti forin dadis lis tQs
A Cormons, fin che tu podés chià;
Anchimd cui to front àlcis la y5s
Pensant che ogn*un credi al to badala.
Ma ti sai dì di tant eh* al no ti vai.
No spietà altri al to fin che Tospedah
288 Joppi,
Fem. Ce si saial di me par dut lu mont,
Nisnn no porà dì che io sei putane^
Là ch*id 80i stade ogn*an di me tea cont,
Come pò confirmà culi Donne Ane;
E no pensa con chest di fami afront.
Che cert no larà flir ste settimane
Che di pentiti tu has a to mal grSt,
QuSr di Domini stecum disgratiSt.
Hom. Al si pò ben savò se han tignut cont
Là che rhas praticSt, che t*al dij In fazze
Che a Cormons e tes derin a pont
Pablicamentri in tal miez de piazze;
E di putane anchimd tu hSs fi*ont
Cui di eh* hai di pentimi o vachionazze,
Mal iare ben par te che in to difese
Tu prodnsòs to comari Planese.
Fem, E se ben id clamàs ang mò comari
ìò crót ohe no diròs nome la ver^
Parcè che ha cognosiit mio marft fari
Ch*al iare fi dal quondam mio misér,
E ang e sa cui cu iare mio pari
Che par honòr al strupià un*alfler,
Penso tu s*al sentls a strapazzami
Ch*al Yores cu la spade a vendicami.
Hom. No mi sta a reuardà roo muarz a tàule
Cui dimi che to pari sei stat brSf,
Che io noi stimards tant eh* une chiàule
Se ben fos vlf, parco eh* al iare sclàf:
Ce dis di to marit, o done giàule,
Ch*al no sayeTe fa niang une ciaf.
Tu i scugnWis simpri fai la spese
Doprant la naturai sot la chiamdse.
Fem» Ben ben Tà pur daiir cun ingiuriami
Che pòar te se fòsin ehenci i miei,
Che tu no olzaròsis niang chialàmi
Parco ti fardsin cghiavà i budiei
Se ti sentìsin l5r a strapazami.
Che tu no fos nasut al sàrea miei.
Però ten pur la lenge enfre i ding
Che in bréf e saran ehenci i miei paring.
Testi friulani: Secolo XVII. 289
Hom. Al no oc5r che tu stdis a spietà I9r
Parco che cert di te no fàzin stime.
Che tu i has fat avonde dison5r
Cui fatti metti in te foràn la lime,
E anchimò tu fas la biel humor
Credint fami panre cu la sgrime
Che cui stiz e tu ThSs mattine e sere
Se ben che ìò passade primevere.
Fem* Sì, quàr di Domini stecum potent,
Che id ti uei fatti d& tant cun on len
E ti uei fatti tò ben in in iment
la miei pariog ia quai son tant da ben:
Anchimò ta t'hSs di clama dolent.
Ma cròma! che io tal dij dret dal bon sen,
Che pai to dimi vilaniis d^ogn'ore
Io ti uei fatti là in tante malore.
Mont. Ma mai cumò eh* al vignarà la boa,
Cetang quSrs basta faz al pòar vieli?
Piai d*un miar dal ciart io cr5t che son
Se ben che no si Tddin pai soreli.
Chel frut che tu has, qual Nart al ha non.
Di chei dal ospedal al è paiòli,
Parco eh* al ha piai di trezinte paris,
Artisans, butigirs, predis e fraris.
Fem. Al ò uà becconaz cui cu si Tante
Di verni la me vite mai tochiade,
E di nisun io mai soi stade fante
Come tu dls tu bestie squarnade,
E cheste creature ò so duquante
Di sar Demòni e lui Tha inzenerade»
Va a fa dei zeis orsù bestie mulzùde
Che par dui mont io soi ben cugnuaude.
k.
Sartòr parco seso sì scorozSt
Se io no US hai fat mai niun displasò,
Io US hai pur simpri riverit e amat,
Amami ang to ch'ai ò così dovd;
200 Joppi»
Mi Tea mostrSt gran ben sa pai passat
E cnmd seorozat yo bob cnn me^
Dimi la cause e dimi la parcé
Dima], misSr sartSr, che Tuei sayd.
Ben spes enn me za favela eolèfis,
S*id Jari in qnalchi lue, TÌgnÌTÌ8 lì
E Barbarose chiare, mi diaeTls»
Ahimò che ti ami, ch*id mi sint morì;
E pur nn dì chea die chenci su levis
E id tiravi sede ahimè ehi, chi;
E senze di bondì né saludà.
Par une androne id na vedei volta.
Mo parcé tante colare ben mio,
Parco, sartor mio ohiSr, fàiao casi?
Pensàao foars che ami altri che vd?
no la fd, vorès piai prest muri,
Cho savés ben chu lu mio cur no pò
A doi madore di bon amor servi,
Donchie ben mio dulà veso chiatSt
La cause che cumd sès seorozat?
Se ben tal volte cun qualcun favdli,
Id burli, id fSs par passai timp cosi:
mio sartQr, mi brusi lu sorèli
Se ami altri che vo, crddilu a mi:
Vo sartor di cuzi, id fas curdèlis,
Cusi lavorarla duquant lu di
Los fuarfijs, la gusièle, e*l brazolSr,
Vo doprarés e id lu mid telar,
Donchie fazin la pSs, sartor mid chiar.
l.
Id US ringracii, miaSr scodelSr
De matinade che vo mi fìizèris
E dei garofui che vo, ben mid chiSr,
TacSs al mìir sot lu balcon metérìs:
Al lare di quasi lusint e dar
Che angimd di sunà si complasèris,
Perd ringratlà simpri ni mai
Lu garbai scodelar id dovarai.
Testi friulani: Secolo XVII. 291
Ben 08 promet, o dal mio cur cnnfuart,
scodelar mio chiar fidel amor.
Che altri ohe to no amarai mai ciart, .
Simpri sarès to dal mio cur signor:
La procèdi mi plaa e la nostri art
Mi plas co mi ves fat un tal honór.
Però o mio scodelar crédit siur
Che Rosane donat us ha la ciir.
Vo ca la gratie e con chel favelàf
Con chel Mei mùt di fa sì gratlos.
Ogni polzette isda inamorà
Ogn*ane ns iil par so fldel mords:
In boro d*Arono altri no sai chiatà
Ni in altri liic id puòs credi ca fos
Un cu piai morti e cu mi sei piai chiar
Di vo misàr Simon mio scodelar.
m V
[llanca il principio.]
Ed hai altris yirtuz.
Che valin cent mil scuz,
Donchie, Magrine me, no mi sprezza,
Yebis compassion
Dal to madòr camd, eh' al ya par bon.
Car mio pietat e aiut
Dal violi ch*à piardut
Par td *1 zerviel ; aiut al povaret,
Aiat che pe dalle
Soi maart e chel eh* è piees la set va vie.
Devant ch*id fos madoor
Bevevi par signoor,
Scolavi di valent quattri boccai,
E comò un sol beccai
Mi faz volta *1 zerviel e mi fas mal.
Senze nisson pinsijr
Mangiavi un rost int^jr,
Un chiapon e doi pana, nò pues cumd
Mangia rustlt ni less
Soi flach e stenti a pene a trai un vess.
' Da altro ms.
202 Joppi,
Za 8td?i in eompagnie
D*amis, ni vevi brìe
E 1 buttaz mi tignive ogii*hora allegri!
Id 8teTÌ simpri san
Dal biel princìpi fin al fin da Tan.
Cumd no pues pini ridi,
A dach Ten in fastidi ,
Magrìne, eoi coraat, brami la muart,
Id 80i daquant piardat
Par te Magrine mee, Magrine aiut.
Stoi sol, mi chiali in spieli
E dij, no eoi za vieli
Sì ben eh* hai sessant'agn, sol zovenet
Di fuarzis e di cnr,
Donchie no mi lassa, Magrine sur.
No bandonà, Magrine,
No lassa fantolino
La vecchiarel, la to fidel mador,
Lassiti un poch yedee,
Lassiti chiare vite an poch gioldee.
Cha ciart, amor mio fin,
Un nobil presentin
Ti vaei dona di presi e di valor :
Fammi un dì consolaat,
Lassiti un dì, cur mio, nullìti il flaat.
Casi 1 vecchiet sustave,
YHÌve e suspirave
Lontan de bielle ma crudel Magrine:
Qaant, iù dal taulin
Fazd chiadò *1 so giat un fiasc di vin.
Airhore il vecchiarel
Piardò quasi*! zerviel,
E *1 vin spandut vidint resta svinijd,
E cridà cun furor:
Maledette Magrine e *i Dio d*amor«
La fin.
Testi friulani: Secolo XVII. 293
n. Disperade chiamoe '.
1 Za che io cognos che ta no mi ns pini ben
Ang io no ti nei stati pini Tisin,
Ma nei leià une scove in cime un len
E par il mont nei là spacechamin:
Id mi contentarai durml sul fen,
Mangia poch pan e bevi mancho yin.
Ma tu cbrudel ses eause dal mio mal,
Prei amor chu ti inpiri eh un un pai.
2 Moschis, musons, tavans e galavrons,
Zupez, gris e furmiz ti salti a tor,
Ti pici giespis, ragns e scorplons,
Ti Tigni in quintri ogne nemal chu cor:
Vores Tedeti piene di glendons,
Che par macaiu tu schugnis là in tun for;
Revoch ti fos ogni boehon tu gioì,
Quant che tu bes ti vigni In sengloz.
3 Vo zoris, vo curnilis, vo crovaz,
Svolat in frote a cepelà chuschiò ;
Còrit in trop ang vo los e ehianaz,
Tachassi a rosela da prus di id;
Umsi insieme ang yo suris e giaz,
Vaile a mangia sul iet che mai si sd *
Se ben yo ij roseassis fin iu vues,
Farce che ià m* ha mitut il fuch adues.
4 Vores Todeti il nas lunch une spane
E che to bochie fos dute sdentade,
E pares che to muse une quintane,
Chul march in miez dal front tu fos bolade:
Vores Yedeti un dì par setimane
Chul anel de berline al quel sposade,
£ duquanch ti traies alla rifuse
Naranz e- miluz freiz in che to muse.
5 La prime volte che al to nemorat
Tu ij riz, ti salti fur la lus d*un voli
' Da ms. di caratt. del sec. XVII, presso il dott. V. Tullio in Udine.
' Le ultime parole sono pressochò illeggibili.
Archivio glottol. iUl., IV. SO
204 Joppi,
E chu chel altri resti schoeholat,
^Sence ehiatà nisun chu ti consoli:
E ogni qnal volte tn i dis mai fiat,
lo prei la cil che un maselar ti coli;
Se in to prisinze mai des snspirart,
Ti prei eh* al si trasformi in ton rntart.
6 Se in sn la fieste mai vas a baia.
Ti salti in miez dal bai la schagarole
Che ognun di te vebi ce fevelà;
Magari lestu pur fin la medole ,
Achei to umor ìò vederes cala
Vìdinti rosse come une cevole;
Ma che balas cun te chel to mador
• Par lesi regalat di tal honor.
7 ^ FantasmiS) orchui, Tenchuij, mazarinij,
Animis che la gnot lais malibiant,
Se mi lamenti vo saves par chuij,
Vo ben lu mio interes saves duquant,
Mentri la gnot io spietarà colui
Che sot in siei balcone vadi chiantant;
Faile in orch in tun trat falle spela
Che par un mes no puedi fevelà.
8 Vores vedeti in compagnie sul iet
Viparis, magnis, sbors, madrachs, uarbic,
dongie te par to maior dispiet
Fos savis, chudij, croz màlos e riz:
D*ogne nemal tu ves siet voltis siet,
Ni altri tu vedes par ogni piz
Che cheste sorte e par plui to gran mal
Ogni to zondar ves un furmial.
9 Quant tu ti viest alla dominichal
Vores vedeti dute petolons
Senze piece di spalis nò grimal,
Che tu mostras la chragne sui talons,
In sume io vores vedeti a tal
Che tu no ves nò scharpis né chufons,
Là che tu chiaminis fosin baraz,
Buralis, stechs, urtijs, tu fos mai sgraz.
10 L*aghe chu tu ti lavis lu mostaz
Vores che deventas une tinture,
Come un chiarbon tu ves lis mans e i braz
E che! chu ti vedes fazes paure
Testi frinlani: Secolo XVII. S95
In sume id bo havares maior solaz
Quant che a vedati brute compasture,
Cliancar ti vigols tant biele tu sos
Che schuguin spasamà come raibos.
6. Dialogo
tra una pinzochera e il confessore, del conte Ermes di Colloredo ',
Proteste dalVAutor,
[Dal Codice Caiselli^ p. 432 seg.]
La Comedle, par che disin diviars Autors, no fo inyentade solamentri par
ricrea i circostanz, ma di piai anchie e prineipalmentri par che podessia ap-
profittassi e correzi Ju costums, parco che al di di Ciceron la Comedie e jò
une imitazion tle nostre vite, un spieli de consuetudine e nn' imagine de vere-
;at, e second un altri Autor e jò une spezie di favole, de qaal s* impare a co-
gnossi ce cu sei util in te vite umane e ce cu sei in te vite umane d*abburì
' Nacque e mori nel castello di cui portava il nome (1622-1692); e fa capi-
tano, di fanteria imprima, poi di cavalleria, ora ai servigi deirAustria, ora a
quelli della Serenissima. Durante gli ozj, si dava alle lettere e in ispecie a far
versi nella favella natia. Il suo Canzoniero friulano^ in due volumi, fu stam-
pato la prima volta nel 1785, la seconda nel 1818. Già toccammo del primato
che egli tiene fra i contemporanei (p. 186), e si potrebbe anzi dirlo il più
classico fra tutti gli scrittori friulani. Ne offriamo un Dialogo, che 1* argo-
mento un pò* geloso mantenne inedito sin qui; e conserviamo Tortografia del
tempo, che nelle citate edizioni fa arbitrariamente alterata. Potremmo anche
aggiungere un capitolo inedito, in quartine, che sentitola II mont al é^. di
vuè, // mont presint (ò in due codici Caiselli, e in un ms. della Bibl, Civ. di
Udine). Ma il mal costume vi ò flagellato con una licenza di linguaggio, che
riesce alla sua volta un* altra offesa al buon costume. È forza perciò star
contenti alla piccola parte che ora qui se ne estrae:
Il tribunal d fat un marchiadant,
Ju ministros sensars e senze fede;
Tradit il mercenari te mercede
Dairavvocat sassin, trist e furfant.
Cui cu ha da havò o di dà, no ò rimiedi
Di fa cognossi il dar alla giustitie,
Parco cu chesg ladrons plens di malitie
Us mazzin la reson cun lunch assedi.
A la fin dut è ingian, dut tradimenti
Ogni chiosse si fas par il vuadagn,
286 Joppi,
com*improprif disonest e vizios. Anzi par chest i Romans, al di di Scaligero, e
permetterin ai siei Poez di schiadenà la so maldicenze e di scherni a su bene*
piaci t i Tizie, acoiochd ju Popui sul timor d*un chiatif concet Toltaesin de
buine bande i siei anima dissipaz e scorrez, che erin traviaz dea yirtuz. Onde
par tant anchie io in tal forma chest Intermiez, no hai intindut aolamentri
d* esponi un divertiment, ma anchie insieme cui metti in burle il contegno fa-
miliar des Ghittinis, di dà mutif di ravediment a ches che usin ste indiscre-
tezze. Il volgo insensat ai dà il nom di Ghittinis non solamentri a ches bac-
chetonis che affetin di jessi tignudis par buinis animis, ma anchie a ches ani-
mis onoradis, che realmentri son buinis, parco che menin une vite innooen*
tissime. Io, par altri, soi di massime assai contrarie, parco che il nom di Ghit-
tinis id lu adotti singolarmentri a ches ippocritis esecrandis, che non haa
altri di virtuos in sd, se non la sole apparenze dongie di chei che no lls co-
gnossin, e sot la mascare d*une finte pietat e han un anim plen di malizie.
Ghestis donchie io intind di dismascherà cun cheste Oparette e di mettilis in
berline, acciò che imparin a reformassi e usa major contegno. Par altri il
Gonfeisor, che qualchi volte ven nominat in cheste Oparette, no 6*intind mighe
come Bogget di Gomedie, che io no soi cussi empio di fa derision d* un Mini-
stro che merte, viodint che lis Ghittinis s*abusin de so persone cui frastomalu
continuamentri cum mil sortis d* impertinenzis e di petez. Finalmentri cui cu
ha judizi al savarà ben discerni Tintenzion di chest* opare e distingui lu ben
dal trist, sun chest avis che nus da Plutarco: Sapientior est, qui pey fictas
fabulas discit quid sit turpe, quid sit honestum. ^
Dialogo d'une Chitine cui Confessor,
[Dal God. Caiselli^ pag. 476 e seg., e dal God. Castelli.]
Chitine» Deo gratias bon Sior Padre?
Padre. Bendi Pie.
Chit. E ce miracui Sior Padre co lu ohiati sol; sei laudat il Signor, io varai
Ogn^un procure di gabà il compagn,
La vergonze è biel lade a salvament.
Libertat di conscienze ognun pritint,
No si rispiete plui festis nò sant,
J* ordins del pape si dan airinchiant,
Lis SOS medaSs par soldons si spint*
Ai perdons al si va par fa bordel,
A la messe si va iust par là a spas,
La femine va in glesie par fa chias
par dà ai siei moros gust o martel.
Testi friulani : Secolo XVII. 297
par un poc di timp di dii quattri peraulis, eh* al d tant timp co lu
brami.
Padre, Ves fortune dal ciart par cheste volte, ma sbrigaisi biel prest.
Chit Po caspite, Sior Padre, Dio vuardi a tignilu piai dal necessari, io vares
di rindi cont; sai ben eh* al d il dovd eh* al consoli anchie iu ai-
tris che la sietin.
Padre* Jnste Fie, dit su to, no piardit timp.
Chit. Ma Padre, id mi legri duquante quand che la viod, e no ores mai ch*al
fos affiet disordinat il mio ne so persone.
Padre, E ce oleso ch'ai sei? vo si fidais di me come di Direttor e confidais
eh* US meni pe strade drette al Gii semplieementri.
Chit. E pò Sior 8\ dal eiert, dut par sahà che anime cun fin di profitta,
ma id hai qualch* inquietudine, quand che no lo pues vedo.
Padre, Mai si sei, finile cheste bibie, o pur chiataisi un altri di legrassi cun
lui, che ses parone.
Chit, Ah Dio Yuardi Sior Padre, id murires di passion: id sai ce anime di
Dio che lui al è, e ce solef eh* al ricev il mio spirt de so assi-
stenze. Il Signor pur mal conservi pai mio ben.
Padre» Fazi pur Dio, Fie chiare, chel cu i plas a Lui e vo dit su ce ch*us
occor, ma lassait la proposte dall'affiet che no la vuei sintl.
Chit, Sior sì, Sior si, Sior Padre. Ah Signor, id ores lessi sorde e Tuarbe,
plui prest che no vede e sintl chel cu si viod e cu si sint.
Padre. Po no ne, chiare Fie, anzi ringraziait Iddio eh*us lasse i sentimenz
par podelu servi.
Chiù E Sior Padre, s' al saves quand eh' id passi devant a chei doi luchs dal
Ridut e de Rachette e cu si viodin simpri cierz Fraris e chesg Re-
ligios, mi sint propri a passa il eur dal mal esempli che dan a la
Gittat; e s*al sintis ce che disin: ahimè! mi dan pene nome a re-
vuardami.
Pad, Ecco subitln pront il pensa mal. Il zuch no Té pechiat, ma une chiosse
indifferent de so nature. E ce saveso vo che stein lor simpri a lì,
' veso faars qualche spie eh* us rindi i conz ? Eh Sur me chiare, plui
simplicitat, e piai raceogliment in vo stesse, senze sta a tigni a
menz i faz d* al tris.
Chit. Ma cazzo, Sior Padre, bisugne savè ce che mi han dit ir Taltri, quand
eh* id passai, e chest senze nissun motif. Id credei di sclopà di pur
svergonzament. Baronaz, insolenz, che soi par dial, Sior Padre.
Padre. Nuje vie, taset là, dait la cause a vo stesse, che poc mortiflcade e
maliziose, chiolis sinistramenti lis lor burlis: id sai ce che oles di;
e son miors di vo, e par supera chest vuestri judizi, inzenoglaisi
quand che iu vedes.
Chit, Eh Padre, eh* al mi sensi, id soi ben pecchiatrizze, eh* id lu sai, ma no
298 Joppi,
però di mettimi cun lor. Pofar di mi Sior Padre, e mi u^oressin di
mo di quettis e di crudis sMò fazes cheste chiosse; e cai cu mi ve-
des mi daressin de matte. Pensait mai, a vedemi a inzenoglà devant
chei mazzulas e morbedoDs, oressin chiolmi vie.
Padre, Oje, olà, Sur me chiare, cussi mi favelais dei Sacerdoz? dulà ise la
caritat, che scuse dnt: mi mara^ei di to; attìndit a fa i faz Tue-
stris, mortificai t chei voi, svarbazaisi, e credit manco mal dal yuestri
prossin: ricèvit il rivuart che us doi e stait cun Dio.
Chit Ah chiar Sior Padre, no hai dit inchimò nnje.
Padre, Ves dit pur masse, eh* io no hai timp di sintì mighe il proces dai
Fraris; che si distrighin lor. Ce vino da fa no? pur nuje affat. Ce
veso di dimi, distrigaile?
Chit. Pazienze chiar Sior Padre, che trattànsi di spirt e di cuscienze, no Y è
mistir mlghe di butta in stampe ; al bisugne eh* al sepi, eh* in chei
dì che chei Religios mi diseriu cbes peraulis, id ridei e hai paure
di Té pecchiat.
Padre, E pò vedeso Donne, il cur m*al deve, che jeris stade cause vo di
dut il mal. Vo ses senze virtut, Fie chiare, e dai vuestris capriz,
che disis, dais la cause a chei altris. Oh baste, lassait là cheste
storie e stait pai avignì sore di vo, veso intindut: veso altri?
Chit. Po capi. Padre sì. S*al si revuarde di vemi concedut quindis dizuns di
pan e aghe: ju vevi za scomenzas, ma un gran dolor di stomi mi
fazò tralassà e sol restade cun timor d*avé fat pecchiat.
Padre. E chesg no son pecchiaz, oleso intindile. Al é ben ver, eh* un opere
pie e buine tralassade é prive dal mert che si podeve acquista cui
fale, ma quand che no si pò, baste il bon cur, desideri, e rasse-
gnazion.
Chit, Ma io no pues vd cheste rassegnazion, nd no mi fidares che fos mai
buine. And*é tantis e tantis, che cun chest biel pretest lassin la
penitinze, mangin, bevin, duarmin ben, e pò crodin di meretà. Si
dan spas e bon timp, e minchionin il Confessor cun tant zemi, e si
fazin compatì e dispensa d*ogni penali! at. Ah s* al saves di dos o
tre, ch*id lis cognos.
Padre, No mi stait a là plui indevant, e chest a 1* d pecchiat ; frenait la len-
ghe; sebben, par veretat, senze comparazion plui meritorie e jé la
rassegnazion che lis austeritaz. La volontat di Dio devi jessi adem-
pide; e cui cu no ha fuarzis, si devi consola de so buine intenzion
e abbandonassi a chei che Dio dispon.
Chit, Ma intant no si fas nuje pai Paradis in che vite poltrone ; che mi
compatissi Sior Padre, che io no crod che sei cheste la buine strade.
Al busigne patì; onde la prei a concedimi da chi indevant tre di-
zuns par settemane e tre disciplinis, dos gnoz di veje e quattri di
testi friulani: Secolo XVII. 29Q
cilici almanco i ultins dia di Garneval pai puara pecchiators, che
fuars e zovaran anchie a chei Fraris che mi stan tant sul cur.
Padre, Prime d^ogni altre chiosse, esercì tait chel che us hai dit cun dolor,
e pò tornait pai rest ch^ns sintarai.
Chit. E ma no ne dassen che do pues fala. Ce pochie discrezion di Diret-
tor, io vuei plui tost zunà, disciplinami e stèt in orazion Tot dis
intirs.
Padre, Oh! chi ns vuei. Sur chiare! ce crediso di f&, cui fa al vuestri mut?
yo ses mal instradade, us cognos. Ubidienze Sur e sacrifizi de vue-
stre Tolontat, e sì se oles plasd al Signor, che seuze cheste dut al
d piardut.
Chie, Sintlt chiara Fis, cui mai vares credut di sintl de so bocchie chestis
chiossis : si fas cussi poc cont de penitiuze, si dà non di pecchiat al
zelo di ben vivi dal so prossin. E ce ajo dit, Sior mio, quintri la
caritat? Ah cimut ch'ai va il mond; anchie chei che son sanz, pur
tant sMngianin. No Tuei altris conseis d'umign mortai, che za il Si-
gnor no mi porrà manchià. Sior padre, lu riveris.
Padre. Lait mai cun Dio, compagne, che il Signor us e mandi buine. Cognos
il 7uestri spirt, e miei il vuestri chiaf dur; lait pur lontane, fle me,
a pettàlu ìu tal mur.
3oo Joppi,
V.
SECOLO xyiii».
-4 ►•
1. Versi di Giorgio Comini,
nella yarietà vernacola di Gordenons e dei vicini paesi,
provincia di Pordenone '.
a. Plaii de barba Blas e de Tone so nevot da Cordenons, per la partenzia
de So Celenzia Alberto Romieri, Providitour e capitani de Pordenon (1754)
[Collez, Joppi,]
Tone.
1 Ce vasel baduchiant, me Barbe Blas,
Ca parei\tra piane piane cussi biel soni ,
Malincronich, sautnme e col chiaf bas,
Coma al puartàs un peis da vonr el coul?
Ghel tant russasse, e tant soffiasse el nas,
L*ei8 un sen eh* al se sint calche gran doul,
Gha Teis alliegre come un aliiegria, '
Nò mai r hai vist a sta in malincrunia.
2 Me agna e la so vacchia Sarasina,
Grazia Dio, no han p\ sorta de mal,
Né chela lufonona de Gilina*
A lui mo no l'ha fat dan, per la qual.
St*an a Tha una bielezza de farina
E puoch vai la sustanzia del bochial.
Donchia, ce asel mai che lo tavana?
Mi mo me vuoi ghiavà un puoc sta pavana.
' Per questo secolo, che potrebbe dare una messe abondante, specie di prose,
ci limitiamo a pochi testi rimati (v. p. 186), che rappresentano due varietà
diverse dall'udinese.
' Gfr. Arch. I, 479-80, 492, ecc. Nacque il Gemini in Pordenone, ove morì
nonagenario nel 1812, avendo sempre vissuto in iscarse fortune. Verseggiava
con buona facilità; ma non si sono potute raccogliere se non 23 ottave in dia-
logo e tre sonetti, che sicuramente provengano da lui (cfr. il num. 2).
'II torrente Gellina.
Testi friulani: Secolo XVIII. 301
3 barba, barba Blas, ce mai a^eo?
Sevo moart, sevo 7if, che Dio nMiivarda?
Me pareli propria aflit coma un abreo,
E aveit un colorido da mustarda.
Barba Blas.
Tone, o chiar neToud, o cfaiar fì meo,
Ce fala mai la mnart, che tant a tarda
A tuoime da sta lagrema de vale,
Piena de cosse da no soportale?
4 Prest el Pmviditour nuostre Ta via,
E anchiamò te domande chel che hai ?
Chista Teis ben por me*na malattia
Che me manda a fa tiare da buchiai.
Prencipo benedet, e cussi sia,
Vos seit paron, e vos voleit eh* al vai.
Ma ve die la vertat che mi no hai lena
Da podé pazienta tant granda pena.
5 Hai jodut tempestone grandonone
Nel meis de Mai, eh* a leis propria un flagel,
Spidem\e e varuole sfondradone,
Che no le m*han lassat feda né agnel:
Hai judut a mori me barba Tone,
Ch*al era un om eh* aveva un gran cerviel,
Ch*al ghin saveva tant che un Reverenda
De litera e scritura e de legenda.
6 E pura dute quante chiste cosse,
Ch*a erin tant tiribole e triminde.
Le m*han fat sintl anguosse e non anguosse
Vuoi mo dì... mi no sai se ti m*intinde;
Ma ades manchièi me sinte e gambe e quosse,
E dut el sentenar del di me tinde
A burtolà comuòdo fa una vachia
Quant ch'ha el mal del lanch o quant ca eis strachia '*
7 La nuot me pogne ju come un Cristian,
Ma drumì? pò de qual. Dio Signour nostre!
E se anchia drome un fregol, V eis me dan,
Jode cosse p\ scure del vingiostre;
Jode la muart co la so ronchia in man,
E*l boja che la forchia e *1 laz me muostre,
E pesta e fan e liberamus domine,
E tant altre cossates che no nomine.
302 Joppi,
8 Varda un puoch se mi poat mai vive truop,
Propriamintre, nevout, me siate in chiaf ...
Vai mo via che conaole de galop,
Né me manchia altre che de pogne el chiaf.
Ah! partenzia, partenzia, un gran sirop
Te dèi a un puòre vechio e un gran pataf!
Ah! partenzia, doloronsa partenzia!
Dulà, dulà mai asto la cunscienzia?
Tone.
9 Oh! compatirne, deit in famesia, .
Che*] vuostre mal al poul ave remiede;
E siben che de chista marcanzia
M*intinde giusta tant che le lamprede,
Ascoltarne, ve pree, un Ave Maria.
Chi sa, che mi no sòipe el vuostre miede;
El flàr d*un orbo al poul trova un chiavai,
Spes vai p\ un sold de pevro de un grimal.
10 Avant al nuostre Prencipo in comun
No podaressin zi con Sanquarin,
Rurai, Val, Villanuova e duz in grun,
E duz, duz dal pi grant al tininin
Domandai in zenoglon prima pardun,
E pò preàlo e suplicàlo inchin
Che in tun mout o in tei altre al ne licenzia,
Col laasime o col tòine So Celenzia?
11 E se coventarà, mi mi per duz
Slatinarai calcossa de malmoria:
€ Prencipo, vermingrazia, sen piarduz,
» Se no ne lo lassat, chista eia Y istoria.
» Tolone i chiamps, i bous, lassane nuz,
» Ma lassane zi a chiasa cun vittoria;
» Ch'ai stei nos triech ains almanco ancour,
» Po, sei cun Dio, eh* al vade col Signour.
12 > Nos uchl starem saldo inzenoglaz
> Inchina... veramintre... voi mo dì».. >
Blas.
Tas, tas, che chist a V eis parla da maz.
Tone.
Ma doveàde lassarne mo fini.
Blas.
Ma no te sas, che quant eh* a son passaz
Sedes meis, a no pòlin pi sta uU,
Testi frialani: Secolo XVIIt.
303
13
14
15
16
17
Che alora a Teis flnìt el Regimint?
Cussi el Princìpo touI, cussi al la sint.
E pò un Providitour d*una tal fata,
Cussi plen de boutat e de giustizia.
Che quant eh* al parla propriamintre un lata
(Al dia cosse, eh* a son una delizia),
L*eis doveir eh* al fai coma una pignata
Che duta la famegia a benefizia;
E cossi lui, le sove qualitat
Al le ha da spande in dute le citat.
Un ben di Dìo de cussi buna sorta
Noi ha da sta ucà saldo in sta contrada:
La Republica, cha a spartis la torta^
A voul che a duz ghin tocchie una bochiada:
Han de chei puochs in bocchia Taga muarta,
Cha spietin coma uciei la so bochiada;
Nò per noe a Teis pi Santemarie;
Sai ben mi, quant che parie, chel che die.
Tone.
Barba, bisogna dila, seìt un on,
E Teis dut giust chel che diselt ancuoì,
Ma se poi mete sot un bon paron,
Per avo na di almanco un de so fìoi;
Ch*al dis bonsior plovan: da un arbol bon
A no puoi nasse mai se no fasuoi;
Al TOttl mo di: fruz boins e dilicaz,
Second eh* a Teis la pianta che li ha faz.
Blas.
Moja inchin ca, ti no te parie mal;
Ma chista Teis na cossa tant lontana,
Che per me de sigura no la vai,
Che soi pi vechio de la tramontana:
Ma pur, pazienzia, no me Thai per mal,
Ch*a puosse anchia daspuò la me chiampana
Jode sta Tìla e la me descendenzia
Sto ben de la divina providenzia.
Belzamd al coltivia chel pi granduz,
Col dai na scuola assidua, biela e santa,
Coma chel ortolan che voul dei fruz,
Che dut el di al sta intor alla so pianta.
304 Joppi,
E chei che *1 jot disntilez ramuz
A la buDa stagion el zonda, el selanta:
E col coventa el la evolta e bagna,
E CUB8Ì Pha al so timp ona cucagna.
18 Ti, che te bob ancora polzetat,
Tel vederàs na di creBsnt e biel,
E Bomejasse al pare dut aflkt
In pordenzia, in bontat e anchia in cerviel:
Ma alora de dai qnant ohisto cnarpat
No ghin sarà pi nnja diaul in chel,
Ohe per me TeiB snnada la completa,
Né me manchia che dà T ultima streta.
19 La me malmoria Teis la me sfurtnna
Pi che no son i setant'ains eh* hai mi,
Parco mi Jode date a una a nna
Le gran finezzes chn*i m*ha fat nehl,
No Teis no Bot la capa de la Iona
Un zintilon che 1 meriti de p\,
GheU Baipe fa che duta le persone
Dut Tamour e*l respiet a lui ghe done.
20 Ah! che me passa ades per la malmoria
Quant ch*al Tigniya ucà per visitane!
Che ben te sas che mi avevo la groria
De sta con lai per dut dulà andeàne.
Al me contava sempro calche istoria
Al proposit de chel che parleàne,
E mi stave, te poni imaginate,
Jasta coment un fantulin ch*al late.
ti Tal vuelta al me bateva su la spala
(Chi sares co un par mio che se degnas?),
E *1 me diseve : Biasio^ cùmt fiala
(Biasio in latin se dis impd de Blas)?
Mi alora me sbassavo e col ehiaf bas
De la so viesta ghe bussavo ungala,
E diseve: al comando, so Celenzia,
Dut chel ch'a Teis de nuostra pertineuzia.
22 Quant che me ceventava calche cessa,
per la me persona, e per la vila.
Bastava che una siliba aves muessa,
un fregulin di moto, per surtila....
Ma la parola in bochia se me inguossa,
E*l cour in plant e in doul se me distila,
Testi friulani: Secolo XVIII. 305
A pensa che un tant beo, che mi hai avut,
Per seculoru marne Thai piardut.
Tone.
83 Via, no ve desperat mo tant, chiar vos.
Propria ve dizzipeit Tàmena e*l cour:
Saveit pur che*l mazzasse de per nos
L*6Ì8 un dispiet tiribol al Signoup.
E vos cussi ve lavorai el fos
Con el badil d*un desperat dolour;
E pò de dame a erode intendereit
Che saveit chel che feit e che diseit?
2i Consolavo, su via: chi sa, chi sa.
Che noi puosse toma anchia un* altra vuelta,
Che dut chel che Teis stat al poul tornèi.
Blas.
Ah! Tone, pi^aròs una racuolta!
Chisto, ades che ghe penso, al se poul dà.
Te dis na cessa che la me devuolta
Dal desperame e dal butame via;
Te m*has dat un crodial de speziarla.
Tone.
S5 E intant me par ch*al seipe un gran cuntint,
Sintì di quant in quant la buna nova,
Ch*al se fazze adora da chela zint
Dove che Podestat al se retmova.
Sta cossa la soul dà del argumint
A chi per un luntan del doul al prova.
Barba, me par che ades feit el buchin,
E feit moto de ride un tanti nin.
Blas.
)S6 Tone, ades un penseir biel m*hai pensat;
Zin subit via de cà de chista strada,
Zin a trova el plovan, o un ragionat,
E fense fa una biela spiferada.
De chele in eiarte gran solenitat.
Che de ciarta se fan granda stampada,
Cu *n biel anzol eh* al sune la trombeta
Co le ganasse sglonfe e bochia streta*
Tone.
27 Sì de chei sfuoi de ciaita, che mi bai
Vist four de le boteghe al mur <achia«,
306 Joppi ,
Che parin tainz fazzuoi o pur grimai,
Metuz al soni inehin che sein bv^az.
Blas.
Giosia da chei; ma el vero innon noi saia;
Sai che con chei bo lodin podestaz,
Munie, pardichiatonrs e altre cosse,
Ora in litere negre e ora in rosse.
28 Nos li Toldn fa fa in litera scura,
Per dimostrai un sen del nnostre afan,
Ma per fa scrive una tal scrftura
Ades Peis tarz, podem spietà doman;
E intani che duta chisia nuot a dura,
Sora sto fato vuoi pensa da chian,
E doman vuoi dì cosse da spavini,
Buna nuot, e doman sarem darint. *
b. Sonetto.
[Dairauiografo nella Collez. Oliva del Turco^ in Aviano]
Se se podés coi braz e cola pena
Laudave, bonsior Padre reverenda,
Mi vords frabichiave una legenda
Gha fus almanco lungia quani Taltena.
Ma chiaf ghe voul e un chiaf co la man piena.
No el meo che*l eis pi ligol de una tenda.
Dona mare ignorania in sia faconda
E m*ha fai col cerviel in te la schena.
Se vermingrazia ades mi fus pirit ',
In tal inconire sì, per Sant'Anione,
Yores fame sintì da ca a San Vii.
E prubichià per dui a le persone
Che mai pardichiatour no aven sintit
Che miei de voi combate col demoni.
No eis. Sanie Madone,
Daspuò che ha fai la barba Pordenon
Mai tant sto pulpit 8*ha tegnut in bon;
E mi tal pò ver on.
Se prometeii toi*nà ca un*alira vuelta.
Sia oun Dio, ve impromete una racnolta.
* Variante: Se de litera un pooch mi fus pirit
i
Testi friulani: Secolo XVIII. 307
e. Altro bonutto.
[Dairautografo come sopra].
Bonsior Pre Tarnscelli bedenet,
Si ben che seit in tanta luntananzia^
Co la mint io to jode net e sclet
Coma fnssiz uc& in t*la me stansia.
Pi zoTÌn me pareit dut slis e net,
Vistìn in ponto e bianco con creanzia,
E co nn bultrich davant con bon rispiet,
Co sares a di l'an de la bundanzia.
No ve podeva nasse una faconda
Che pi Te coventas de chista mai«
Ch*al seipe fat Plevan chel reverenda.
Chel reverenda che dai e pò dai
Al era saldo la vuostra legenda
Dut quant el sentenar del di a Rurai.
Mete pen do anemai
Che no barateàde sta zornada
Per una pussission biela e coltada.
Cha no Teis co la trada
Liada la micizia tra de vos
Ma co un vench cha cioleis.... '
Tant che seit un de dos,
El Plevan come a di Teis el telar
E vos seit la so polpa e la so chiar.
Donchia, Pre Piero chiar,
Anchia vos, se Teis ver che che mi die,
Seit Plevan, che no V eis Sante Marie.
d. Terzo sonbtto.
[Dairautografo come sopra.]
Prencipo benedet! dut chel che feit
E chel che stabiiit Teis dut ben fat,
Ma tuoine ades un ben che vos ne deit,
Scusami no la eis duta civiltat.
' J>Yon si son potute leggere le parole mancanti.
308 Joppi,
Mi za soi chel che tos respondereit,
Che sto crodiàl voleit companizzat,
Che Teis jast che ghin tochie almanco un deit
Ànchia a chei che anchiamò no Than gustai.
Aveit rason, ma nianchia mi no hai tuart;
E se al comando vuostri no fos chel
Che con un piez de cuarda al fa el cuoi Stuart,
Yolessan sequestralo in tei chiastiel
E ulà tignilo inchina che *1 sei muart * «
Ma lassalu zi via, nò Diaul in chel.
Ma cugnln sta in cervie!,
Tignila e sbassa el chiaf al voleir yuostre,
E planzd e suspirà dut el tlmp nuostre.
El doul che sint e mostre
El n&s anchia per no podd sperà
Ghn mai sto ben de Dio retome ca.
L*eis nat per gujarnà
Altre barbe che nos, altris paeis,
Sto zintilom de vero nimbro e peis.
Per altri sedes meis
Se se tratas d'avolo un* altra vuelta,
Vade un par de nomai e una racuolta.
2. Una Monacazione '•
[Da una copia dell* anzidetta Collezione.]
Ulif.
Cerchia via, cerchia ulà di Maddalena
Par Sclavons, par Romans e par Curtina ',
Clama, sivila pur di duta lena,
Nd jot a comparì gial nò gialina;
' Variante di altro ms.: che $oi moart,
' Il signor Pietro Oliva del Turco di Aviano trascrisse il presente Dta-
logo danna lezione viziosissima, scritta a modo di prosa. Rifece egli i versi man-
canti, mettendo a profitto i frammenti che restavano, e li distinse con le
virgolette. Anche questo Dialogo d nella varietà friulana che ancora si parla
dai contadini sulla sponda destra del Tagliamento, cioò in Cordenons e nei
dintorni; e lo stile e altri caratteri inducono a attribuirlo allo stesso Comini
di cui sono i quattro componimenti che a questo precedono.
' Frazioni del villaggio di Cordenons,
Testi friulani: Secolo XVIII. 309
Domanda a Blas, a Toni, a Pieri, a Lena,
Al chian, al luf, al dianl che la strascina,
Nissnn sa dame niova né ambassada
Di tang che riscontrave par la strada.
E adess che sards timp de prendessane
In santa pas come*! Signor comanda,
A no Teis par fa fono legne ne chiane
Da cuoi la proTidenzià che Dio manda,
Femina, sint, io del sigur me dane
Se *na di no te scuarze una vivanda
Zu per el chiaf con una manovella
E te spamizze in tierra la cerviella.
Maddalena.
Diseit chel che voleit, deme, copame,
Scuarziàme pur, feme in fregui e data,
Ohe dezà four de spine a no al tris grame
De lagreme sta vai altri no fruta;
Su via, ce feo? saziait la vuostre brame,
Sol ca che spiete come im'agnelnta.
Che dut el mal lo feit a sto cuarpat
Che di pantan e polvara Vò fat.
Ulif.
Ce mai vuol di, vuè te sos tant buna.
Ne ores che voltessane la barila,
Parchiè se a sorte mai mi tin dio una
Se sint el solve 'l seculum favila:
Par mi mo ades Feis una gran fortuna
Che no te albe soUevat la vila,
Che*! sai per esperienza e del sìgur
Che sane no poul vigni four da sto mur.
Maddalena.
Sol ca a contavo dut: Barba Jerone
Me ha dit che sta doman «per vocazion
De lassa el mont*na bielle polzetone»
A se faseva Munia a Pordenon:
Mi me sintive el fouc de Sant Antone
Se saldo no coreve a sta fnnzìon,
Soi stada donchia e mi ve lo pous dì,
Credemelo Marit, no soi pi mi.
UUf.
Jode dulà che va a fini la istoria!
L*opera sta doman che tu as viodut
ArcUvio glottol. ital., IV. ^1
àio Joppi,
A te ha levat duta la to baldoria,
Vuoi mo dì che la ha fai in te del fmt,
Madalena te pree de dì a malmoria
Come fan a fk Manie, che imbatnt
A jode Bte facende mai no soi,
Chel che fan no lo sai tan che In tei voi.
Maddalena.
La glesia ha una finiestra bassa e biella,
Dentre le Munie han la so chiasa santa.
De fonr e lassin vnoda tina stradiela
Intor intor sierada duta quanta,
Bonsìor Pleyan soni pour passa par chela
Con la 80 compagnia che con lui chianta ;
« E parchid che la glesia era tant piena »
€ Cai fruzava la pan za e cui la schena. >
Ce te non ò si sint lontan lontan
Chiantà lis laude sante benedetis,
Ce te non d si jot di man in man
In prucision le Munie e le polzetis,
<A fevin riverenzia a Sior Plevan»
<E a sbassavin pò i vuoi che povaretis, »
La NuTizza devant el Crucifis
A slatinaye che ere un paradis.
E la aveva i chiavei zu par le spale
Luncs e slis che parevin *na palada,
Vistuda come fos là ca si baie
Cun abiz che valevin una entrada;
Di flocs e flours, de viole rosse e zale
La avea la piturina infrisotada.
In soma a era, che bisuin in eia,
Dal chiaf una belezia insin ai peis.
E daspò che preat ha tant di cour
In part in peis, in part in zenoglon,
Chel vistit cussi biel a giavà four
E zdrin flocs e flours in t*un chianton,
Una viesta ha vistit de un sol colour
Come chel verbigrazia del chiarbon,
E una goletta al cuoi in su voltada
Che i e platava mieza la fazzada.
E una di chele Munie che iodei
Co una fuorfe zentila a Tha tosada,
Testi friulani: Secolo XVIII. 311
Parchiò là entra no Yuàlin chiavai,
<A si tira daspuò dongia la grada»
« Che fiona, serant i sid vuoi biei, »
« E a se ha pognet là sot una sfìlzada »
< Par fa jodi che al mont mnorta liee era, »
< Ma che muart finta a ne pareva vera. »
No puoi dì'l lagremà che lagrenoava
La int, ma in glesia lo faseva a piane,
Ma de fonr burtulà eh* a burtulava
Come un*armenta co ThaU mal del lane:
Planz a pensa sora sta tosa brava
Che me par proprio avela saldo al flanc,
Che par timp a ò mituda a salvamint
Dal Demoni, dal mont e fin dal vint.
Ulif.
Femena, hai fan e id no puos pi sta
Che fan no vuol senti predichiadura.
Maddalena.
Vai subit a fa fouc «ma prin ven cà, »
«Prometln de no fa plui musa dura»
« E in santa pas vivln d'ades in là, »
< Cussi nanchia del diaul no avìn paura, »
Che dulà che la pas ha la so stanzia
Infin el Diaul el cuin aveir creanzia.
3. La Ricetta.
Strofe del secolo XVIII, attribuite a un prete De Caneva^
di Liariis in Cargna.
[Da una copia che ó nella Collezione Pirona^ al Museo Civico d' Udine.]
Dulà dulà sin sino
A dulà sino rivatz!
Cemot mai sì vivarino
Cusì mal disconsolatz !
Si pò ben dii ch*d finida
La ietat da buina int;
Che la feda jò fallida,
L*ò finit dut il bon timp.
Alla buina d*una volta
Chiaminava'l mont sancir.
312 Joppi»
E cnmd dati si stravolta.
Non si ehiata un bon pinsìr.
Benedetta Tantigaìa,
Benedet il timp passat,
Malìgnada sei la vraia
Che *1 forment ha dissipat!
£ biel mnarta la coscienza.
Il rimnars pini no si sint,
La justizia e T innocenza
Si las compra a pees d'arìnt.
Da chest mont a Jà bandida
La perfetta caritàt
E ciin iè a è partida
Anchia la sinceritat.
La malizia soprafina,
Sot la spezia di bontàt.
Va gabant cui che cbiamina
Par il troi da veritàt.
Ogni volta non ò buina
La moneda eh* è lusint,
Qualche volta é marciissita
E si erot che sei arint.
Certa razza di gentaja
E cnmd vignuda far,
Come gran che nella paia
Fas lu neri e pìerd il cnr.
Pu&rtin four dal cnarp de mari
Chest e cbel che no i voi dì.
La malizia, mi diclari,
Simpri cress sin al muri.
La passion par me tant granda
Plui di chel che no pues dì,
É che di nessuna banda
No si ehiata un bon ami.
Nessun ben plui in sostanza
No si ehiata in chest pais;
Sol il vizi ha fatta stanza,
L*ò un gran savi che lu diìs.
Trop si viod in apparenza;
Ma se ben esaminìn,
Son cadavers in essenza
Lis virtuz che chiatarìn.
Testi friulani: Secolo XVIII. 313
Ogni chiossa d viziosa
E dot d falfiificat,
Una lenga ylrtuosa
Me Fha det par veritat.
Una lez dutg Tudlin fasi
A so mot cbeatg quattri dls,
B cemot porrà mai dasi
Che chest mont plui steti in pU?
L*ambizion, lis prepotenzisi
L'amor propri e Tinteres
Son lis tristis conseguenzis
Che nei curs han fat Tingres.
Si contenta il so caprizi,
Si soddisfa la passion,
E poi resta a preiudizi
Del dar lum della rason.
Una ment preiudicada
Da oggets peccaminos
No sa TÒ par camerada
Bong pinsirs e virtuos.
In sin mai nel Santuari
Chest malor ha ciolt posses,
Cussi nò, che il Breviari
Si pospon airinteres.
E cui zug della basseta
Del trionfo e del trisiet,
Si traspuarta la completa
In sin mai dopo las siet.
Zazzarina cultivada,
Sottanin, abet francés,
Azion trop affetada
Chest'ò poc, se noi foss piÓs,
Cuss) va la vnestra Setta,
San Pieri benedet.
Ha la eros sulla baretta
E nel cur il van dilet:
La pazienza è dai Fraris,
Cussi dìs il volgo sclet.
Ma io dls ca jò das maria,
Dai artisans, dai poveretz*
la gran biella pazienza,
^0 dirai di S^ Francese!
314
Joppi,
Nei conventz ogni licenza,
Sì in Italia che in Todesc.
A gusta a son di chiampana,
Ese forsi poTertat?
Poi alza 'n [a] gran ci vana
In sin mai che cor il fiat.
E la vestra Compagnia,
Gesù mio Redentór,
Di chest mont la signoria
Stima plui ch*l vostri onor.
Si sa ben che un Gesuita
No dovres tesaurizà«
Pur acorda trop la dita
Che al Yores anzi rogna.
Nellas cortz à fiera franchia
Cui cu ha betz vadi a marchiat,
10 parco che betz mi manchia
No hai stola nò'l quadrat.
Marcanzia condanada
Dallis letz del Paradis,
Simon Mago Tha lassada
Ai plui dotz di chest pais.
La buttega e Tosteria
Son les maris deiringian,
11 mezzSt, la speciaria,
Dei paìs son il malan.
Nei convitz e sulla taula
No rha gust il trattament,
Se non entra Donna Paula
A servì par cundiment.
E la plui buina pietanza
Si la dispensa al grimài,
A sares unMncreanza
L*offerila a un Cardinal.
La sbiraglia e soldateschia
Pies dal diaul il mal san fa,
Cusl la marinareschia
Pies d* ognun sa blestemà,
Chesta sorta di canaia
Senza fede e religion
Testi frìolani: Secolo XyiII. 315
E za scritta nella setta
Di Proserpina e Platon.
In chest secnl finalmentri
Dut il mont ò malignata
Us el dis sincerilmeutri
Quasi dutg sin in mal stat.
Dio nus viod in so prisinza.
Sin ciadutz in criminal,
Vuoi par chest fa penitinza,
Vuei pensa pai dì final.
Pàs cun Dio, o camerada,
E pintìsi nus conven.
Se volìn batti la strada
Che condùs al sommo Ben.
Se stais mal, chestis sanguettis
AccettaiUs par purga,
Se stais ben, saran ricettis.
Per podesi preserva.
Simpri mal fas che lancetta
Che sul vif si fas sintl,
Perdonait int benedetta,
Vivit miei par ben muri.
-«->-
316 Jòppi;
VI.
SECOLO XIX'.
-# fc-
a. Costumanze e tradizioni della Valcalda in Gabgna,
descritte uell* idioma del paese natio da Pre Leonardo Morassi di Monaio.
[Ms. autografo della Collez. Joppi in Udine.]
L^Ascenso.
Vevi dis ang, lavi a passon callas vachias fai bosc in companio di di?iera
di lor o pin grang o pin pizzui di me. Tornatz viers chiaso la sero a oro di
mirindins, fermarin Ju anemai tal pasc in somp la Glaupa spietant cui eoreli
finis di entra. Fasino 1* ascenso chest an? al disò un; o via! rìspuinderin dug
t*una Tos, fasinla. Ce Tino di fa? Mesto quinzado, frittulas e sopos, e si im-
pegna ognun di provedè ce cu lava pa vicina joiba, ta qual debevo jessi la
fiesto. La nott da vizilia non vegniva mai dì. Si jevo, si yen a messo primo«
e dopo gustai a para four las vacMas pin a buonoro dal solit. Radunatz tal
pasc cullas provistas, là vino di là a impianta la cogheria ? Su dal Ghiastell
di Vaschianazias, e si dirizd Tarment da che bando dulà che lats su pa
riho, si chiato un grand pian cercenat da bosc neri. Diu vuejo mo che vin
bielo Vito e che las vacchias no mosgi! Rivats dal Ghiastiell, si pojà la fa-
nno, la frisorio, lu cbialdarin, las scudielas e plateji, si fìchio un pai di cà
e di là, si leo con tuartos in somp di chei una stangia da tigni su ilu chial-
darin cun Fago per fii la mesto e dospò sMmplo il fouc. Guetto ca è, si la
cuinzo culla scuetta e cu 1* ont e si mangio la mesto cuinzado. Si sbatt ju
ous, si mesceda cun lor farina di forment senzo cisum, si butta una sedon
alla volto jù pel ont buint, si giavo i boccons e inzuccheratz si Ju chiafoltz
' Questo secolo vanta un poeta vernacolo giustamente famoso, Pietro Zorutti
(v. p. 187), i cui versi popolarissimi, e più volte divulgati per le stampe, possono
anche valere a rappresentare le condizioni odierne della varietà principale, ciod
deir udinese. Le differenze tra la lingua di Ermes Golloredo e quella di Pietro
Zorutti si riducono tuttavolta a ben poca cosa. - lo qui mi limito a pubblicare,
per questo secolo, due componimenti in prosa, egregiamente scritti dall'ab. Leo-
nardo Morassi (morto nel 1863) in una curiosa varietà della nostra lingua, che
si parla a Monaio e a Solars, piccoli paesi della Valcalda in Gargna*
Testi friulani: Secolc/XlX.^ oV ^S ' .^ 317
daventatz fritulas. Si taja a grandas fettaa la\|^an, si la intengli tei ouff^ e
frittas fa menado cun saccher si davuelt las sopos. Si sto un atim a daupà
su TAscenso. Cosi pasutz, cui correva a zujà di bendol^ di sitz, di purcito,
di altolà, di tricul tracul, di giato Tuarbo, di Ton, di batt; altris stava dongio
las bulifas a conta ale. Culi diseva chel, al à dett gno cuignat, al era un
chiaatiel dai Gonts di Luint, come ch*an d*era un in Frata sott Zuviel. Chei
Contz erin tristg e bisugnà cu lu Patriarchia di AquUea ju fases copà dai
siei Boldatz. A lì là che buso ai era rimagnutz ju betz. Il Predi Prezzo al
vigni una not cum omps di curaso a sconzurà i brauji, ju tuchuji, ju de-
monis, cai stevo a possess. Fase primo lu cereen cun Ago santo, cun ulif
benedet, cun triangul. Fat 111 cereen denti dal qual no podeva entra lu Giani,
nò lu Grandinili, si metterin denti dutg quantg e lu Predi scomenzà ju scon-
zurs. Un tignivo lu Grist in somp la mazo cun tre ceris di Triangol impiatz
e chei altris sapavo, e quantu lu Predi vò benben lett sui ju Esorcismos, Vmi
moment comenzà a trimà, a sbulujà lu terreng, vierzisi grandas gozzenas e
andronas di ca e di là di lor, a sglevasi e sradicasi jui pezz, a vigni jù dal
bosc e dal mont maserios, cretz e dutg quant in ruvis. Joi! ce più più cai
debevo vò. E lor durs a preà, a sconzurà, a giavà four tierro senza dà un
zitt, parco s*ai ves chiacherat, o s*ai foss schiampatz, ju betz sares sparitz.
Intant ai scuvietz la chialderio dai betz culla laverò di fierr par soro. In
che volta ju tuchui ai si lassar vedo neris corno lu chialin da fumario, cullas
giambos e ju peiss di vacchio, culla codo di madrac, culla bochia di lof, cui
cuars di cer£^ cun *na gran forchìa ta man, culla michia tal altra man par
schiarlà lu canon, in fin pai voi, pas vorelas, pai nas, pa bochio ai sclizzava
lu fouc das fònderas dairinfierr. Las monts pareve cas chiades soro di lor:
la gran serpo e duttas las bestiatos eran par saltajur a dues e sbranaju coma
curdelas, e custors durs comò pai di clutorio, seben eh* ai vevo la trimarolo,
eh* ai streceava ju chiavei, la zazzera, ai travanava di sudor ju abetz pa
sbigulo e pa fadìjo. Ma la chialderia ai giavar dopo dispossessat lu Brani; tun
lamp si cidinà dutt e ai lar a chiasa lor siors.
Savevei nuestris besavons cai era chei bezz? Sì, ai saveva. — Parco no
giavaju lor? — No for migo bongs di resisti dur ai tucul, e.lu predi non
volò vigni cun lor. Hai sintut che Toni da Daga al fo un an da tom cun
furetsg e ch*al dovò schiampà da pouro: dungio and*d engimò bezz a chi chi,
e chei no ju portar via dug, parco dut no lo cidinat.
Salta su un: oh eh* a ò bielo vò, jo mo i sai cemot ca ò. Ai vignir cun
chei matt di Toni da Duga cui Crist, ai faser lu lor cereen, al comenzà a
lei una chiartata dutta infumulado, ch*al vevo comperado via par da Soclev.
Nard di Nont e altris di lor ai lavo devant di in mont culla jolza a tira fen,
ai sint a tal sit dal Chiastel a sapà, a brundulà, a mugnulà, a mungulà, al
si vicina pian pian enfra ju arboi e al si indacuarz ca Tera lu Maga Tonea^
318 Joppi,
da Duga cun diviess forestg par scunzurà, al si ritiro e cui compaDgs al
principia a bela di becc, a fa Yosatos, a sberla, e chei lasar datt impiantai
e ai schiampar come jevers e ai for strazinatz da dutto la vilo, e lu nuestri
Plevan al cridà ben ben al Dugat, cai noi ven det Mago di bant.
Dlstu can seti striàs tu? eh altri c'andò. Son ches cas fas la tempiesto.
As van in Val Segia, ta ches fontanas fredas, dulà ca no sint la Chiampano
granda, e là as sbatt in che ago, as fas ches balos di glazzo e as van tas
nu?olas a butalas jù cui drazz. Dopo as balia, as mangia di biel e di bon e
as torna a chiaso. No si daccuàrzin chei di chiaso cas manchio no, parco
cas lasso la inghernario a fa ju servisis par lor, e la inghernario intant a par
una femeno corno lor. Ju predis tal orate fratres e ta benedizion ai las jouc,
ma ai no pon pandilas, si nò a ju fruzzaròs comò lu tabacc.
Sastu nuja dal Vencol tu? Giani chi sai! al ò stat soradi me e al no mi
lassava vigni il flatt quand chi dormivi. Me mari sMmparcevò, mi strinzd
lu dett pizzul e al schiampà via. Me mari disò chi no stess ati a durmì colla
panzo in su, ma di boss.
Al ò enchia lu mazzarot di bosc, ma chei noi fas mal, nomo cun t *una ma-
zarota al batt ju claps e ju arboi, e al romp legnas e bruschias. E lu Or-
culatt? Eh lu Orcolatt vd, ai lu àn tant vidut. Al d un^omenon grand pia
che un gigant, al no chiamina mai pai pian» ma pai colms das chiasas lon-
tanas una dall'altra, al sta cun t *un pò sul qual da mont di soro e cun chei
altri sulla creta di misdl a mont di sott, e al ritt cai fas risunl las monta
corno cai tonàs.
E las Aganas? una volta as era. As stava in doi loucs, sott lu nuestri crei
das Aganas e sott la creta das Aganas di Ravasclett in somp Valchialdo.
Qualchi volto as si lasavin vedo, as udava a fa fen, e pò a fulvo; quant cas
quejevo e trespedavo, as buttavo las popòlas lungias davur las schialas par
ca no jur ingredeàs ju pois.
Lassln, ingludln chestos falopos, nus disò Tito, si no s*insumiln di nott.
L*é mior fa la vento e rafanà, e al salta un cuc comò un chiamozz. Al chiappo
Toni pa piturino da camisola, si butta jù devant devour, e chiadut culas spai-
las, alza ju peis, jeis pronta tal stomi, lu travuelt dall'altra banda, e chei cai
credeva di là soro, si chiata sott e vint. Lu vint volòvasi rimettisi, gira di
ca e di là, ma noi fo mai capazz.
Fatta la venta e rafanat, faserin la corso: vevin un biel cori e schiampà,
Tita di Banc nus chiapà dutg quantg.
Stracatz cusl, sentàrin ta ombreno di un lartz. Voròs, diseva un, un pochias
di zaresias cumò vò di mangia: eh, tu las slaufaròs ben tu! disevo un altri.
Astu zinzàrios? sì, ma as son ingimò sedàs, las insedà gno fradi ce i& doi
ang. Jo i ài propri zinzàrios insedados cas an las zaresias di bott maduras.
Goo von al là a ^urzuvint a tueli ju pulins o las insedà. Intant las vin uoq.
Testi friulani: Secolo XIX. 31Q
Voi enchia jd metti zinzàrias, nujars, peràrias, e melàrias e insedàlas. Distu
cas vegno tu ? aa ven tancu ce. Mettìn comò chi sin zovins, e quant chi sin
grang, nus saran buinsis. Ce gust alloro a fa most, a secchia su pai for, a
mangialas dapa cens e mirindins. Ono pari al dìs che a Udin ai vent las za-
resias, ju pers e ju mei. Là jù vò, al é biell. Tas strados non d*ò clevos, né
ribes, nò claps; las chiasos son di tre ,di quattri puartaments, glesios grandos
e bielos comu lu Paradis, al ò iu Vescom Lodi * vistit da Predi con un bareton
sul chiaff e lu Pastoral in man ; biei siors , bielis sioris cai dan da voro ai
nuestris cai van Tintijii d*invier a trayajà di sertors, tessedors, chialiars,
marangons, pettenadors, faris, muradors, slossers, e laress anchie jò voluntiir,
ma a r ha dett gno fradi cai sbefo, minchiono e stùzino 8*ai nus a sint fa-
vela tal mot chi chiacherin noo, e jo par chest no voi là gint. Cemot favdlei
lor pò? ai favelQ pulit pulit fruzzò latin, un tic francin, un toc talian e un
poc venezian: un in Vuno lengo, chel ati in che ata e ju nuestris a lajù,
squen tignisi dur cui talian. Lu talian mo esel un uomp di sest ? Ma si cusl.
Quo fradi a Udin al si ten dur a di chel, parco quant cai fò lu Predi Pi-
reno' ta nuestra Ostarla al chiama gno fradi per chiacherà ale cnn lui, e
chel predi di Udin favellavo come noo, ma gno fradi svuelt, al voleva lui, al
disò dospd, tirami cui chiargnel, ma jo soi tignut dur cui talian.
Joi, grams mai no! stin a chi e las vacchias saran ladas in dam. Anìn
anìn a burilas four. Tu va su pa palo, tu pai agar, tu su pa biochio^ tu su
pai vial das tajos, tu su pa questo; fait chiapajur la volta, fait rastiel e voi-
tailas jù. Jo a chi las fermerai. Radunat ju anemai, tolerin su armo e fagot
e vegnlrin viers chiaso cuirascenso fatto. Tal e qual a fo che bielo zornado
e maghari ca tornàs e chi ves cun me qualchidun di Udin da rafanà e chia-
cherà chestas e altras falopas cun lor, par cai stess enchia lor cui chiar-
gnel e no simpri cui furlan.
b. La parabola del figliuol prodigo,
esposta da Pre Leonardo Morassi nell* idioma di Monajo e Solars,
nella Valcalda di Cargna.
[Dal ms. antogr.; v. il num. l.j
Parla ^Ambrogio delle Storie* (lu storie): Ben, su contarai la storio dal
fii prodi e.
Un pari al vevo doi fiis, e lu pin zovin di culor disè: pari, dàimi in cà
' Morto nel 1845.
^ L'ab. Jacopo prof. Pirona, autore del Vocabolario friulano^ morto nel
1870.
203 Joppi,
chel cai mi yen. E lui fase da so robo tre partz. B da lì a poos diis la pin
zoven fagotà dotta la soo in t*uno, e là vio lontanon lontanon, e cun paems
plens di tìzìs e cun puemos viziosas al fruzzà dut quant, nn tic in zncgs, un tie
in danzas, un altri tic in pachiocà a panzo pieno e trop ingimd in mil ma-
tedatz. Quant cai lassa so pari, al ero un biel fantat, vistit con t*uno bielo
camifolo, un ping biel pettoral di scarleet, braghessos curtos di pann fin
cullos rinchios d*arint dapé, scufons bianca corno lu lat, scars lustros, la
zazzero ben sgredeado; da chiaf a peis al ero corno un biel dì ^ Chialaila
cumd a no Vò ping a cheli. Ala lu chiapiell rot e da cragno, ju chiavei in*
gredeatz, la muso sporchio e magro corno uno strio, la camisolo slambrado,
lu pettoral rot e senza battone, las braghessas sbradinados, ju scufons piena
di bucchòros senza leams di tigniju su, par cui al mostro las polpos das
giambas brusadas dal soreli e ju scars ai i sbeleo cun tantas di bochiatas.
Lait a là veda; a vedo chel fiat cai Tolè a puesto impianta so pari par
no abadalu e par buttasi malamenti. Ma a no finis migo cusì par lui.
Al vd di vigni in chel ann disesiet di grandissimo miserio ', e abbandonat
da dutg ju sie colegos, si ridusò, a preà un paron ca lu lassas là a pason
tal eo bosc cui purcitz par magna grand, e a no i lassavin mangia avondo
nenchio di chest.
Una dì pin dal solit si lu vedevo malinconi, sentat sot un rovoi, pojat cui
comedons sui zenoi, cui cerneli in tal puing e denti di so al rumiavo: «Sci
«propri stuf di faa chesto vito. In chiaso di gno pari son tang operarla cai
« ban avendo ce mangia, e parco àje jo di crepa da fan a chi chi ? Gnrazo,
< disò, nujo poùro, voi torna da lui e voi dii : pari,- jo hai fat malamenti, no
€ pues pratindi di jessi clamat vuesti fii ; tignimi almancul comò un dai vue-
< stris lavorantz. » Al jevo su, si met in strado, e dopo qualchi timp e fadìjo,
vedòlu za rivat da vicin alla chiaso dal Pari. Lu pari che, o par gust o par
desideri di vedòlu a tomaa una volto da lui, al stavo chìauland pa cam*
pagno da uno lindo da chiaso, al vedo nò sì nò nò da lontan a avicinasi un,
e par ordin cai si vicinavo, si daquartz e si imparces ca Tero propri lui. Al
pensavo: saressel mai chest lu gno fii? ven jù pa schìlinados, e va a incon-
ti*alu sulla strado. 11 fiat al jouc che chel ca i ven al viers a Ve propri so
pari: «cumd stoi ben vò, al disò, al mi ha sigur cnnusut.» Al resto a ì
impiantai comò un pai, impalidìs, ai salto la trimarolo. Chialait doos per-
Bonos pari e fii che van a incontrasi, il fii trimo da poùro, il pari al ò dut
alleri. Ma chialait il bon vieli cemot cai sfuarzo lu pass par incontralu, e
incontrai ca lu à: «tu sees pur tornat o fii!». «Pari, disò il fii, sci stat
' Variante : la chiameso blanchio corno un dint di chian cullos tripos di
fpor dal pettoral e cui manins cai cuviarzevin miez lu puing,
* Il 1817, an|io di cfiresti^.
Testi friulani: Secolo XIX. 321
< trist, perdon. > < Jevo, i risptiint il pari, chi gi imbrazi. » E senza lassai di
dì uno peraToIo solo, ai salto da pruf di lui, In chiappo a braz a cuel, e lu
busso e lu tomo a bussa, e lu bagno cuUas lagremos. Po dopo, voltat ai ser-
vitors che erin biel a lì daur di lui, jur disò: e Lait in pressa, davrìt lu gno
€ grand armar e puartait jn ping biei 'vi8tiinent[s], parco chi hai da vist) lu
€gno fii. Lait in tal chiot, dispeait da trisef lu pin gras vigiel, mazzailu,
< squarteailu, fait un bun past di nozos e di sagro : faròs gnocs, chialsons, lo-
«sagnos, joto di risis, rost, specs sulla gradelo, crostoi, frittuloe e sopos.
< Prechiàt la tavolo in ta stuo, jo uee soi dntt in t* uno legrezo parcè cest
cfii Tero muart e a Tè risuscitat, lu yevi piedùt e lu hai chiatat.» L*or-
den Yen pandut. Van dugh a ghioldi, a parechià pai gran past di sagro e di
nozo, tant ju servitors, che las voros, che Ju lavoradors del Sior Paron.
Lassin di seà e di Toltà lu reonaz, di spandi las solz e di trespedaa ju
remls, di implantaa lu midili da medo. In menuus implàntin las tajos e la lisso
al cridà, bauf ! dal lor condutor. Corrin Tiers la bergerio a pojà lu sapìn. In
angheir, la lado, ju grifs; lu scotton lasso di fa la polento, ju pastors Idghin
las yachiosy las pioros, las chiaras : van ta caaéro e tal eelkr, pàrin da bando
lu musso culla gran chialderio pieno di lat, parìn ben denti lu tappò tal stzzal
parco cai no si spandi lu siz; voltin lu formadi e la scueto sul tabio; im-
plàntin la fedario e di gnavà la menado da pegno, e dutg corrin viers la
chiaso del bon paron uzzinant da legrezo.
Las voros e las mamolos mettin su ju biei cass e fazzoletz, giàvin las dar-
bedos e metin ju scars e lu grimal ros. Ju fameis e Ju zomadeirs si viestin
anchio lor biei biei colla robo das fiestos, e ju maridatz coi abetz nuyizzai.
Qualchidun e qualchiduno dai ping morbinoos van a balaa tal stali là ca si
suno lu yinlin e In liron e si baio minuvetz, sbòlzeros, e sclavos tant ca si
Toul. Qualchidun chianto bielos raganizzos ta cort e sot ju balcons; qualchidun
che san fa las bielos smoriios, stan a chìacherà cui Sior Paron e cui so fii,
intant ca si fas lu past. Eh! ce biel yedee chei cogus e ches cusinarioa e
ches mamolos a fa dut biel in chiaso, e a parechià In mangia e ju golosetz.
Sulla lars art un biel fono no migo di legnos tarondos, o di sclausers, o di
bruschios, ma di legnos di yespol sclapados, .secchiados sul legnar cas ar-
devo corno chiandelos e fasevan un biel borostai ; ta gran rimlnb boi la chiar)
ta techio lu togh di vigel ; sullas gardelos ai fumo in specs, in somp pizouc
al cor attor lu rost. Menio, snl desc^ sbat ju cocs par fa las fritulos e las
soppos indorados. Marto, sul taulòir, culla mescolo distiro la pasto di forment
par fa crostui, fritulos, gnocs e chialsons e losagnos e pizzacocoi. Mario,
culla ingemario biel novo no vial ingerno la stuvo, saldo con un coni ju peis
da lunghio tavolo e distiro su jn biei mantij e mett sore ju tonte di stang,
las furchitos e sedons d*arìn. Par rivaa sulla musolero met lu bredol sot ju
peis , e tira jù ju muzoui. Nissun ha padim e dutg han pouro di ingludaa
ale e di no fa coutent lu paron e jn invidatz.
322 Joppi,
Veu Toro di gusta; a son preparados ping di nno tavolo, uno pai Sior Pa-
roQ e fii tornat e pa fameo coi siors e sioros, 1* altro pas voros e operaris e
pastora; uno altro pai sunadors e balladors. Oh si Tessis vidut ce bons man-
giàs, ce legrezzos, ce fiestos e davuaisl
Al torna intaot da campagno la grand fii dal Paron. « Ce batiboi esej mai
^[chest, al disé, esel negozi che gno pari seti daventat mat?» «No, rispuiot
< un, dut chest al à par la reson ca Tò tornat vuesti fradi, entrait enchio voo
«a gioldl»; e Ini noi volevo migo entra chel mattnzzel, e fo bisigno che la
pari al vignis fourtacort aprealu! E lui rìspiendò a so pari: «Ese chesto la
< maniero di tratta cun mee? Jo stàns tang ang simpri soget, strnaià corno un
« chian la me vito, fa ogni jerbo un fas par tigni cont, e mai da Diu no ses
« stat bon di dami un vigiel dispopat e gras chi ves podut gioldi cui mie col-
«legos; ce un vigiel? nienchio un zocul nò una bimo; torno four che! straz-
< zon di vuesti fii dopo di vee dut davualdut cuUas soos femenatos, si mazo la
« ping biel vigiel e si met dutto la chiaso sot soro da vers matz. » No la veròs
finido chest dottoron, ma so pari lo confond : < Fii, ai disé, chiar tu, no ataa a
€ dii cusì. Ce cu d gno 1* é enchio to; ma Y ero ben lu percé fa un bon past e
« fa legrezos; dapò che chest gno fii Tero muart e al'd tornat a vivi, Tero pier-
«dut e arò tornat a chiatà.»
Vedeso fantatz, vedeso puemos dulà che la laressis a finì se volessis im-
pastanà vuesti pari, che inchimd dopo, par ve un poc di ben, dovaressis toma
pintitz e squintiatz da lui !
Al disevo, vedo, la Razidiacono di Quart, chel bon violi, che quant cai fas
la predichio se la tomo a conta in filo, parca cai chiàchero par chiargnel e
no par latin, al disevo: Chel pari bon al è lu Signor, chel fiat sin no poe di
bons. Tomìn da lui, pintls, cai nus trattarà ben e al farà fa fiesto lassii in
Paradis.
Si chiatarìn chi chi Domenio dopo giespoi, e su dirai su ju proverbios che
disevin gno von e me vavo.
Uno degli uditori chiede a un altro di Stalis, che è dello stesso Comune di
Monajo: « E tu frutat, ai disé, parco mo astu ridut quand chi disevi? » E un
terzo: «Parcè chi disln in cls e lor dìsin in es. » < No voi chi si struzinais par
€ chest, rispundò lu Storie. Jn nuestris vons e las nestras vavas nus han in-
« segnat a favela cusì. No altris Salaress dlsin par esempli, las nolas e Uis
€Cocolas^ vo altris Stalarees, seben nassutz un sol quart d*ora pini in là,
«diis: les noles e les cocoles; chei quinci su di Rigulat e Culina e Sigilet
«disin invezo: las nolos e las cocolos \ e chei dal Chianal di S. Canzian
«in louc di dii: noo, disin: nuo, in louc di dì: voo , disin vuo, cun un uu
«strett franceis'; cheijù pai Priul ai spudis lu is,js, iis come guselas', e
• Cfr. Arch. I 502 n.
» Cfr. Arch. I 498.
» Cfr. Arch. I 502 n.
Testi frinlani: Secolo XIX. 323
« par chest no V ò di ridi ; par dagh quantg al é onor a conserva la lor lenga.
«Quand chi si sin fatz intindi ce chi vin tal chias, yin favelat ben avondo.
« Magari che a chei cai van pai mont no vessin dissipat la nestri lengaz, me-
«sedanlu cnl talian, cui furlan, cui franzeis, parca cai disevo gno besavon,
« che a chi cM si chiacheravo una volto spagnool biel e bon ». '
' Poiché ò accaduto che in questa collezione di testi inediti non potesse aversi
alcun saggio della varietà friulana del mio paese natio, si condonerà che tra
i saggi dei secolo XIX io qui ristampi un sonetto di quell'egregio pa-
triota goriziano che ò Carlo Favetti. Fu scritto e pubblicato a Venezia, nel
1869. G. I. A.
Cbel me pais, che TAlpe Giulia si ara
E cui Lisunz va fin nella marina,
Quand vioderai? Quand busserai che tiara,
Che nassi mi Ja viodut e là in mina ?
Lontan di te, o me Gnriza chiara,
Una vita jo meni errant, meschina ;
Quand finirà? E il len della me bara
Dulà sarà tajat? Cui lu induvina?
Le ver, eoi esiliat nel paradis,
In patria me, cui mei, e liber sci,
E speri simpri in plui alegris dis;
Ma tantis voltis che pensand io stoi
A chel che jai lassat nel me pais,
Mi chiatti cullis lagrimis nei voi.
-<-►-
324 Joppi,
VII.
APPENDICE.
Testi italianeggiànti, scritti nel Friuli,
dal 1290 alla metà del secolo XV.
-4->-
1. Statuti della Fraglia db* Battuti in Citidals.
[Da apografo cartaceo del secolo XIV, neWArckivio Notarile di Uditte^
Varia Historica, Voi. L]
1290.
Li iofraseriti ordinamenti e statati fati cnm conseglo de savi frari minor e
predicator e de altri savi e boni homini de Cividal in Millesimo co e no-
nanta a di vii intrant Setembrio.
Enfra li altri ordinamenti e statuti fo ordinato e statnto ni nismio no debia
esir rezevuto in la fradalia deli batati de Sancta Maria sotto nisnno pato e
condicion si no lyberamentri qneli chi voi observar ìj statati dela fradalia.
Item chi zaschadano frari debia quant el pò batir lo so corpo ogna dome-
niga e ly festl di tati \y apostoli e per ogna fiata chi ven fata prosesione
dir XXV paternoster e xxv avemaria.
Item ogna fiata chi algano dela fradalia mar u homo a femina dir xxv pa-
ternoster e xxv avemaria et esir personalmentri alo corpo del morto.
Item ogna domeniga chi ven fata prosesion per zascadono frari u saror
dela fradalia chi sarà lo so anevoal, dir v paternoster e v avemaria per I-a-
nima lor.
Item zascadttno frari e saror de* pagar ogna anno in lo di de Sancta Maria
de candeli denari ij in aiutorio deli poviri.
Itém ogna fiata qaant algano dela fradagla si é infermo ed eli sia comandat
a veglar, elo de* andar a mandar per si a veglar.
ttem chi nisano no debia esir revato in la deta fradagla si inanzo no à la saa
capa cam la qaal si de* batir.
item chi zaschadano de la fradaglia de* rezevir ona ora in anno lo corpo
nostro Signor Jhesam Cristo.
Item chi zaschadano dela fradalia de* aver pas e bona volontat cum la so
comfrari e per qaelo chi romagnes de aver pas e concordia sia dislito de la
fradagla e altri plasor ordinamenti chi é di grant consolacion e hutilitat alj
animi e al corpo.
Testi itolianeggianti del Friuli: Secolo XIV. 325
2, Camzonb in mobtb di Bertrando Patriarca d*Aquilsja'.
[Leggevaù in fondo a un protocollo^ ora smarrito, degli anni 1345 e 1346,
il quale faceva parte dell*Arc/i»oto Comunale di Tolnuzzo ed ò ricopiato
neir^re^itoto Capitolare di Udine, Voi. XXXII, Mas. Bini« Varia.]
1350-1.
Al nome de Chriato e de Sancta Maria
Or m'aseholtate tenz in corteeja
El lamento de la chasa d*Aquileja
tuti quanti,
D*una dolosa pena congrua e plana
Del nobel Patriarcha Ser Beltramo
De quel Signore ch*d la so sangue sparto
sui camino.
' Bertrando di San Genesio, francese, succedeva Tanno 1334 a Pagano deUa
Torre nella sede patriarcale di Aquileja. Benchò in età avanzata, diede prove,
durante il suo governo, di non comune energia, congiunta a saggezza e bontà
d*animo singolari. Volendo egli frenare le contiime guerre che i Castellani del
Friuli mo?6vano tra loro e contro il Principe comune, B*attiró Todio di codesti
ribelli; i quali, uniti al Conte di Gorizia, attesero armati il loro vecchio Pa-
triarca e Signore sui prati della Richinvelda alla destra del Tagliamento, il
6 giugno 1350, mentre da Sacile egli ritornava a Udine, circondato da pochi e
fidi amici. Nel breve combattimento, restò ucciso il Patriarca con parte de* suoi
seguaci, altri de' quali, come Federico di Savorgnano e Gerardo di Cuccagna,
de* maggiorenti del Friuli, rimaser prigionieri. Il corpo di Bertrando fu rice-
vuto in Udine, dal clero e dal popolo, colla massima pompa e collocato nel
Duomo dedicato a S. Maria, ove ancora si venera col titolo di Beato.
Neir ottobre del 1350, papa Clemente VI innalzò alla Chiesa di Aquileja Ni-
colò di Lussemburgo, fratello dell* Imperatore Carlo IV. Nicolò non ne pren-
deva possesso se non il 21 maggio dell* anno seguente; ma sua prima occupa-
zione fu di vendicar 1* antecessore; e prima che finisse il 1352, molti castelli
de* nemici di Bertrando erano atterrati e molti de* suoi aggressori spenti dal
carnefice.
La lingua della rozza e toccante Canzone^ che oggi vede per la prima volta
la luce, sa decisamente di friulano, e dovremo perciò attribuirla a autor friu-
lano. Fu composta sùbito dopo la nomina o la venuta del Patriarca Nicolò, e
quindi fra Tottobre del 1350 e il maggio del 1351, prima che questi desse prin-
cipio alla terribile vendetta, a compir la quale, dice la Canzone, egli era stato
eletto dal Papa, per eccitamento dell* Imperatore.
Archivio glottol. ital., IV. 22
326 Joppi ,
Cantar ve vojo del Patriarcha fino
Che fazea honore al grant e al pizioìno,
La sua persona sempre zeva alegra
A quel Signore
De li soi fratri la bon redemptore
Per mantenirse in paso cam honore
Et del fomento a grant tradisone
A cam dolja.
Qaando el fo presso de quella gente ria
Misser Beltramo pien de cortesia
El pregava Christo e la Vergin Maria,
A mi perdona.
Misser Fedrigo in d*avia grant dolore
Quant el vedea ozider lo so Signore
Lagremando el dise en fra lo so core
Ay me dolente!
Che de la Giosia sempre fo fervente
De mantegnerla amico chu la nostra sente
Sempre la mare de Christo el clamava
En veretade.
A qael de Chucagna comenzd a parlare
Misser Gerardo lo fyol en veretate
E chu la spada voglio esser liale
al mio Signore.
E de la patria sempre fo servitore
Da mantener le entrade a grant honore
La chasa d*Aqailea cum grant valore
a mya possanza.
Ed in quel di fo morto i'humel Patriarcha,
Quando a Udene zonse le novele
Duta zente allora lagremave
Lu so Signore;
Qael padre dolzo plen fo de cortesya,
Quant el fo morto de quella zente ria
Lu povul d' Udene chu la cheresya
Sospirava.
Cavalgando a quel nobel Signore
Del mes de jugno fo la tradisone
Quando el passò clamat a Dio Signore
Su lo camino.
Lu povul d* Udene si se pareclave
Per tor lu corpo suso in quella fyata
Testi italianeggiauti del Friuli: Secolo XIV. 827
A Sancta Maria la corpo portava
de quel Signore.
Li prelati e li soy dependenti in quella
Cantar le vesperi cnm devotione
Orava Dio e la Vergin Maria
che li perdono.
Che della gleaia imperator corona
De la casa d*AqmIea terra bona
Per tato*l mondo si fo menzonato
in ogni parte.
Qaant le novelle zonse al pare Santo
Del Patriarcha ch*à*l so sangno sparto
Li gardinali en fazla gran pianto
e lamento:
Lu Santo Papa en d'avia dolya
De quel patron de la virgin Maria
Che delli tre del monto a quello d'Aquilea
era clamato.
L*emperadore disse al pare Santo
Un altro Patriarcha sia levato
Che li traditori vada gastigando
per rasone.
Imantinent el fo levat Signore
Misser lu Patriarcha Nicoloe
E de le glesie el manten rasone
cum posanza.
De la chasa d'Aquilea francha ianza
La plui leal che sia en Pranza
Che in questo porta nomenanza
de prodeze.
3. Poesia amorosa.
[È sul rovescio di un atto d* ignoto notajo udinese,
della metà del secolo XIV, neW Archivio notarile éT Udine*]
Zovenita sta segura sei ti piaci alguna cessa ven a me senza pavura no star
malancuniosa di dinar io no ti digo darotini com*ostagi si chi ben saray
fornita megl chi tu fossi zamai e si tu mi crederay, nata situ invin-
turosa.
328 Joppi ,
Camarelli puy di milli doneróti alto do milli e Castelli et palafreni quant tu
andaray per camiai ai chi ben saray fornita di zo chi ti fay ministeri
e di barcheti e di speronerò deletando a ti znyosa '•
Tropo mi retorna in noya 1* impromessi che tu mi fay e dinari no mi besngna^
arica son comò tu say, si duto *1 mondo tu mi dessi no mi tocheria za
may, in altruy som inamorat va cum Deo pensando la vay [sic].
Tu mi passi [pasci] pur de rissi [risi] e di veti paroleti pasorete età [sei tu]
deventata de li volta pluy di sete [sette] ben non crederia mintir se disesi
vintisete o creti che sia zudeu o creta che sia menzonero.
Zovenita ora m*intende sei ta gravass^il venire doneróti girlandeta, vistirdti
ben vestita e sei ti piazar(i corona e cofeneti, per cuvrirsi e capuc-o al fio-
rentina tosto ti fan) aver soy ministeri si chi men saray fornita di zo
chi ti e di falcheti e di Uviferi deletando a ti zuyosa.
4. Celebrazione di matrimonio.
[Dagli atti del notajo Ermacora Bonomo, di Billerio, anno 1354;
neW Archivio notarile d'Udine.]
Verbum quod fit quando aliquis desponsat uzorem.
In nomine Patris, Filij, et Spiritus Sane ti amen. In prima mentre e lo ai
e divignudo da Dio e dala sancta mare madona sancta Maria e de li xii apo-
stoli e di tati li sancti e di tute le sancte e di tuta la cort di cel, da li
quali si diven tati li donoi e tul [sic] beni e tute le gratie chi noi avemo
in questo mondo e pò si e stado piasamento dali amisi da una parte e dal
altra a qua al honor di Dio e dela mare soa congregadi e asunadi e si che
ve digo e prego chi sei fosi nisuna persona a qua od altro che savese per
nisun modo over causone d*enzegno, da rasone over di fato o per paren-
tado o per impromisione che alguni de lor avese impromitudo a nisuna altra
persona: per le qual chose lu matrimonio non podese divignir, che lo debia
dir a qui et in presente di caschun omo e chi se lo lo disc da qua inanzi
e lo no li vignirà cridudo e dir noi pregaremo Dio e la soa mare vergine
Maria che lu dia gratia di viver un con 1* altro a lungi tempi e di far con
le cose che sia honor dal corpo e salvamento da la anima e di far fioli e
fiele chi sia servidori di Dio. — /?£ fune die sic : — Dona Berta laudavo
Martin fiolo di Sabadin per vostro legitìmo sposo e marido segondo comanda
' A questa strofa sono aggiunte le seguenti parole, forse a guisa di varianti,
senza che si veda come debbano andare collocate : e di tascheti e di fiori da^
rotini milli paghi.
Testi italianeggiatiti del Friuli: Secolo XIV. 329
la rasone de la Cori da Roma e la Cha d*Agulea e la usanza di Prìul un
ora, Taltra e la terza ete: et similiter de viro: — Martin laudavo etc.
5. Lettera
di Mainardo di Villalta ad Artmsino di Cividale, •
suir incendio della villa di Villalta fatto dai Signori di Umspeiigo.
[Arch. Manieip. di Cividale.]
1358 •.
Amigo 80 Karissimo Artrusino de Civitat.
Al amigo 80 Karissimo Artmsino de Civitat io Meginardo de Vìlalta si ti
saluto cum bono amore e si ti mando mostrando sopra a qui de Wspergo
chi e stado in la villa de Vilalta bora trasora de note e. si banno brasada
e robada.la villa e si anno presi li mei servitori io te prego per lu vedo
amore chi ta In deb! mostrar a li boni homini de Civitat e che li faxa con-
tra de mi si comò noi s*avemo impromesi e deba displaser A tati voi.
Data in Vilalta di iiij de Bruma.
6. Lettera
dei Capitani Patriarcali,
scritta durante Tassedio del Castello di Ragogna.
[In atti di Leonardo di Gorizia, notajo in Gemona;
Arch. notar» d^ Udine,]
1365, agosto o settembre.
Al Capitani e del Conseglo di Glemona.
Al Conseglo del cumun di Glemona, no chi semo in per Io patriarca ca-
pitani de la bastia* respondemove sovra una letera la qual voi mi mandase
per le arme e per le cose di Zuanuto e di Perozo, sovra questo ve respon-
' Manca in questa lettera Tanno, come si usava in que* tempi, ma lo 8i
desume dalla deliberazione del Comune di Udine, 4 dicembre 1358, di soste-
nere Mainardo di Villalta contro le violenze de* Signori di Uruspergo (Arch.
Mun. di Udine).
' Bastia fatta per assediare il Castello di Ragogna.
330 Joppi,
demo chi noi no avemo cosa nisona del loro salvo cbe una eoracina e un
slopo Io qual era di Perozo, sapia chi per lor zoe Zanuto e Perozo non
manca chi la bastia non fo presa chi siando dentro de la bastia intrambi
due eli si arenderono agli mimisi zoe a Cola de Regogna: no semo vostri ,
voi save ben quel chi yo ave a far.
7. Lktteba
al Comune di Cividale,
nella quale s'annunzia una scorreria degli Udinesi.
[Da una copia che ò nella Colleziofie Portis-Guerra in Cividale.]
Nobilibus ac Sapientibus viris Gastaldioni, Consilio Terre Civitatis Austrie
Dominis meis carissimis in Civitate ^
Ogni debita recomandation inanzi metuda. Sapia che un vostro e mio amigo
si me manda her alle xxiv bore digant com lo marasalch * a Uden con una
grant brigada esf , debba entrar està notte in Cividal a fare non bone et
honeste cose a instantia de chui quel amigo soradetto e mi non lu savem:
onde io ve n*av]so. Se io pos far alguna chosa per vuy e per lu bon atado
comnn di Gividat, io son sempre presto a ogni vostro chomandamento.
Dada in Chastelut a di xxviii de Setembre.
El vostro in dut Virgili di Cividat.
8. Lettera
del tempo della lega de* Veneziani col Conte di Virtù.
[Da una copia come sopra.]
1387'.
Al nobil homo Nicolò de Anzello in Cividat sia dada.
Nicolò di Anzello yo Ulvino ti saludo et sapi che yo ày favellat ad una
femina di Zncho, la qual si é stada in Udino, chi elio si diseva in Udino per
agli boni homeni chi gli Veniziani non volevin tiìuva ne pace per nissuno
modo e specialmente dopo chi fo fatta la lega chu In Conte de Virtude del
qual gli homini da Udine mostra da esser grami e faravin volentiero trinva
' Risaliamo sicuramente al 1386-87, epoca delle grandi differenze tra Civi-
dale ed Udine.
' Maresciallo Patriarcale.
' La lega risale a quesV anno.
Testi italianeggianti del Friuli: Secolo XIV. 331
no fossi per discomplaser agli Veneziani; e disin gli boni homini si egli vor-
ressin a quegli da Cividado e di Savorgnano triava, no da Udino la conye-
gneresslmo far per forza, e no varavi chi elgi facessin altro si no taglar la
nasso di fin a X femini li quali esin di fora da Udino chi in che! hora nis-
suna femina no oseravi esir per paura chi elio no gli fossi tagliado lo nasso;
elgi no podevan ben seselar, ni legni^ ni erba, ni carbon, ni nissnna chossa
in Udin portar e si disin a quelgi da Udino chi li poveri femini si hanno
mantignudo e mantegnino ancora Udino. Prego ti Nicolò, chi tu mostri que-
sta latira agli Deputadi chi egli pigliassino alguno arimedio snello ti par*
Prego ti chu tu mi scrivi chi triuva sia tosto. Dio sia cun tey.
Ulvinus de Chanussio.
9. Poesia dimore.
[Si legge appiè d'un atto di pugno del notajo Nicolò di Golleprampergo, in
daU d*Udine 27 febbrajo 1897; Arch. notar, d' Udine.\
Queli ochi honesti pien d -amore
Si m*àn ferito a morte en lu mio core.
Ed ami ferito d-un dardo mortale che m-à pasato f
Nisuna midisina no mi vale che da amore son invelenato
Se no*l piacer di voy viso arosato sempre m' apollo servitore;
Queli ochi ecc.
Per mio servitor maj no V appellar de questo sono certa
Che se per me porti pene e guay di questo son contenta
Quasi per certo tu m'avia aoerta ' &r no sapesti
Unde porto pene e dolore.
Dolor ne voy portar dona poy che vi piace
May In mio cnr sempre è vostro servo veraze
May io vi prego dona se vi piace che perdoné a chesto peccatore.
Né-*1 to dire, né-*l to fare, né-*l to marze chiamare
Non ti vai niente, tu debevi Tatro ben pensare che io no era curente,
May volo che tu sapia certamente
Che deli ochi miei no averà rigore.
Queli ochi son che m-àn conducto a morte unde non posso scampare
A mi non vale aiuto ni conforto ne anche marze chiamare
Se no la morte che me de iudare, or mi lamento a Dio nostro Signore.
' Parole incerte.
332 Joppi ,
Amor no ti poas-*io più celar la nostro inamoramento
Dnta e son tua el no ti pò manchar al to intendimento
Io farò se tìto che ta earay contento
Però ti prego non fare più remore.
Qaeli occhi ecc.
10. Pabafbasi pobtiga DELL*At>e Maria.
PagH atti di Oio. Paolo de Prioribns, notajo di Venzone: Arck, noi, d^ Udine,}
1430.
A(70 Regina Celi superni celi
Maria voleste partnrire quel frncto,
Grada per dar a tuti noi fedeli.
Piena tu fosti d*ogni don perfecto
DomintAS volse per tuti noi salvare,
<^ Tecum habitare nel tuo ventre delecto,
Benedicta sei sopra noi exaitata.
Tu prodnxesti vita si che simille
In mulieribus mai non fo trovata
Et benedictus ben se pò chiamare
Fructus producto senza algun peccato
Ventris fui assi per morte portare
Ihesus superno el fo fiol dilecto,
SaYicta mazor tra li beati sempre
Maria vocata ananzi el tuo conspecto
Ora prò nobis o dolze mare pia
Nunc et in hora perfin a la partita
Che de la eterna vita ne dia la via.
11. Lbttbra d'affari
di un Cividalese al Consiglio di Cividale.
[Dali'orig. in carta, Collez. Joppi!\
1437*.
[A tergo.] Onorevoly e circumspecty Singory Provededory
e li Singory del Chonseglo in Cividal detur.
OnorevoUy e circumpechty [sic] Singory Provededori el ly Sigory del Con-
seglo, receuda una vostra letera Mqual me face chomandaroento che io
* La data di questa lettera si desume, oltreché dal carattere e dall' epoca
Testi italianeggiami del Friuli: Secolo ^XIV; ' 333
debia pagar el degan di Sent Stefano d'uni porcij li qnaly e tokf de Maur
de Sulcit. Singory e o fata la mia rason eum Maur e chun lor in la chaneva
de lu Blanch presente Ser Tomas di Ser Adam, lu Blanch bechar, el lu
fiol Chuiau di Blas di Burul Droga di Masaroly^ Lorenc de Blacen ; io Chu-
lau si restai a dar a Maur o a li merchedantj marche di soldi xi e for-
toni tre ed a questo si e lu vero e di questi denari si diey al Chranger marche
ij lu lor compango presente Ser Francia Simion di Ser Pauly. Item si diey
a Jancil lu fiol di Jost di Zegla marche ij per chomandament del det Degan
di Sent Sciefin el luni a fo prisint Ser Francia Simion di Ser Pauli, Nichelo
o Sar Daur bechary che io lur diey de In resto io si lur hai voglodo dar ad
esso in Plex quando ely v^ngir de Sant Martin marche iiij in menary e lo
resto un vasel de vino e questo se fo de pato chel y devessy tuo menarii'.
Singorìj de quel che io deba far mi per la parte mia zoe de marche vii e
fortoni tre non se ne partirà da me chel voglo pagar e li dise che li non
ano da far chun mi. Prego li gracij voetry sei ve piase che el vogla ricever
questi denary zoe marchi vii e fortoni tre venga soo che el voglo achordar
senza nesnna chustione. Singory e seravi vengudo chun luy su e speto lu
Retor de Rosacy marty de sera el me chonven esser chun Iny per far ly pocs
di e per sentar a rason in perzo che so' lor Degan e se questo non se pò
chordar e sero de li poc di lasù zoe Sabeda. Prego li gracij vostry che me
abia per schusado per questa rason.
in cui vissero i Signori Tommaso di Adamo e Simone di Paolo Formentini
di Cividale, da note di mano di ignoto notajo di Cividale, fatte sul rovescio
e segnate: 1437, 19 decembre*
* Comperare (togliere = pigliare) mannaje.
' Sono.
»■ ♦
334
Joppi ,
Vili.
Annotazioni e Frammenti.
-♦-♦►
1.
Le voci forme, che qui si dichiarano, mancano per la massima parte
al Vocabolario del Pirona. Le cifre e lettere richiamano il secolo e il docu-
mento a cui spetta T esempio* S* omettono le riduzioni burlesche dei nomi
propri arioetei (sec. xvi, num. 8, a e ft), come Lizèr Ruggiero, Forecùl Fer-
rati, ecc.
dhetz abiti xix b.
aganas Fate dell'acque xixa. *
Agolea^ Aidea, Oleja^ Aquileja,
XIV 3, 7.
al aglio XV 13.
albkxrc albergo xv 3.
allàt andato xvi 8 a (IO).
alleri allegro xix a.
alvnens almeno xvi 8 a (2).
almxiesino elemosina xv 2.
alto la nome d*ua giuoco xixa,
andoy ambidue xiv 13.
aras rape xv 13.
arasons ragioni xv 13.
arefuidd rifiutare xv 13.
arciavoly arciauU arziaxful, ar-
cionasi, arcidiacono xiv 5.
ares eredi xv 9.
aribola riboia xiv 5.
ariceu ricevere xrv 5.
* Questa denominazione mitologica ò ben diffusa anche fra le genti ladine
e semi-ladine della sezione centrale della zona. Se ne veda il beli* articolo :
alguana, nell' ^Idioticon' dello Schnelleb (Die roman, volksmundart, in
Sùdtir^ 1 106), la cui ricostruzione etimologica (aquanae) ha nuova conferma
dalla voce friulana o camiella. Ma egli ha dimenticato il verso di Fra Gia-
comino da Verona:
Né sirena né aiguana né altra consa he sia
(MussAFiA, Monum. ant. d. dial. it., 30, 103), che a me ò ricordato dal Rajna,
cioè dall* editore del ^Bovo d*Antona', nel quale ò quesf altro verso;
Eia é più bela de fada ni d-ayguand
(Rajna^ I Reali di Francia, I 566). ETAquanasi accompagna fra i Ladini
col Silvanus (v. Schnellrr, o. c, 106 173); il quale però ricorre anche fra
i Lombardi e i Subalpini (v. Flbchia, Arch. II 10; e pur Mussafia, Beitr, z,
kunde d, nordit, mundart,^ 78 n.). A.
Testi friulani: Annotasioni e frammenti.
335
cariquile reliquie xiv 5.
ariziet ricevuto xiv 9.
aronc ronco xvi 26.
art: nu art (egli) ci guardi xv 15.
orudandQ. rovinacci xv 13.
aruvind rovinare xvi 8 a (6).
Ascenso festa dell' Ascensione
XIX a.
asgnervade snervata xv 18.
Aulea^ V. Agolea.
auUa vogliamo xvi 18 a (20).
aventi^ venti ^ là intorno xvi 8 a
(65).
Avenzonas Yenzonesi xiv 5.
òalfueriis bravate xvi 8 a (1).
batem battesimo xiv 5. *
batt: di batt, nome di un giuoco
(*di battere*), xix a.
bauf: cridd bauf, grido usato dai
boscajuoli della Cargna, a in-
dicare che un lavoro si sospen-
de, XIX b.
bendol^ giuoco che consiste nel
lanciar lontano, il più che si
può, uno stecco che si tiene tra
le dita di una mano, per mezzo
d*un altro stecco, tenuto dal-
l' altra; XIX a.
bette abita xvi 8 a (33).
bichirigis beccherie xiv 9.
biochio^ beorchie^ terreno incolto
XIX a. **
bochasin n. di stoffa xv 13.
borostai mucchio di brace xix a.
boss: di bossj di fianco xix a.
bosc neri bosco di abeti xix a.
bradoons^ cosa mangereccia, come
si vede dal contesto, ma ò voce
oggi sconosciuta; xvi 2 b.
brasagl bersaglio xiv 8.
braul^ brauijy folletto xix a.
brighent accattabrighe xvi 8 a (8).
brisighell furfantello xvi S b l,
bruchulir brocchiero o scudo xvi
8 a (11).
bulifas pignatte? xix a.
bulpine martella xvi 8 b (1).
bus bue XIV 4 ; v. Ann. gramm.
caraduris carreggi xiv 7.
cechd mangiare? xvi 8 a (5).
chalzuie (La) calci xvi 8 a (74).
chargele cargnella xv 13.
chiaf sforadi, capo bucato o vuoto
xvi 8 b (7).
chialart sguardo xvi 8 a (41).
chidmire camera xv 23.
chierebaldan^ erba o primo fieno
XVI 8 a (49). Leggo schiabal-
danay per *cosa di poco valore',
nella II Nov. del Sermini.***
chió cosa XV 1.
chona^ o ghone^ cintura di pelle
XV 18.
chu che XVI 8 a (1).
chu 7, che il, xvi 8 a (4).
chun con xvi 8 a (6).
churtigiduris quarti d'agnello?
XV 13.
cintri qui entro xvi 8 a (62).
dar: a clar^ chiarificato, xvi 7.
cocs uova XIX b,
codér quaderno xiv 8, xvi 8 b (15).
con quando xiv 3.
corre correva xvi 8 a (32).
* Cfr. Arch. I 24 64.
** Cfr. Arch. I 517 e 545 a.
*♦♦ V. Arch. I 298: chiabaldana.
336
Joppi,
erosette un* arme xvi 8 a (7).
orous croci xiv 5.
cruvir coprire xiv 4.
cu quando xvi 8 a (34).
curaso coraggio xix a.
daecuarzin accorgiamo xix a.
ddrbedas zoccoli xix h.*
daupd mangiare in fretta xix a.
davuais scompigli xix b.
daviuildut , dipanato , e metaf. :
dilapidato, xix b.
davuelt compongono xix a.
diespul vesperi xv 13.
dio dica XV 17.
disietdt nausea xvi 8 a (43).
dispantezavin^ da pantex tritume,
XVI 8 a (52).
dispopat slattato xix b,
dispidarin disputeremo xvi 8 a
(20).
dimdison divisione xv 2.
doneson donaxione xv 2.
dui tutti XVI 8 a (62).
du9 conduce xvi 3.
entretado ingresso xv 5.
[esendo uscendo xiv 1 ; v. gisint.]
faie fango xvi 8 a (61).
fedeaor fideiussore xiv 7.
fertuli frittelle xv 13.
fiergis ferri xiv 7.
fitison affittanza xv 10.
flévar^ fievole, debole, xvi 8 b (13).
fonderas fondi xix a.
frisachensi^ danari aquilejesi,
XIV 2.
flrancin francese xix a.
franzùm^ frangio, metaf.: imba-
razzi, XVI 8 b (14).
fruzzó briciolo xix a.
fu fuoco XV 1.
fumario cuoina xix a.
furchitos forchette xix b,
furimielg fornimenti xiv 10.
giani^ diavolo o altro spirito ma-
ligno, XIX a.
gisint uscente xiv 3.
gnavd cavare xix a.
gozenas caverne xix a.
grand ghianda xix b,
grandinili f folletto che porta la
grandine, xix a.
gustdr pranzo xiv 4.
gustdt id. XIX a; in Cargna, il
'gustare', ossia il pranzo, si fa
alla mattina.
t^ avuto XVI 8 a (48).
iestri essere xvi 8 a (10).
imbertonat, innamorato, da ber»
ton drudo, xvi 8 a (2).
impàrees (si) s' accorge xix 6.
inculurù incollerito, xvi 8 a {25).
indacuarz accorge xixa.
infanch, infanzat^ giovanotti, xvi
Sa (1, 42).
infinte in fino xvi 8 a (42).**
infumidado affumicata xixa.
inghemario^ granata, scopa (m-
ghemà scopare); zjxb.
ingnostri inchiostro xvi 3.
innovai f ineval^ anniversario,
XVI 5.
inoleid dar Tolio santo xv 13.
* Cfr. per ora: Piroma s. ddlmine^ ScmoELLEB o. e, s, dambra 137 e
ddrmoie 222. A.
♦♦ Cfr. Arch. II 446.
Testi friulani: Anaotazioni e frammentii
337
inpentidor pittore ziv 2.
iniantesim trentesimo xiv 5.
iottho^ una certa broda {j^ie)^
XV 11.
isgnot questa notte xvii 1 b (42).
ite gittó XVI 8 b (10).
ittaaz^ gettati, sdrcgati, xvi 2 6.
jestri V. leBtri.
Jevers lepri xixa.
jolza slitta da fieno xixa.*
Jouc vedono xixa.
ladOf ascia da squadrare travi,
XIX b. **
larU lardo xixa.
lartz larici xixa.
las lato XV 11, xvi 8a (21).
laverò lastra xixa.
lavureiacion lavoro xv 18.
legnar legnaja xxxa.
leni legno xv 19.
letevane puerpera xv 13.
lippe fugge xvi 8 a (32).***
lisso canale formato di travi, per
farvi scivolare le grosse piante
tagliate sui monti, xixò.
littirum, Uetterume*, letteratura,
XVI 8 a (2).
lus r uscio XV 1.
lus luoghi XV 1.
lutar luterano xvi 8 b (10) ; e di-
cesi d*ogni non cattolico.
tndmul (fem. nidmule)^ servo e
giovanetto, xiv 5, xvi 8 a (81),
XIX b.
may albero di maggio xiv 5.
magi peSf cattivi o scarsi pesi,
XIV 8.
malmuerio memoria xv 2. f
marlup sciocco xvi 8 a (57).
matarusse majsza xvi 3 a.
mazarota mazza xixa.
mazzarot^ mazzarul^ folletto, che
si credeva vagare per i monti,
battendo gli alberi con una
mazza, xix a.ff
melg milium xiv 3.
mels meli xixa.
menade da pegno^ siero da zan-
gola {pigne)f xixa.
-wens, V. almens.
mesto cuinzadOj pasta molle, fatta
con farina di melgone e aqua
calda, e poi condita col burro,
xixa.
meytat metà xv 8.
miedri misura per Tolio x v2. ftt
* Il bormiese ha lolza slitta; e di altre voci, che consuonano, si veda per
ora lo ScHUCHABDT, Ueb. einige falle bed. lautw, im churu)^ 42. A.
*^ Forse T^ascia larga'. I riflessi del lat. ^latus lata' sono sempre ben
vivi nei Grigioni {lad lada ecc.), v. Arch. I 9 100 146 164. A.
*** Cfr. il com. slipà sdrucciolare, fuggir di soppiato, sguizzare, nap. allip*
pare svignarsela, e altre voci ohe consuonano, in Mdssafia, o. c.,l06n. A.
■J. Cfr. Arch. I 423.
•H* Cfr. MussAFiA, o. e, s. mazar%Ml^ e Flechia nel 1. e. A.
-|~j~|- miedri non pud non corrispondere a 'metro', ed è ben notevole, eom*ò
ben regolare, questa elaborazione vernacola delPanticH parola {mèPro^ pér^o-).
Quanto alle norme della riduzione, v. Arch. I 489 506-7. Vero è, che secondo
la regola dell* ultima evoluzione friulana, il d, poiché succede air accento, do-
vrebbe tacere (mèri *vet[e]r-o, piére petra, allato a vedrdn pedrddi ecc. ; ib.,
338
Joppi,
mirindins, merenda o refezione,
tra il pranzo e la cena, xix a.
monasUt monastero xv 10.
Moti (Seni) San Mauro xv 10.
mosgi inf.; dicesi degli animali
che prendono la fuga mentre
sono al pascolo, perchè mole-
stati dalle mosche; xixa.
mot modo xv 1.
murlon zuccone xvi 8 a (6).
mugolerò rastrelliera xix a.
miMSO, grue di legno che serve a
sostenere la caldaja sul fuoco,
invece di catena, xix b.
muxoui piccoli bicchieri xix a. *
nòrie punto? xvi 8 a (6). In una
canzone di quel tempo:
Disé Toni in ohe norie,
FradiB sUit ft sintf daite lliiBtorie.
Olejo y. via e Agoleja.
orcolat^ peggiorativo di orcul^
orco, XIX a.
orÌ8 fiate xv 13.
otom autunno xv 6.**
0U8S uova XIX a.
oy: eh* io ylu pagar és xv 1.
palo prato in pendio xixa.
palif paliti palio, xiv 12, xv 16.
pagnarogli fuochi di gioia che si
facevano col bruciare delle for-
melle bucate {colag)^ di sego,
XIV 8.
pan prendif refezione, xix 5, xvi
8 a (81).
pani panicum xv 2.
pedonagla^ compagnia di soldati
a piedi, XIV 8.
pers neri xixa.
picùì ceci XV 13.
pilot palo XVI 8 a (64).
piloz freccio xiv 8: fiate? xvi 8
a (80).
jjìn, ping^ più, xix b.
pirvidorio officio de* Provvedi tori
XV 1.
pizouc V. somp.
piti in pit invece xv 1.
pividresso moglie del pivatora
XV 2.
pizzacocoi manicaretto in forma
di picecùl^ il frutto della rosa
di macchia, xixd.
plantùm ^piantume*, piante, xvi
8 b (10).
playt placito xiv 5.
plomjsj V. mgijs.
popólas mammelle xix a.
poschiale (si), si guarda indietro,
XVI 8 b 12.
prendi v. pan prendi.
prfndi lunedi, v. Pirona; xv 1.
prindut preso xvi 8 a (67).
priolo de la zeloj Priora del Mo-
nastero della Cella, xivS.
privdt preso? xiv Sa (56).
527); ma ò ben consentaneo air età di questo documento, che il d ancora -vi
persista (cfr. vyedri xiv 11, e così viadro^ allato a viaro, neir antica Vene-
zia, *yet[e]r-o, Arch. I 455; e anche ▼. le analogie che ivi si adducono a
p. 513 n. e 514-15). Circa poi ali* uso di ^metro' per misura di capacità, che
d quanto dire ali* uso di ^metro' nel significato di metreta^ si consideri per
ora r esempio che ò nel Du Cange: reditnatur metro vini, A.
♦ Cfr. Arch. I 511 497.
♦* Cfr. Arch. I 507 520.
Testi friulani: Annotazioni e frammenti.
330
puing pugno xixa.
PuschulOy villa di Colloredo, fuor
di Porta Poscolle, una delle
porte d'Udine, xv 17.
qual da mont colle della monta-
gna XIX a.
qtAartttds quarti di agnello xiv 5.
raganixzos canzonette xix b.
raschos veleno? xvi Sa (79).
rassachaif sostanza medicinale
per levare i calli, xvi 8 b (11).
raxidiacono di Ouart, Arcidiacono
del Canale di Gorto, in Cargna,
XIX 6.
rechinzat ecc., racconciato dalla
famiglia de* Candido, xvil.
ressaUd assaltare xvi 8 a (6).
revoiant rosso xvi Sa (70).*
ribo riva od erta xix a,
riduu ridurre xvii 1 b (22).
rimino ramino xixd.
rimissine 9 metaf. per zuffa xvi
8 a (17).
rinsint ringhiando xvi 8 a (65).
rissurture scaturigine xvi Sa (78).
rivesse ribrezzo xvi 8 a (34).
romanige vino di Romania xv 3.
romans rimase xiv 2.
rudellis Rotelle o scudi xvi 8 a (62).
rumagnutz rimasti xixa.
sagint essendo xv 1.
saladic carni salate xiv 7.
sdrin serrino o chiudano xvi 2 b.
sbsclie rompe xvi 8 a (49).
sbeffò beffano xixa.
sbólzeros pi. di ^vàlzer* (walzer)
XIX 3.
sbulujdy brulicare, qui di cose
inanimate, xix a.
scars scarpe xix b.
schialas spalle xixa.**
schilinados scalinate xix b.
schortés cortese xvi 8 a (16).
sclavuers scheggio xixb,
scrinz, XVI 8 a (37), voce che piti
non s'intende; e parrebbe ricor-
rere anche in un madrigale di
G. D. Cancianini, che fa parte
d*una Raccolta in lode del luo-
gotenente Nicolò Contarini,
stampatasi in Udine nel 1598 :
Daspd OQ fo mai TJdin
E 8on staai Latignints,
Ko fo, s'io dÌM8 Borini
Un tal Culau diyin:
Ma BÌ doman la aie laoi Contarin,***
sedass, alberi innestati da poco
tempo e quindi non ancora da
frutto, xixa.
sedò: man sedó^ mano sinistra,
XVI 8 a (23).
selo secchio xivll.****
sent cinto xvl5.
seri: in seri^ ultimo dì di carne-
vale, XVI 2 b,
seseledó^ mese di luglio in cui
si miete (seséle) il fermento,
XIV 3.
* Parrebbe dipendere da raoqjd saracinare, ^rubicare'. A.
♦* V. PiRONA 8. s^hàble, e Arch. I 515 (513).
*** lu serinz^ che é ne'<Testi', è forse lu scrizz dell'odierna parlata
friulana: 41 pettirosso', uccello che ha il Tizio d'esser molto curioso, come
tutti sanno. A.
###♦ V. PiRONA s. sèle, e Arch. I 514.
340
Joppi ,
selàlj setiminaj settimo di dalla
morte, xv 14, xiv 5.
setor di pratj estensione di prato,
quanta se ne poteva sfalciare
da un uomo in un giorno,
XV 10.
seugnelit santo vangelo, xv 1 6
(28).*
sglevd'Si » sglovà^si xix a.
sffnaruese spada xvi Sa (11); sa
di furbesco.
8iel suggello XV 1.
siffela segala xiv 7.
siffnd signore xvi 8 a (3).
sinicc sindaci xv 14.
8itz un giuoco XIX a.
siulin cordicella xv 14; cfr. soie,
slaufarés •> sto far és xix a.
slingie fama? xvi Sa (7).
slossers fabbri da serrature (voce
ted.) XIX b.
soie corda xvi 8 a (34).
somp: in somps pizov^c^ in fondo,
XIX 6.
spangay porre la 'Spanga' o croce
di legno, cioò un segnale che
si collocava sui beni seque-
strati, XIV 11.
specs lardelli (voce ted.) xix b.
spensaris spese xiv 3.
spernorigis^ Contrada degli Spe-
ronarj, in Udine, xv IL
sperudr astile xiv 8.
spiez petti XVI 8 a (25).
spinai dorso xvt 8 a (32).
spiot spiedo XVI 8 a (7).
stazons stazi xiv 9.
slomblart Ja lunghezza di un pan-
getto {stombli) xvi 8 a (22).
storiga stuoja xiv 8, v. ann.
gramm.
streceava^ gocciolava, da stregete
gocciolatojo de* tetti, xix a.
strop tratto di strada xvi 8 a (64).
struzinaiZj da struzind^ dar la
baja, XIX a, b.
siuoo^ stuoj camera da pranzo,
detta così perchd ha la stofa*
XIX b. **
stùsino stuzzicano xixò.
su se XVI 8 a (2).
suarbonaz ciechi xvi 86 (18).
sibanpugl punto di unione de* tabi
XIV 8.
Suez soccida xvb.***
svinchie svincola xvi 8 a (32).
svuelt svelto xixa.
tace^ sostantivo che va col verbo
taccia^ tagliare a fette, far
strage, xvi 8 a (47).
tappò o Capóni coperto, xix a.
tds tanto xvi 8 a (30).
terent terreno xv 19.
termit termine xiv 7.
Uet tetto XVI 8 a (37).
tom: da tom^ d'autunno, xixa;
V. atom.
* Pud vedersi il Pirona, s. y.; ma vanno veramente confrontati Tant.
padov. sienti guagneli e Tant venez sente vagnele^ Arch. I 457. A.
** y. PiBONA s. stue; e tacendosi delle voci tedesche, sieno ricordati: stuvof
siiva^ stanza, dei dialetti grigìoni, e siua^ stanza calda, dei lombardi. A.
«*« stitfjr ò notevole e regolare elaborazione vernacola del lat. ^socio-'
non meno notevole e regolare di quel che sia il tose, noceto; v. Arch. I 496
523. A.
Testi friulani: Annotazioni e frammenti. 341
trafuide trafugata xvi 8 a (7).
tramoolz terremoti xyi6.
travuelt travoglie xixa.
trep, XV 10, voce estinta, che dal
contesto pare che dica *sen-
tiero\ In Udine s' ha il borgo
di TreppOf e questo stesso
nome ò di due villaggi friu-
lani.*
trichie tocca o punge xvi 8 b
(12).
tricul tracul altalena xix a.
triseef presepio xix b.
triuve^ trivis, tregua, tregue, xv 3,
XVI 8 a (21).
trizera treccia xvi 5.
tronfiti a stronfiti xvi 8 a (44).
tuchuij folletti XIX a.
tulminà sgomentò xvi 8d (11).
udava aiutavano xixa.
uldf udì XVI 8 a (46),
ustirige osteria xv 3.
usuez V. Suez,
uzzinant mandando grida di al-
legrezza (ucant) XIX b.
vaiulinte piangente xvii 1 a (70).
vamis vernice xv 1.
vendemis il mese di settembre
XIV 8.
vento il giuoco della vincita o
lotta xixa.
vescom vescovo xixa.
via d^Olejo strada o viaggio ad
Aquilejff XIV 3.
viai das tofjos^ strada per oondur
le taglie o fusti d* alberi giù
dai monti, xixa.
vyedri vecchio xiv 11,
vigijs plovijs (e publicis) vie pub-
bliche XV 11.**
viglitum veglie (v. littirum ecc.)
XVI 8 b (13).
vignons mazzi xv 13.
viliis veglie xiv 4.
vintijil colà giù XIX a.
Vito (vita) : che no avin bielo vito^
che godiamo una bella gior'*
nata, xixa.
vognéli vangelo xvi 8 a (4).
vognian ogn'anno xv 2.
volé e podé vorrebbe e potrebbe
XVI 8 a (30).
von: di von^ nome di un giuoco.
* Il lat. ^trivio-* poteva dare un friul. trep^ cosi come 'Qaadruvio-' ha
dato Codróip^ o, meglio, come 'Jovio-* ha dato loppi (Arch. I 510, 493); e
^trtvio-' diceva anche strada o luogo pubblico in generale. La riduzione
toscana ci è offerta da trebbio^ di cui ò sinonimo il moden. trep. Vedine il
MUSSAFIA, o. e, 116. A.
** La forma di questo aggettiYo a pi*ima vista appare strana* Ma plóvie
è Tesatto riflesso friulano di plubica (Arch. I 499 521 529), cioò della forma
metatetica di publica, cfr. napol. prubbech§ ecc , tose, pi&vico. Il mascolino
plubico ha poi anch*es80 la sua normalissima risposta nel friul. piòvi che
ancora s* adopera col significato di 'opera pubblica prestata dai villici al Co-
mune od al Signor territoriale^ e non ha nulla a che fare con T omofono
piòvi piovitojo (piovere), insieme al quale il Pirona lo manda. Quel piòvi sta
a plubico così come miédi a medico eco. (Arch. I 523), e il sinonimo
pióvego è alla sua volta l'esatto riflesso veneziano dello stesso p ìii b i e o. A.
Archivio glottol. ital., IV.
23
34^ Ascoli ,
nel quale si ionia di far cadere vuming uomini xv 1.
una pieira messa a siar riiia,
dieiro alla quale son noci o zavelaaz cervellaii xvi 2 6.
moneie, premio a chi riesce xep ceppo xiy 5.
XIX a. zésera cicera xiv 4.
V08 volle XV 6. zinzarios ciliegi xix a.
vuant guanio xvi 8 a (59). ziriuz piccoli ceri xiv 3.
vtiarfino orfana xiv 3* zuansalmin gesolmino xvi 8 a
vuidrigdf par che dica ^guidare' (37).
XVI Sa. zucca correre xvi Sa (13),*
-^■►-
2,
##
Si vedrà a suo luogo, fra non molto, il profitto che possa ritrarre
dai *Testi friulani' l'indagine che versa intorno alle forme***. Qui
inianio giova che si raccolga quanto ne guadagni la indagine che
versa intorno ai suoni, come a continuazione e a complemento della
descrizione che s'ò avuta nel primo volume dell' ilrc^tvto (pag. 474-
535), e gi& s'accresceva, nel secondo (p. 441-2), di qualche osser-
vazione ch'era suggerita da un testo venzonese del secolo XV, pub-
blicato dal prof. Wolf ****. Ma tuttavolta non ci dorremo, se, come
suole, la fonologia ci condurrà a anticipare pur qualche osservazione
morfologica; e sarà in ispecie al num. 137 (e 235).
* Erbata-Corrige: p. 189, 1. 13, à;- 1. 19, Donai;- p. 193, 1. 36, Percut;-
p. 204, 1. 1, no vela;- p. 205, 1. 13, In;- p. 213, 1. 24, meus sol.;- p 225, l. 5,
ino Boi;- p. 227, 1. 29, Quintre;- 1. 35, ch'ai (e cosi in più altri luoghi di quo*
sto componimento);- p. 228, I. 17, ch'à;- p. 229, 1. 17, cha*Ì;- 1. 18, discia-
re;- p. 231, li. 17, 18, s'al;- p. 241, 1. 38, gioldèi;- p. 251, 1. 23, e'I;- p. 885,
1. 13, sares;- p. 335, 1. II, aulln;- p. 340, 1. 7, xvii;- 1. 34, (26).
** Le illustrazioni che ora seguono, son tutte del direttore deWArchivio,
*»* Saggi ladini, C. III.
****Nei ^Ricordi bihliografici' si mostrerà ancora quel che sia dato di
aggiungere per merito delle Villoite friulane dell'ARBOiT (Piacenza, 1876) e
dei Proverbi friulani dell'OsTERMANN (Udine, 1877).
Annotazioni ai ^Tesii friulani'. 343
Occorre appena soggiaDgere, che par nella composizione di queste
note si mira precipuamente a far chiare le ragioni storiche e coro-
grafiche della parola friulana; e altro piti non accade qui avvertire,
se non che sìa una citazione del primo volume quella che segue sen-
z'altro ai singoli numeri delle presenti annotazioni, i quali rispon-
dono, alla lor volta, ai numeri progressivi di quello spoglio.
3 (486). Le vestigia dell*^ da a', s* accrescono in modo ab-
bastanza notevole ^ Imprima abbiamo ségra {innovai de la se^
gra, annuale [anniversario] della sagra) xiv 5, sicuramente con-
fermato da ségri xvi 8 b 8, che ò in rima, e altro non può dire
se non 'sacro', per 'battezzato". Merco i quali esemplari acquista
una qualche importanza anche Ve abbastanza ferma nella for-
inola atona, che è in segrà sacrò xiv 5, asegràz sacrati xv
15, segràd sagràd sagrato (cimiterlo) Pir., cfr. sagrament xv
21. Occorre poi due volte: sigéla segala xiv 7, che deve avere
Taccento, non già sulla prima (tose, segala ecc., mil. ségla sé^
gra^ frc. seiglé), ma sulla seconda, com*ò nel venez. segala, e
nel friul. stesso : siallo xv 6, sijàle Pir. È tuttavolta da con-
siderarsi, per entrambi gli esemplari, la qualità della combina-
zione (àgr, ^(4). E l'avvertimento ancora ben più vale per gli
altri due che mi restano: fréiz fracidi xvii 5n (cfr. frdid Pir.),
breida xvii 4 e poderetto chiuso {brdide Pir.).
9 (484-5). Notevole la vera elaborazione vernacola di 'con-
trario': contraar contr&r xvi 6 (228), 8 a 75, allato a con^
trari xvi 6 (231), 8 a 77.
10 (487, 545): scholz scalzo xvi 8 a 11.
23 (488-9) : miérit merito sost. xvi 6 a, pi. miérijs 6 b; cfr.
num. 224. Per la formola É + nas.: Mmo trema xix b (var.
cargn., cfr. nel I voi. i num. 22 e 23); e insieme stieno, co-
munque vi si tratti d'un antico i : sinaf senape xv 14, e Dm-
mlni Domenico, num. 167-8n e 172 n (cfr. Mini allato a Meni
* Circa contrést^ v. ora Arch. IV I22n.
* S*aggiange, in un componimento poetico di Tomaso Sabbadini (sec. XVI),
segre per ^cucuzzolo', ma propriamente la 'sacrai la cherica:
Lis bellezzis ch'havees de i piis e segre,
Me bellezze che avete, dai piedi al cucuzzolo'.
344 Ascoli,
Domani, Pir. 644 642). Quanto a trlvis triegue xv 3, triuve
triegua xvx 8 a 21 {triuva append. 8), sto incerto se vi si abbia
una elaborazione veramente friulana, o non piuttosto la ridu-
zione di una forma veneta; cfr. Àrch. I 364 n, 453 n.
27 (490) : discént scendi (imprt.) xvi 8 6 3, desséndi scenda
XVII 1 a 60, ascendi inf. xvii 4 e, cfr. Ve tose, di scendere ecc.
Ma ancora: tu comprénz xvii 1 b 28, pent pende xvn 2 d (inf.
pèndi Pir.);- e contént ecc. xvii 4 f,
28 I (490), cfr. 229 (531): gésir essere xiv 9 (bis); cfr. gi^
sint essendo xiv 3, isslnt xvi 4 e, gisisin uscissero xiv 5, ijssint
uscendo xvi 8 a 25; e il num. 230. tiét tetto (cfr. tett Pir.)
XVI 8 a 37,
28 III (491): mini egli mente xvi 5, tu'l minz tu il menti
XVI 8 & 4 (^M fai mentz xvii 1 6 39); tu no mi sintz xvii 1
h 42, sintsiu xvu 3;- la mini la mente e salvamint salva-
mento xviii 1 e e 2, pordenon., cfr. Arch. I 492.- E per la for-
mola ÉNJ: ti mantigne xvi 8 a 52, tu mantignis xvu 1 b 39,
mi tigni xvii 3 (cfr. légni inf. Pir. 438); chu vigne xvi 8 a
53, chu vigni xvu 1 6 38, ti vigni xvu 5 n {végni^ in rima
con tigni xvu 3, e ancora végni xvu 4 e, ven 1. pers. xvii 5 m),
18-28 (492-3). Il dittongo seriore {ei) da é friul. di fase an-
teriore: teyn tiene xiv 5; feys feis fes fece ib. ; meis xv 20, vor-
neis (cfr. wrn^s xv 13)? ib., trey ib. pass., gleisia bis, gleysia
(e glesia\ ib.^ ;- cwm tey append. 8. Var. porden. (sec. XVIII) :
voleir D, amr 2, pm (peso) a 1, d, meis a 5, 12, d, paeis d;
cktY dito D, ai peis (ai piedi) 2, inpeis 2; penseir a 26. Var.
cargn. (sec. XIX) : franzeis ; jpeiss p^f^ piedi (ma al sing. : pe,
cfr. ^r^, vede); zornadéirs ^giornatieri*, tauléir.
55-56 (496). I. tuel toglie xvu 1 6 21, suez soccida, v. p. 340 n.
- II. qual colle, v. p. 339 '.
46-56 (497-8). Il dittongo seriore (ow) da ò friul. di fase
anteriore, manca di esempj nei documenti qui addotti dei sec.
XIV-XVI, tolto il caso che spetta al num. 61 \ La varietà di
* Notevole che ai tratti di documenti gemonesi; e cosi ci raccostiamo al-
l' «i del testo venzonese, Arch. Il 441.
' Cfr. Cuéll in Pir. vocab. corogr., e forse pur Cuàls ib.
' V. air incontro lo spoglio del testo venzonese, Arch. II 441.
ADUotazioni ai Testi friulanF. 345
Spilimbergo (sec. XVII, 4), o meglio la ortografia di Eusebio
Stella, ci dà, per questo dittongo, il doppio o; e ne va princi-
palmente considerata la serie in cui l'udinese ha 1*4 da uè
(Arch. I 494-5). Alla quale spettano i seguenti esempj: rusù
gnool A, coor f, i, k, coors K,jo moor p, k, foor h, looc h, l,
loocs H, zooc L, mood l {mod d), hrood a \ Del restante, lo Stella
concorda col tipo udinese in vuul vuole b, d, oltre che in {v\uei
voglio B, E, o, vnxeli io voglia b; a tacer dei casi di posizione
sentita, come rispuesta b, quel collo k, jo puarti f, ecc. Ma
fors H, I, si sottrae al dittongo. Per la varietà pordenon.
(sec. XVIII) s'aggiungono ora alle liste del primo volume:
flours 2 (bis), colour 2; fouc 2; davour num. 126^ E una
varietà cargnella (sec. XIX) ci dà ou/f uovo, pi. ous, si voul,
muzóui (v. Arch. I 511), ecc., ma insieme da pruf{^ Aa, pruovo',
accanto) e zucgs giuochi. Ivi resiste al dittongo la combina-
zione interrogativa fe-mot come (che-modo); cfr. ffemót, a so
mot, nel saggio cargnello del secolo precedente (XVIII 3), e mot
XV 1. Vuó (sué fri.), finalmente, pel quale si distingue la
var. pordenon., ha qui nuovi esempj in ctiói cuocere, vttol^ puos
posso; CUÒI, ftiórfe; vuoda; xviii 2. Ma insieme ivi balena il vero
dittongo friulano: vué oggi, cuarpdt corpaccio, e anche vuàlin
vogliono.
61 app. (500) : crous xiv 5, e perciò ancora da un documento
gemonese; cfr. num. 46-56 e 18-28.
68 (93): chiolsis cose (cause) xv 14; s'olt s'ode xvii 16 8,
uldit 21, uldide 32, uldi xvi 8 a 46, 48, uldirin 72.
70. vognéli vangelo xvi 6 bis, 8 a 4, cfr. seugnéli xvii 1
6 28 e p. 340;- vodegnàt xvi 8 a 19, ecc.
71-72. Per l'affievolirsi dell'a protonico, aggiungo: hidegnà
*indamnjà- danneggiare xv 15, cfr. incondegnàt ecc. condannato
' Quando air incontro siamo ad amoor b, pechiadoor d, sudoor d, sool a,
voos K, redroos k, l'ortografia dello Stella viene a coincidere con quella delle
scritture anche udinesi che danno oo per o, ee per e^ ecc.; cfr. xvi 2 b, xvì 6,
xvn 2, a, b, e, d. Ma i saggi di Maniago (Arch. I 497) ci davano nitidamente:
flour (sudour) ecc., come cour ecc. Quello di Spilimbergo che è in Pap. 528-9:
onor\ mood; ma tra le strofe attribuite a Spilimbergo, in Leicht, Prima e
sec, centuria di canti pop. friul^ p. 66, 08: colour, flour, morous amoroso.
lacrimous, vous voce.
346 Ascoli ,
XIV 8; [cescheduna xv 16]; eli al vus chierézze carezza xvi 3 a ;
m'ifiemòri xvii 2 6, nemoràdis xvii 4 A, ecc.
Quanto ai riflessi dell'-A e dell'-AS, va imprima notata la fre-
quenza con la quale V-o s'avvicenda con V-a nei documenti ci-
vìdalesi del sec. XIV e del XV; fra' quali documenti ora ve-
diamo che possano andare entrambe le poesie che danno co-
stantemente -0 i= -A (p. 192-3, 205-7), onde già s'ebbero esempj
nel primo volume (502n). Lasciate or queste in disparte, qui
s'aggiungano dagli altri documenti cividalesi di quei secoli:
averto, la vigno, cero, uno vio, meso (messa), xiv 3; la tiargo
paga xiv 9; selo d-aribuelo secchia di riboia, Guriso, xiv 11 ;
Dono Zuano, la Vito so, mestri dello schuello, atro chiarto,
la fontano, piero pietra, Bologno,x\ 1; lo intrado, uno chiaso,
soro lo hraydo, xv 2; la chanpano, plazo, xv 4; ogno atro
chioso (bis), una chialdiruzo, la vachio, entello me chianivo,
XV 6; glesio, Uomo, tignevo egli teneva (bis), payo egli paga,
payavo, xv 10. Ma il plur. sempre in -is: setemànis xiv 3,
chidsis XV 2. Anche in un documento gemonese, ma par-
camente : I-ago V acqua, fadio, chaso, la tavolo . . • soro indau^
rado, XIV 5. Nei testi di varietà cargnella (sec. XIX), fre-
quente quest'-o, e insieme l'-o^ del plurale (cfr. p. 322): una
femeno, dutta in t*uno (p. 323 pr.), la sero, hochio; debevo,
si jevo leva, ecc.; cullas giambos, las vachios, ecc.; o altri-
menti s' hanno l'-a e V-as, come già si sentiva per l'articolo
e ancora ci possono mostrare : fórchia, bóchia, vizilia ; vegniva,
chiàras capre, vdchias ecc. (cfr. XVIII, 3). Nella varietà
spilimb. siamo fermi all' -a, ma il plur. va in -t^: féminis, vi^
tis, ecc. Circa la pordenon., v. Àrch. I 519 n, aggiungendo: no
altris grame 2, munie monache ib. E finalmente si notino:
scrituras, las charaduras, las messas, xiv 2; rames de uli^
ves (aliato a chandelis ecc.) xv 18, lires (bis) xv 22 \
76. sipultùre xvi 2; sirvi perf. xv 13, infln. xvii 1 b 45,
sirvirài xvii 2 a, stirpùz xvi 8 a 52 (dimin. di sterp, ib. 37),
rimit eremita xvx 8 & 12; e insieme si consideri ij tassi gettarsi
XVI 8 a 38 {iettai ib. 65 69; cfr. num. 28 I), e pur biut bevuto,
allato a befs bevi, ib. 78, malgrado che qui trattisi d'if lat.
* L'-«« anche a S. Daniele: las oféses fates, tdntes, chestes campdnesn
puartd-les; Pap. 527, cfr. Arb. o. e. 191 segg.
ÀODotazioni ai 'Testi friulani'. 317
86. catórs cotorni xvi 3 b; anche in Pir. : cotór catòr 534.
93. Per TAI neolatino che fuor d'accento passi in i^ s*ha un
esemplare importante nel partic. perf. di ^avere'. Partiamo cioè
da àbUito (cfr. Tant. venez. abiudo Àrch. Ili 267 ecc., e abbiuio
nel ^Saggio' del Nannucci, p. 185), onde aibiiU giusta il num. 235;
e questa forma occorre intatta : aybut xv 6 (bis). Le sta accanto :
eibut XIV 3; e indi si passa a hibut xvi 8 a 48, ibut ib. b 9,
hibbùde xvi 6 (229) \
97 (508-509 508 n). LJ. Questa combinazione si vede ben re-
sistere anche nel sec. XV {gì -Ig): ^nuglir xiv 5, 7, 11, xv
13, 17, cfr. num. 125, figle figlia xv 11, nuglo *nùllia (v. Arch. I
546, e cfr. qui sopra il num. 71-2) nulla xv 6, melg milium
XIV 7*, iugl XIV 8, lugl ib. pass., fanielg xvl, lu chonselg ib.,
filg XV 11, 14;- gli besognàvin xv 6;- magi pes mali pesi xiv
8, pesonalg (pi. di pesonàl, una misura di capacità) xiv 7, doy
chiavalg xv 1, bens móbilg xv 14, chegl quelli xv 1, degl
delli XIV 8, alg allì xv 14; ecc. Solo nel sec. XVI vìen preva-
lendo la risoluzione (j). Nel primo documento di quel secolo ab-
biamo ancora: jo vuégli io voglia, chystielg castelli, agi dagl,
Zugl n. 1. {Virr Zuj). Ma nel secondo: purciei porcelli, ecc. E
nell'ottavo (a): figl 3, fij 12, 53, vuUnUgli volendogli 20, tuélU
gli togliergli ib., miei meglio ib., par che vueie par che vo-
glia 38, ij par gli pare ib.; ecc.
105. TJ in b': ravudrdi-chi ricordati xvi 8 a 27, chidti-chint
(*càtta-te-nde) trovatene ib. 28; sfadij-chi afifaticati xvii 2 a\
chi gi imbrazi che io ti abbracci xix (p. 321 pr. , cargn.).-
Quanto agli esemplari che si possano aggiugnere per il plurale
in t'i (tj e) anziché in ^5, avremmo imprima il sicuro infanch,
XVI 8 a 1, XVII 1 a 66. I Saggi spilimberghesì ci danno poi:
acc atti, capaci, k, face ib., vignuuc viduuc nassuuc ib., par^
tijc a, allato a tormentaaz disperaaz notaaz sfuarzaas me-
moraaz h (e cosi muarz mortes f, mortui h, tormenz p, k);
onde parrebbe avervìsi costante la figura nominativale nei par-
ticipj che non sieno della prima conjugazione, e costante Tobli-
' tJtgàs aizzati xvi 8 & 5, ò esempio tntt* altro che sicuro, la voce friulana
potendo dipendere dai Terbo semplice (-izzare) anziché dal composto.
^ alzz alj aglio, xv 13.
348 Ascoli,
qua in quelli della prima; cfr. Arcb. II 420. Pure, la cosa è
tutt*altro che certa ; poiché, a tacer d*altro, Tortografia di quei
Saggi ci dà il -eh in duch dinch tanch, tutti denti tanti, k.
118« 121 (513-14): ti paregle ''pariclat appariglia (Vassomi-
glia) xvii 2 e, cfr. Muss. Mon. 114.- Zegla n. L, app. 11, rispon-
derà a Cele Pir. 589. - È gfr = gl in grand xix b.
125. Son più esempj, nei sec. XIV e XV, del -r di -ór -àT
che taccia nel nome, sia ali* uscita nuda, sia dinanzi al -s del
plurale: seseledó luglio (mietitore) xiv 3, allato a seseladof
XIV 7 ; sirvidó xv 7 (fuor di rima; cfr. Arch. 1 516 n) ; signó xv 1
(ter), allato a signoor xvi 6; saròs (serór+s) suore xv 14; dina
e dinar danari xiv 3, dinas e denàrs xv 1; cameràs carne*
rarj xv 2. È -ó = -or = -ot?rj, in d-otò d'ottobre xv 1 (bis), al-
lato a d'Otòr xiv 8, cfr. Arch. I 529 ; ed è *u = -ùr = -vors in
indoli XV 1, cfr. num. 126^. Ma anche accenteremo, pressoché
sicuramente, dello mogli delta moglie xv 1 (bis), moglli ib. t5,
e sarà un esempio di -{ da -ir nel nome; v. muglir al num. 97.^
La perdita del -r di 'signor' si continua anche nel XVI: signu
3 a, 8 a 3, 67.
126^ : davòr qui non si afferma se non per il pordenon. davòur
A le pel cargn. devant-devóur rovescioni p. 318 (v. num. 46-56);
ma è frequente daiyUr: xiv 5 {daiir xiv 8), xv 2, 11 (ter), 19,
XVII I a 71, & 44, e pur cargn. p. 318. Di rs in ss sarebbe
esempio, non so quanto sicuro : diviéss diversi, allato a diviérs^
XIX cargn.; cfr. ib. scumé[r\tz e pie{r]dùt
180. Vigelm Vugelm Vulgelmin ecc. xv 1, Ugelmin xv 4;
suizzaa xvii 4 k.
' l documenti dei sec. XIV e XV in cui bì tace il -r di -dr ecc., eon tntti
cividalesi, eccetto uno che spetta a Tricesimo (XV, 14) Non accolgo in
questo paragrafo : fra fratello xiv 3, 7 (bis), malgrado frari che dura nel si-
gnificato di ^frate* e Tanalogia di otó = oto[y]ri. In tutti e tre i luoghi, se-
gue, o meglio si stacca, un di; e altro per avventura non si sarà voluto scrì-
vere se non fradi^ che d la voce friulana per ^fratello*. Circa la mancansa
della nota del genitivo che in due dei tre luoghi così resulterebbe, cfr. neoot
tnartin nipote di Martino, e altri esempj, nel secondo di quei documenti, ellissi
che ha la sua ragione nell'uso notarile del latino. Una lettera 4talianeggiant6*
del 1361, scritta a un charo fradelo udinese, dimorante a Trieste (Trgsto)^
porta tuttavolta la sottoscrizione Antonio io fra.
Annotazioni ai ^Testi friulani'. 349
137. Questo del -$ e il numero che implica, di continuo, più
questioni morfologiche, e di non lieve momento.
Dominis pistor, xv 6, s'aggiunge ora a Forlunàs e a un
altro esempio di Domenis, che ci occorrevano nel testo venzo-
nese (v. Àrch. II 448) ; e sempre si fa maggiore la probabilità che
in codesti esemplari si debban riconoscere dei nominativi fos-
sili. Altri importantissimi esempj sarebbero lu bus il bue xiv 4 ^
e lu lu8 il luogo XV 1 (cfr. num. 167-8). La forma dell'articolo
spetta sicuramente al singolare (cfr. p. e. xiv 6: lu plevan^
allato a giù apóstoli; xv 12: lu uiil^ allato a gliu dinars, gliu
qualg; xv 18: giù lens); e s'aggiunge che bos tutt* intero pas-
serebbe, come caso fossile, nelle derivazioni seriori, se corretta-
mente si legge, presso il Pirona: bos-àtt bos-ón bos-iitt (cfr.
Arch. II 423n). Nondimeno, non vorrò ancora mettere questa
bella serie di cimelj fra le cose appieno accertate ^
Ma dovremo noi reputare più certo l'esempio per il -s tema-
tico di sostantivo neutro, che or pare che si scuopra, e sarebbe,
per cotesta regione, il primo 1 Alludo a làs latus, che occorre
nei seguenti passi: dal las di sora, par del las di sot, xv 11,
ogni laas xvi 6 (229), d'un altri làs xvi 8 a 21 , dal las ib. 26
e b 14, in làs ib. a 67*, chel las xvii 1 b 10, dal so las 42,
' boi occorre quattro volte nel 7 del XIV, due in funzione di singolare e
due di plurale. Meriterebbe che Torlginale fosse riveduto.
' Sarebbe poi cosa avventata, almen per ora, 1* addurre senz'altro, fra gli
esempj nominativali, anche ehias capo (XIX (, cargn., p. 323), confrontandolo
col nominativali cctb^s chiés del provenzale e deU* antico francese. D* altro forse
non si tratta se non d*un mero sbaglio (cfr. ib. da chiaf a pets p. 320). Ma
air incontro confesserò, che io propendo a vedere una figura nominativale nel
frinì. curHss coltello. Questa curiosa voce risalirebbe così a curtiéUs (cfr.
prov. cùuUl'S). Circa Vie in ^ cfr. Arch. I 491; e circa il prevalere del -5
sul "U^ il iriul. fi^sufM Pir. 457 e tas in questo stesso nostro numero, e
ancora la pronunzia frane, fis z^fils =^ filiua, pur questo, come ognun sa, un
isolato esempio nominativale. Un nominativo fossile che s'appiatti in un nuovo
derivato, e perciò un esempio analogo a quel di bos-dtt ecc. che di sopra si
recava, riconoscerei finalmente in infamai (infant-s+àt) giovanotto, xvi 8 a
42, d 6, che sarebbe un caso affiitto parallelo a quello del tipo purtonjra (pur-
tant-8+a) ne* Grigioni. Vedi, per ora, Arch. II 423 n, e di piit nei Saggi la^
dini, III, 1, 2.
' S'aggiunge per questo secolo: d'ogni laas e par laas nella bella Canzone
del 1572, ristampata dal Leicht nella sua Terza Centuria.
350 Ascoli ,
di chest las e chel 51, dal laas xvn 2 d. Questa di Matus' nel
Friuli parrebbe cosi una vita nominale più rigogliosa e pro-
lungata di quella che egli avesse, sotto le sembianze di lez o
lalz, nelle Francie (v.. Arch. II 422). Ma qualche dubbio, e
tutt* altro che lieve, deve pur turbarci. Il testo venzonese ci
oflfriva a lat e dai las (v. Arch. II 442). Or dovremo noi am-
mettere che 4atus' vivesse a un tempo, e sotto la forma di lat^
nella combinazione preposizionale o avverbiale, e sotto quella
di l&$ nella funzion nominale? non dovremo piuttosto pen-
sare che il 'S di las sia d'aggiunzione neo-latina? Nella seconda
delle quali domande, si contengono due ipotesi diverse; poiché
potrebbe chiedersi se il -s di làs sia il fattore neo-latino di par-
ticole e in ispecie d'avverbj (p. e., nel friuL: domans di mat-
tina), non sia piuttosto il generale esponente del plurale \
Entrambe le ipotesi possono, a prima vista, parer singolari o
stentate; ma un fatto, il quale sùbito le lumeggia e legittima,
è intanto questo, che ^odt, per Uato' al singolare» sia dell'an-
tico veneziano, come resulta assai nitidamente dagli esempj che
seguono e provengon dalla Cronaca pubblicata dal Fulin
(v, Arch. Ili 245, e cfr. IV 367) : da V altro ladi 22N né da j
[un] ladi ni da V altro 32% da ogno ladi 45* ^ Nella stessa
Cronaca si legge ancora: non obstante che li Zenoexi da
nanzi e li Zenoexi che iera seradi in Cloza da ladi se affòr^
zasse cum bombarde offender le galle nostre. Qui da ladi
appare contrapposto a da nanzi, appare insomma un avverbio ;
e avvien di chiedere se V-i vi sia analogico, promosso cioè, contro
le ragioni della diversa base morfologica, daU'-t avverbiale che
pur nel veneziano risuona per es. in tardi e davanti, o se non sia
piuttosto V'i di plurale. S*aggiugne, del resto, che le ragioni
deiravverbio e quelle del plurale possono toccarsi e confondersi
(cfr. p. es. il friul. a-moment-Sf venez. ecc. a-momenti, frap-
poco • ; e DiEZ gn IP 457). Ma nell'ordine ideologico, è egli Vav-
' Circa Ids^ anzichd laz (-t+s), comunque s'abbia a dichiarare il -5, ▼. Arch.
I 517.
^ S'aggiunge, ia un'annotazione a 11*: meso el quinto 2adì, messo al quinto
lato (lato, pagina, Ful.).
* Si noti in ispecie: di domans fine a di seris da mane a sera xyi I (cfr.
Annotazioni ai *TmIì friulani'. 351
verbio od è il plurale che men difficilmente riesca a venire, in
un caso di tal sorta, alle funzioni di sostantivo singolare? Par
manifesto che sia Tavverbio. Si consideri, a cagion d'esempio,
il friul. a-menz adamenz (ment-s), formazione avverbiale che
dice *a memoria' {impara a menz ecc.), ma che poi in ve a
menz (avere a memoria, ricordarsi), e simili, riassurge vera-
mente alla funzione di sostantivo e di sostantivo singolare \
Similmente potremmo porre:. a-Za^^, da las, da ogni las ecc.
Ma e questo, e qualche altro fatto congenere, domanda ancora
nuova luce di notizie e di studj'.
Ben sicuro stimo intanto un esempio d*altra specie pel s
d'uscita neutrale, e nuovo anch'esso. È mens = mi nus (prov.
mens^ lad. e ant. frc. meins ecc.), che occorre nei seguenti
passi: mens é sot men quattro soldi xv 13, mens sol. V, xv 14,
un ducato in aur mens soldi 40, xv 17, mens soldi uno, xv 20;
mens di ce xvi 6 a (p. 231 pr.; il significato non m'ò ben chiaro) ;
par lor mens mal xvi 8 a 23 , fh&s mens fé 21 , ne mens
sinti ib. h 2, pò mens 6; vee 'l mens avere il meno xvii 1 h 31,
mens fuart 44, né mens maiór xvn 5 a var.
Si vede che anche Tuso di codesta voce mal consentirebbe
di supporre nella sua desinenza il -s neo-latino fattore d*av-
verbj; ipotesi che sarebbe all'incontro stata ammissibile, e pru-
dente, quando non si fosse offerto alla nostra osservazione se
non il -mens del composto almens almeno xvi 8 a 2, 59, xvii
3, 5 a, h. Un avverbio in -s, che manca al Pirona (ma che
sere e doman xvi 8 a 44). Qai ancora tralace schietto il plurale. Ma domans
diYonta schietto avverbio: uè domans oggi mattina (Pir.)*
' y. PiB.- Nei nostri testi: no dei a^menz non diedi attenzione, xvn 1 ò 26:
e in rima: ve ben ininiment ricordar bene, zvii 5 t.
' Un caso al quale or si presenta molto analogo questo del friul. Ids^ ant.
Yen. ladi^ entrambi in funzione singolare, ò quello del friul. fong (fond-s), il
fondo, allato a fondi^ fondo, di qualche odierna parlata veneta, che ha il suo
riscontro, come tosto vediamo, in un'antica scrittura (v. anche Arch. I 437
e IV 367). Dovremo noi rinunziare, malgi*ado le continuità storiche e geogra-
fiche, a vedere in fonz un nominativo fossile (v. Arch. II 423 n), e pensare a
un anello avverbiale come a^fonds in-fondsì L* antico esempio, a cui allu-
devo, sa appunto d'avverbio r^andeoa una ora a fondi (Trist.). Il Canello pro-
pendeva, un tempo, alla sentenza che fonds e fondi fosser plurali, e s'ado-
perava a legittimare il trapasso del numero.
352 Ascoli ,
dee pur vivere ancora in qualche parte del Friuli), è, tarz =
tard-f-s, XYiH a in f. (porden.). Di tas, tanto, dice giustamente
il Pirona medesimo che fosse in uso frequente fino al tempo
d'Ermes CoUoredo (sec. XVII), e non sarà superfluo che ora in
nota si raccolgano gli esempj che ne sono offerti dai Testi'.
Ma circa la ragione etimologica di questo tds, mi par molto
dubbio che vi s'abbia a vedere tant^s. Malgrado il moderno
tan = tant, che il Pirona ci mostra, mi par difficile, e senza
esempio, che taccia, neirantica forma, tutto il nesso nt. Sarebbe
come supporre un ment-s o menz che si riducesse a mes. Al-
l' incontro non^ presenterebbe alcuna difficoltà la riduzione di
ial'S a tds (cfr. la n. 2 a p. 349, e anche ti5 = *vuls vuoi); e,
nell'ordine del significato, ognun vede che 'talmente' si tocca e
si confonde con 'tanto' in quant'è avverbio. S'aggiunge, in fa-
vore di tal'S, che questo è uno degli avverbj in -s che real-
mente occorrono anche altrove {csLtal.tals)^.
Non lasceremo questo numero, senza permetterci un'altra bre-
vissima punta nel campo morfologico, a proposito di 'uni une'
per 'alcuni alcune', o quasi per articolo partitivo, come avvien
nello spagnuolo, caso perciò ben diverso da quello di vuns ckulg
atris XV I e 6, dove anche l'italiano direbbe 'gli uni cogli altri'.
Agli esempj che il testo venzonese ci ha offerto (Àrch. II 442),
' Beco gli eeempj : tas lampizxant e bielle^ tas conUnr^ xvi 6 (p. 229 pr.,
230; allato a ton plui contente^ tant chi sai^ p. 231, e appunto in questi due
luoghi non couTorrebbe 'talmente*, e ci vuole ^tanto*), tas famoos xvi 6 b (al-
lato a ha tant slarcghiaat la maan; e dello stesso secolo, nella Canzone già
citata in n. a p. 349 : tas famose allato a tant sanguinose e tant potent)^ si
tas chu /ut, tSs viéli^ tas trista xvi 8 ò 4, 12, 13 (cfr. tant ib. a 19, 45), ben
tas inant xvi 8 a 50 (qui per vero ci vorrebbe proprio ^tanto* e non *tal-
mante*}; tasjur dilette tanto li diletta xvn 1 a 69, tas bielle ib. 72, tas discu-
viartj ih»b 11, 26, tas contente ib. 15, chiarjare tas caro era tanto ib. 18,
tas lontane ib. 20, tas mal i lave tanto male gli andava ib. 21, tas plui ib.
36, tas rat ib. 39, saioi tas e ardit ib. 44, taa tormentàt zvii 5 a (var.), tas
poc ib.; chu luus tant tas che riluce in tanta e tal misura xva 2 &, ed d
una combinasione notevole. Ma piti notevole ancora:
Qoal chu vali plui tas jo stoi sospees
la belezze o la bontaat ch'havees,
Squalo valga di piii (più tanto?) io sto indeciso*, che ò nel già citato componi-
mento del Sabbadini, insieme con buine tas buona tanto.
Annotazioni ai ^ Testi friulani'. 353
or dunque si aggiungono : d-unis chopis e d-uns chiandilirs et
de unis impólis xiv 10, per uns furimegl per alcuni forni-
menti, ib. Un testo italianeggiante del sec. XV ci dà analo-
gamente: d'uni porci) (p. 333 pr.) d'alcuni porci (^porcelli')*.
150-1. Un buon esempio di ND in n, è slnix sindaci, xv 14;
ed ha conferma dal dialetto dell'ant. Trieste (v. III).
154. Di -n = -M che resulti all'uscita, sarebbe iftiportante esem-
pio Von ( = om uomo) venuto a funzion pronominale in chi on
la dehés méti xv 1, che altro pur non deve dire se non 'che
si dovesse metterla'. Nello stesso documento ò poco prima: che
si^dehés tigne,
156. MN: cfr. incondegnàt ecc. xiv 8, e Arch. I 520 n.
167^*: seiont avv. xvi 1 (bis), ordìn. 6, seiont a seconda xvi 6 a,
seioont ordin. ib. &; ma segoond avv. e prep. ib. a, e segoni
avv. XVI 8 a 3, 63, 71.
167-8. La serie si compie bellamente per gli antichi esempj:
fu fuoco XV 1, ?w luogo XV 2: in bon lu, puesto in lu chi...y in
quel lu chu vul, e 11 : m ?u det lu ;- cfr. lus al num. 137". —
Poi s'aggiunge J9ani panico (v. p. 338); laddove l'odierno pante^r,
Pir. 504, è 'panicium' anziché 'panicum'; e ài pani si può chie-
dere s'egli vada nella serie di ami ecc. (tose, panico)^ oppure
in quella di salvàdi ecc., poiché i dizionarj latini metton pd-
nìcum^." 11 nome di persona ^Odorfco' ha ancora la sua gut-*
turale nel testo venzonese: Durich* \ ma ne' nostri documenti:
Sant' Adori xiv 2, Ser Udurli xiv 3, come Fidrl xv 1. Cosi
' Ancora sia qui notato, come fenomeno non affatto privo di qualche va-
lore istorico, r aversi ne* testi Itallaneggianti il plur. in -t di feminiii della
prima, e vuol dire la forma friulana appena sfrondata del ^s (cfr. Arch. I
518-9 n, II 405, IV 362 n; ecc.): ly fesH^ de candeli, 1 ; femini li quàli^ li po-
veri femini^ 8; menary mendrii mannaje, li gracij vostry (bis), 11.
' I doc. XV 1 e 2 son cividalesi.
' Ma quale fondamento ha poi questa tradizione lessicale ? Non vedo che si
citi alcun esempio nei verso o alcuna testimonianza d*aBtichi grammatici ; e
il tose, panico e il mil. panig^ ci portano entambi a paaTcum. Lo spagn. e
ven. panizo^ il fri. paniz e anche il frc. panis^ rivengono a ^panicinm'; e se
non possono far prova per Vi di panie um, pur lo favoriscono.
' rizut (ricevuto) per Durich e Dumini, Ma Indrj Indri^ in quel medesimo
testo, anzichò andare con Indrée Andrea (Arch. II 442), rivengono qui, e deb-
bon valere Endrico Enrico.
354 Ascoli,
la gutturale si regge ancora in LauzàcxiY 7 (bis; oggi Lausà
stando al Pirona, 606, Lauzdc tuttora stando al Joppi); ma
già manca in Laypà xv 14, Montegnà ib. (bi8)\
173. Numerosi gli esempj di seni sente (san et- saint- senU
Y. Arch. I 457, II 441). Qui ne diamo quelli, che portino seco
il loro pieno accento : la di d-ogna sent xiv 4, viners seni xv 2,
la vilia d ognisent 14, senz e sentis 16, di sent xvi 2 &, dei
siee senz 6 a, aghe sente xvi 8 & 2. Oli altri releghiamo in
nota*.
173. alleri xix 6 cargn. , ma alegri xvi 8 a 41 , alegro f., xv 7 '.
189-90. siél *sijél sigillo, xv 1; cfr. nuni. 230.
200. dr = TR in vyedri e miedtn, v. p. 337-8 n ; col solo r :
indirer 'in-de-retro' xiv 1, voce forse non indigena, oltre il
solito fraris frati xvii 6 (ter), xvm 3-
224. spirt XVI 8 6 15 (bis), xvii 6 (ter), hlasm xvii 1 a 66,
mert sost. xvii 6, cfr. num. 23, lartz larice xix a.
227. 229. Di a prostetico sono esempj a p. 334-5. Di 5-: spiéz
petti XVI 8 a 26, 40, secondo la traduzione del Joppi (p. 340) ;
schortès scurtisie ib. 16, 79.
230. Frequente nei documenti dei sec. XIV e XV, negli udi-*
nesi in ispecie, un g {g, j) che s'interpone, o dopo o prima
dell'i neiriato. Cosi avremo, almen nella scrittura: -i^e -iga
' Pur Fregeld^ in quello stesso docnmento, ma non vedo se debba qui stare.
' sento Mario XV 2 pass., senta Lucia 11, senta Maria II, /a sente corone
15, sente Marige 18, de sente Trinitat xvi 6 a (santa Maria XIV 7, sante
Katarina XV li, sancte Maria^ sante Maria^ 14, santa Lena^ santa crose^ se^
timana santa^ 20);- sent Lumini^ sent Filip^ sent Dorata sent Martin^ XIV
3, sent Cancian, sent Marc, sent Michel bis, 7, sent Jachun e Filip 1],
sent Pieri XV I, sent Pantaleon^ sent Pieri^ sent Dumini^ sent Donata sent
Michel^ 2, 3 bis, sent Dumini 4, sent Pieri 5, sent Zuan^ sent Blas^ 6, sent
Mori 10, sent Jacum 11, sent Francese bis 13, sen Grior 14, sent Marlin
15, sent Gervas 18, sent Pieri ^ sen Martin XVI 2 b^ sent sermoon 6 a,
sent Laurinz 7, sent Jeroni 8 ft 12 {sant Adori XIV 2, sant Jacu 5, sanct
Donai bis 8, sant Jacum XV II, san.,,. XVI 5). Nell*Appendice: sent Stefano
e sent Sciefin^ allato a sant Martin^ 11. E si ricordi finalmente: seuegneli,
p. 340.
* S^agginnge Ieri nel componimento rimato deirudinese Sabbadini (sec. XVI):
Ch'avees la yite el zij pln chu mai Ieri,
'che avete la vita e Tandare più allegro che mai*. Nello stesso componimento
è il femin. légre^ in rima anch'esso (cfr. légri ligrie^ Pir.).
ÀnnolazioDÌ ai ^ Testi friulani'. 353
da 'ie, in d-Ungarlge d'Ungariga\ signurlge, usttrige, xv 3
(ustiria XIV 12), sente Marige xv 18, bichirtgis xiv 9;- sto^
riga storea xiv 8 (storia xiv 12), cópigis copie xv 3, vlgijs vie
XV 11 (bis); e qui (li certo spetta, oltre romànige^ un vino xv
3, pur domenige xv 18, malgrado l'apparenza etimologica del
suo^ (cf. Arch. I 521) V L^ortografia ò diversa, ma il fenomeno
sarà il medesimo in cintùrge (od. Qxntùrie) cintura xv 13, o
in chorgdm corame xv 6 {coreian xvi 8 a 18; cfr. Arch I 504).
Più strano ò fiergis de la chavala ferri xiv 7, poichò non si
vede che esista un sing. ^flér-ie', e neppure, in questa regione,
un verbo Un-ferri[c]are' (cfr. inferadis in quello stesso docu-
mento). Ancora si notino lis gallegis^ li galegi, le galee, xiv 8,
Meginardo Mainardo app. 5, e spendegy spendei xv 3 (pass.)^
diegy (cfr. diey xiv 8) diedi ib., pagagy ib., e sin dogy per
'doi* due, ib. Pure in d-arigint d'argento xiv 5, xv 13, sarà
falsa l'apparenza etimologica del j^, e vi avremo una rappre-
sentazione d'ariint (cfr. xiv 10, e Arch. I 526 491). Mi resta,
non chiaro, churHgiduris xv 13, cfr. p. 335.
Di SR in str ò esempio importante iestri essere, anche per-
chè ci fa sicuramente risalire all'età in cui l'infinito ancora
manteneva l'antica sillaba finale. Ricorre nei doc. che seguono :
XIV 8, XV 1 (quater), xvi 8 a 10, 16, 48 (bis'), 56, xvii 5 e;
allato a iessi xvi 6 pass., xvi 8 a 6, 9, 28, 33, 75, xvii 6, ecc.
L'epentesi di l nel noto esemplare /?odr^ xv 17, inflodrà xiv 5;
cfr. Arch. I 533 n.
233^ S'aggiungono, per l'epitesi qui descritta : leni legno xv
18, terent ib.; quintregiambit contraccambio xvii 1 & 14; e si
riproduce térmit xiv 7 (bis)*. Tlanc', piano, si riproduce
anche nel verbo aplanchà xiv 5.
' Per ga ecc. che si debban leggere ga ecc. oja ecc., cfr. si garin xiv 8
(p. 196), che dovrà pur leggersi sijarin s'erano {no iarin xv 6), e gim giu-
gno XV 13 (iung xiv Q^jugn xv 14), gul jalius ib.
' Anche sigél sigillo xiv 5 potrà forse qui stare; cfr. siél nì^m, 189-90. -E
giova qui ricordare anche gli* es. di je^ in gè- gi'^ che sono al num. 28 I.
' 11 secondo esempio di codest* ottava à in funzione di sostantivo, la quale
si fa più notevole nel seguente verso del Sabbadini (sec. XVI):
Al non è dipentoor ciart in chest iestri,
*non v*ò di certo pittore al mondo (non v*d in quest'essere)*.
^ Non va confusa con cotesti esempj la particola /infe, infinte^ xvi 8 a '54,
42, e tergest. finta Vam passa Main. 95; cfir. p. 336.
356 Ascoli,
235. Uno splendido esempio ora s'aggiunge per l'attrazione
àeWu. Poiché Vob, che ricorre tre volte nel 3^ doc. del sec. XIV
(Civid.), altro non può dire se non 'ebbe* : aube = habuit. È, per
qui limitarci a un solo e facile riscontro, il correlativo dello
spagn. hube hubo; cosi come lo spagn. supe supo (prov. saup)^
seppi ecc., trova la sua risposta nell'ant. venez. e lomb. sope,
Arch. Ili 267 n. — Per l'attrazione dell'i, v. aybut ecc. num. 93;
e si confermano: ràibe xvii 1 6 21, raibós xvi 8 & 8, xvii 6 n.
-^ ♦-
3.
Ultima appendice ai 'Testi inediti friulani' non parrà inopportuno
che ora si ponga una modesta serie di cimelj tergestini, cioò di
reliquie, piti o meno antiche, di quella varietà friulana ch^era parlata
a Trieste e non poteva far mostra di so nella collezione del Joppi.
I Dialoghi 'tergestini' del Mainati, sola fonte a cui i dialettologi
avessero potuto attingere sin qui (v. Àrch. I 479), apparivano come
un anello divulso dalla propria catena, non solo neirordine dello spa-
zio, ma ancora e piti in quello del tempo. Nulla si conosceva di co-
testa varietà friulana che fosse anteriore ai Dialoghi o li seguisse;
e anche poteva parere alquanto singolare, che a cosi breve distanza
da noi, cioò nel 1828, ancora desse un saggio cosi sicuro e abon-
dante della propria vita un vernacolo che pochi anni piti tardi si
sarebbe spento e come ignorato. Sorgeva perciò abbastanza legittima-
mente, massime fra i lontani, un qualche dubbio che forse c'entrasso
un pò* d' illusione nell* attribuire senz'altro quella parlata alla vecchia
Trieste; e se l'esame un po' accurato dei Dialoghi stessi e dei dia-
letti o dell'istoria dialettale delle contrade circonvicine, di Maggia
in ispecie, pur toglievano forza a ogni sospetto circa Tautenticitày
piena e perfetta, dei saggi del Mainati, e se insieme s'aggiungevano,
per coloro che non sono estranei a quelle terre, testimonianze tradizio-
nali ben valide che raffermavano il carattere friulano della vecchia
Cimeij tergesti ni. 357
favella di Trieste, è tuttavolta una cosa molto bella che ora si possa
largamente risaldare nel tempo codesta friulanità della novella re-*
gina deirAdria.
Di ciò i dialettologi debbono saper grado, non già al direttore di
questo Archivio, ma alUab. Jacopo Cavalli, Fautore benemerito della
Storia di Trieste^, Nella quale essendo accennato alle scritture in
cui si contengono i cimelj dell'antico parlare tergestino e anche dar-
tene un qualche saggio (p. 158 e segg.), V Archivio glottologico se ne
fece molto ghiotto; e Tegregio uomo s'è tosto compiaciuto di fargli te-
nere i preziosi suoi spogli, ed anche la copia integrale di qualche do-
cumento o squarcio, come ora in nota a parte a parte si vede^. Di
codesto materiale or dunque ci gioviamo, incastonandolo partita-
mente nel quadro che anche per la varietà tergestina era preparato
nel primo volume àeW Archivio) alle pagine del quale pur qui si ri-
' La storia di Trieste raccontala ai giovanetti da Jacopo Cavalli, Trieste
1877.
' Alla descrizione di codesti spogli o documenti, aggiungo rindicazione del
modo in cui son citati nelle pagine che seguono.
1. Estratti dalla *Vieedomineria\ a. 1325-1466; si citano per Fé il num. e
foglio del volume.
2. Estr. dal ^Banchus Maleficlorum* , a. 1327-1500; si citano per If e il
num. e foglio del volume. La corrispondenza fra i volumi e gli anni, ò que-
sta che segue: I 1327, II 1338, VI 1354, VII 1350, Vili 1350 e 1381, IX
1384, X 1401, XI 1445, XII 1473, XIII 1487, XIV 1406, XV 1500.
3. Estr. dai *Camerarij\ a. 1330-1550. Si citano per C e il num. e foglio
del volume: I 1330, II..., V 1366, VII 1387, XI 1426, XII 1440, XIII 1440;
poi per C, l'anno e il num. del H*egim.*
4. Estr. dai 'Testamenta', a. 1342-1485; si citano per T e Tanno.
5. Dal 'Liber Reformationum', docum. del 1413; si cita per R.
6. 'Nomi antichi delle contrade della città e del territorio di Trieste, tratti
dai manoscritti deir Archivio diplomatico*. Questo copioso e importante spo-
glio deirab. Cavalli, si cita per ctr,
7. Squarcio degli 'Statuti' del 1421; citato per st.
8. 'Lista di patrizi e plebei, coi loro sopranomi', d'intorno il 1550; citata
per L.
Inedite tutte queste fonti, tranne il num. 7, pubblicatosi nel 'Codice diplo-
matico istriano' (donde qui si cita anche un doc. del 1467), e tutte nell'Àr*
chivio diplomatico triestino. S'aggiunge ancora:
0. Un sonetto del 1706, riportato dal 'Caleidoscopio' di Trieste (anno quarto,
1845), qui citato per son.
Arohivio glottol. ita!., IV. 21
358 Ascoli,
manda con la citazióne che segue, senz'altro, al numero correspettiTO
degli articoli.
Non hanno tutte le fonti, alle quali qui si attinge, uno stesso ca-
rattere dialettale; ma anzi si diyariano non poco, secondo la loro
ierffestinità piti o meno spiccata. La corrente veneziana, che fini per
assimilarsi la tergestina o friulana, prevale intanto, pure aWecchi
tempi, nel linguaggio dei cancellieri, in quanto esso non sia addirit-
tura latino; e cosi venezianeggiano grandemente o letterateggiano
le fonti che nella nostra nota portano i numeri 2 (M), 6 (R) e 7 (st).
Duole che questo sia in ispecie della prima, nella quale abondano le
intiere frasi vernacole, dove nelle più genuine ci riduciamo a poco
più di meri frammenti. Cosi quella 1 fonte (M) non dà pure un solo
esempio per l'una delle due più spiccate caratteristiche tergestine o
friulane (v. il § 160-65), e ne dà due soli, e entrambi adulterati, per
Taltra (§ 137: -ìs di plur. femin.). Tuttavolta, qualche utile elemento
si raccoglie anche dai filoni men puri.
Ma poiché nella stessa Venezia, quando risaliamo a una certa an-
tichità, riabbiamo dei caratteri che son friulani o coi friulani coin-
cidono (cosi per es. il -5 di seconda pers. sing., o il tipo kùdeg iu-
dig giudice*), ne consegue che debba incontrarsi qualche difficoltà da
chi aspiri a una continua distinzione fra quello che nelle antiche
scritture di Trieste provenga direttamente dalla fronte friulana e quello
che vi arrivi per la via di Venezia. Nondimeno, acuendo un po' lo
sguardo, ritroveremo che i dubbj, dove pure in qualche parte si reggano,
non portino un vero disturbo alla dimostrazione cui s'attende. Cosi
nelle serie o per una parte delle serie che son considerate ai §§ 87 ecc.,
e 114 ecc., ben v*ha coincidenza fra Tantico veneziano (o veneto) e
il friulano; ma son fenomeni che in Trieste si continuano integral-
mente sino all'età del Mainati; e perciò, così nella loro insistenza
come nella loro estensione, attestano una vitalità maggiore di quella
che da Venezia potesse rifluire sopra Trieste, o, in altri termini, fanno
testimonianza che nella region triestina fossero e durasser più co-
spicue, che non nella veneziana, le proporzioni del substrato ladino
o friulano.
La stampa distingue, col carattere più minuto e le righe più brevi,
quanto giovi notare di propriamente veneziano (proprio cioè doU'an-
* Vedine Arch. I 448-73 (420-33), III 252 266.
Cimelj torgdBtiui. 350
tica Venezia) in codesti documenti dell'antica Trieste ^ E insieme si
mira a distinguere qualche importazione *istriota\
9 (485, 486-7, cfr. Ili 258): bandéria C pass. ; cfr. num. 18-23.
10.67 (487). ALT ecc.: 'centrata Ri vaiti' Rivu-alto Riv-
-auto Rivu-aut ctr., ed ecco a Trieste il 'Rialto' di Venezia {riau^
lo, V. Arch. I 473); 'qui fecit mautam C I 53»; 'Valderivi Bal-
darivi' Valderif Baudariu Bauderiu ctr.; Bando Ubaldo (cfr.
Arch. I 473) V pass.; 'et fauces feri', falci, M vi 49^ 'Calcara'
Chiauchiara ctr., 'Alberi' Alber (Albér?) Auber de-Aubert
ctr. ' ; - poltron poutron M vii 44*.
23 (489, 491): viénari bis C xii 26^ {venere ib. 17»).
miédego C 1537 III, liévor L, vitupieri M vii 98';- non te timo
Cd. dipi. istr. 81 lugl. 1467, cfr. Arch. I 442-3 n, IV 343.
28 (490, 491-2). I. biei belli C xii 92^ Tome Chiastiél T 1474,
Fontanellis Fontaniellis ctr., Farnadiél ctr , 'ctr. Isella, Di-
selle' Disiellat Liguselli -usiei ctr., Musiella ctr., Chiampi-
delis -diellis ctr., 'ctr. Pradelli' Pradiél; Zanfaniestris ecc.
ctr., Salviestro C xii. IL a tiemene [sic] a termine M xi
147^ san Siarz Sergio ctr., cfr. s. Marie de Seris e de Sia-
ris ctr. III. riendém rendiamo son.
I. barcha viecha C xiii 130% cfr. Arch. I 454-5. III. tnndi
vendo bis M ii 8% si die vindj si dee vendere xi 83*, vindtida
st., singa senza M xi 168^ e altrove; cfr. Arch. I 434 n, 443 n.
18-23 {492-3): pleina M vii 98», Vena Veina ctr., 'ctr. Arene
Reyne Rene', 'domina Ley na' T 1466, santa Leynaciv.; Valese
'leis ctr., Marzes -geis ctr. ; caneiy farnei, C xiii, caneto, far-
neto, come traduce il Cavalli, e con questi andranno: Slerpey
sterpeto ctr. (centrata Sterpeti, Sterpey), Cerrei cerreto ctr.
' È un accenno storico in questa minaccia: e si io fosse denangi lo doxe,
io li diria,.. M x 73^(1401). Si tratta d* un' imputazione, che deve riferirsi
al periodo in cui Trieste era soggetta a Venezia. — Degli screzj fra Ter-
gestini e Slavi, ò testimonio l'uso dileggiativo o anzi ingiurioso dei nome di
•slavo': M xn S0\ xni 65\
' Cfr. 'Carbonare* Chaubonare ctr. - 'De aulenaro' C II 136^ de aulenar
C 1543 II, ci conferma la ragione peculiare di codest* esempio, Arch. I 487.
360 Ascoli,
(contrata Cerreti, Correi; anche nel tarr. di Muggia), Rivicha-
stegnei Redechiastenei (contr. Rivi de castagneto)^; voy me
avey ter M ix 70», .., e no voley ib. ; treij C xi 40% 48\ ven-
titrei son.;- mugleir mogleir M ii 8% iv 47**; vein vieni! v
71\ hein xii 102* (e cosi occorre, come nome di famiglia: Del
Beine = Del Bene) ; stadeira, allato a stadiera e staldiera^
C XIII 139».
56 (496-7): I. nuestro nuestri son., cfr. Main. 96, 97, 109,
113, Cologna Coluegna ctr. IL 'contr. Rivistorti Ristorti' Ri-
Stuart 46-56 e 61 (497-8, 500) : de foura C xiii 4b\ pou = pò
(può) M VII 132» e R; goufa M xv 247*;- villa santa Craus ctr.,
Zùstol de santa Crous C xiii 86».
fuora M vi 36*, che tu può x ldì\ fazuolo xv 53^ de nuovo^
muodOy C XII 56*; Qriguór M xi 157*; lo muol il molo C xii
88* (bis) e C 1543 P; tuo tuo, to', prendi, M xi 16P, li tuo
toglilo XV 53''; e anche suo giti (ven. zo) xii 61*, e sin rudvol
rovere C 1537 II (rovolo C 1541 III). Off. Arch. Ili 249. —
Maistro Aulxf C xii 59*, cfr. Arch. 1 505, e a formola tonica:
denante la paurta de Riborgo T 1485, e una contrada ciamada
' S*aggtuDgono, meo chiari: contr. Bpinoleii^ Spinolei] eontr. Sterneti -n€t;
contr. StelUi 'lei.
^ A proposito di questa forma, mi sia lecito avvertire che d un pò* strana
la sicurezza con la quale senz'altro si dichiarano dal lat. móles: Tit. molo^
sp. muelle, ir. mòle (cfr. Diez, less. s. molo). Già sotto il rispetto morfolo-
gico, vi sarebbe la difficoltà, tutt* altro che lieve, del doppio tralignamento
della desinenza e del genere. Ma nell* ordine de* suoni, saremmo poi a un com-
plesso d* anomalie, poiché T italiano dovrebbe darci tnp^-o e lo spagn. mol-o
e la base frane, non altro che mol o tneul. Ora io qui non intendo di risol-
vere, con poche parole, codesto problema abbastanza complicato ; ma pud es-
sermi concesso di notare, che un*antica base nominale mòl-io (cfr. per ora:
dolio allato al verbo che nel paradigma popolare fa alla 1. pers. pres. dol-jo;
volta allato alla I. pers. pres. che in quel paradigma è vol-jo) darebbe
insieme buona ragione, così deirit. molo (cfr. glgria ecc., e per il dileguo
delPt: somaro ecc. e vangelo)^ come dello spagn. muelU (smuélje, cfr. per
r-<: miege ecc. Arch. I 78 e Tant. sp. sage := sabio). Ma il fro. móleì Sa-
rebbe singolare che dovesse andar disgiunto dalla voce it. e dalla spagn. ; puro
ò manifesto, che mòle risponderebbe correttamente a modulo-^ cosi come
róle risponde a rotule*. Ora c*d appunto un basso lat. modulo- nel siguif.
di *molo* (v. Du Gange, s. modulus, moles, molum).
Cimelj tergestini. 36 L
dettante la puarla ctr. ^ Circa vujo voglio M xv 64**, huj
uova C XIII 40^, cfr. Àrcb. I 445 n,
68^ (501): Chulau Colau Nicolò C xii 23», C 1536 11,1541 III.
71-72, 76 (501, 503 A) limbasedór C xi 48»; inchóna C1539 1,
indrona C 1542 I e altrove (Maio.: andrena 69); siridura C xi
44», pilligàr C xin 149\ Piligrin C 1538 I.
87-8. 92 (506-7).
Pieri C 1541 III, Pauli C 1540 II;
palasi sing. M ii 8», 47\ C xrii 50», servixi sg. C xi 51»,
saroixi xii 26», Antoni M xi 157\ el so salari C xni 14», vi-
chari sg. C 1541 III, cimiteri ctr.;
luij (anche lugo) luglio C xr 48», fameij famiglio M xi 76^, lo
fi figlio C 1541 III;- Zorzi C xii 115^ Ambros ib. 26»;
mes mese C xi 44», mess id. son., palés M viti 166», tamis
'tamisi' stacci C 1541 III, vis M viii 92», Trevis C xn 56», zos
(ven. ióso giuso) xi 44*, grazios xi 44^ raìnos L, pedeglòs
pidocchioso L, ros C xiii 58», sgl tignés scegli tenesse L, s-el
fos M VII 106^ cAe jo fe des ih. 109* (cfr. n. morfol.); farà so
cors M IX 30»;
dies dieci C xi 48», óndis L, un(2t> C xi 40* (ali. a diese),
dòdis trédis qulndis ib. 40», sédis ib. 48», 55», làris larice
C 1539 I, iùdes fùdis M vii 55», 106», iùdis pi. R. pass.; ci-
rieof pi. (?) C XII 71»; habitadrfs bis st., pa« C xni 10*, plas
piace R;
braz L, mu^toz L, tavolaz C 1538 I, «o;a? sozzo M ii 7P;
mez L;
cimiteri de san Francese sancti Francisci, ctr., Frances de
Venezia C 1541 III; s. Mare, 8. Hoc, C1541 III, doy ione bis
C XI 48;
ho Ux 73*, iiltem C xi 44*; tuto el gior C 1544 I;
soldi dixinou C xi 44», ou uovo L (pi. huj C xiii 46»), pr^-
scriv son.; Codróip C xm 60», Codroy xn 116*;
san F» Vito C xii 22*, 86*, ctr.; brut M vi 50» (bruto ib. 55»);
adi sora dit C xi 40», 49», Monte sconfit ctr., de lo matt M xi 37» ;
• Mainati: puarta de Riborgh 63» 64, pudrta 72, 79, 101, cfr. mudrt ib.
98; ecc.
^
302 Ascoli ,
IViest M VI 36\ ix 36^ (bis), R pass., st , Tergest ter M x IS*
{Trieste ib.); agosi C xi 42*, ser Zust ib. 42*, 44'; pugulent
M IX 35*, luogotenent st., C xi 48'*, Pinguent xii 87^ Sotamont
ctr., *Martiusius (?) pÌQol-infanV V viii 220»;
wn 50?^ M VII 109^ manigold ix 35*, Arnolt bis ix 56* m
Zo g^ran^ consejo bis xi 126**, [sapian^ Za w^anpa st.].
9* (508): idó *aidó bis C 1542 I, cfr. iudó C 1544 L
97 (509). L+I di pi.: liaij leali C xi 52^ badij allato a 6a-
di7/, C 1543 I.
106 (512): stagiem G 1544 IIL
114-22 (513-15): clave M xi 157^ 'Clugia fons' ctr., 'mi-
chael fferclar'V ix 122^ Zuam SchlafC 1548 1 ; glesigs chiese L;
opZi L, pedoglo T 1465, pedeglós L;- 6rZafa ctr., ^matheus de
inglerada' V X 29';- pZa^ (allato a piaserà) R, plàdena C ii
45*, pleina piena plenia M vii 98*, ix 52*, vii 66*, pZuy ix 30*,
pluiRfPlusor volte M XI 163* \' ^domina bellaflor' n. d. donna
V IV 241*;- blanchaflor id. V xx O"*, ^unum guardacuor de
hlanchet' T 1488, Jacho Blanc C xiii 43*, 4acobus de la blonda'
V XI 26*, [la hiestema C 1548 II].
137 (517-19).
Sopravvive qui di certo, in alcuni nomi di vie o contrade»
pur qualche -s di plur. mascol. ; ma non più inteso, sin da que*
tempi, come fossile, e perciò foderato di nuova desinenza nelle
forme raffazzonate alla latina: 'centrata Melarsii' e Melars
(friul. melar melo); 'centrata Gadinsij', Chiadinj Chadin Ca--
dins\ contr. Corniglin Curniglins^ Murtisins, Punzinins; e
vedi ancora più innanzi, in questo stesso numero.
Per V'i'S di plur. femin., abbiamo: glésigs chiese L, fant de
chópis L, *Ciprianus de lis-moUs' M v 86** (bis), vi 3\ 'Mari-
nus de lis-bestiis* V iv 76^ 'Cantius de lis-fontanis' xix 113*,
'Justus de jarbÙQulis^ delle erbuccie (cfr. friul. jerbiigis bie-
tola da erbuccie) xx 31*. In -a-s: putdnas puytanas^ M vni
164^ 165* \ Ancora s'aggiungono in -t-^ i seguenti nomi di
* È il -5 male appiccicato dallo scriba Teneziano o veneiianeggiante. -
Plural feminile non appena spoglio del -$: doi maneri mannaje (?) C 1541 III;
Y. qui sopra, p. 353 n.
Cimelj tergesiiui. 3C3
contrade: 'Contrata Bende', de li Berdis, lis Berdis; ^Calvule'
Chiarvule Chiarvulis; Fontanellis -niellis; Giarizulis; Vuar^
dis Quardis (^centrata Guardisij'; v. sopra); Planegis\ Sca-
nuelle Scanuellis (e pure Scanuellas)\ Sesfontanis Se fontane
Sefontanis ; Tivargnulis ; Orsenigo Ursinigis e Ursinins (cfr.
Urginlns Urcinicco, nel Friuli; Pir. 633); *fons Zanfanestras'
Zanfanieslris; 7on3 Zudecharum' Zìidechis (la Zudeca di Ve-
nezia). E fra le contrade di Muggia: 4n loco qui dicitur la vai
de li monigis; e Scontrata sonaglis\ che pare pur questo un
esempio di plur. mascol. (cfr. friul. sunàjs sonagli).
Quanto al -s di seGoada persona, la qualità e l'età delle scrit-
ture da cui proviene la maggior parte degli esempj (M, 1354-84),
già farebbero inclinare ad attribuirli alla corrente veneziana
anzichò alla friulana; e T intrinseco degli esempj stessi, non
solo non s'oppone a questa sentenza, ma anzi in parte la suf-
fraga. Di certo, l'età d'un altro documento congenere che loro
si aggiunge^ ò un po' troppo bassa percbò s'abbia a consentire
senz'altro che il -« d'una seconda persona bisillaba d'indica-
tivo presente vi sia di schietta e diretta provenienza veneziana
(cfr. Arch. I 461-3); ma questa è tal considerazione cronolo-
gica, che punto non basta a farci ricredere dell'anzidetta sen-
tenza. Vorrà dire, che qui s'avrà un complesso di nuovi esempj
di -5 veneziano fuor di Venezia, tra' quali ò piti d'uno che an-
che merita considerazione per l'età inoltrata cui egli arriva.
L'incrociarsi della corrente veneziana con la tergestina o friu-
lana, si fa poi ben manifesta per la seconda pers. di ^qssq\
Quella porta il suo tv, es (Arch. 1 462), questa dà il suo tu
soni (friuL sos; Main.: ti sos-to): tu es vi 3P, 59', es-tu ix
29^*; tu sons vii 42*, 44*» , 45', vui 167'*, tu sos xv 364»«». E
passando agli altri esempj, poniamo prima i bisillabi di pre-
sente indicativo: tu es poltron et inxis de fradel e de sorela
(esci, V. Arch. ITI 280) vi 3P; tu mentis per la golia (Cod.
dipi, istr., 31 luglio 1467; cfr. ant. friul. mentis ecc., Arch. IV
* tu et VII 6*, tu e ix 63% xi 154\
* tu son IX 31^ — sons due volte anche in viu 164% e la prima pare in
funzione di seconda plurale, cosi com*d neir^italianeggiante* voy sone ib. 165\
Cfr. sonèm siamo, Main. 67, allato a sem 62.
364 Ascoli,
344, e ancLd v. I 469 n), dove mal si regge il dubbio che sia
da leggere mentù (» mentissi Bmentissis) e vedervi il paral-
lelo di 'mentisci' piuttosto che di 'menti'. Ancora appar bisil--
labo digis dici , in tu no digis vero ix 63'. Ma sansa il "S le
altre bisillabe di pres. indicativo : tu me pari bis ix 19*, se tu
credi che io aibia 30*, che tu ari che tu eri xi 95*, e pare il con-
giunt. che tu vegni ix 80', oltre l' imperf. tu no devevi andd 48*.
Torna il -s in una trisillaba di congiuntivo e nelle monosil-
labe dell* indicativo: che tu fecessis bem ix 48*;- tu no pos vii
6*, tu vos IX 29% 30', [te vos 30^], tu no vos 29*», tu non vos 30*,
tu ras, tu mal de vas (ne vai), 52\ tu me as invola vi 33%
Uae fat 36% tU'te as fat via 92*, tu as mudd viii 166*, se tu
as arme ix 28% 30^*; onde si passa all'-as di futuro: ni tu
no faras vii 44% tu vigneras ix 29^, tomeras 52* ; e nel docum.
del Cod. diplom. citato qui sopra: tu me has chasado m'hai
cacciato, tu non saras judeooe. Per la combinazione col pro-
nome enclitico, mi limito a aggiungere : mo no ves^tu (che deve
dire: vedi-tu) ix 25*, fastu vattu 56*.*
144 (519n). n caratteristico -m da -n s'avverte di continuo:
cham M vi 2S*, bem vii 44*, ix 48% vilam ix 36* ; citadim ecc.
R; taliam italiano C1536 III, Udem Udine C1541 III; stri-
góm L, bochóm L, Bastiàm L; ecc.
150-61 : sinichi sindaci C xi 50», v. lo spoglio dei Testi friu-
lani' (p. 353).
160-65 (521): chialcina C xii 56^, dei biei chiavei xii 92%
Tome chiastiel T 1474, chiadrega C 1548 1% Pieri Chiar^
gnel C, Zuam Chiavalin C 1545 III, Zuan Chiapitol C;- be-
chiar C 1541 III, bruchia (sarà la ^brocca', bulletta, friul.
bruce) ib., casachia casacca (fri. gasace) ib. ; banchia ib., man-
chia L ; barchia C 1542 I ; peschiedor C xi 46% todeschia L,
schiaffa (ven. scafa , scaffale, scolatojo ecc.) L^;- predigedor
* tu a IX 63*.
* Del -« che passa alla 3. sg. del cong. pres. (Arch. 1 518 n), d nuovo esempio
che lo consérvis son.
* chiadiol, G xni 111*?
* Nello stesso documento s'aggiunge schiama de pessi^ e sarebbe nuovo esem-
pio di ^a s CA = QYA, cfr. Arch. I 524-25. - Di QVA in ga é esempio carat-
Cimeìj tergesiiui. 365
C xm 117*; domenia son. Ora seguono esempj che per que-
sto paragrafo sono offerti dairelenco dei nomi di contrade ecc.:
Calcara Chiauchiara, Malchianton , Barbachian, Chiastel,
Chiastiom, Chiampidiellis, *contr. Campi marcij' Chiamarz,
Cha Chia Chya, *contr. Cauriani' Chiaurian^ Chiavorleg^ Ghia"
noveltty ^contr. Cavane' Ckiavana, Chiarpidulis, contr. 'Rivi do
castagneto' Redechiastenei, Sporchiavile ; e altri. 181-2. Blas
del gilinar T 1470, Gatinara Giaiinara (e Catinara Chiati^
nara) ctr.
200. viàrio vetro, M xi 157^, non ò senza valore pur sotto
il rispetto morfologico (* vitreo-'), cfr.friul. vedredr Arch. 1527,
e vèrte Pir., oltre lo spaga. viàrio»' Di laro lara M vili 166*,
167*, XV 4* {laàrò xiii 17»), ix 156\ non toccherei, se non fosse
per avvertire che anche nel Mainati si continua la forma spo-
glia: laro lari 46.
216-16 (529 n). Il caratteristico au, habet, ritorna in che l-au
la gola^ che egli-ha la gola, L.
Le osservazioni d'ordine propriamente lessicale, a cui da-
rebber luogo pur questi frammenti tergestini, si debbono riser-
vare ad altro posto. Ma possono qui stare alcune voci, che, nel
loro insieme, son caratteristiche abbastabza, e non ripetono la
loro specialità se non dalle particolari determinazioni fonetiche.
Duto ecc., tutto ecc. : duti Mvii 106\ a duti doi x 135^ duti R bis,
duto duti (ter) dute st. (cfr. Arch. I 445 446 n 526);- desnem-
brata dis-membrata M ii 14* (friul. némbri); Wulneravit cum
uno stomblario vi 15* (fri. stómbli Arch. I 520); fradi fra-
tello C xiii 43* (unico esempio; friul. id.); pustoyma postema
M vili 119'', 120», cfr. Arch, I 488, gerolicho chirurgo C xi
54* \ L'uso piuttosto che la forma si considera in vedrana vec-
teristieo: ^purgatom fuit agarium ripe comonis' C vii 7% cfr. Arch. I 524
e aga Main. 14, 80.
' ^AltroTe gifoicho\ Cavalli. La forma addotta nel testOt accennerebbe a
rgi in ri (cfr. arint)^ piuttosto che in >t, cfr. Arch. I 500 510; ma il r si tace
anche negli spagn. cirugia cirujano, — Sia ancora notato in qnest^ incontro,
eh* era più che legittima T esitanza con la quale il friul. plina si registrava
sotto Ve (Arch. I 488). ^In un istrumento di locazione del 1335: /ocat?»^....
^ad quattéor pluynas camporum. Il Kandler dice la plina triestina (=256
366 Ascoli,
chia 'veterana' M i 47\ vi 9^ (cfr. Arch. I 527); e finalmente
sì nota avemo favela abbiam parlato M ix 63*.
La messe morfologica che da questi frammenti si ritrae,
non è abondante; ma è air incontro molto rimescolata, e non
è sempre facile lo scernervi il grano dal loglio, o la provenienza
dei grani diversi.
fatturadressa fattucchiera, quasi * fatturatrice', M i 43*, xii
107*, è di tipo friulano (cfr. fri. menadressey hrazzoladresse) *.
E tor è maschile come nel friulano (Cavalli; cfr. Pir.: torr m.
campanile, torr f. torre). Voi proclitico, *egli', in che ol no
pò M VII 76*, quando ol stava G 1539 I, ricorda la forma del-
Tarticolo che ha il Mainati nella combinazione int-ol nel, 112
(in tol 84, 102).
In mezzo agi' infiniti in -r alla veneziana, fa pur capolino la
forma senza il -r che è del friulano e si continua nel Mainati
(cfr. Arch. I 436'). Cosi: tu4e as fat remenà M viii 92*, vate
a lamenta ix 30*, tu no devevi andà 48*, vate a negà^ niegà,
XII 23*, va-te revoltà 59*. Occorrono non pochi esemplari
di 3. pi. del perf., ed escono prevalentemente in -reno -ren. Tutto
considerato, potremo qui ripetere dalla vena friulana, cosi la
distinzione del numero^ come la qualità della desinenza (tipi
friul. : amàrin sintirin ecc. '). Ma s^aggiungono anche gì* inne-
sti letterarj. Citiamo intanto: fóren (friul. fórin) M x 73', /!5-
reno G xi 48*, 51*, M xi 127* mandàreno ib., mondàreno C xi
48*, zuràreno 52^ portàreno xiii 48*, distudàreno ib., e in-
sieme portóren xi 44**, aidóren ib. ; ecc. Anche devesseno de-
buissent M xi 126^. La prima del futuro in -ai ha due esempj,
^perHche) perfettamente uguale a un heredium o due Jugeri, e che poi le pline
<8i dissero campi. Questa voce vive sempre, oltre ohe nel friul. plina^ pur
^neir istriano piùvifia^ che significa aratro; e ritorniamo al piò dei Lom-
^ bardi, ecc.' Cavalli.
' É tuttaToIta anche nel ^Poszo', testo yeneziano: gente plaidressa 71, pia-
ti trice.
' E anche 465 n. Antico esempio yeneziano per l'infinito di base sdrucciola
che abbia perduto il -r, sarebbe disiroso de acrese el ben comun^ iscriz..
Gamba 14.
• Cfr. nel Mainati le 3 pi. di pres. in -em = -en (num. 144) = fri. -m: pa-
Ussem patiscono 14, sónem suonano 110; ecc. E nei suoi testi italianeggianti:
careno corrono 131, paHsseno patiscono 133.
i
Cimelj tergestiui. 367
e sono abbastanza antichi perchè anche si possano attribuire,
senza molto stento, alla corrente veneziana (cfr. Àrch. I 464 n.):
jo te farai insir fuor a de iHest M vi 36*', jo te impageray pa-
gherò VI 51^ Ma cosi risolato ai ^habeo\ come la combina-
zione futarale dirai dirò ecc., son sempre del friulano, e pur
nel Mainati: t'hai manda 7 , insegnarài insegnerò 6, vedarài
vedrò 27, ecc. Affatto estraneo al veneziano, e proprio al--
rincontro del friulano, il tipo che ò rappresentato da il ma-
gnarés ei mangerebbe, L (e cosi nel Mainati ; bastaréss baste-
rebbe 19, bisognaress bisognerebbe ib., ecc.) E mi resta la
sec. pi. d'imperf. cong. metissa (che vuy ne metissa R), la quale
ci dilunga dal Friuli e anche dallo schietto veneziano, ma ha
larghe attenenze, e andrà in ispecie studiata con queste forme
che sono nel Mainati: metissià 102, imprestissid 34, dovis^
sidm (1. pi.) 102. Vedine, per ora, Arch. I 442 n, 454 n.
Delle forme schiettamente veneziane, come ave habuic C xii
24% pordve potrebbe M v 47''** ecc. , non accade che partita-
mente si parli in questo luogo. Ma giova che si noti, come
pur qui ricorrano, con significazion di singolare, ladi e fondi
(de sto ladi bis C xii 59*, un fondi C 1545 I); delle qoali forme
si ò appunto parlato piti sopra, a p. 350 seg.^
' Da antichi testi yenez. aggiungeremo in queaVoccasione : da un ladi al
altro^ Atti deiristit. Yen., XV 16^83, e con accezione prepoBizionale : da-ladhi
la nostra prison^ ib. 1603. Cfr. Mussaf. Beitr. 18, dov*d da aggiungere che
petti^ con significazione di singolare (Boto ed. Rajna: peti t. 124 131 1316),
occorre anche in Fra Paolino (ed. Mass.: peeti 145). Finalmente sia notato
questo modo: Teris da un di ladi so pare clamà^ Boto, ed. cit., t. 1981.
» ♦
VARIETÀ.
1.
storia della preposizione a e de' suoi composti nella Zin-
gua italiana, con le originazioni de'piit oscuri componenti
e de* loro affini, con le ragioni de' significati e de' piU diffi-
cili costrutti. Saggio di un dizionario etimologico e sintattico
della lingua comune e de' dialetti toscani, dell' avv. Bianco
Bianchi. — Firenze, 1877, di p. 452 in-8.^
Come appare dal titolo, questo scritto deiravv. Bianchi tratta
principalmente dell'italiana preposizione a, considerandola nelle
sue varie funzioni ed applicazioni. È lavoro di molta e varia
dottrina, il quale chiarisce Tautore per uomo di raro ingegno
e già molto bene addimesticato colla nuova scienza delle lin-
gue; e dee pigliarsi per buono augurio il veder qui la prima
volta trattate, col metodo scientifico, da un Toscano, da un nipote
del già academico e segretario della Crusca, quistioni stretta-
mente connesse colla storia della lingua e dei dialetti italiani,
e segnatamente toscani. Noi non potremmo in una breve e ra-
pida recensione, quale è questa, seguire passo passo Fautore in
tutte le sue varie indagini e dichiarazioni; ma ci piace intanto
notare, com'egli, in genere, padroneggi assai bene sotto i suoi
varj aspetti la propria materia. La trattazione dei composti gli
presenta non di rado problemi etimologici più o meno difficili,
che il Bianchi affronta quasi sempre confidentemente e la cui
risoluzione, sussidiata principalmente dal criterio fonologico, gli
torna non di rado più o men verisimile. Ma questa, uopo ò pur
dirlo, ci sembra la parte nella quale il Bianchi, pur mostrando
oculatezza e perizia singolari, riesce men bene che non nelle
Del libro di 6. Bianchi sulla prepos. a. 369
altre. Egli si studia di mettere in sodo fenomeni fonetici di cui
taluni non ci pajono gran fatto probabili e altri crediamo che
vogliano essere ricisamente contraddetti, tenuto specialmente
conto degli ambienti dialettici in cui tali fenomeni avrebbero
luogo. Al qual proposito ci permetteremo di fare alcune obbie-
zioni, dichiarando però innanzi tratto che in questo libro le
parti buone superano a gran pezza le men buone, e che noi
qui non intendiamo se non di ristringerci a talune di quelle
che fra le men buone ci pajon più prominenti.
E cominceremo dal notare come improbabile la derivazione
della prep. lat. ad, che a p. 9 il B. fa venire dall* indo-europeo
4ijad (1. jat), abl. sing. del pronome relativo Ja^. > La perdita
di j del pron. ariano Ja-, normale pel greco, nel latino si rende
molto inverisimile, come appare da janitrices, jecur, jungere^
jugum^ jus. juvenis, juvare^ in tutti i quali vocaboli si man-
tiene il / iniziale, notoriamente d'origine ariana. Lo stesso
pronome ariano ja-^ nel pochi casi in cui si presenta ancora
nel latino, non perde /; quindi jam, etiam (et+jam), quoniam
{quom-jam). Può anche essere assai dubbio se Vai A'atavus,
atavia (p. 362), e Io stesso ad di adnepos per atnepoSf sia eti-
mologicamente identico colla prep. ad^ perchè questo at ac-
cenna piuttosto airindo-eur. ati, Hrans', ^ultra', ^super' che non
alla prep. indo-eur. adhi, alla quale da taluni si volle connet-
tere il lat. ad.
A p. 07 il B. fa venire andare da adeo che, in tempo ante-
riore alla nascita delle lingue neo-latine, sarebbe passato in
andeo come reddere in rendere, con inserzione di nasale, se-
condo lui analoga a quella di cumho, linquo, tango, pango,
Xa[/.pàvw, àvSàvw ; e quindi in andao, colle successive forme d' in-
finito andéere, anddere, andeire, andaire e finalmente andare,
promosso dall'assonanza con dare. Noi crediamo che questa sia
una delle meno probabili congetture circa Toriginazione d'an-
dare. Notisi primamente come la nasale inserta in rendere e
neir ipotetico andeo dovrebb'esser fenomeno meramente fonetico,
e non possa perciò avere alcuna analogia con quella degli altri
verbi citati, in cui la nasale è infitta nella sillaba radicale, ed
è, per un principio verisimilmente già proprio del protoarìano,
un elemento formativo del tema presenziale; dovechè in *andeo
370 Flechia,
(da ad-€Ó) e in rendere (Ja red-dere) la nasale verrebbe inserta,
non più nella radice del verbo, ma nel prefisso. La serie poi
delle forme, per le quali è fatto passare cotesto andeo per giù-
gnere ad andò, andare^ non troverebbe alcun riscontro, e le
forme che il verbo andare venne poi ad avere sul tipo speciale
di darey onde p. e. nel perfetto andiedi, andetii ecc., non possono
provare la formazione à^ andare subordinata ad influenza del
verbo dare, essendo che tali forme siano d'origine comparati-
vamente recente e ristrette solo ad alcuni vernacoli. Quindi è
che per noi Torigiiie più verisimile d'andare sarà pur sempre
quella che trae questo verbo da aditare (cfr. Arc/i. Ili 166).
A pag. 113 vuole derivar vuoto da vacuus passato « in *vo-
cuo, *vokjo, onde ant. sanese votio^ ant. ven. voido, srd. boidu. »
L'ant. san. votio non potrebbe appoggiar punto questa deriva-
zione, stante che qui Vi sia una mera epentesi (o forse meta-
tesi^), essenzialmente propria di questo dialetto, ondep. e. san^
tio, conilo, pretie, ontia, guatio^, bontià, metià, etià, sanità^
scudio ecc. Quando s'avesse da rigettar l'etimo poco verisimile
di voto, vuoto -volto, votare ^ voltare (cfr. Diez, Et. w. IV 80
e seg.) e connetterlo col lat. vacuus, vacare, mi pare che la
più verisimile derivazione sarebbe quella del farlo venire da
*vacttus, *vacitare (cfr. ant. umbr. vagetom = *vacitum9 vaca-
tum), mutati in *vooitus^ .*vocitare (cfr. lat. vocatio, vocuam^
vocivas da vacatio ecc., Corssbn, Ausspr. etc. IP 66), donde,
come da placitum placitare si svolsero l'it. piaito, piato ^ fr.
' Dico metatesi, poichò la più parte di queste forme in altre antiche va-
rietà toscane presentano un t, di carattere organico, nella sillaba anteriore,
onde p. es al sanese votio^ metid^ prette^ giMtio Tengano a rispondere voito^
metta (da mejetd^ medietale\ prette^ guaito. Quanto ad etid^ e contio accen-
nerò al n»p. aitd^ ajetd^ ajetate^ al piem. (var. ast. ecc.) eitd^ alPant. fr. coint.
Si possono ancora citare ladio per laido dello stesso ant. sanese e balio^ balia
da bailo^ baila (=2 lat. bajulo^ bajula),
' Così leggo, e non guatio (per 'guato', 'agguato\ nomi), come nella ver-
sione deir Eneide fatta dal sanese Ugurgeri erroneamente legge 1* editore
Aurelio Gotti (pp. 287 e 379), e dietro lui il Fanfani {Voc, it, s. v.), che
V aggiugne un esempio cavato dai fatti di Cesare (p. 20) ; dove però lo stam-
pato ha guat\o\ se non che Teditore Banchi, nel glossario, sotto questa voce,
riferendosi senza più ai due esempj deirUgurgeri, mostrerebbe di leggere
anch*eg1i gnatio.
Del libro di B. Bianchi sulla prepoa. a. 371
plait, plaidy plaider, sarebbero potuti uscire V it. voito, voitare
(ant. ar. pis. ecc.), vuoto, votare, ant. fr. voit, vuU, vaider, «ui-
der^ poi vide, vider (cfr. Ascoli, Arch. I 80 e segg.). Tenuto
conto delle forme *vogito, *plagito, *vojito, *plajito ecc., di fase
intermedia, verremmo ancora ad avere più esempj analogi, si
pel finale dileguo della palatina e si per la fusione delle vocali
contìgue, come in fate, faite, facitis; coto, coito, colare (ra^
colare), coitare, cogito-, cogitare, frale, fraile, fragile ecc.
Circa Yuo di vuoto, cfr. arruolo, arruola = * arrògilo, ^arrògila,
connessi con arrogere, arrogare', e cosi in ambo i casi un
normale riflesso delPo tonico e breve. Olà s'intende che qui
non accettiamo la derivazione A' arrogere da adaugere, come
vorrebbe il Delius (cfr. DiBZ, Or. IV 136 e seg. n.) e molto
meno da arreor, come vuole il Bianchi (p. 117)\
A p. 117 fa venir noja non già da odio (per via d'in odio,
in odia), ma da inedia, osservando che odio per noja dice
troppo; eh* è poco naturale il composto in odio e che inedia
neiruso popolare vale anche Hedio'. Primieramente qui non
s* avverte che già i Latini usavano odium in senso di ^tedio\
fastidio', ^molestia' e che perciò, a citarne un solo esempio,
Terenzio per dire « io non m*annojo mai né in villa nò in città »
ha ncque agri ncque urbis odium me unquam percipiL Ag-
giugni le frasi plautine odio abigere, odio enecare per 'am-
mazzare, far morir di noja' (cfr. Forobllini, Voc. lai. s. v.).
' Uà articolo del Forster «sulle vicende àeWó lat. nel francese» (Rom.
Sludien^ III 180, n. 10), favoritomi ultimamente dairautore, mi conduce a no-
tare come Tetimologia dì vuoio, votare ecc. = ^vocilo, *voeitare sia già stata
proposta dallo Schuchardt e dal Tbomsen (Romania, IV 256 e agg.)* La for-
tuita coincidenza di tre compagni di studio nella deduzione di questa cer-
tamente riposta etimologia, mentre da un lato potrebbe dirsi quasi una
vittoria del metodo, dalP altro parmi debba accrescere al sommo la verisi-
miglianza di questa origioazione. L^Ascoli non parla, ò vero, di questa etimo-
logia, ma si direbbe eh* egli T abbia subodorata; e la miglior dimostrazione
di essa risulta per Tappunto da quanto nel luogo da me citato egli dice circa
Tevolnzione di placitum in piato. Il nap. non ha nò il nome, nò il verbo, che
in questo dialetto sarebbero, secondo ogni verisimiglianza, vìMJel^, vojetd;
cfr. chidjetf = placito, scojetatg = *excogitato, 'scapolo', propriamente 'senza
pensieri' (cfr. spensierato, 'senza cure', come scapolo ^ ex -caputo , 'senza
Ingami'; cfr. sic. tacca scapula, 'v. senza cappio').
372 Flechia,
I costrutti in odium alicujus irridere, venire alieni in odium^
in odium alicui pervenire, esse alieni in odium, incurrere in
odia hominum, in odium alicujus quippiam facere^ già tatti
proprj della buona latinità, rendono tanto più probabile che da
in odio, in odia venissero nojo, noja^ nojare per quella stessa
guisa che da in abisso vennero nabisso, nàbissare. Altre varie
ragioni starebbero ancora contro questa origine da inedia, come
primieramente Ve tonico mutato incondizionatamente in o, di
che neir italiano non si conoscono esempj; le forme maschili
dell'ant. nojo (v. Voc. della Cr., s. v.), ant. gen. inojo (v, Arch.
gì, II 255), sic. annoju, prov. enuei, enoi, tv, ennui, sp. port,
enojo; il riflesso della forma semplice d'odio neirojo di fra
Giordano da Ripalta {Pred. ed. di Boi., II 189), e nell'oi^ bresc,
entrambi col senso di 'noja'; nel participio dell* ant. ast. oglid
(per ujà = odiata), in senso d*'annojata' (àllionb, ed. di Mil.,
p. 99), e l'accordo morfologico (oltreché di tutte le citate forme
con odio, pi. odia), anche tra odioso e nojoso, annojoso, no*
dioso ; odiosaggine e nojosaggine ; odiosità e nojositd ; odiare e
innodiare, nojare^ annojare; odievole e nojevole; mentre dal-
r organico inedia non si deriva alcuna forma né verbale né
nominale (cfr. Dibz, Et. vo. I 290 s. noja).
Senz'intendere assolutamente di combattere l* origine d'am-
mainare che il Bianchi, insieme col Diez e altri etimologisti,
connette con menare (p. 160), citando T equivalente francese
amener, credo tuttavia bene d'osservare come le forme nap.
ammainare, 'mmainare, ^mmajenare dal lato fonologico po-
trebbero raddursi normalmente ad invaginare, it. inguainare
(cfr. nap. ammentare» inventare, 'mmideja- invidia ecc.), e,
che più è, il calabrese del Cusentino mi dà nuaiinanu le vele
(per ^ammainano le vele', Oerus. lib. II 77). Sarebbe mai que-
sto un verbo passato dal dialetto di Flavio Oioja al linguaggio
marinaresco t
A pag. 241 fa venir madia da *'mattja, *mactla, mactra e
a p. 242 da *magdljay *mactlja. Quanto più ovvio il farlo ve-
nire da magida che è in Varrone o da magis, magidis che è
in Plinio e in Marcello Empirico, il quale ha rasamen pastce
qnod in magide adhosret. Da magida, normalmente *majida
maida, quale nell'ant. pisano, poi madia come da laido ladio,
Del libro di B. Bianchi sulla prepos.: a. 373
da baila, balia. Il sic. majidda, maidda riterrebbe T accentua-*
zione deir equivalente greco f^ayC; (^ayi^o;; donde il raddoppia-
mento della consonante.
A p. 197 vuole che mattone sia da mactus con senso di 'duro\
^denso', 'compatto'. A questa etimologia, come pure a quella del
Diez {Et. loórt. 269, s. v.), che lo vorrebbe dal ted. matz, matte,
'forma di cacio\ mi par preferibile la muratoriana, che fa venir
mattone dal lat. maltha e sarebbe grandemente appoggiata dal
nap. mautone, Confrontinsi però ancora il luce, matone, il sic.
maduni, il madón del friulano e di alcuni dialetti lombardi,
l'ant. gen. e piem. maón S oggi mon, che farebbero a ogni modo
contro Torigine da mactus.
A pag. 242 e segg. non vuol sapere di quelita derivativo col
quale secondo il Diez, TAscoli, ecc. si foggiano verbi dedotti
principalmente da participj passivi alla maniera dei frequenta*-
tivi, come p. es. alzare = alt-ia-re da altus, cacciare = capt-ia-re
da captus, pertugiare - pertus-ia-re da pertusus, pigiare -pis^
ia-re ddipisus ecc. (cfr. Diez, Or., IV 402), e in cosi fatti verbi
egli si studia di spiegare pel toscano Tevoluzione di éc da et me-
diante fenomeni fonetici {e, cc=jtj, jt, et, cfr. Aso., Arch. T,
num. 172 e pp. 304-305), che proprj, anzi normali per dialetti
gallo-italici, francesi, provenzali e spagnuoli, non possono di
ninna guisa ammettersi pel toscano nò per altri dialetti del-
r Italia media e meridionale. Quindi è che se p. e. il mil. speda
si dee tenere per derivato solo foneticamente da una base eos"
pectare o adspectare, donde il tose, aspettare, il mil. strasd
e il toscano stracciare non possono foneticamente svolgersi da
extractare, ma bensì solamente da un sustrato extract^a-re,
cioè da un verbo che proviene da extractus mediante un ia
derivativo. Già le sole discordanze fonetiche, a cui qui si riesce
fra toscano e lombardo, vietano d'ammettere quella comparte-
cipazione di fenomeni che per la teoria del Bianchi si vorrebbe
attribuire al toscano. Neir evoluzione della palatina sorda da ct^
i dialetti gallo-italici» che presentano questo fenomeno, sono più
o meno coerenti a sé stessi, cioè in essi et viene normalmente
' Per raDtico gen. maòn oon ho alla mano testimonianze, ma tìyo ancora
per es* nel Ventimigliese ; e quanto al piem., sMncontra negli Statuta Tau-
rincnsia»
Arrhivio ploltol. ital., IV. ^5
374 Picchia,
riflesso da e cosi ne* verbi come ne* nomi, quindi per es. mil; spe^
cà = expectare , fac = facto f pecen =^ pedine , mcura^vectura\
e le deviazioni da questa legge che oggi vi si potrebbero no-
tare, sono più meno recenti e vanno principalmente recate
air influenza dell* italiano, per cui, massime dal ceto colto, si dirà
anche, verbigrazia, Utt per lec(^ lectO'\ la quale ultima forma
era ancora comune nel secolo scorso. Il tose, ali* incontro sarebbe
stato, contro la natura dei dialetti, assai incoerente, facendo p. e.
da eccpectare aspettare^ da tractare trattare e, secondo la teo-
ria del Bianchi, tracciare^ e da extractare stracciare^ da tm-
pactare impacciare, e non presentando mai un*evoluzione ana-
loga a quella di stracciare « extractare ne* riflessi nominali, come
p. e. di pectus, lectum, tectum, ecc. Se non che il Bianchi, ben
avvedendosi come la teoria di questa sua evoluzione fonetica non
potrebbe applicarsi a buona parte di verbi foggiati mediante Tele-
mento ia ch*egli rigetta, cerca di spiegarne la derivazione ri-
ferendosi a forme nominali e principalmente a forme, in gran
parte ipotetiche, del nominativo de* nomi di azione in -tion
{'Sion), come già fece il Ganello {Riv. di fil. rom,y I 274), onde
p. e. aguzzare non verrebbe già da acutus per via à'*acut'ia-re^
ma da "acutio, 'Onis, scorciare non da curtus per via di *excurt-
ia-re, ma da excurtio, -onis. ecc. \ Anche questa teoria ha per
noi troppo man verisimiglianza, perchè ci dobbiamo staccare dalla
molto più probabile iélVia derivativo, analogo alfto, ia de* nomi,
quali p. e. in aguzzo {^acutio), nidio, cervio, alia, poccia {^pu-
! ' Non essendo più tìto in latino il verbo di cui curtus è forma partici-
I piale, passata a valor d* aggettivo, si renderebbe assai inverisimile un nome
d^astratto o d^azione *curiio^ -onis e molto piU poi un *excurtio^ ^onis, quale
viene imaginato dal Bianchi per la derivazione di scorciare. Così pure mal
si potrebbe intendere morfologicamente, come con un qtuirtus^ non participio, si
possa connettere uno sqt4artio (sic), ^onis, donde egli cava squarcio^ squar^
dare, É poi strano che per render probabile un sost. fem. concio da *com*
Ho (1. *comj»tio) citi Tesempio di resurresso = resurrectio, rimandando al Nan-
nucci {Teoria de' nomi italiani^ p. 134), il quale fa venire senza più resur^
resso da resurrexit (l. resurrexi^ e cfr. Biv. di fil, class^j I 397 s, II 195,
IV 352 e seg.; Riv, di fil. rom,^ I 135 e 274 n). S* aggiunga che resurresso
generalmente mal lascia vedere in che genere si debba prendere, usandosi
senz'articolo: pasqua di resurresso \ e se qualche rara volta ha Tarticolo, ò fatto
maschile; che non dovrebbe parer singolare quand'anche venisse da resur^
rcctio, come si vede per es. in prefasio da prcefatio, passio da passio.
Del libro di B. Bianchi sulla prepos.: a. 375
pia dsi pupa). Del resto questo fenomeno morfologico di verbi de-
rivati mediante ia si dovrà pure ammettere p. e. nel mil. mognd
(^"mund'ia-re da mundus)^ ^potare* 'rimondare', che non si
potrebbe foneticamente ripetere da mundare e molto meno poi
da un nome *mundio, -onis. Lo stesso, per ristringerci ad esempj
italiani, dobbiamo dire, verbigrazia, di olezzare {-*olid'ia-re
da oliduSy 'odoroso' 'puzzolente'), donde nel primo senso olezzo^
nel secondo Taferetico lezzo\ e forse anche di frizzare quando
s*avesse a dedurre questo verbo da frigidus come congettura
il Canello {l. e. n. 2), che io trarrei, non già secondo 1* egregio
professore di Padova, da frigi[d)are^ che più probabilmente
avrebbe dato al toscano friggiare^ ma bensì da frigid-ia-rc,
con riduzione d' -igi- in -2, quale ha luogo p. e. in dito = digito
(Cfr. Asc, Arch. I 20-23).
A pag. 255, dopo connessi etimologicamente coi lat. humectus,
humectare il nome mezzo 'stramaturo' e ammezzare^ amez--
zh^e 'divenir mezzo', 'essere tra il maturo ed il fradicio', sog-
giugne in nota: «Di mezzo manca nel Voc. il senso proprio
d'imbevuto di liquido, pingue d'umore, nel quale è più comu-
nemente usato, sebbene l'esempio di Dante (Inf. 7, 128) por-
gesse occasione di notarlo. Il significato di qualità tra il ma-
turo e V acerbo (sic), parlandosi di frutte, ò secondario ed è
stato cagione che ha indotto il Diez a trarre mezzo da mi-
tius, forma supposta da mztis, cui il nostro agg. non corri-
sponde per la vocale. » Che il senso proprio ed originario di
mezzo sia imbevuto di liquido, pingue d'umore, deve natural-
mente ben crederselo chi, come il Bianchi, vuole derivar questo
nome da humectus; ma nell'uso degli antichi scrittori toscani
tanto il nome quanto i verbi, che ne son derivati, si riferiscono
a frutta e valgono 'stramaturo', 'stramaturare' ; e Io stesso
mezzo di Dante allegato dal Bianchi non ò ben chiaro se valga
fradicio o non piuttosto mezzo = medio, secondo che pare l'in-
tendessero, tra gli altri, il Buti e il Boccaccio ; sicché male non
s'apponevano nò il Diez, né, prima di esso, il Cittadini, il La-
pini, il Ferrano, il Minucci, il Menagio, il Salvini e altri rad-
ducendo mezzo a mitio da mitis, I Latini già usavano questo
nome anche in senso di 'tenero', 'ben maturo', quindi mitescere
per 'ben maturare', quindi mitia poma^ sorba, mites uvas , uva^
376 Flechia,
mitescunt, tnilis vindemia ecc. (Cfp. Forcbllini, Voc. s. vv.).
Lo stesso yerbo mitigare, che propriamente vuol dire miiem
reddere, vale anche 'far diventar ben maturo, mezzo', onde il
Porcellini, dopo di aver detto che mitigare significai etiam
plus aliquid quam maturare, nempe qualitatem illam tn-
ducere quam habent poma et fruges inter maturitatem et
putredinem, reca l'esempio d'Ausonio:
Discolor arboreos variet Pomona sapores;
Mitiget autumnus quod maturaoerit eesias,
E soggiunge come un egual significato abbia in un luogo di
Varrone il yerho mitescere: àoy e é detto che «il sorbo prima
che diventi mezzo (priusquam mitescat) vuole essere lasciato
maturare, non già sull'albero, ma in casa. » Notisi infine come
l'antico volgarizzatore di Palladio (Genn. tit. 15) traduca, a
proposito delle sorbe, con immezzare il latino mitescere. Non
si può dunque menomamente dubitare come l'etimologia di mezzo
da mitis sotto il punto di vista logico sia la più ovvia. Pas-
sando ad altre considerazioni si può notare che 'mitio- (donde
mezzo) sta a mitis come *rudio (donde rozzo) a rudis, *levio
(donde nap. liegge, legga, sic. leggu, sardo mer. lebiu) a levis,
e '^vilio (donde il tose, vilio) a vilis. Circa poi Ve di mezzo
che il Bianchi dice mal corrispondere all'è di mitis, si può ri-
spondere che qualunque possa essere la spiegazione di questa
anomalia fonetica, certamente non unica nel toscano (cfr. elee,
freddo, detto), presentano per questo lato un normale riflesso
di mitio la maggior parte dei dialetti italiani, mantenendo
intatto Vi lungo di mitis (cfr. ven. mizzo, nap. nizze ecc. ').
E poiché a combattere mezzo da mitis, il Bianchi ricorre ad
argomenti fonetici, se gli può bene ancora osservare che Ve di
mezzo, in quanto ò chiuso, sarebbe contro l'etimo à'humectus,
0, come ora viene corretto, umectus, il cui e, secondo ogni veri-
simiglianza, dovrebb' essere breve di natura e dare per conse-
guente un e aperto*.
A p. 261 fa leccornia astratto di *leccorno. Anziché porre
' Circa n::im e il vario significato ne* riflessi italiani di mitio, cfr. la mia
dissertazione: Dell'origine della voce sarda Nuraghe^ p. IO.
' Il suono chiuso che ha Ve tonico à^umetlare, si d yerisimilmente SToIto
Del libro di B. Bianehi sulla prepos.: a. 377
innanzi un ipotetico leccomo, che morfologicamente sarebbe un
poco problematico , non ostanti musorno e il dantesco piomo
(da "piojorno ; cfr. pioja = ''plovia), sarebbe da vedere se leccar^
nia e ghiottornia non fossero alterazioni di lecconeria e ghiot-
toneria che, sincopandosi in leccon'ria^ ghiotUyn'riay avrebbero
dato per metatesi leccornia^ ghiottornia. Il non esservi alcun
vestigio di leccomo o ghiottornOp e d'altra parte le forme assai
comuni ed antiche di leccone e ghiottone {- lat. glutone), che
rendevano superfluo leccamo, ghiottorno e da cui venivano cosi
lecconia e ghiottonia come lecconeria e ghiottoneria (cfr. ea-
stronerla, minchioneria, ecc.), debbono rendere , parmi, anche
men verisimili le ipotetiche forme di leccomo e ghiottorno.
Leccornia e ghiottornia potrebbero poi anche essersi originate
per una confusione della doppia forma di lecconia, lecconeria^ e
ghiottonia, ghiottoneria; e a cosi fatta originazione volea forse
accennare il Salvini dicendo: leccornia da leccone, quasi lec-^
coneria {Ann. sopra la Fiera, p. 402).
Non credo che ghiado, quale p. e. neirespressione 'sento un
ghiado al cuore' propria del lucchese ed equivalente al modo
fiorentino 'sento un ghiaccio al cuore', possa essere, come vuole
il Bianchi, derivato da "glacidus (p. 264). Questo ghiado non
può essere etimologicamente altro dal ghiado (^gladiiis), quale
p. e. in 'esser morto a ghiado' cioè 'essere ucciso di coltello'. Il
senso, dirò cosi, figurato di 'brivido' 'ribrezzo' 'freddo' 'ghiaccio',
dinotanti un' affezione istantanea dell'uomo, è anche proprio di
varj riflessi che ha gladio in varj altri dialetti, come p. e. nel
nap. jaje, ant. prov. glai, esglai, piem. s^ai ecc. (cfr. Dibz,
Et iv. r, s. 'ghiado' , dove però mal si confronta il parm. ghia,
'pungolo' che non può essere se non riduzione à'aculeato; e Riv.
di fiL class., I 385 e seg.). Certamente da ''glacidus sarebbe po^
tuto al toscano venir foneticamente ghiado; ma per noi questo
nome è morfologicamente troppo problematico. Il nap. agghiai-
jare che il B. vorrebbe in conferma della sua etimologia pur
trarre da *glacidtis, risponde troppo normalmente ad aggla^
per essere stato questo Terbo formalmente confuso coi verbi in ettare^ d*ori-
gine analoga ai nomi diminutivi in etto, ne* quali tutti Ve suona normalmente
chiuso come nato da t. *
378 Flecliia,
diare, ad-gladiare, come il pur nap. jaje a gladio. Da *glacidus
ii nap. non avrebbe verisinìilinente fatto se non jajete^ agghia-
jetare (cfr, chiajeie, chiajeiare da placitum) o jacete^ agghia-
celare (cfr. fracete, 'nfracetaré). Si potrebbe ancora aggiugnere
che de* varj nomi latini in -cìdo non havvene alcuno che nel to^
scano nel napoletano segua, circa la palatina, Tanalogia di
placitum; e che inoltre sarebbe ad ogni modo singolare, data
cotesta origine da *glacidus, che nò il nome né il verbo non
vengano mai a significar 'ghiaccio' 'agghiacciare' nel senso pro-
prio ed originario.
A pag. 271, per la diversa pronunzia dell' e, aperto in dar-
mènte^ dormiènte e chiuso in addormenta^ vuole che questo
verbo non venga dal participio dormènte ma si da *dorménto
per *dorm%méntOf cosicché abbiavi accordo nella profferenza dei
due e chiusi, come è fra torménto nome e torménta verbo che
ne deriva. La discordanza fonetica che ò tra Ve di dormente
e Ve à'addormenta non può far contro la derivazione di c^d-
donnentare da dormente* Nella storia deir^ aperto o chiuso
s'incontrano dissonanze tra vocali etimologicamente identiche,
cagionate da una specie di attrazione morfologica che porta
seco un'agguaglianza fonetica. Ve tonico in posizione, il quale,
come chiarito breve dalle ragioni storiche del latino dovrebbe
normalmente sonare sempre aperto dinanzi al gruppo nt, venne
ad avere una singolare eccezione nei casi in cai è immediata-
mente preceduto da m, che, secondo fu già notato dal Citta-
dini ((^er^, 186), ha virtd di render chiuso Ve di ent che gli
vien dietro ; ond'ò che Ve tonico venne a sonar chiuso in tutti
i nomi foggiati col suff. -mento d'origine si latina come ro-
manza (p. e. tor-ménto, argo-ménto, parla-ménto) e nella ven-
tina di verbi che ne derivano (p. e. torménta^ argomenta^ par^
lamenta); nei nomi menta, mento^ semente^ sementa; nel nome
mente ^ ne' verbi che etimologicamente vi si connettono, come
p. e. in mentova^ diméntica, rammenta, sgoménta, e ne' mol-
tissimi avverbj che se ne compongono, come p. e. in allegra--
mente (^alacri mente). Si sottrassero a quest'influsso di m ì
nomi cadenti nella categoria dei participj in -ènte, quali p. e.
fremènte, gemente, temente ecc., come quelli che non poterono
fonetii^amente discordare dalla serie a cui morfologicamente eran
Del libro di B. Bianchi sulla prepoa.: a. 379
legati; se ne sottrasse demènte che, oltre all'essere vocabolo let-
terario, potè anche confondersi coi participj in -ente, coi quali
già si confondevano per la forma nello stesso latino i non ben
chiari d'origine clemènte {clemens) e veemènte {vehemens), an-
dati perciò anch'essi esenti dall'influsso fonetico di m; e se ne
sottrasse il verbo mentire che ha mento, ménti ecc., forse per
influsso dei verbi pentire e sentire e fors' anche per trattarsi
di forme men popolari di mentisco, mentisci ecc. Ma il verbo
addormentare che movendo dalla categoria de' participj in -ènte
veniva a confondersi con più verbi in -mentare^ i quali tutti
avevano chiuso Ve tonico di -ment-^ non potendo più avere dalla
categoria participiale alcuno ajuto pel mantenimento dell*^ aperto
dopo m, come l'ebbe dormènte, si connaturò anche fonetica-
mente colla propria serie morfologica.
A pag. 283 vuole che rugiada non venga già per via di
*rosjata *rosiata da ros, ma si connetta^ come nome verbale
analogo a grandinata, nevicata, ad un verbo r or are, donde
mediante roriata sarebbe venuto rugiada. Il fenomeno già (ga)
^rja ò inammissibile per il toscano; nò sta l'analogia che il
Bianchi vedrebbe con feggiar=feriat, aduggere - adur{j)ere.
Feggia non è già immediate da feriat, ma si da fedja[i) (cfr.
fiede, fedire ecc.), alla qual forma sta feggia come chieggia a
*quedia {*qu€eriat per qucerat), veggia a *vedja {*vidiat, videat),
seggia a *sedja (*sediat, sedeat), reggia a ""redia {*rediat, re-
deat) \ caggia a *cadja (*cadiat, cadat), se non che il d di dja
riflesso in feggia, chieggia è d'origine romanza, e nelle altre
forme è primitivo. Tutti questi verbi hanno analogia di forma
in fieda, chieda, veda, sieda, rieda, cada. Quanto all'aduflf-
gere fatto venire da adurio, trattandosi d'etimo molto in-
certo, per non potersi questo verbo staccare dal più comune
ed equivalente aduggiare (cfr. Diez, Et. w. II 77, s. 'uggia'),
noi non potremmo vedervi un esempio sicuro di già (ga) da rja.
Del resto il doppio g che hanno e feggia e aduggere e adug-
giare, già ci vieterebbe di connettervi fonologicamente rugiada
che accenna al fenomeno proprio di pigiare = *pisiare, pertu-
* Dante (Inf., x, 82), per la 2. p. sing. del sogg., ha regge (redeas), ma
la forma normale dovette essere reggia per tutte e tre le pers. singolari.
380 Fleehia,
giare = *pertìMiare, cagione « occasione f provvigione ^pravvi-
sione; e ad un riflesso normale di sja, e per niaoa guisa di rja^
additano le forme deirequi valente Tocabolo ne* dialetti d'Italia
e d*oltremonti,^onde p« e. nap. rosata\ ven. e lomb. rosada, gen.
ruid, piem. rusà, friul. rosàde, prov. rosada, fr. rosee ecc. Che
da ros siasi potuto originar rugiada ecc., lo dimostrwebbero
anche il prov. arrosar, fr. arroser^ il sardo mer. rosih arrosu^
'rugiada', arrostai, irrorare'; e sarebbe forma nominativale
fatta fondamento di derivazioni , come per es. cinis di cintata,
donde cinigia , nap. cenisa ecc.
A p. 387 fa venire il tose, orinolo da orologio 'passato, dice
egli, probabilmente per le forme orolojo, oroiloo^ oriloot oriolo\
Più verisimile, forse, il dedurlo da horariolum, forma dimiatt-
tiva d'Aorarttém, già usato da Gensorino, in senso d'orologio,
fin dal principio del sec. III. Horariolum, per queir assimila-
zioni di vocali che occorre non di rado intorno a r, potè farsi
hoririolum, donde, senza stiracchiature, orijolOy orinolo^ ov-
vero si trasformò normalmente in orajolOf contrattosi poscia in
oriolo, orinolo, come p. e. il nome locale Aneharianutn (da
Ancharius), passato in Ancajano, quale trovasi questo no0ie
neir Umbria e nel Sanese, venne poi a cootrarsl in Anchiano,
secondo che suona nel Fiorentino e nel Lucchese.
Non posso andar persuaso della teoria espressa dal Bianchi
con queste parole (p. 317): «Il saffisso diminutivo -eulus ci si
«mostra in varie voci mutato in -quulus, quindi in -pultM e
« poscia in -p/o -/Io, -p/o -fio, -ppo -/fb. > Per quanto non possa
negarsi come una qualità di gutturale indoeuropea nel latino
si trovi ridotta normalmente a qu (cfr. Asooli, Corso di glott,
58 e segg. ; Fick, Die efiem. Spracheinh. d. Indog. Eur., 62 e
segg.) e come anche in qualche dialetto italiano sorga qu da k
(cfr. p. e. Arch., Ili 174), credo però che né di questo fenomeno,
' Il nap. ha non lolo Sa^ ma anohe sa = «70, «io, quindi mentre da nn lato
II. e. cùruian^ zz corU(n)siano {Axch, II 15), botar df z: hausiarU^ dali* altro
AmbrfAoso = Ambrosio, céràsa = cerasia, pertosare s periusiare ; e cosi rosaia
=: rosiata, E il toscano pure ha, com*ò noto, insieme con già (ga), anche altri
riflessi di sja, onde p. e. bacio e bascio, Ambruoscio {ani. bau.), chiesa', e in
analogia di qnest^nltima forma Ristoro d*Areszo, secondo il codice riccardiano
(ofr. Arch, Il 381 a. 1), mi dk rosada\ ma poi p. e. fasciano, cascione*
Or 7 K -: ' \^ !
Del libro di B. Bianchi sulla j^epos.: a. ' 381
uè perciò dei conseguente svolgersi delFesplosiva labiale, quale
avrebbe avuto normalmente luogo nel greco, in antichi dialetti
italici e, tra gì* idiomi neo-latini, nel rumeno e nel sardo, non
si possano recar sicuri esempj per T idioma toscano. Abbiamo
neir italiano molti nomi i quali tutti si radducono con certezza
a tipi in -aculo^ -iculOf -oculOy -uculo, già proprj della lingua
latina o del romano volgare, ovvero foggiatisi dipoi in quella
cosi feconda ricreazione di forme diminutive, ma nissuno ve
n*ha che od insieme coi loro consueti riflessi (p. e. miracolo^
"pericolo \ pecchia t cavicchia^ ginocchio ^ agucchia \ spiraglio,
artiglio, germoglio ecc.) od anche isolatamente presenti in si*-
euro modo un'uscita in -polo, -ppio, -/fio, -ppo, -ffb. Tutte le
forme di nomi o verbi, nelle quali il Bianchi vedrebbe questi suoi
fenomeni, sono fatte risalire a tipi ipotetici, alcuni dei quali, per
un periodo più o meno antico, sarebbero anche morfologicamente
problematici. E cosi per esempio in casipola, casupola, che, se-
condo il Bianchi, salirebbero per via di casiquula, casuquula
a casicula, casuoula, quando dovessimo pure ammettere queste
pel latino morfologicam^ate anomale forme di diminutivo pel
Dormale casula, piuttosto che cercarvi un'origine fonetica di
p = cp, cf), qu, vorremmo vedervi un p nato da e per un principio
di dissimilazione quale il Bugge imaginava che potesse avere
operato in cUscipulus da disciculus (1. dishiculus; v. Zeiisehr,
f. vergi, spr., XI 73, XX 144 n). Ma casipola, casupola pre-
senterebbero piuttosto per noi un suffisso sporadico, formativo
di diminutivi o spregiativi, quali s'incontrano qua e là per la
derivazione di nomi e di verbi in alcuni dialetti, massime del-
l'alta Italia. Tali sarebbero per es. manopola, quasi manaccia,
mano falsa; fiem. vinapola, 'vinello*; verb. vissopola {« biscio^
pola), lucertola', berg. sgrignapola e mant. sgargnapola, 'pi-
pistrello*, e var. com. grignapol ('chi ride, grigna, per niente',
Monti, Voc. com. s. v.); cantepola, 'cantilena', col verbo can"
iipulare, 'canticchiare' 'cantar sottovoce' (v. Spat afora e Ba-
RI7FPALD1, 8. VY.). Nella Fiera del Buonarrota è stanzibolo,
'stanzino', il cui suflf. -bolo noni può certo essere il -buio del
latino (p. e. vestibulum, turibulum^ cunabulum, ecc.) ; e il ferr.
psaula, 'pesciatelli' parrebbe accennare immediatamente ad una
forma *pesciavolaf che forse viene da *pesciabula, *pesciapula.
382 Flechia ,
Nel lat. manipulus, propr. manataf fascetta, il suff. -pultis, che
venne connesso col pie- ( indo-eur. par, prò) di -plere {replere,
im-plere ecc.) e interpretato per manum implens o manus
piena, ted. handvoll (cfr. Corss. Ausspr., V 268; Vanicbk, 91),
potrebbe non avere se non un valor morfologico ed essere anti-
chissimo esempio di saffisso sporadico, già proprio del romano
volgare e riprodottosi negli odierni nostri dialetti.
Un altro esempio di siffatto suffisso propenderei ancora a ve-
dere nel toscano fatappio, adoperato dal Palei {Morg., xiv 54),
che la Crusca definisce per ^sorta d'uccello poco noto' e che il
Bianchi (pp. 272, 322) radduce, secondo la sua teoria, a Yato-
quulo, *fataculo. Quanto a me, cercando la base originaria di
questo vocabolo non vorrei andar piti su di fataplo, fatapulo,
verso cui starebbe fatappio^ come p. e. coppia a copla^ copula^
cappio a caplo» copulo, stoppia a siupla^ stupula (da stipula).
Il Bianchi, dopo toccato dell' ignoranza che circa codesto uc-
cello mostrano tutti i vocabolaristi giti fino al Fanfani, noa
definendolo altrimenti che per *sorta d^uccelletto poco noto'» dice
che forse aveva colto nel segno un cacciatore, supponendo ohe
potesse essere il nottolo del Valdarno superiore rispondente al
caprimulgtLS europceus di Linneo. Or bene io non dubito di af-
fermare che quel cacciatore aveva veramente colto nel segno,
come apparisce assai chiaro dairetimologicamente identico nome
che i dialetti emiliani danno appunto al caprimulgo, conosciuto
dai Toscani sotto le varie denominazioni di succiacapre, cai--
cabotto S stìaccione, piattajone, fottivento, nottolo, nottolone e
sqiuzrquascia (cfr. Savi, OrnitoL tose, I 158) \ Cotesti nomi
emiliani sono adunque parm. fadabil, mod. fadabi, regg. fadapi^
boi. fialapf ì quali tutti ben mostrano di poter essere raddotti
' Nel Savi questo nome di calcabotto ò scritto calcobotto, È manifestamente
un errore di stampa, essendoché una tal forma sia al tutto contraria al prin-
cipio di formazione per questa sorta di composti, il cui primo membro d la
seconda persona singolare deir imperativo. Ciò nondimeno cotesto errore tipo-
grafico fa ciecamente ripetuto per es. nel Vocabolario romagnolo del Morri
per la traduzione di Imcazz, e, che più ò, dal Gherardini nel Suppl, ai Voc»
it. 8. calcobotto e nottolone.
' lì nome sqiMrquascia, che io ebbi, or son più anni, da un cacciator fio-
rentino, non d nella sinonimia toscana del Savi nà nell* italiana del Salvador!.
Incredibile come di tutti i sovrallegati nomi toscani non se ne trovi pur uno
Del libro di B. Bianchi sulla prepos.: a. 383
ad un tipo in -apulo (cfr. mod, pàbi-'pàblOj pabulo; regg,
capi = caplo, caputo). Il boi. fialap risponde a fladapoy forma
metatetica di fadaplo, fataplo^ fatapulo, come nello stesso dia-
letto éopa « dopa da copia, copula e nell'it. pioppo ^pioppo da
poplOj populo. Il digradamento della labiale sarebbe pel parm.
e pel mod. analogo a quello di cubia, cubbia, cobbia da copia,
copula, proprio dei dialetti deiralta Italia. Ora il volere da que-
sto *fatapulo assurgere ancora a fataculo, per yia di fataquulo,
mi parrebbe troppo forte; tanto più che i dialetti emiliani, i
quali sono appunto di quelli tra cui dal lat. suff. -culo sareb-
besi svolta, come già s'accennava di sopra, la gutturale im-
pura, onde per es. il boi. miraquel da miraculo, periguel da
periculo, non presentano poi mai in cosi fatti nomi alcun esem-
pio d'ulteriore evoluzione, onde sorga p = cv,qu o br=gv,gu»
Noi crediamo adunque di doverci fermare neirascensione fono-
logica a fatapulo, che considereremo come vocabolo derivato
mediante lo sporadico -pulo, già stabilito sopra per casipola ecc.
Venendo poi ali* etimo di questo * fatapulo, nome di uccello,
noteremo innanzi tratto come intorno al succiacapre i popoli eb-
bero ed hanno tuttavia erronee credenze. Una delle più estese
e molto antica è che quest'uccello poppi le capre; la qual cre-
denza venne probabilmente ajutata dall'avere esso la bocca larga
per modo che ben vi possa entrare il capezzolo delle mammelle
06* Yocabolarj nò del Fanfani (compreso quello Dell*uso toscano)^ né del Ri-
gutini. Il Fanfani registra, gli ò vero, fotHvento^ ma solo come sinonimo
à'acertellOy che ò il nome sanese pel gheppio de* Fiorentini {falco tinnuncu^
lus, Linn.). Ma in questo senso egli lo avrebbe malissimo descritto, dicendolo
'nccello di palude, che per lo più sta per i fossi, campa di pesciolini', ecc.,
perocché il gheppio viva, non già nelle paludi, ma bensì snUe torri (e i Pi-
sani, i Romani e altri chiamanlo falchetto di torre) ^ ne' campanili, ne* ca^
stelli, nelle alte fabbriche e anche sulle rocce; e si cibi di topi, di pipistrelli,
d* uccelletti, di lucertole ecc. Registrano entrambi nottolone, il Fanfani di-
cendolo semplicemente 'specie d'uccello silvano' e il Rigutini 'specie di pi-
pistrello'. Il Fanfani ha ancora nottoh, ma per lui questo nome non vale
se non 'pipbtrello' ; e neìV Appendice ha ag&tile {Morgante^x^LS, 326), che
non pud essere d* altronde che dal gr. a^yo^Xn;. II Rigutini poi, non regi-
strando il letterario caprimulgo^ non ha in tutto il suo Vocabolario della
lingua parlata neppuk^ un* appellazione per un uccello che nella Toscana,
anche non contato fatappio, forse ancor vivo negli Apennini, avrebbe oggidì
per Io meno otto nomi diversi.
384 Flechia,
caprine. Quindi il greco nome di cdyo^rikr,;, 'poppacapre', il lat.
caprimulgus, ^mugnicapre', che parrebbe quasi una yersione del
nome greco, e i varj nomi moderni, come il tose. succicLcapre^
rom. succhiacapre f sardo succiacrahas ^ pav. tettacraVf ver«
bass. latacavre^ svizz. rom. allaite-tzivra^ fr. tetechevres^ sp.
choiacabras, cat. wuclacabras, ted. ziegenmelker, ingl. goat--
sucker. In cambio delle capre gli si fanno anche poppar le
vacche; quindi i nomi tarant. zinnavacche^ lomb. (mil. com.
pay.) tettavàc, ven. cueavachef tetavache. Lo si connette va-
riamente colla botta ; quindi il tose. calcabottOt boi, calcàbót^
piem. carcababit gen. carcabaggu, cuaba^u^ mil. scalcasàt o
scarcasat, fr. crapaud-volantp ecc. Vola cacciando gl'insetti a
bocca aperta, sicché pare che ingoji il vento; quindi il nome
tose, fottivento (fior.), mod. tngojavént^ piem. angujavént, fr.
engoulevent. Lo starsene tutto il giorno appiattato per terra
gli fece dare il nome di covaterra (rom. e romagn.), stiacciane
(fior.), piattajone (rom. e san.), spiatterlàn (mil.); la bocca
larga quello di boccalarga (march.), boccaccio^ boccaccia , boc^
calerne di varj vernacoli; le abitudini crepuscolari i nomi to-
scani di nottola (pis.), nottolone (fior.), e ted. tagschlafer (che
dorme il giorno). Circa varj altri suoi nomi può vedersene la
sinonimia volgare del Salvador! {Fauna d* Italia: uccelli^ p. 47);
dove mancano però, oltre sqtuirqtuiscia^ anche le citate forme
emiliane di fadabi e fadabiL
Ora il nome fatappio, cogli afSni de* dialetti emiliani, io non
dubito di porlo nel novero di quelli che si connettono colla botta.
È da notare prima di tutto che il nome di questo batraco, mas-
sime se applicato a rospacci grossi e vecchi, ne* dialetti emi-
liani (parm. boi. ferr.) e nel mantovano è fada {fata^); sicché
fatappiOt fadapi ecc. ricondotti a *fatapulo ci darebbero ap-
punto un nome che, secondo il valore di questo suffisso dimi-
nutivo dispregiativo, verrebbe a sonare rospetto o rospaccio,
rospastro; e cosi noi avremmo in questo nome una quasi iden-
tificazione del succiacapre colla botta, secondo che ciò avviene
' n nome di fata (fada)^ dato al rospo^ si connette colle varie eredeue po-
poìarif per cui questo rettile veniva e viene tuttora considerato come dotato
di qnalità soprannatarali.
Dei libro di B. Bianchi sulla prepos : à. 385
per l'appunto nel fr. crapaudrvolantj 'rospo-volante'. Una tale
identificazione dovette essere assai ovvia ali* intuitiva popolare,
stantechè e il color cenerino di questo uccello e quel suo star-
sene lungamente appiattato per terra, ben devono fare che quasi
si scambi per un rospo. E lo stesso nome di calcahotto cogli equi-
valenti sopracitati , piuttosto cbe voler dire 'che calca la botta'
potrebbe essere interpretato per 'botta che calca', 'botta calcante',
'botta covante' e sarebbero composti analoghi per es. al piem,
cttrcaveja, 'incubo', significante non già 'che calca la vecchia' ma
bensì 'vecchia che calca', 'strega che preme', 'str. che soffoca';
e cosi in tutti questi nomi noi avremmo pur sempre una spe-
cie dMdentiflcazione del succiacapre col rospo, de' cui supersti-
ziosi attributi avrebbe ancor egli partecipato; sicché, per via
del nome fata {fada), dato al rospo, il verbo affàtappiare de-
rivato da fatappio, uccello identificato, come s*è visto, col ro-
spo (che ò quanto dire colla fata), venne a significare 'amma-
]iare\ 'affascinare', 'stregare', non già perchò, come dice il Bian-
chi, il fatappio sia del genere strix (che non è, e, quando fosse,
non basterebbe), ma perchò, confuso col rospo, personificazione
della fata, delta strega, importa naturalmente la nozione della
fatagione, dello stregamento.
Teniamo per non impossibile l'evoluzione di f da qu^ di cui si
parla a p. 317, ma non crediamo che si debba passare per la
forma intermedia di pj, onde p. e. da deliquio ne venga poi,
per via di dilepio, dite fio, dilefiare. La serie evolutiva più
verisimile, in ordine a fia^quia, per noi sarebbe deliquiare,
delicviare, delie fiare, deliffiare, dilefiare. Il suono di e fi per
qui mi ricordo d'averlo udito da bocca toscana, se non erro,
sanese, come per es. in le leggi di cfi per le leggi di qui, cioè
'di questo paese'. Anche in farquetola, farchetola ^ querque^
dula s'avrebbe verisimilmente un'analoga evoluzione di /*da
qu-, forse non del tutto indipendente da influenza dissimilativa.
Lo svolgimento immediato di fin t) l'abbiamo del resto ancora
in più altri casi, come per es. in dolfi, dolfe, dolfero da dolm
= dolui ecc., schifo da schivo, Tafarnelle ni. (pad.), e principal-
mente, per alcuni dialetti italiani, in v rimasto finale, come, ver.
bigrazia, nel berg. caf^ clave, nòf^ novo, novem, nerf^ nervo,
lfcf= lavo, lupo, ecc. Quanto ad innaffiare, annaffiare, che qui il
386 Flechia,
Bianchi fa venire, per via à' *inapjare, da inaquiare, inaqueare,
noi ci atterremo pur sempre all'etimo à^in-afflarCf si perchò
foneticamente più ovvio, e si perchè afflare si trova pure usato
per aspergere. Il nuovo prefisso in qui non avrebbe nulla d'in*
solito (cfr. p. e. innasconderey nascondere da in-àbscondere).
Ci pajono al tutto inverosimili gli etimi Ò!avaccio da odus
(349) e di agio da otium (p. 402), massime per la strana mat-
tazione d'o tonico in a e, quanto ad agio^ anche pel riflesso
normale di un -sio {^asio)t che darebbero tutti i dialetti neo-
latini, in alcuni de' quali, p. e. nel nap. e sic, mal si potrebbe
risalire a -Ho.
Qui pure, a p. 402, il B. fa venir ragia da resina^ notando
r irregolarità di a tonico da e. Ma ragia non può venire d'al-
tronde che da *rasia^ alterazione morfologica di rasis^ a cui
sta *rasia^ come p. e. a rudis stanno *rudiOt *rudia, donde roz^
zoy rozza.
Quanto a gomena che il Bianchi fa venire, prima da acu--
mina (p. 368) e poi da copula (p. 451), mi permetto di riman-
dare a ciò che dissi nella Riv, di filol. class., II 195 e seg.,
connettendo questo vocabolo con ligumina per ligamina. Ag-
giugnerò solo che il h di ^om&ma,*dal quale principalmente, a
quanto pare, fu suggerita la sua derivazione da copula, non
potrebbe essere se non una lettera epentetica, come in góm-
bito da vomitus, ròmbice da rumex, cimhice da cimex, stómbaco
da stomachus ecc.
Non ostanti gli appunti che qui ci parve di fare allo scritto
del Bianchi, ripetiamo che esso rivela nell'autore non solo in-
gegno e dottrina non comuni, ma anche disposizione partico-
lare agli studj glottologici. Nelle sue conclusioni (pp. 408-415)
il Bianchi accenna ad alcuni lavori di linguistica comparativa
che potrebbero certo giovar grandemente alla storia della lin-
gua e dei dialetti d'Italia. Uno di questi lavori, per cui ci pare
che il Bianchi, e come nato e vivente nella Toscana e come
educato alla scienza delle lingue, dovrebbe aver meglio d'ogni
altro attitudine e comodità, sarebbe, al parer nostro, la com-
pilazione del glossario specialmente proprio della Toscana, il
quale, come già s'intende, non avrebbe punto che fare col Vo^
cabolario dell'uso toscano del Fanfani, Questo glossario, cri-
j
Del libro di B. Bianchi sulla prdpos. : a. 387
ticamente ordinato, mentre da una parte non sarebbe forse sen-
z' utile per la risoluzione di problemi etnologici, riuscirebbe
dairaltra una delle prove più lampanti, se ancora ne fosse bi-
sogno, della toscanità della lingua italiana ; perocché ben si ve*
drebbe come un tale glossario sia già tutto o quasi tutto parte
del Yocabolario italiano, mentre si può affermare già fin d'ora
che quasi del tutto estranei ad esso yocabolario risulterebbero
i glossarj specialmente proprj di dialetti non toscani. S' accinga
dunque il Bianchi a simil lavoro; e come già la Toscana ha
dato air Italia la parte più naturale e più viva della lingua
nazionale, cosi per opera d*un Toscano abbia essa ancora la
storia di essa lingua, massime in quanto s*origina da fonte vivo
e s* impronta da favella parlata ancor naturalmente oggidì. *
G. Flechia.
2. Manipoletto d'etimologie.
amòscino.
^Qualità di susino, prunus dome$tica\ Fanfani; amosclno
'der Damascener-Pflaumenbaum*, Valentini. Verrà da damascè-
nus. Plinio ha damascena prunai Marziale damascena senz'al-
tro; in francese ò damas, neiringl.: damstn, damson, sempre
per il 'prunum damascenum'. Nel greco medievale e moder-
no, Sa|/.aaxYivóv è la prugna domestica. L* italiano rende 'pru-
num jdamascenum' per susina damasclna, dove Vi riflette Véf
come in Saracino, pergamina, pulcino (puUicenus). Da dama-
scino s'ebbe poi amòscino^ amòscino^ cosi per il prugno da-
mascino come per il domestico. L'aferesi del d si spiega per
r illusione che vi si avesse la preposizione di (prugno d-ama-
scino); cfr. l'ant. spago, almàiica almàliga dalmàtica, tùnica
(Sanchez).
baccano.
Tracasso, bordello, remore sformato; usossi pure dagli scrit-
tori per Bricconeria, Furfanteria : e tali usi vennero dal Bosco
di Baccano, là presso Roma, infame per assassinj.' Fanfani. È
piuttosto l'appellativo che ha dato nome al bosco. Il Valentini
388 Storm «
ha inoltre: Baccana, bettola, *kneipe\ A me par probabile che
queste voci sieno soorciate o qaasi estratte da baccanale^ pec
modo che si conseguisse come un nuovo primitivo; e lo stesso
procedimento credo riconoscere in più altri esempj. Tra i quali
per ora mi limito a citare Tit. settentr. bac baculum (onde Tit.
bacchetta e il dialettale baca bacchiare), e fnnco vinculum, i
quali, secondo il Picchia, Arch. II 36, 'rifletterebbero le due for*
me, forse primitive, di *bacum e *mncufn\ Ma da bacalo vincolo
si potevano facilmente indurre, come per illusione etimologica, i
semplici e quasi primitivi baco vinco, sull'analogia di saccolo da
saceOf vicolo da vico. Cosi anche baccano baccana potevano ri-
cavarsi da baccanale, sull'analogia di settimanale accanto a set^
Umana, comunale allato a comune (ant. comuno comunci^, ecc.
bettola.
'Osteria . . • dove capita solamente gente di baisa mano' Fan-
fani« È pure strano che tutti i lessicografi ripetano l'assurda
derivazione dal tedesco betteln mendicare, dova invece la parola
viene semplicemente da bevere, bere e sta per *bevettola, dimi*
nutivo di *bevetta che si è conservato nel fr. buvette. Calza qui
Ve stretto: béttola, non béttola.
bietta.
Conio, zeppa, 'di origine oscura' Diez II a. Nel nordico antico
c'è blegdi, in dialetti svedesi moderni: bligd, collo stesso va-
lore; in norvego mod. hlegg. Allato a blegdi, che suppone un
tema primitivo germanico *blegedan, potremmo porre una forma
parallela ^bleg-ti, *bleh'ti, ant. ted. *bliht, onde bietta come
schietto da {sliht) scliht, ted. mod. schlicht. Ma finché codesta
parola non si trovi, la dichiarazione rimane incerta. Giova però
considerare, che, stante la scarsezza delle fonti, noi dell'antico
tedesco non conosciamo se non una picciola parte.
borchia.
'Scudetto colmo, di metallo, che serve a varj usi, e sempre per
ornamento' Fanfani. 'Il significato (dice il Diez) è precisamente
'quello di bulla, ma la derivazione da bulla è dubbiosa, poiché
^*bul'Cula per bullacula è difiicilmente ammissibile. Si confronti
Etimologid. 389
^anche Tant. alto-ted. bolca « lat. bulla.^ À me questa voce pare
il riflesso di buccula, che si ritrova in altre lingue romanze: fr.
boucle, ant. fr. bocle, blouque, prov. bocla, bloca^ ant. spagn.
bloca ^erzbeschlag in der mitte des schildes', onde il fr. bouclier,
V a. brocchiere 'specie di scudo che nel mezzo aveva uno spun*
tone\ Buccula sarà prima diventato *bluccula, come *flacula,
fiaccola da facula, e come per avventura anche inchiostro da
Unclaustulum, incaustulum, cioò per ripetizione o meglio an-
ticipazione di 2, e non per la mera metatesi che ha luogo in
bloca (v. sopra), fiaba fabula, pioppo populus, fiasco vasculum,
fionda tv. fronde fundula (Àrch. II 56), spagn. blago baculum,
prov. fiorone farunculus. Da ""bluccula poi ^bulcula, onde &or-
chia per dissimilazione, come rimorchio da remulculum. Il -r-
si ritrova anche in brocchiere, discendente diretto da *bluccula
e preferito a ^Nocchiere per T influenza di brocco spuntone.
cerbonèca.
Vino cattivo, citato senza spiegazione dal Diez, gramm. 11^ 306,
come esempio del suffisso -eco, a lui oscuro. Questa voce vien
senza dubbio da acerbus e sta per *acerbonéca, da un basso lat.
*acerbdnìca. 'Acerbo' dell' uva anche fra i Latini : Uva primo
est PBRACERBÀ gustatu, Cic. Sen. 15. Nondum matura uva est,
nolo ACERBAM sumcrc, Phaedr. IV, 2.^ Il suffisso -èco, -èca sarà
il latino 'ìcus romanizzato, cioà accentato; nello spagn.: -éca
accanto a -ego, -iégo; cfr. prov. teiéca = sp. talega. LMtal. ha
p. e. moccèca 'uomo dappoco che quasi non sappia nettare i
mocci', parola che evidentemente è da combinarsi coir aretino e
pistojese moccico moccio, cfr. moccicare, smoccicare, lasciarsi
cadere i mocci. Poi spizzéca {spizzeca ha il Diez, che probabil-
mente seguiva il Valentin i) 'mignella, spilorcio', da confrontarsi
col fare a spizzico = a stento, spizzicare gustare a piccoli saggi,
da pizzicare e pizzico. Tutti questi derivati in -éca fanno da
soprannomi di disprezzo; la desinenza feminile è caratteristica
in questa funzione e si ritrova nello spagn. babieca bàbbèo,
sciocco, propr. bavoso, mentre il prov. ha bavec^iv.bavard.
S*aggiunge il milanese busecca budellame, ital. busccckio, com-
* ^Qui l'uva ha in fiori acerba^ o qui d*or l'ave', Tasso.
Archivio nlotfol. Ui\] . IV.
390 Storm ,
parato dal Diez (v. bozza) all'ant. gebuzze exta. Esempj spa«
gnuoli di 'ego son poi cristianégo che altro non può essere se
non *christian?cu3 , niego *nid?cus, labr^ego *labortcus. Molto
istruttivo per la trasposizione dell' accento è il sufBsso porto-
ghese -adégo da -atìcus, Diez gramm. IP 310. E ancora giova
che sia addotto lo spagn. burrico, ital. bricco^ dal lat. bùrìctts,
sebbene Vi qui non diventi e.
facchino.
Se fagotto viene da fax nel senso di fascio di scheggio (Oibz),
anche facchino ne potrà derivare, come quegli che porta i fa-
gotti, con la desinenza del fiorentino lustrino, che lustra le
scarpe. Il raddoppiamento del e come in bacchetta, macchina ecc.
fanfano.
*Vano, che anfana per poco, millantatore' * fanfarone. Il Diez
connette fànfano e lo spagn. fanfarron coU'ant spagn. fanfa
jattanza, e crede queste parole 'wohl nur naturausdrùcke', Fàn^
fano si trova con trasposizione d'accento nella Tancia del Buo-
narroti, p. 889 ed. Fanfani : Tu se' una fraschetta, una fanfàna
(: villana). C*è una locuzione avverbiale a f anfana vanamente,
per cui si dice anche a fànfera che ha accanto a sé anche a vàn^
vera, E e' è il verbo sfanfanare : Mi sento spanfanar d^ amore,
Tancia p. 876, ^struggere, disfare, consumare' Fanfani, propria-
mente ^avvampare', come benissimo lo spiega il Salvini.
Connetteremo queste parole con fanfaluca favilesca, 'onde il
*fr. fanfreluche cianfrusaglia, e probabilmente per iscorcio il
'milan. /an/u/Za [baja, celia, fanfaluca, frottola], com. fanfola, sic,
'fanfon}\ Cosi il Diez, il quale giustamente trae fanfaluca dal gr.
•;;o[x(póXu$, nelle glosse fiorentine: famfaluca. Da /an/dte = t^oja-
<p6Xu; si è fatto in prima *fànfola, *fànfala come ségola, segala
da secale, poi fànfana come mòdano da modolo, mòdulus, indi
fànfera come cécero -cecino. Fors'anche: vànvera, o per in-
flusso di vano, o per mera alterazione di pronunzia.
Anche affanno par che abbia influito su questa famiglia di
parole. Indi forse la pronunzia fanfàna della Tancia; e dalla
fusione delle due parole può parer nato il verbo anfanare, nel
presente anfano, voce contad. significante un girare ozioso, un
Etimologie. 39,1
parlare vano, e 'dicesi pure di 'que' furbi affannoni, i quali fanno
'credere altrui di pigliarsi continuo pensiero e briga delle cose
'del prossimo' Fanfani. Ma intorno a anfanare^ il prof. Sophus
Bugge mi dà la seguente annotazione: 'anfanare, anfania fa
'pensare al lat. affaniae dieta futilia, gerrae, usato da Apulejo',
la qual derivazione è per avventura la migliore.
mucchio.
Come corrisponde nel significato al lat. cumulus, cosi gli può
rispondere anche nella forma. Da accumulare potea cioè aversi,
senza molta difficoltà : *ammuculare = ammucchiare^ onde muc-
chio; men facile che direttamente da curnulus s'avesse *mtecu-
lus^ la metatesi effettuandosi più agevolmente in sillabe atone.
V*ha un certo rimescolamento nei riflessi del lat. curnulus, come
ha fatto vedere la dotta signora G. Michaelis nella Bibliogra^
phia Critica del Coelho, p. 377; e anche noi tenteremo or qui
di chiarirlo un po' a modo nostro.
Da un lato si confondono curnulus, culmus e culmen; dal-
l'altro si" divariano i riflessi tra l {colmo ecc.) e r {ingom^
hro ecc.). Tutto ciò proviene dalla difficoltà di pronunziare sia
m7, sia i suoi possibili prodotti "^mlj, mj, essendo le labiali
più restie delle altre consonanti a palatalizzarsi o unirsi con
suoni palatalizzati, come anche si scorge nelle lingue slave.
L'italiano suole evitare questa difficoltà, serbando la forma non
sincopata, come pòpolo, tàvola, nùvola, màmmolo, trèmolo;
ma qui ebbe, oltre cumulo accumulare, anche la forma sin-
copata, per la quale è ricorso a più spedienti. Cum'lus^ com'lo
diviene colmo, cosi confondendosi con culmus, ovvero com'ro,
-gombro, come sembrare da simulare, sUnilare^ cosi forse
confondendosi anche con cùmèrum, cumSra, dato che questa
voce fosse ancora in uso. Per isfuggire a ogni omonimia, la lin-
gua ò finalmente ricorsa anche a un nuovo mezzo, cioè alla
trasposizione delle sillabe, facendo di accumulare *amuculare,
onde ammucchiare e mucchio.
peritarsi.
'Esser timido, vergognarsi, non avere ardire di far checchessia'.
Fanfani. Il Diez chiede se possa andare con lo spagn. apretarsè.
3p2 Siorm, Etimologie.
sic. apprilarisi strignersì. Ma un'origine ben più legittima ci
è offerta dai basso lat. pigritari ò/cvstv: Ne pigriteris venire
usque ad nos Act. IX, 38 ; Ne pigriteris visitare infirmum^
Sirac VII, 35, v. Rónsch, Itala und Vulgata, p. 168. 11 primo
significato è dunque: esser pigro, indugiare, tardare; indi: esi-
tare, stentare a fare qualche cosa; ed è un trapasso molto ana-
logo a quello che ci offre il verbo esitare. Il 'deponente' latino
è reso anch'esso dal 'riflessivo' italiano ; e abbiamo er = igr come
in nero nigrum, spagn. pereza pigritia. Il Bugge mi fa notare
l'albanese pSrtoj 'ich faulenze' (poltroneggio) =p/^Wtor, citato
dallo Schuchardt, Kuhn's Zeitschr. XX 247 ; e aggiunge lo
stesso Bugge: 'lo sviluppo del significato si conferma anche
'dall'uso seriore di piger: triste, abbattuto, infastidito, e viepiù
'dall'uso dìpiget nel senso di 'vergognarsi': fateri pigebat Liv.
'VIII, 2; Uicpro vitto mihi vortebat, quod me noe sordidiora
'dicere honeste piqeret, Appul. Apol. p. 472 Oud.' — Il Rònsch,
che tanto bene illustra p^/r/tor/, cerca poi (JahrbuchXIV 342)
di derivar peritare da pavoritarc o veritare, etimologie tut-
t'e due bene infelici.
retta.
nella locuzione di dar r^etta, non sarà dal semplice reggere,
ma da dare arrcctam se. aurem.
■
screzio.
Parola antica che significava: 1.° Varietà di colori, o di fregi.
2."* Cruccio, discordia tra due persone state familiari tra loro
(Fanfani). Verrebbe, secondo il Caix, da *secretium; ma que-
st'etimologia non si combina affatto col senso del lat. secretus.
Risaliamo piuttosto a *discrepitiare , forma ampliata del lu-
creziano discrepitare , e questo, com'è noto, da discrepare^
stonare, essere discorde, differente. Per la forma, si confronti
cretto fenditura, da crepitus, e cretlare screpolare, da ere--
pitare, Riv. di Fil. Rom , I 12,— Affatto diverso è l'antico
screzione per discrezione.
CriBtiaDia (Noryegia), 0. Storm.
Il participio veneto iu -esto. 393
3.
Il PARTIOIPIO VENETO IN -É-STO*
Accadeva testé, che si toccasse degli effetti del principio ana-
logico neir ordine dei suoni (Arch. Ili 254 n). Or sia concesso
che brevemente si discorra intorno alla genesi e alla diffusione
analogica di una terminazione che potò parer singolare e fu
ripetutamente considerata in questi fogli. È lo -sto del parti-
cipio 'debole' di perfetto dei parlari veneti.
1. Giova anzitutto ricordare i limiti che questa formazione
ritrova nel tempo, nello spazio e nella ragion grammaticale.
Nelle più antiche scritture veneziane o venete, questa ter-
minazione è molto rara, e gli esempj se ne fanno tanto men
rari o tanto più frequenti, quanto più si discende nel tempo.
La sua odierna diffusione nelle varietà venete di terra-ferma
è ben maggiore ancora che non sia nel proprio dialetto di Ve-
nezia, dove è pur molta. Al di là del territorio veneto non
s' ò finora incontrata se non in ^un solo esempio, il quale s* insi-
nua in Lombardia, pur con funzione di sostantivo feminile, ed
è appunto T esemplare più antico, o almeno uno dei più antichi,
che nelle scritture venete occorra: movesto movesta (v. Arch.
I 431 459, li 405-6, III 267). Nel veneziano, non vedo che
questa formazione s* estenda mai al di là deir àmbito delle con-
jugazioni in -ere, e vuol dire che ivi slam limitati ai tipi ta-
sesto savestOy cr edesto (taciuto saputo, creduto). Ma tra le
varietà deirestuario e più ancora tra quelle di terraferma e le
istriane, ben s* oltrepassano codesti confini. Vi incontriamo lo
-STO anche nella conjugazione in -me; preceduto però ancora
in molte varietà, o in parte della serie, dall'É, che accenna
all'essere codesta formazione più antica e costante nelle con-
jugazioni in -ere; e finalmente s'arriva a accettare lo -sto pur
nella conjugazione in -are, ma solo a patto che prenda seco Té
[o l'i], e vuol dire a patto che il participio traligni ad altra
conjugazione che non sia quella del suo infinito. Siamo cosi ai
tipi: vegnesfo vegnistOf dormesto;- magnesio [portisto]; circa
394 Ascoli,
i quali SÌ può per ora consultare il I volume AelVArchivio, a
pp. 402, 406, 409. 415, 419, 431 e 444.
2. Qual sarà la ragione o la storia intrinseca di questa forma?
L'esperienza ci porrà sùbito, e come 'a priori', sulla buona via,
suggerendoci di cercarvi un fenomeno di diffusione analogica,
da mandarsi con quello ieW-ùto di participio, cosi per tempo
divulgatosi fra i verbi delle conjugazioni in -ere (cfr. Diez IP
134), dell' -ac ecc. che alcuni esemplari di frequentissimo uso,
come fac die, fatto detto, riescono a imporre anche all'intera
serie in qualche dialetto dell'Alpi occidentali (vedine per ora:
Arch. I 258).
I participj neo-latini in cui occorra uno -sto etimologico o di
ragion latina, sono pochi ; e anzi son due soli, se io vedo bene,
che si possano considerare utilmente in questo luogo : posto po-
sato- e chiesto quaesfto-. Il secondo è anzi già tralignato dalla
ragione letteraria del latino, come anche ne traligna il perfetto
chiesi quaesfvi. Abbiamo un **quaesui *quaes?lum' tirato sul mo-
dello di 'posui posìtum', e questa livellazione si riproduce anche
dal provenzale: pos, post; ques quis perf., ques quis quist part.
Son due soli codesti esempj, ma uno dei due, e il più genuino,
fa per molti : posto, anteposto, apposto, composto, contrapposto,
deposto, disposto, esposto, frapposto, imposto, opposto, posposto,
preposto, proposto, riposto, sottoposto, sovrapposto, trasposto.
Il quale potentissimo verbo deve avere attratto assai per tempo
nella sua analogia anche l'antico ^respondere' (respondi respon-
sum^), meglio il popolare *respond^re\ in ciò ajutato e dalle
congruenze fonetiche (re-pónere, re-sp6ndere) e pur dalle con-
nessioni ideologiche (proposta, risposta). Onde s'ebbe, oltre
l'analogico ri-sposi (cfr. es-posi ecc.), anche l'analogico ri-sposto
(cfr. eS'posto ecc.). Taluno forse chiederà se questa e altrettali
riduzioni non vadan piuttosto ripetute da un invalere del -to,
quasi nota generale del participio di perfetto. Ma se ò vero che il
-to etimologico di tutti i participj 'deboli' {amato finito ecc.), e di
molti participj 'forti' {unto ecc.), s' introduce per espansione ana-
logica in esemplari neo-latini quali sono offer-to spar-to spari-io,
* Carioso errore del Diez il credere neo-latina la base responsum e raf-
fermare insieme un latino responditum; gr. ÌV 2\5, cfr. 161.
Il participio yeneto in "esio, 395
è vero insieme che Tantico participio in -so non solo non ri-
pugna al neo-latino in genere e all'italiano in ispecie (preso
messo ecc.), ma anzi vi si estende oltre ai confini antichi, cosi
come fa anche il perfetto in -si (cfr. reso valso ecc.). È quindi
ragionevole che si cerchi una particolare spinta, cioè un parti-
colar movente analogico, per la trasformazione del -so etimo-
logico in 'Sto. Ora, per il caso di 'rispóndere', trovammo che
il movente appare manifesto; e la storia conferma il raziocinio,
mostrandoci che il provenzale abbia anch'egli Tanalogico respost
{respos respost; perf. respos) allato all'etimologico po5< r^-6o5^.
Ma la prima riduzione ne poteva promuovere dell'altre. In-
sieme coir analogico ri-sposto cor-risposto, dev'essere lunga-
mente vissuto il genuino ri-sposo cor-ri-sposOf come in ispecie
8* addimostra per le letterature dialettali (v. per es. Àrch. Ili
268) ; e similmente l'etimologico rimaso venne a avere accanto
a sé l'analogico rimasto, o ancora più facilmente fu promossa
l'altra copia congenere nascoso e nascosto ('riposto'), come ha
appunto anche il provenz. : rescos, escost rescost. Insieme potò
aversi la coppia nella quale fos^e più genuino l'esemplare collo
-sto che non quello col -so, che è il caso di chieso {con-quiso,
prov. qties quis) allato a chiesto (prov. quist, o anche allato a
ac-quisto); il quale esempio ci conduce all'ultima delle coppie
italiane che qui spettino, cioè a viso visto, nella quale torna a
essere etimologico o latino il solo esemplare col -so. Ed è ugual-
mente, nel provenzale, l'analogico mst allato a quist.
Il provenzale fa poi anch'egli un altro passo per la via che
a questo modo s' era aperta. Crede il Diez (IP 215, cfr. 217)
che il prov. somós eccitato, rivenga senz'altro, per anomalia,
a 'sub-monere' ; ma quest' è sicuramente un' illusione. Si contes-
seranno, nel provenzale, 'sub-monere' e 'sub-morere', e somós
riviene di certo al secondo di questi verbi, insieme col sost. 50-
mosta, che equivale all'itaU sommossa 'istigazione'. Cosi ab-
biam anche la coppia -mosso -mosto, e l'esemplare con lo -sto
ci ritorna al di qua dell'Alpi nel comosta di Bonvesin da Riva\
« MusSAPiA, DarstelL d. altmaiU mundart nach Bonv.'s schrift.^ § 120.
^Bemerkenswerth (dice T illustre romanologo) ist comosta I 139, daa wie it.
^nascosto rimasto risposto die zwei endungen -5m»i und -twin combinirt; vgl.
396 Ascoli,
3. Ecco dunque una serie d*esempj italo-provenzali per lo -sia
analogico allato al -so etimologico (e uno insieme di 'Sto d*an-
tica ragione che s'avvicenda con -so); al cospetto della quale
sùbito sorge la ragionevole ipotesi che il fenomeno veneto, ora
proposto al nostro studio, altro per avventura non sia se non
la dilatazione del fenomeno, probabilmente bene antico, che
r italiano ed il provenzale ci venivano mostrando. Ma i parti-
cipj italiani o provenzali in -sto son però tutti del tipo 'forte*,
come è appunto proprio dello stesso tipo il -so al quale lo -sto
in quella serie subentra e col quale s'avvicenda. Può dunque
parere che una dififerenza intrinseca e molto grave disgiunga
affatto il fenomeno italo^provenzale dal veneto; poiché sempre
è air incontro di tipo 'debole' il participio veneto in -sto : savé--
sto ecc., e non può egli essere stato promosso direttamente da
alcuna forma in -so {*savéso o simili ; cfr. nascoso nascosto ecc.)*
Non s'arriva perciò alla persuasione che lo -^to della serie ita-
lo-provenzale vada effettivamente congiunto con V -é-sto -i-sto
della veneta , se non si riesca a vedere la leva morfologica per
la cui virtù questo esponente siasi potuto comunicare dalla se*
rie, nella quale ebbe ragion di nascere, all'altra serie, nella
quale non sarebbe spontaneamente mai nato.
Questa leva è nel perfetto dell'indicativo. Nelle letterature
dialettali, e in ispecie nella veneta, ci ò mestato come il tipo
^forte' di perfetto si venisse largamente risolvendo nel tipo 'de-
bole' ; e v'abbiam cosi : oppone, vive ecc., cfr. p. e. Arch. Ili 268.
Ora, ognun sa quanto sia stretto il vincolo fra il perfetto in-
dicativo e il participio di perfetto, e quanta in ispecie sia l' in-
fluenza che il primo eserciti sopra il secondo (v. per es. Arch.
II 428 n); e se, dato codesto tralignamento del perfetto indi-
cativo, la produzione di un nuovo participio si rende, dall' un
canto, pressoché inevitabile, avvien dall'altro che in questa
nuova aberrazione analogica il linguaggio tenti varie vie e va-
riamente vi si inoltri ; poiché tanto più egli è sensibile alle at-
trazioni dell'analogia, quanto meno lo avvince la ragione storica
^movesto noch in heutigen mundarten.' Ora in queste parole sta come in
germe tutto il ragionamento che qui si fa.- Anche il Bogbbieb, mentre que-
sti fogli si stampano, ritocca di codesto participio {Roman, stud. Ili 76)^ ma
con miuore fortuna.
II participio veneto in -eslo, 397
delle sue forme. Siamo a quella categoria di fenomeni che ben
si rappresenta per le serie tolsi tolé toletto (tolecto)> posi pone
ponuio e panetto, ed è ristudiata nei ^Saggi ladini', C. Ili, 3.
Cosi vede, allato a vide visto, promosse un vedésto, nel quale
succede alla tonica, quasi fosse Tesponentò del participio, tutto
il volume fonetico che alla tonica sussegue in visto (cfr. dato
amato doviito ecc.); e similmente: póse pósto pone ponésto,
rimase rimasto rimane rimanésto, i quali esemplari appunto
occorrono nei testi o ne* dialetti veneti. La spinta analogica,
che, dopo aver promosso il 'debole' vede, ci porta, per secondo
lavoro, da vede a vedesto, o da rimane a rimanesto, opera so-
pra antichi participj che già alla lor volta avevano sùbito una
operazione analogica (viso visto, rimase rimasto). U^esto di
op-ponesto vedesto rimanesio s'accomuna poi facilmente agli
antichi tipi 'deboli', e cosi tasesto savesto ecc.; ma trattasi in
effetto d*un esponente che imprima sorge per una o più d*una
operazione analogica (una in ponesto, due in vedesto rimanestó),
e poi analogicamente s'apprende a nuove serie {tasesto ecc.), nelle
quali più non ha, né la ragione primaria (posto), né la seconda-
ria {visto), per la quale si svolge ed esiste {poné-sto vedé-sto).
Il gruppo in cui entrano viso visto vedesto^ rimaso rimasto
rimanesto , ecc. , può essere stato più numeroso che oggi non
paja, e quindi tanto più facilmente avere immesso V-esto {-isto)
in tanta parte della conjugazione veneta. Posti ora sulFavviso,
riusciremo forse ad aggiugnergli qualche altro esemplare; ma
intanto vediamo intiera la bella importanza di queiresempio lom-
bardo-provenzale di cui s' ò prima toccato : so-mosta e co-mosta.
Poiché pur qui ci occorre il perfetto 'debole' : move (Arch. Ili
269), e pur qui riabbiam dunque la progressione intiera: mòsse
mòsso mósto move movésto. Né vorrà essere un mero caso, che
il solo esempio, sin qui veduto, di -esto in Lombardia, o in ge-
nere fuor dei confini delle Venezie, sia appunto questo che ha
accanto a sé uno -sto di antica scrittura lombarda.
Àir-i^to s'arriva ancora per la via del perfetto indicativo,
cioè per le oscillazioni fra il tipo in -^ e quello in -{ {venzé
venzi ecc., Arch. l. e). E la ragione per cui manchi il parti-
cipio 'debole' in -osto é ora pronta è lucida. U-esto ripete le sue
origini da verbi 'forti' che tralignano ; e nella prima conjuga-
398 Ascoli ,
zione son tutti verbi ^deboli' sin dalle origini loro. Non c*è, a
cagion d'esempio, un perfetto come sanse sàse da 'sanare\ e
quindi un participio come sàso o sasto, onde poi avvenga che
si ricavi un perfetto 'debole' sana e un participio sanasto; ma
siamo costantemente e ab antico a 5an^[uit] 5an(i[to].
G. r. A
4,
Altri ablativi d'imparisillabi keutri.
Anche questa breve esercitazione muove in parte dallo stu-
dio delle spinte e dei modi pei quali il principio analogico eser-
cita la sua azione potente.
Ricordo in prima, con grande mio conforto, che lo Schu-
chardt più non si pente d'aver riconosciuto degli ablativi nei
nomi spagnuoli in -umbre -ambre -imbre; e ora siam tutti
d'accordo, io credo, neir affermare che i tipi nome e nomne
{zinombre) nella penisola iberica, o vime vimine nella penisola
nostra, rappresentino la compiuta declinazione del volgare la-
tino: nome[n], ad nome[n], de nomine, a nomine; cioè,
in altri termini, ci mostrino due diverse forme, originali e po-
polari entrambe, appunto perchè una delle forme oblique origi-
nali era foneticamente irreducibile a quell'unità di tipo vol-
gare che per es. s'aveva in dono[m], ad dono[m], de dono,
a dono; v. Arch. II 439 segg., Zeitschr. f. rom. philoL I 123 n.
Appena poi occorre che sia qui rammentato, come la ricostru-
zione dell' antica flessione volgare si possa ormai dir conseguita
anche pel tipi pipe[r] piperò e glomu[s] glomere; Arch.
II 426 segg., 423 segg. Ora rimane che a poco a poco sien ri-
conosciute correttamente afifermate le intiere serie di codeste
coppie di forme.
Al fem. lat. lens lendis si risponde in gran numero d'idiomi
neo-latini per forme che suppongono un antico lendine (Men-
dinis ^lendine). Il Diez dice nel lessico (P 247): 'lendine ecc,9
'da lens lendis, per la qual forma il popolo sembra aver detto
'lendinis, sedotto da casi consimili.' Imagina dunque il Mae-
Ablativi d* imparisillabi neutri. 399
stro, che questo nome soggiacesse fra il popolo a un'attrazione ]
analogica, per la quale il tema degli obliqui s'aggiungesse V4n.
Ma dove son gli esemplari feminili, o sia pur maschili, i quali,
o per il loro numero, o per la particolar frequenza nel discorso,
per la particolare congruenza degli elementi fonetici o del
significato, potessero esercitare sopra lens lendis codesta at-
trazione 1 Confesso di non saperli ben vedere ; e ognuno di leg-
gieri concede, che è vano e pericoloso il ripetere la ragion
d*una forma dall'analogia, quando non si veda chiaro il come e
il perchè la parola sia stata attratta fuor della sua orbita ori-
ginale. Ora noi non vediamo, a cagion d'esempio, un frons che
dia *frondinis, o altri esemplari consimili che avessero potuto
sedurre lens lendis a farsi lens lendinis; ma sempre siamo
uniformemente a glans glandis, frons frondis, frons
frontis, mors mortis, dos dotis ecc. S o pur nei mascol.
a mons mentis, pons pontis ecc.; e anche passando al
tipo navis sitis vestis restis pei feminili, o civis panis
piscis pei mascolini, non riabbiamo l'obliquo che s'aggiunga
l'-in se non nei soli due esempj a cui tosto s'arriva e che
sono entrambi *sui generis'. Superfluo poi avvertire, che ai tipi
dal nominat. in -o (-on), come virgo virginis, homo ho-
minis, non può attribuirsi alcuna forza d'attrazione sul tipo
lens lendis, poiché la disformità dei tipi nominativali (lens
virgo) importa che manchi il punto di coincidenza dal quale
abbia a muovere la spinta analogica. E vate viepiù questa ra-
gione per escludere femur feminis. I soli due esemplari che si
possano citare per -is al nominat. e -Inis al genit., sono san-
guis sanguinis, pollis pollinis^ Ma sono appunto solo
' Non dimentico glando {rz glans) ^ onde BMnferiBce glandinis, b\ che ne
Terrebbe la coesistenza dei due genit. glandis e glandinis. Ma lasciando che
glando ò solo di Avieno, e che negli idiomi neo-latini non si vede nessuna
conferma, nò di glando^ nò di glandinis^ sarebbe a ogni modo stato un gen.
glandinis che aTeva accanto a so il suo nomin. in -o. Di gius ecc., y. qui
appresso.
' Appena occorre notare che il tipo greco delphis (dslphin) delphlnis per
doppia ragione qui non e* entra. Nò gioverebbe qualche indizio di spes spe-
nis (v, ScHUCH. Yok. I 34, II 279n), poichò il tipo ò rimoto a ogni modo, e
sarebbe d'altronde quest'esempio medesimo un problema da sciogliere, piutto-
sto che un argomento da adoperare nella soluzione d*un problema.
400 Ascoli,
due, e anzi il nominat. pollis non è negli autori. Perchè dun-
que avrebbe dovuto lens lendis sentirsi attratto da una cosi
piccola forza, quando una tanto salda e numerosa schiera di
esemplari lo teneva all'incontro fermo alla sua norma originale t
Sanguis, lasciando anche andare la molto diversa entità fone-
tica del tema e il diverso genere, non aveva del resto con lens
lendis alcuna specie d'attiguità ideale; e pollis, dato pure
che questa forma, maschile o feminile, veramente corresse, ancora
si stacca troppo, neir ordine de* suoni, dal tipo lens lendis,
nò una qualche esteriore simiglianza fra le cose indicate dai due
nomi potrà mai farci persuasi che pollis pollinis valesse a
alterare la ragione morfologica di lens lendis.
I due esemplari ultimamente citati ben però ci possono con-
durre allo scioglimento dell* enigma. Poichò, dato pure che vi-
vesse un nominat. pollis, egli aveva accanto a so il neutro
poUen, come sanguis ebbe allato a so il neutro sanguen,
e anguis il neutro anguen. Ma anche a vermis s'accom-
pagnava un vermen^ attestato dal pi. ver mina, dolori di
ventre, e all'ablativo di questo rerm^w rispondono Tit. vermine
e altre forme neo-latine che tosto adduciamo. Similmente si
rinviene un circen (il cui ablat. è Tit. cercine, mal raddotto
dal Diez a 'circinus') allato a circes circi tis; e la stretta
parentela che è fra limen e limes limitis si sente molto
bene nel nostro uso di limitare per limen; e ancora ve-
niamo a scoprire un tarmen allato a tarmes tarmiti s. Poi-
chò rit. tarma non è tarmes, nò pel genere, nò per la forma ;
ma ò un feminile proveniente dal plurale neutro tarmina
tarmna (cfr. pecora ecc.), al quale sta, nell'ordine fonetico, come
lama a lamina (lamna); e parimenti riviene a tarmna an-
che il lad, tarna (n = MN, cfr. Arch. I 69)*. V'ebbe dunque
un'intiera serie di neutri in -en -inis allato a mascolini del tipo
vermis vermis o del tipo circes circitis. In una delle coppie,
ò masch. e femin. l'esemplare in *i5, cioè in anguis anguen;
e anzi in due, se combiniamo le sentenze circa pollis poUen-
e ancora ci resta il fem. gius glutis allato a gluten gluti-
• Rivedi ora Mobsafia, Beitr. 114, e Dibz less. e. tarma V 410 e arfM II»
207. Circa famine, y. Arch. II 432.
Ablativi d'imparisillabi neutri. 401
nis. Ora, sarà egli troppo ardito lo stabilire, che anche allato
al fem. lens (il quale anche poteva avere accanto a sa un no-
min. lendis), gen. lendis, vi fosse un neutro lenden leixdinis%
Fra i neo-latini troviamo ugualmente diffusi il tipo lendine e
il tipo tendina; e come quello potrebb*essere l'ablativo del neu-
tro, cosi questo è manifestamente il plur. neutro e par mettere
fuor d*ogni dubbio la ricostruzione alla quale riusciamo. Il vo-
cabolario italiano ha lendine insieme e lendina (un altro plu-
rale sul gusto di pecora, o del tarmina che testò ci usciva,
o del sardo imbena fem. sing., singuina); e a lendina insieme
rivengono: léndena ecc. di tanti vernacoli italiani, il rum. Un-
dine e il portogh. lendea. Lendine, considerato come ablativo
del neutro, dovrebbe, secondo le analogie, esser primamente un
mascolino in -e (cfr. it. fùlmine ecc.), che poi dall' un canto
potesse trascorrere, in dati idiomi, al tipo mascol. in -o (cfr.
sic. gliiommaru, it. rudero, ecc., Arch. II 424 segg.), e dall'al-
tro confondersi col feminile, stante Y-e ambigenere (cfr. it. fol-
gore ecc.). Or cosi è appunto di lendine. Nelle scritture ita-
liane prevalse anticamente il lendine, come il sardo ha mascolini
i suoi lendine lindiri, e il sicll. il suo lénninu^ passato alla de-
clinazione in -o; laddove è feminile lo spagn, liendre, e anche
fra i Toscani dee oggi prevalere il fem. la lendine. Di più ne
dico altrove, in ispecie per la riproduzione del nomin.-acc. *; ma
intanto mi pare che sarà grmai diflScile porre in dubbio pur
l'esistenza di lenden lendinis, e che per questa ricostru-
zione si sarà guadagnato un bel gruppo d'altri belli esemplari
della serie fulmine termine ecc. Né spiacerà che sia considerata
anche sotto il rispetto della congruenza ideale questa serie che
or si ripristina: anguen, vermen, tarraen, lenden.
Di vermen, che nella latinità vedemmo darci il pi. verro in a,
vive l'ablativo vermine, oltre che nel vermine italiano, an-
che nel mil. vérmen e nell' ant. spagn. bierven ( il nom.-acc.
vermen altro non avrebbe dato se non verm[e] ecc.). Pro-
babilmente vi riviene anche Tant. frc. verme (-vermne, cfr.
lame ecc.), che per V-e non si può ripetere da vermis. L'it.
verme potrebb' essere la riduzione del masc. vermis (cfr. nel
* V. intanto una bclln raccolta di forme in Miss. Bcitr, 63.
402 Ascoli, Ablativi d* imparisillabi neutri.
sardo : berme e non bermene) ; ma, tutto sommato, rendesi molto
probabile che anche Tit. vei^me provenga dal neutro vermen,
e cosi r intiera declinazione del neutro si riproduca negli ital.
verme vermine^ come si riproduce in vime vimine ecc. Più an-
cora è probabile, ed è quasi certo, che siccome sanguine si
riproduce appunto in quegli idiomi che prediligono Tablativo
neutro (sardo nomene ecc., spagn. nombre ecc.), cosi il sardo
sambene e lo spagnuolo sangre riflettano piuttosto Tablativo
neutro, che non T obliquo omofono del paradigma mascolino;
cfr. Arch. II 429 n.
Daccanto al milan. vérmen^ che vedemmo sicuramente rive-
nire airablativo vermine, avremo poi il poschiavino lumen.
Nel quale nessuno vorrà più vedere un caso anomalo di con-
servazione del n di uscita latina (Muss. Beitr. 17); ma tutti
air incontro or vi riconosceremo T ablativo lumino, spagn.
lumne lumbre.
Chiuderò per ora con un esemplare della serie più preziosa,
che ò quella dei neutri in -us -oris. Lo spagn. estiercol altro
non ò se non Tablativo stercore. Uè prostetica e il dittongo
sono in regola; i due -r- sono dissimilati, cosi come in màrmolf
cdrcel, miércoles mercoledì, e ancora per T identico esempio in
ester colar stercorare. Il portoghese esterco y all'incontro, ri-
flette il nom.-acc; e lo spagn. estiercol sta cosi al port. esterco,
come lo spagn. lumbre {lumne) ecc. al port. lume ecc., cfr.
Arch. II 432. Nessuno vorrà pensare che estiercol provenga
da estercolar, anziché risalir direttamente a stercore; ba-
sterebbe il tipo di terza declin., che è in estiercol, per dimostrar
fallace codesta ipotesi. Ma ben sarà vero che le due voci si
sostengano a vicenda; e cosi se lo spagn. ha estercolar allato
a estiercol, il port. alla sua volta ha estercar allato a esterco ^ ;
i quali verbi staranno poi fra loro come colmenà a colma, ecc.,
Arch. II 430.
G. L A.
' A proposito dei glossografici stercur glomer Arch. II 424, giova Dotare
che glomer occorre anche in Diefbnbacb, Noì)um glossarium lat.^germ. tned,
et inf, aet,^ Francof. s. M., 1867.
-^ p-
403 ]
GIUNTE E CORREZIONI.
DI
F. d'OTidio.
Studiando il lavoro che il Morosi ci ha regalato sul vocalismo leccese,
e rileggendo il inio studio sul dialetto di Campobasso, m'ò occorso di fare
alcune osservazioni, che mi si condonerà di qui riferire, come in appendice.
Alle povere osservazioni mie, ho poi la fortuna di potere intrecciare alcune
note, che il prof. Flechia ha avuto la molta bontà di mandarmi.
Pag. 119. Sotto il num. 7 il Flechia non vorrebbe veder riferito
ucceri beccajo. Egli lo crede un francesismo, proprio del leccese,
come d'altri dialetti, p. es. dei siciliano, che ha bucceri e rucceW,
òuccaria e vuécaria (frane, boucher^ boucherie). E qui io noterò come
un francesismo assai evidente sia pure il campobassano e napoletano
cemmenera camino, che sarà proprio forse di tutto il Mezzogiorno
(anche il sanese però ha cimineja). E a proposito di CÀ- non intatto,
come mai s'avrà a dichiarare il cJiia^ del meridionale comune chiap-
pari chiapparelli 'capperi (capparis)'?
Pag. 120. A proposito di cerasu -a, mi sia lecito insistere su que-
sto: che certamente tutti gl'idiomi romanzi, anche quelli che alla
prima parrebbero mantenersi fedeli al puro cerasus latino (chi non
badasse però all'accento, che in tutte le voci romanze ò nella penul-
tima, mentre il latino ò c^msus » Kepocao^) , s'accordano nel riflettere
la base aggettivale *cerasjo -ja (*cerasbus -ba). La quale, in codesta
forma senza il j attratto, diede luogo, p. es., al cerace -éa di Cam-
pobasso (p. 160), e al cerase ^sa di Napoli e cerasu ^sa di Lecce,
giusta il diverso modo come codesti dialetti trattano il "Hj- (camp.
vace basium; nap. vase^ lece. asu). E qui spetteran pure il san. saragia,
il vai. cirasCf e il roman. céràsa: forma, però, quest'ultima, assai men
regolare di quel che parrebbe, giacchò veramente a Roma ci aspet-
teremmo ceraca (come baco^ scritto comunepoente bascio)\ nò il s di
chiesa vale a rassicurarci, poichò in una tal voce è evidente l'in-
flusso del latino liturgico. Al tipo invece col j attratto *ceraisjo -a
van riferite certamente le altre forme neolatine. Dalle quali però non
sempre si riesce ad argomentare con sicurezza, a quale epoca nei sin-
goli dominj linguistici l'attrazione abbia avuto luogo. Il toscano ci-
404 D'Ovidio,
liegio -a, per os. , ci rimanda con sicurezza a cerm^jo-a^ con 1* at-
trazione consumatasi già in età antica, si da aver dato luogo ad ^,
continuatosi poi per te, come fosse M originario (ctelo), al pari che
in -l'ero s-ARIO (Ascoli, I 485). E col toscano andrà il romagnolo
zrisa (MussAFiÀ, Rmg^ § 20), che ò pur bolognese. Ma per contrario,
il ceresa dell'Alta Italia, e il ccreza spagnuoloi se non ò impossibile
raddurli ad un tipo egualmente arcaico, ò pure ben piti probabile ac-
cennino ad un ceraisjo -a, ove l'attrazione siasi consumata più tardi,
cosicchò l'ai (romanzo) siasi poi semplicemente chiuso in e, come ne-
gli spagn. besOy hecho^ trecho ecc. Il portoghese cereja {^cereija) sta
allo spagnolo cerexa^ come il pg. beijo allo sp. beso. E il francese
ceriseì Vi si ha a vedere un antico cerossja^ fattosi '^ceriese (cfr. ciel)y
e quindi, propagginatosi un ^' avanti al suono palatile (I, onde ^s^)i
^cerieise^ e quindi cerne ; con iei in i, come nel rmg. pjis {^pjeis «s piès =
placet; Msp. Rom. pag 9), nel frane, giù gist {t^gjeigt^gjaigt'^jiìLcei)^
e, meglio di tutto, come in dix {^di0ig''dieg'»deeem\ Asc. Ili 72)? O
si tratta dell'altro tipo meno arcaico ceresja {Geraisja)^ venuto a cerise^
come ecclèsia a égliseì E il provenzale cereira {^cereisa) starebbe al
francese cerise (e pur prov. serisia) come il prov. gleisa al fr. église,
Pag. I20n. A proposito di cara (xdcpa) mi sia lecito accennare a
qualche suo probabile derivato meridionale. La voce meridionale-co-
mune caruso y che è 'testa rasa* ('farsi il carnso* por Hosarsi', e
carusarsi)^ e che a Napoli ò anche aggettivo (carrise -^sa), mi pare
che molto veri similmente possa considerarsi come derivata da cara^
mediante il suffisso --oso. E la voce napoletana icaruse^ ohe vale ' a
capo scoperto* sarebbe la stessa voce, con premessovi quel s inten-
sivo, che ò p. OS. in scamiciato per Mn maniche di camicia', scollaci
ciato, e simili-, e che dev'essere pure nel merid. com. scucciato ^calvo',
da cocca testa (anche cucca).
Pag. 126. A proposito del leccese smerda «=> *exinversa, ricordo i na-
poletani a la smersa, e il verbo smorza. E per la identità del processo
fonetico e formativo, ricorderò il napoletano sm^Here urtare , ossìa
•exinvestìre. La forma pìh semplice investire' ò pur rappresentata
nel Mezzodì (ìschioto ^mm^stercy e sicil. *mméstiri, Asc. I 5I6n).
Pag. Idi, e la nota. Io non riesco a persuadermi di ciò che il Mo-
rosi sostiene, che Vù del leccese figghiulu e simili si debba ripetere
dall'entrar che abbia fatto l'd, cosi condizionato, nell'analogia del-
V6 (*flliolo-); e sempre piti invece mi persuado della verità dcU'opi-
niono, dal Morosi combattuta, dolio Schuchardt, che in cotest't« vede
un semplice afiìlamonto del dittongo (wo, i*e), normal riflesso dell'd. —
In prima, se dichiarassimo Vù del suffisso -lUu (-iolo -colo) al modo
Giunte e correzioni. tQò
volato dal Morosi, dovrommo rassegnarci ad ammettere una solenne
discrepanza, in questo particolare^ tra il leccese (e i dialetti che eoa
esso concordano) e le altre favelle romanze; poiché queste trattano
tutte Ve dì quei suffisso alla pari di ogni altro ó breve (toscano figliuO"
lo^ lomb. e piem. fiOl e non fiùl, spagn. hijuelo^ soprasilvano lanziel
lenzuolo e non langiul^ e pel frane, v. FuKi^^S-Alems^ p. 70). In se-
condo luogo, se il Morosi eccede affermando che Tu, che ci presenta in
quel suffisso il leccese, l'abbiano nello stesso suffisso tutti i dialetti
meridionali (chd molti di questi vi hanno invece up, e basta citare
il campobassano: 154), egli è pur vero però che 1* hanno più altri
dialetti; p. es. il napoletano, che dice figlMfy letiziale ecc. Senonchè
a Napoli Vó lungo si continua normalmente per p, sebbene in dati
oasi pur si continui per u. (vedasi, a pag. 153, il campobassano, che
ool napoletano concorda in ciò quasi a capello); quindi col dire che
VÓ di -eolo *iolo sia passato nelF analogia deU'd lungo non si darebbe
piena ragione dell' u napoletano, ma soltanto dell' U del leccese, dove
r^ si continua veramente sempre per ù. Anzi il feminile napole-
tano (figliola), col suo ó aperto, non può riportarsi che a -td/a (efr,
i fem. nova^ bbgna ecc. di contro ai masch» nuQve, bbuQn§ ecc.); che
se fosse vero che "iólo sia stato trattato come un -id/o, al feminile
v'avremmo Vó stretto, che é il costante riflesso napoletano dell' dt
quando la parola termini per -a (spia, ì[pQ$a ecc.). E finalmente la
chiusura del dittongo (ie, uo)^ che continui vocale breve latina (^, d),
è nn fatto tutt' altro che inaudito e strano; e basti ricordare i boi. e
pmg. Pir Petrus, livar livra lepore-, iug jocus (cfr. Msp. Rmg, §§ 20»
41), e il friul. -/r» .fero » -arie (I 485), e l'ud. u da uè (E 494-5), e
l'ani, frane, tèe in {e. E men che mai può parere strano l' u da uo nel
Mezzogiorno. Poiché, se il Toscano pronunzia speditamente l'u, e ar-
riva subito all'o, apertissimo e vibratamente accentuato, tanto che l'u
finisca per esserne assorbito {buòno bòna), nel Mezzogiorno invece l'o
d pronunziato strettissimo, l'u è strascicato (per poco che s'esage-
rasse, s'avrebbe subito una pronunzia che andrebbe trascritta per uioq:
bbuwQnfi)^ e l'accento è come distribuito tra le due vocali *- ; onde deve
parer naturalissimo che nella combinazione ^up (lece, jue) molti nostri
dialetti sentissero il bisogno di restringersi aj'u'.
' Di qneat* ultimo fatto s'era già accorto lo Schuchardt, condottoci dai suoi
bei rafironti albanesi; Zeitschr, di Kuhn, XX p. 283-4.
* [Il fatto stesso, a prima vista ben singolare, d'e per o nel dittongo lec-
cese e spagnuolo deir^, va manifestamente ripetuto da una fase accentuale
in cui pih spicchi la vocale accessoria che non la principale; e avremmo
pressappoco: uà ùó tic ée uè, G. I. A.]
Archivio glottol. ital., IV. i'7
406 D'Ovidio,
Pag. 131. Circa resigghiulu orzaiuolo (cfr. 140), si può osservare
che lo s (da dj\ v. Indice I. s. dj)y dovutosi in ergu hordeum (p. 183)
fare g perchè preceduto da coasonante, è rimasto intatto, mercè la
metatesi che lo ha fatto riuscire mediano tra vocali, in cotesto re*
sigghiiUuy che è quasi un 'orzigliuolo* pih probabilmente ohe T^orza-
gliuolo* proposto dal Morosi*
Pag. 132. Al sursu leccese va unito il surge campob. e napol. ; e
tutti> col sQrso toscano, accennano a una forma sorpso- ( cfr. -^sorpsi ),
che viene a porsi allato a sorpto-. Benché di solito il campobas-
sano e il napoletano concordino col leccese, nel modo di riflettere Vó
di posizione, dando p od u dove il leccese ha, al modo suo, u; ed uq
od g dove il leccese ha ite (ed e) od o (p* es. surze, chiuppe^ cangsche^
come i leccesi sunu^ chiuppUi canuscu;^ cuQlle^ voglie^ come i leccesi
cuedduy ogghiu)] tuttavia vi sono delle divergenze. Per esempio, il
campobassano ha stigrve sgrva di contro al leccese sùrvia^ forze di o.
al lece, fursiy costa di e. al 1. custay puoste respugste di e. al 1. pustu
respustUy nonne nonna di e. al 1. nunnu nunna^ CQnde di e. al 1. eunte^;
^ viceversa il campobassano ha vQte io volto e vQta di e. ai 1. otu oto,
mucceche di e. al 1. mozzecuy tgme di e. al 1. tomuy spgna di e. al L
sponza ^ accgnge di e. al 1. conzu. In queste divergenze, il napoletano
concorda le piti volte col campobassano, ma concorda col leccese per
vote e votay mvgrzey tome. Il napoletano poi discorda e dal leccese e
dal campobassano (e dal toscano) ^evpqnde (lece, pun^e, camp.p^nd^,
tose. pgnte)\ e dal campobassano (e dal toscano) discorda per l'ag
gettivo accuQnge (camp, accunge^ tose. accQncio)^ concordando però col
leccese (verbo conzuy cit. qui sopra).
Pag. 135. Il Morosi trae ^nCorzUy io gonfio, da un *inturgi[d]o. Ma
il dileguo di un -d- nell'ambiente meridionale, sia pure in penultima
di voce sdrucciola, è cosa affatto inaudita. L'esempio di fraima (^^fra-^
Urna) cioè ^fratelmo' (p. 137), dove s'avrebbe perfino W- dileguato^
non proverebbe nulla, né certo il Morosi lo addurrebbe* Si tratta di
un titolo domestico, di continuo uso, e soggetto quindi ad abbrevia-
ture e storpiature volontarie e consapevoli. Io credo che in queir tn-
torzarey che è meridionale comune, e si usa soprattutto impersonal*
mente {m^ interza per ^resto ingozzato'), si contenga semplicemente
turze thyrsus, usitatissimo nel Mezzodì (anche per improperio, nel
senso di ^tanghero'). Si dice difatti anche me sende nu turze *ngannay
^mi fa nodo alla gola' (cfr. lece, me nutecu 140).
* Il toscanoi che ha forse y posto y risposto y cgnte viene a concoi^dare per
essi col leccese; come per ngnno -a, tornOy spugna^ acconcio Tiene a con-
cordare piuttosto col campobassano.
Giunte e correzioni. 407
Pag. 136. Il Flechia noa avrebbe posto il leccese serd sarà come
esempio di a atono in e; nulla assicurandoci che non si tratti invece
della persistenza della fase primaria: [e8]serà.
Pag. 139 (Un. 8-9). Il Flechia non avrebbe posto accanto al lece.
ertulusu il tose, ^vertudioso', quasi nella voce leccese s'abbia -/- da
-d-. Si tratterà, egli dice, semplicemente di Virtuoso' con un */- epen-
tetico, come quello del napoletano vedala vidua ecc. (cfr. Wentrup,
Neap. p. 17).
Pag. 140 (num. 79). Anche il napoletano ha se (sk) per schj, ma non
cosi costante come a Lecce. Ha p. es. rasche raschio scaracchio,
^mmeied mischiare ecc.; ma ha però schiave^ schiattd ecc. À propo-
sito del leccese ^camu io schiamazzo (exolamo), noto che il napoletano
ha scamazzd per ^ammaccare, pestare'; che è forse lo stesso verbo, da
^far rumore* passato a significare *far rumore rompendo' e 'rompere*.
I due significati si trovano certamente riuniti, però per un processo
inverso, nei latini fragor^ fragosus. A proposito, poi, di rascu^ noterò
il campobassano rache scaracchio, col suo verbo rachejd (-eggiare),
e con racanella volontà di scaracchiare, da aggiungersi alla copiosa
raccolta del Flechia (III, 124). A proposito, finalmente, di naca
culla, noterò che a Campobasso abbiamo navechejd barcullare (cioè
'navigheggiare'), ed è probabile che da un simile verbo *navecd *nacd
significante pur barcullare, siasi estratto il naca culla, anziché pro-
venire questo da quel *navica supposto dal Morosi.
Alla importante nota, che è a pag. 144, vorrei aggiungere una con-
siderazione. Nella combinazione TR, il leccese, come altri dialetti ad
esso affini, dà al t una pronunzia spiccatamente linguale ( t), non meno
di quel che sia quella del -dd- per -11^. E quindi il tr leccese an-
drebbe veramente trascritto per tr; né mi pajono punto acconce le
trascrizioni te ts^ proposte dal Morosi. Ora, col passare, come il lec-
cese fa, rapidissimamente dal t al r, si viene a determinare come un
unico suono, che rasenta il ó. E quindi avviene che str {str)y volto
quasi a se, finisca a s, come ben sì stabilisce in quella nota.
Avvertirò ancora che, sebbene sia parso altrimenti al Morosi, a me
sembra indispensabile il tener ben distinto, anche nella scrittura, quel
suono / leccese, che risulta da 5ce, set, str^ e che ò identico al suono
iniziale del toscano sciame ^ e al suono mediano del toscano coscia^
dallo / che in leccese (e in tanti altri dialetti appuli e lucani) risulta
da ^, da j e da dj (p. es. selu gelu 125, socu jocns 131, ose hodie 137;
e V. Indice I, s. ^, s. j e s. dj), e che è eguale al e toscano e romano
(ed anche di alcuni dialetti meridionali; pag. 171n) tra vocali, e al ó
di Campobasso risultante da -5;-, ed è di minore intensità dello s
vero e proprio (cfr. campob. vace bacio , rispetto a vasc basso).
403 D' Ovidio,
Colgo questa occasione per avTertire pure che iljf campob* cìoògk,
la sonora delia spirante eh) non iia nulla che fare col Jf usato dal Mo-
rosi pel greco-calabro, che è unj molto intenso (come a dire la sonora
del suono sordo che e nel ted. ich)^
Pag. 147. Ai casi di ^ da d (num. 2) aggiungeremo manneja e man-'
99§gga (napol. mannaggia)*
Pag. 149. Il aoslàniìvo jennerf dev'esser trasferito dal num. 12 al
13, e considerarsi come jiennere.
Pag. 151. Potevo notare anche ti merid* com. picc^ piagnisteo, con
l'agg. piccasi -Q%a e il verbo p^oce;^ (quasi ^ picceggiare ')• Ma donde
provengono codeste voci?
Pag. 154 (num« 45)« A su^cce eguale (socius) va unito il verbo at-*
succd agguagliare, soprattutto nel senso di ^arrotondare o rettificare
con le forbici i contorni frastagliati di qualche cosa*.
Pag. 155. Il Picchia non avrebbe posto tra i riflessi di u la tonica
delle voci campobassane per Huo -*a, suo -a*. Egli crede che quelle voci
si debban riportare a iòoo^ sòoo-^y forme che stanno a base delle ana-*^
leghe voci della maggior parte dei volgari italiani.
Pag. 155n. Il napol. cupielle mastello, che qualche vocabolarista
riconduce a xuiceXXov, ha senz'altro ragione dal latino cupella (cu-^
pula, cupa).
Pag. 158. L'affermazione con cui si chiude il num. 79, è eccessiva*
Y'ò pure una serie di dialetti meridionali (la avellinese, di cui si trat-
terà più particolarmente altra volta), che non solo non aborre dall' -o
finale, ma se ne compiace anzi moltissimo ('o libbro ecc.). E sotto il
num. 81 mi pento di non aver collocato anche mfrriculf ^piccole more*
(morum).
Pag. 162. Assieme ad acchiand, appianare, avrei dovuto mettere anche
nghìand ('impianare') che è forse meridionale comune e vale 'salire*. Il
lessico latino ci dà un implanus per 'non piano, diseguale* (inter tm-
plana urbis^ Aur. Vict. Caes. 27). Ma il sicil. dice acchianarù Tutto
dunque si ridurrà a un ^portarsi al piano, a livello, di un luogo alto*.
Pag. 165. Un esempio di rs in ss ci fornisce probabilmente anche
il napol. sguessa, che vale 'monto sporgente, bazza', e 'bocca irrego-
lare* e dev'essere *s versa.
Pag. 167. Io ho citato pozzf^ posso, come unico esempio di -55- in -z^:-.
Ma certo né io, nò altri che per altri dialetti allegarono codesto esempio,
potevamo dissimularci la improbabilità di una tale evoluzione, consi-
derata come evoluzione meramente fonetica. Non può dunque essere
se non assai ben accetta a tutti la bella dichiarazione che il Flechia
ci dà di questo j}p;s^ pozzo pgzzu, del sardo, del siculo, dei dialetti
meridionali, del romanesco e dell' umbrico. Notato còme 1* influenza
Giunta e correzioni. 409
analogica siasi fatta molto sentire nella ricostituzione del paradigma
di questo verbo, del quale molte voci, specialmente in certi dialetti,
sono state riconiate sopra un tema pot^ (ricorderò le yoci potere, po^
tutOy potendo^ il comune errore potiamo^ e i napol. nuje putimtne, lore
pgf erte eco,*, né certo io dimentico perciò la corrente inversa, rappre-
sentata da possente, possanza^ possuto, dal milanese posse, dai bolo*
gnesi psair iafin., pBQ partic, paeva impf. ecc. ecc.); ciò notato, adun«
que, il Flechìa s* induce a credere che anche la prima pefsona singo-
lare deir indicativo presente si sia riconiata sul tema pof- (e qui mi
pare opportuno richiamare il milan. e friul. pgdi posso). E la voce
nel Mezzodì sarebbe stata *potio, donde pozzo, con T intervento di
queir -t-, che è in cangio ('cad-i-o) da cado, in chieggio ecc. (e cfr.
pure il crisu B*credjo credo, del leccese: 125), e in pezzente rispetto
Si peterts. B alla dichiarazione del Flechia, ò superfluo il dirlo, s'ac-
concia benissimo il congiuntivo meridionale pugzze possa tu, pozza;
puzzarne, puzzate, pozsene) che ha valore d'ottativo, e il congiun-
tivo romanesco {pozziate ecc.).
Pag. 171 n. A proposito di perancora, osserviamo che esso ci rap-
presenta un bel per hanc horam,
Pag. 178 n. Del resto le forme iddei, iddea, iddee, non sono mere
ricostruzioni mie* II lessico della nostra lingua le registra; e (per citare
nno scrittore) il Pulci nel Morgante Maggiore ne fa larghissimo uso.
Pag. 182n. A proposito del costrutto napoletano ^n^ amiche dù mìje
e simili, il Flechia vuol che ricordi l'analogo costrutto inglese: a
friend of mine. E a compiere ciò che nel testo e nella nota dico
colà dei pronomi possessivi, avvertirò che a Campobasso, come in
molti altri paesi meridionali, il possessivo che faccia da predicato d
sempre accompagnato dall'articolo: ssu libbre je lu mie codesto libro
è mio, je la tgwa sta penna? ò tua questa penna?
Pag. 184. Tra gli appunti morfologici mi pento di averne omessi
due. Avrei cioò dovuto notare come nel campobassano rustico restino
ancora, benché si faccian sempre piti scarse, le tracce di voci verbali
derivate direttamente dallo voci di piucchepperfetto indicativo latino,
ed usate in senso d'ottativo: magnerà mangerei, wuléra vorrei e si-
mili» Ed avrei inoltre dovuto richiamare l'attenzione degli stu-
diosi sopra una curiosa preposizione, che del resto non è solo cam-
pobassana, ma di piti altre favelle meridionali: caia; la quale, per
quanto possa ciò parere strano, par proprio che sia un grecismo (xardl).
Dicono a Campobasso pede cata pedf ^mettendo piede innanzi piede*
'pian pianino'. Dicono pure fugase e ccatafuQsse 'fossi sopra fossi', e
cosi piezze e ccatapiezze. E parrebbe saldata con a (ad) in accata che
vale il francese chez : voje accata Cereje vo dai Cerio, vo a casa i C.
410 D'Ovidio, Giunte e correzioni.
Pag. 387-8*). Il prof. Storm obbo una felice ispirazione riconnel-
tendo baccano a baccanale^ nia non Tba seguita, parmi, fino in fondo.
Invece di considerare baccano come estratto da baccanale^ suli'ana-
logia di settimano'settimanale ecc., bisognerà riconoscere in baccano
un tipo nominati vale: bacchdnal. Piti anni sono io spiegavo tribtdna
da iribinal. In questa, la finale -a ha finito a tirare il nome al ge-
nere feminile, e cosi in baccana\ in baccano invece, il genere persi-
stente ba piegata la finale.
Pag. 395. In dialetti merid. mosto è normale (camp, muosle mgsta).
Nel leggere le pagine sul. leccese, mi son Tenute in monte alòune voci
analoghe campobassane, da me omesse, che qui ora raccoglierò. Pag. 1 1 9
(num. 7): anche a C. falera. Pag. 128 (num. 27): anche a C. vacandia,
Pag. 128d: a C. rèch^ta, Pag. 129 (num. 32): anche a C. treglia^ e appret"
tare stimolare ; e al lece, cuziettu ( tuoI dir proprio testolina ? ) sta accanto
il nostro cuzjxettf collottola, nonostante che al lece, cosza noi contrapponiamo
cocca. Pag. 130 (num. 34>): a G. si ha proprio li verbo p^^d = pinsare (p^sd
lu sale)^ bencbd ora riesca indiscernibile da pf54 = pensare, cioò Spesare'.
Pag 134 (num. 42): a C. 'ngruocche uncino. Pag. 136 (num. 60): anche a
C. laure e (num. 63) anche a C. d^acd (a Nap. addeì>acà)\ e (num. 65)
anche a C. mandasin^ grembiale (e a C. ^coprire' si dice le più volte con
^ammantare': 'mmandà), Pag. 137 (num. 71): a C. e a Nap. tijella; e (num.
74): a C. vas^rifcgla. Pag. 139: a C fressora. Pag. 140 (num. 79): a C.
trispftf (cff. Arch. II 408). Pag. 141 (num. 86): al lece, felinia (che sarà
*fulijina col j trasposto) risponde il campob. con ffUnfja^ e con un* altera-
zione ulteriore, felim^a; dove si tratterà di mero scambio fonetico, non g^à
di quella confusione di suffissi onde dan sentore altri dialetti (Arch. I 369-70).
Aggiungerò qui che a disetu *d(e)excito (125) del leccese (lomb. dessedd)
risponde il napoletano con setf setd excitare.
Nel notare accanto al riflesso neolatino il tipo latino cui vada riferìto, o
nel ricostruirlo, siamo incorsi qua e là in qualche svista. A pag. 7n, ca^
searium non doveva aver T asterisco. A pag. 119 ^ polli cario -' andava pre-
ceduto dair asterisco (il lessico lat. non ha che pollicaris) ; e cosi ^excapulo-'
a pag. 371 n. A pag. 131 (num. 38) piuttostochò '^favareolo andava rico-
struito un *fabariolo (il 1. 1. ha fabarius)^ e anziché *Torculareolo un *Tor^
culariolo (il 1. 1. ha torcularius e -mm), e anziché '^pireolo un *piriolo (di
cui V. Flechia, li 316-7). A pag. 140 (num. 80) anziché un forficola^ per
spiegare il lece, furfecicchia ^ andava posto un *forfìcictila\ se pur quel di-
minutivo leccese non é di formazione assai più recente. A pag. 141, ansula^
àsola, non doveva aver T asterisco, poiché é già in scrittori latini (Valerio
Massimo ecc.); e così rotulus; né sta bene sampstichus^ ma sampsttchum
=: (7à/:A4'v;^ov Ed io ho mal fatto a ricostruire, a pag. 159 (num. 88) un àbrau^
catus^ mentre il less. lat. ci dà obraticatus {vox obraucata, di Solino). Placo
poi cui spetta eh* io avverta, che per un mero caso la voce dulu è capitata
al n. 34^^, dove non può stare (poiché il lat. é dòlo).
*) Il tempo non ha consentito che questa e la susseguente annotazione si concordassero
coi rispettivi autori; ma la qualità specifica delle annotazioni stesse par concedere, per questa
volta, una cosa affatto eccezionale.
411
ERRATA (cfr. p. 342n).
Pag. 119, riga ultima, in cambio di Wederìa' leggi lederla'.
121, riga prima, in e. di 4n a' L 'di a\ ^
122 n, riga ultima, in e. di 'fióédula' 1. 'ficedula.'.
125, riga prima, in e. di 'geIu8..Mg6nerus' 1. 'geltt....g6ner\
126, riga 19.*, in e. di ^mpresssa^ I. ^mpretsà*.
\2S, riga 21.», in e. di Hnehin' 1. 'inchiu\
129, riga 4.a, in e. di *ista -a' I. Hstu -a*.
131, riga 4.^ dal basso, in e. di ^resigyhiulu^ 1. reiigghiulu\
131 n, in e. di 'filiulu' L *figliulf.
140 (al num. 83), in e. di *a in au^ 1. *o in au\
141, riga 7.*, in e. di 4uturboleggio' 1. 'intnrboleggio'.
143, riga prima, in e. di 'Per 'S ed S^ 1. *Per i ed ó\
146, riga ultima, in e. di 'meridionale' 1. 'settentrionale'.
148, riga 4*, in e. di 'domattina* 1. 'stamattina'.
» riga 18.*, in e. di 'meisà' 1. *meisa\
158 (al num. 75), in e. di ^Ferragzanf' 1. ^Farrazganf\
166, riga 13.*, in e. di ^mmogliaddje^ 1. *fnmogliaddijf\
167, riga 12.*, in e di 'orzo' 1. 'orso'.
» riga 5.* dal basso, in e. di ^^avissj' 1. '^ayissji'.
173n., in e. di ^rafunfjd* 1. raéunfjd,
179, riga 13.*, in e. di 'tf' 1. 'df\
181, riga 5*, dal basso, in e. di 'stacco' 1. 'stracco'.
183, nota 2, in e. di 'ao^mf' 1. ^avemf.
243, nella intestazione, in e. di 's. XV' 1. 's. XVI'.
368, riga, 22 % in e. di «fronte' 1. «fonte'.
397, riga penult., in e. di 'ò Incida' 1. «e Incida'.
.**■-• -
I *
INDICI DEL VOLUME.
DI
F. D'Ovidio.*
I. Suoni.
à intatto: 118-120, 144, 147; in <S: 144;
in e\ 147, 343, 408; in i: 118: in o:
118, 147; cfr. a in «: 3.
a fuor d*accento, intatto: 136, 156; in
«: 136, 345-6, cfr. oc in e: 5; in f :
156; in t: 143, cfr. a in t: 5; in ti:
136, 143, 156, cfr. a in o e in ti:
5-6; a fin. in o al frinì. 346.
Accento, conservato, in parole lec-
cesi d'origine greca, nella stessa
aillaba che in greco: 138 (fuddó^
(isxn%cói\ 141 (sànsecu)\ così nel sic.
fnafdda373n;e cfr. 387. Osservata
invece la rigorosa accentnazione la-
tina, contro altri idiomi romanzi, nel
leccese sanópui 139. Reliquie pos-
sibili e probabili delPaccentuazione
latina arcaica: 1 26 n, 141, 14 In, 151,
151 n, 167 {fdtssem). La varia posi-
zione deir accento, secondo eh* esso
sia in penultima o in terzultima,
determinante una varia vicenda della
tonica: 146, 147-8, 149, 149n, 153,
155. Varia vicenda d*nna protonica
secondo la varia sua distanza dal-
Faecenlo: 139, 139n Spostato Tac-
cento da i a vocale seguente: 128ii.
Spostamenti d* accento nel greco-
calabro: 29-30.
ae tonico: 135, lo6.
ae atono: 141, 159.
Aferesi, di a: ritta 122: ttemti^a, me
nnecu 124; ntinna 125; perta^ resta
126, nieddu 127; scusa 130; (ten-
:sione 130n, cnortu^ murca 134; 137;
nicchiarecu 138; reare 139; 156,
163n; 178; di ae: stati 143, statf
149; di au: ricchia 129; cieVf 159;
di e: ducazione 130n, ssuttu 134,
hbreu 135; 157, 178; di t: mperiu
124; nterna^ mpressa^ mpendere
126 ; nnticenti 127; me nnamuri 130;
157, 167, 168, 178; di o: leitu 122,
ccedemientu 127; ccisu 128; rienu
128 n; ttwre ttru 130; Ronsfu 134;
di ti: rgulu 131 ; 159; di di 387. —
'Essendosi il Morosi limitato alla trattazione del vocalismo leccese, ho
procurato di dare nel 1.° Indice quanto dalle voci leccesi da lui citate si po-
teva raccogliere anche intorno alle consonanti. Di- qui T abondanza, che po-
trebbe parere eccessiva, di una tal parte dell* Indice. Quanto al greco-calabro,
ne ho spigolato tutto ciò che poteva riuscire piti utile ad illustrare iadiret-
tamente i dialetti italiani.
Iodici. — I. Suoni.
413
Aferesi nel greco-calabro : 31 , 32,
107.
di air uscita, in (B: ìU.
ai rom. at. in e al friul.: 354; in i:
347; cfr. oti atono greco-cai. («),
in i: 10, 100.
dZ+cons.: 118-9 (e cfr. 142, 144;; 162,
359.
Apocope: 174n; cfr. 32; di r: 348;
di -co: 353.
drio -a: 119, 147, 359.
Aspirate sorde in sonore nel greco-
Calabro di Cardeto: 101.
Assimilazioni: nassia 136, ucéula
140n , marranga 137, tfbbfrazfja
173, pruebbiu 127; mpupicare 138;
174-5, 174n, 178. E t. re E pel
greco-cai: 8, 17-8, 19-20, 22^ 23, 24,
26, 30, 102, 103.
Attrazione di t: 182, 403*4, 356;
cfr. greco-cai.: 35; di u: 356.
du latino, inUtto: 136, 156; in o:
135-6, 156.
du romanzo, intatto: 118-9, 136, 162;
in a: 162 (napoL atf salirò),
du latino e romanzo, in óu (e óvu)
e ó: 142, 144, 343; in évi: 144.
au latino atono, intatto: 141, 159; in
a: 142, 159, 162; in ti: 142, 159;
in uà: 142.
au romanzo atono, intatto: 142; in uà:
142.
-dvit: 174-5, 175 n.
b iniziale ay. vocale, in o: 176, 177;
e poi dileguato: andera 119, asu
120, astemisntu 127, eddiculu 128,
anarola 13*2; eàta ucca 134; ursa
ammace 135; aula^ attia 136, asi-
nieói 138, uceaìa 142. E t. e. E /9
anche nel greco-calabro è e: 22-3,
108.
b Iniziale av. r, in e: wrocca 154, ecc.
ecc.; 6 poi dileguato: rticulu 134.
.^. in -0-: arveru 118; 164 ecc.
b in f: farcone 130 n, taratuffulu 137.
& iniziale in in : Minijentu^ minimien-'
^ii 137; mamminieddu 138; 177. E
T. 8. mb»
b' e 'b' in pi apitu 123, pescuetU 139,
cwssuprtnu 146.
ò- e •&-, se resta, ha pronunzia intensa:
subbetu^ bhiu 139; 177.
bb in md: 130.
bj' e -2^'- a semplice j:jaA« 137; 160;
od in ^^: ragga 118, 160. Un J3j in
i: 102.
bl' in jijanculiddu 1 29, Jastomu 143;
163; in gghj'i 163; dileguato af-
fatto, forse pel tramite di ^/ ^, in
ast^md 163.
'bl'i 163.
-&9- in 'Pp-i appi% ippi 118.
c-e-tf-, intatto: 170; cfr. 134 (fùleca).
e- e -é-, intatto: 171; cfr. 127 (ceu$u).
-^r, per ^ e J, dileguato: 371.
e- (9U-), dileguato: uttt/ana 138.
-0-, pel tramite di -^-, dileguato :|}ut^a
123, rdtt/u 136; 171.
•è' inni 171, 171 n.
co- in cA^'a: 364-5, cfr. chiappari 136,
403; ucceri 119, 403.
x^ greco-cai. in td: 11.
ce ci: 171-2. E xe, xi: 1M2.
eh (A) da anteriore chj (kj): chesia 123,
schettu 130, riccheiedda 138; «catit
«caftu, scanni, scuppetta^ rascu^ mi'
scu 140; chesura 141; c/^cu 143 (e
checau 139); 407. E t. c/, p/.
kh (x) greco-calabro: 12-4,101-2. E v.
poi 8. 9T.
-ef' in -JX-: tojrjrti 118; minesgu 122,
njrinjru/ti 125, lijg9u 128; tresza^cuj'
jreftM, cojrjra 129; ferrssMulu (e
rpw/tt) 131; onja 135; céliMMu 139;
satiMsa (e otipiire) 142: 172.
c^ in cAi: 7urcàuir«;u 131; 162-3. Ma
▼. 8. eh, E xX intatto: 11.
cdn: 169.
414
Indici. — I. Suoni.
Consonante sorda in sonora,
dopo nasale o liquida: ngensu
127, surffe 128n, 140, surgicchiu^
Frangiscu 129, fungetu 130 n, sar-
geniscu^ erdate 137; 156, 162, 167,
171, 174, 177. E V. mft, nd, E cfr.
il greco-calabro: 11, 12, 16, 19.
cr: 171.
^^, in ss: cassa 133, lassarne 136,
lessia 139; 167-8. E S in ii: 21, e
in /; 21 n, e in fs: 102.
ctj: 161.
d : 175-6 ; cfr. greco-calabro : 1 8-9, 1 02.
'd- tra Tocali in -t-: catu 118, mtint-
tula 122, facettila 122n, tutiscu 129,
catafaru 137, etrobbeca 139; nute-
care 140; 176; dileguato? i25n,
174 n, 406.
Dissimilazioni: acularu 119, tte-
mti^a 124,prt<ed&m 127, deckiddecu
(che ò insieme un* assimilazione)
128; su/urt 130; Joia (per sosa) 135,
lerenzia^ prudiceddi 138; rannu/a
140n; satizxa (per 5aj'{jrj:a?) 142;
i3f//^a 161; 164; cfr. 30-1.
dj in i: peitt/u 131-2, menia 127;
in jr sordo: mtejr^ 161.
dj in J: 161 ; e quindi in s (e) : erti»
125, isu 129, oÌ6 137, uUisana 138,
résigghiulu 140 ; o, per consonante
precedente, in g: ergu 133. Cfr.
406, 407.
é lunga, in e: 123, 147; in f: 123, 148,
149; incerta tra e ed $: 143; in t:
122-3, 143, 148. 387, e y. ens; in ei:
147-48, e cfr. 344, 359-60; in t>, per
eftetto d'i finale, 148.
é breve, in §: 142, 149; in e: 149;
incerta : 123-5; in ie : 124, 149; quin-
di in i: 359; in ei: 125 (deice), 344,
360; in i: 343. Ed i in a: 3-4; in
o: 4; in t: 4.
é di posizione, in ^: 142, 150; in f 150,
e cfr. 378-9; incerta: 126, 127, 143;
in i: 125, 143, 150, 344, e y. ecf;
in ie: 127, 142, 149-50, 344, 359:
in ai: 126; e cfr. 3-4.
e atona, intatta: 137, 139; in^: 156-7;
in a: 130n, 137, 142, 156-7; in t:
137, 142, 143, 346; in u: 137-8» 140n,
143, 157; neiriato: 137, 157. E cfr.
il greco-calabro, e in a: 8; « ini:
8,100; e in ed >i in u: 8-9, 26.
e toscana in casi di posiz., come troTi
sue analogie: 125, 149; e cfr. 344.
ect in Ut: 125-6, 150; e y. ^ di posi-
zione.
ec in a e in u: 10.
en$: 123, 148; e y. e.
eo ea ei: 125, 149.
Epentesi, di a: taraiuffulu 137, sca-
rapiellf 162, ciaraoello (e cfr. ma-
ramaglia) ìCò ; di e ed ^ : palemientu
127; 164, 165, 181; di u: 181; di
r : tresoru 136; 164, 174; di nasale:
141 n, e Y. &&, nt, nz; di J: 171,
173, 181, 183n; di g: 354-5; di /:
407, 355; di <: 355. Epentesi gre-
co-calabre, di Yocale: 33, 108; di
nasale: 19, 23, 34; di y: 33-4; di v
e m: 34; di d: 34.
E pi tesi, di e: 122 (mie, tie ecc.)*
174-5; di i: 143 O'wi. M; ^^ *' 3^5;
di e: ibid.; di -de: trede 123; di ne:
purcéne 138. Epitesi greco-calabre,
di e ed t: 36n, 53, 63, 102, 104,
105; di ne: 34 n.
Bttlissi, di r: rasta 118; 164; di e:
maurittf 162; di u: 131, e cfr. 141
{sencu). Ettlissi greco-calabro: 32,
103, 107,
f ia p: mprettu^ spriculu 129; pa-
sulu 131, spiiare ìdS^posperu 140.
166, 169. E cfr. (Tf greco-cai. in
sp: 14, 15, 22.
f in X' 20; in 5, aY. t, 5: y. s. st;
in r, aY. t: 21,
Iodici. — I. Snonì.
415
/f, in j: junda 134; io e (e s), 163-4,
e cfr. 161.
g dilegnato, iniziale avanti vocale:
atlara 119, addina 128, arrofalu
132, ula 134, ammaru 136, e cfr.
143, utusu 141; 173; iniziale avanti
r : rosta 118, resta 126, addina 128,
rossa 133, ro» 134, rutta, riecu 135,
rauZu 136; 173; mediano tra vo-
cali : preulitu 122, reula 124, itiu,
ai«^<u 134, /*atf, /rau/a 136, tianu
I2l7,castiare 138,rta2ti 139,reUmmu
141, sbraunatu 142; 173. Cfr. -7-
greco-cal. dilegu.: 14-5.
^ risoluto in u: /^utie Ziun^, niuru
128 n, aunu 136; in j?: 173.
g in ei litecu, naecu 139; 173. E cfr. 7
in x: 14.
^ dileguato: ftVdda 137, curia 140.
^ in j: 173, e cfr. 372-3; e quindi in
/ (e): sennaru 119, ie^w, /(snn«n«
125* disetu fuietia 128, st^^Am 128,
cuseiu 130, (miTfiWu 131 e 138,
fufu 134, /e/ato 137, ian^ia 142,
reiiri 143.
^ in e: a/fWct, ponct 143; 173n.
ye yi: 15.
Geminazione, protonica: eddanza
118, troppttii 119, arrofalu 132,
nzarragghia 137, utft'iana 138,
cammisa 140, mticca^ru 141 (mac-
catuTf 158), mt4^tì2/f 154, tn^Uiculg
158, p^mmarp^a 159, tremmQja 161,
-arrija 165, amm^rf , 'nnammuratf
169, euttoune 174, s^ppuldura 176,
MabhfUonfja 177 (e anche in m^r-
rieti/f piccole more; e notevole come
invece manchi in /tna sirena 122,
Rafeli 137, copouttf 176; e come sia
solo apparente in truppfjarfsf. Bai-
trum^ 164, metat. di turp- che nel
fatto si pronunzia turpp- ecc.); pos-
tonica : simtnfnu, racimmulu, sen-
neru 125 (jennerf 149), ommecu 131,
pummfCf ^cucummere {cummar§Ua
156), tummenu 134, cammara, am-
maru 136, taratuffulu, ommere \27^
fimmena {f^mm^na 147), etrobbeca
139, reùmmu 141, cuccua/a 141 n,
fuddaca, ommini 142, ^t Ctnntrt e
/a cenneri 143, 5tmm^/a, ptnnu/a
150, mgtt^ra 154, miccula, jutta mg
161, gligmm^f 163, fummg 169,
maidda 373 ; e v. v in 6d, in |}j7,
(mancata invece in ptnatu 138, che
dev* esser merid. comune). Gemina*
zione spontanea della iniziale: 178-9,
409; o determinata dalla parola pre-
cedente: 178, 179-81. E un numero
portentoso di geminazioni d^ogni
maniera ci dà il greco-calabro : 34-5,
108.
gì: 163; e cfr. 129 (tregghia), E 7).
greco-cai. intatto: 14.
yit: greco-cai. in mm e m: 14-5.
gni 173.
gv: sangu 118; 173.
i lungo, intatto: 128, 150; in e: 128,
150, 375-6.
i breve, intatto: 128, 143, 150; in e:
128, 143, 150-1; in et: 151.
e in 0: 3; in e: 3.
i di posizione, intatto: 128-9, 143,
151, 152; in e: 129-130, 143, 152.
t atono, intatto: 138, 142; in a: 139,
142, 157; in e: 138-9; in f: 157;
in u: 139-40, 140n (rannula), 143,
157; dileguato, protonico: 119 (sur-
iteri j^ 140 {farnaru^ erdate, tre-
stieddu), e postonico: 140 {arma,
nasche, surge), 157-8; neiriato: 140,
158. E e greco-cai. in e: 6; in u:6.
Iato: 128, 134, 137, 150, 154 (strujf),
157, 158, 159, 181.
-icare, -igare, 172, 173; cfr. castiare
138; e v. s. jf ip Ì.
'ié' (da ie) in t: 123, 348.
-inde: 176.
416
Indici. — I. Snon!.
Influenze varie delTt atono de-
sinenziale sulla determina-
zione della tonica: 124« 127,
131, 133-4, 143, 146, 148. 149, 150,
151. 152, 153, 154, 155, 156; del-
r-tt: 124, 127, 131, 133-4, 143, 148
(al num. 8), 149 (al num. 17), 153
(al num. 42), 154 (al num. 45); e
cfr. 158 (al num. 79); de 11' -a: 119,
124, 131, 132, 149, 150, 152, 153,
154, 155.
Influenze Tarie delle conso-
nanti sulle vocali a loro at-
tigue: 118, 131, 133-4, 137, 138,
139, 142, 147, 151, 156, 157, 158,
159 E cfr. il greco-calabro : 3, 6,
8, 9,10-11.
io (da fò), in iti: 131-2, 344-6.
'io atono in -i: 119, 119n.
j, intatto: 159; in gg: 159; in i (6):
pesu 123, suramientu^ sumentu
127, socu 131, segghiu 133, iuru^
suu 134, sudiu 135, sennaru 136,
suff. 'isarB {-eg giare) 138, 141, Hu*
vudia 139, sucare 140, suramientu^
ìencu 141; e ▼. dj in /, e <^ in /.
j complicato, v. /;', rj ecc.
j prostetico, v. ^Prostesi'.
j o gghj: 159, 173, 181.
/ in n: tumménu 134, asinicói 138;
162.
/ iniziale, o mediano tra vocali, in r:
161-2. E greco-cai. X in r: 28.
l interno, avanti consonante, in r; av.
e: surcu 134, ^ncarcare 137, e cfr.
164; av. f: darfinu 142, Murfp ecc.
162; av. p: eurpa 134, vorpi 143;
av. I: surtìeri 119, urUmu 134,
eurtieddu 141 e eurti^llf 162; av.
e: sarvu 118, purvere ìSi^purgula
140 n. E V. aZ+cons-, ol+cons., ecc.
y greco-cai. in 7: 27.
Ij in n: nétnmaru 131.
Ij e llj in J: 159, e cfr. 347; in gghj :
agghiu^ pagghia 118, mug ghière
123, sigghiu^ figghiu ecc. 128, ecc.
ecc.; cfr 159. Pronunzia intensa
del toscano {;, e come gli (llji)
venga a Ili: 160n.
h in s: 349n, 352.
ZZ in dd: padda 118, gaddinaru^ pud-
decaru 119, stidda 126, suff. -«c2<2a
ecc. 126, ptiddilru 128, ecc. ecc.
E cosi il greco-calabro -II- (pur da
.).-): 27-8; e cfr. 103, 113.
;; da fi: reddu 141, spalla, fella 163.
-m- tra vocali, in -mb- : vombaru 14£i
cam^^ro, cambumilla 169, 386.
m da o: 166, e cfr. 177 n. V. b in m.
E cfr. greco-calabro: 23; in p: 24.
mb in mm (e ni): ncammiu 128, frum-
meffei 129, jimmu iummu 130,
chtummti 134, amtnace 135, /em-
miccu 136, mammimeddu 138; 177.
in2^* in n: 161.
Metatesi, di r: cropa 118, frebbaru
119, pr«uZi<u 122, pemuxteu 128 n,
nervecu 129, f^u 130, sarcedote^ tró^
fiate ^ trenu 131, trtcd&u 134, ncra-
«tor0 136, prumtnftì, ^rumpar^ 138,
fer stara 139. t/arn«dta, «òrawnafu,
frabbacu 142, craont 143; 164, prj?-
Jfr? 173; phiottornia 376-7 ; cfr. gre-
co-calabro: 35, 103^, 108; di /: 389; -
di s: siintinu 143 (napol. e eampob.
stffìdinf ecc.) ; - di t : 370 n, 372-3;-
tra re/, iniziali di sillaba cootigae;
falaùru 131, scalara 132 (merid.
com. searglay toso, seluntolct^ frane.
escarole; e v. Littbé, Diet, s. ▼.),
palerà 136; tra / e ti : pennuta 139;
piuirfsinfrf 157; tra n e m: eur-
mi4nti5a 136; e così, tra iniziali di-
verso di sillabe successive nel gl'eco-
Calabro: 38, 108.
Indici. — I. Suoni.
417
mj in n: endina 125, /ina 128; 161.
E pure il fij greeo-cal.: 24.
mm da nv: mniertecu (e smersa) 120,
cummentu^ tie 'mmenti 127, mmece
123, 'mmi>^u (avvezzo, quasi 4n-
▼ezzo') 129; 166, 404.
m*n in m : 400.
fAV in mm: 24, 102.
-n- tra vocali in nd; 169, 170 n.
-n in m: 364.
V in X: 23: in p: 23-4.
fic2, intatto nel leccese: indu^ iindu^
prindu 125, -endu gerundio 126
ecc., junda 134, rindina^ mendula
135, manda/té 136, sprandure 142,
rtffpondu, fiondala, scandili 143;
in nn, nel leccese annisare: 138,
e nel campobassano: 176; quindi in
-n-: 176, 353. 364.
nghj in n: 163.
nj: 160-1, 160n. Anche greco-cai. vj
in n: 23.
n*m in rm: armulidda 128, arma 140.
nn (nd) in n: 169.
non: 158.
n$ in ss: cussuprinu 140; off. 166,
167.
nt^ ns da <f, 9z: prumintu 138; men^'a
127, minimienjsu 137. E ▼. 66.
v5 in Ji^i: 17-8.
fso: vedi mm da nv.
d lungo, intatto: 130-1, 143, 153; in
u: 130, 143, 153; in out 153. Ed u
greco-cai. in u: 5, 100
d breve, intatto: 131, 132, 142, 153,
154; in ìAo: 153-4; in uè (ed e):
131, 341; in u: 131-2. 404 5; in ou:
360. Ed greco-cai. in u: 4, 99-100.
<5 di posizione, intatto: 133<i 134, 142,
154; in uo: 151; in uè (ed e):
133-4, cfr. 3 0; in ut 132-3, 154,
155n; in a?: 132n.
o atono, dileguato: 140, 158; in a:
140, 158; in e: 140, 158; in^: 158;
in ti 143-4; in u: 140, 158; in au:
140. Cfr. 408. E greco-calabro, o in
a: 9, in i: 9. in e: 9-10, in t^: lOC)-
101; ed u in 6! 10, in u: 10, 101.
9 toscano in casi di pof^izione, come
trovi sue analogìe: 132-3, 154, 406.
oe tonico: 135, 156.
oc greco-cai tonico, in e: 5.
o/ -f esplosiva dentale: otu ota 133,
sodu 134, utare 140; 162. Cfr. al+
cons., e 2 av. cons.
ou campobassano da d: 153; da tk:
155; ou (oo) friul., anche da ó: 345.
ov greco-cai. tonico, in o: 5.
p in b: etrobbeca 139, bbriU 176-7.
-p;- in ^; accu 118, W<^ 125, r«-
stuccu 134, Lscce 135; 161.
pi in eh;: c/iianca, cotanta 118, chinu
122, chictt 128, chiuppu 132, chtum-
mu 134; e y, eh da eh;'. Inoltre:
163. E greco-cai. ni intatto: 19,
25; e cfr. 103.
Prostesi, di J: jeu 124, jui 143,
181-2; di v: 181; di /: lenatte
139; di a nel friul. 334-5; di ^ nel
frinì. 344 ; nel greco-calabro, di a :
32-3, 108.
pst 168. E '^ in jr: 22; in fs: 102,
in sp: 22 n, e sf: 102.
^tt- in e, nel pronome: et* cd 138, 139,
172, cieddi 138n; Ceree 172; in /":
385.
qui atono in cu: secutw 124, eunta»
decima^ deula 140; 172.
r: V. B. ^Apocope', ^Dissimilazione',
«Epentesi', Ettlissi, <MeUtesi\
r in (2: 165
r di p0r: 164-5. Cfr. le vicenda di
ocTTÓ nel greco-cai.: 19.
p in /"av. «: 103.
re in ce: 164.
418
Indici. — I. Suoni.
rj: V. -arto -a; e stora^ cueì*u 131; e
153. rj in g al tose? 37980.
rs: 165; cfr. 408.
s meridionale: 166-7. Ma pel greco-
Calabro: 24-5.
s Su 5, avanti a date consonanti:
166-7; avanti a vocale: 151 n. An-
che al greco-calabro in $ e / av.
t: 102.
s e e: 160, 337.
5 in z: 167; dopo n, in i; 167.
ay^ in s: 13-4.
s;, ridotto a solo s : clsu^ casu^ cerasu
120, tnasunUf cusu \30^ pasutu 131,
cusetura 134; o fattosi é: 160 (e
cfr. bwei 128). E cfr. 380, 403-4.
E nel greco-calabro, oj a er: 25, 31.
ss in s: 167; in jrj?: 167, 408-9.
st in te: 169, e cfr. ps e ^ ; in «5? 168.
st greco-cai. da ^5, fr (w5, ut, «-t),
;^5, 5fT (xt): 20-21. Ma cfr. 7.
str in 5: /om^ 118, iina 122, fenesa
126, cani/u, capiiu^ sitlu, nteìu^
riesu^ tnenesa 129, e via via 133,
136, 141, 143, 144; e pure in greco-
calabro: 28-9. Sulla genesi di que-
sto / da str^ V. 144 n, 407.
-^ in 'd-: pedata 136; e dileguato in
un caso affatto speciale: fraima
ecc. 137, 406; cfr. 125n, e 174n. E
pur greco-cai, r in d: 16.
f, dopo n r, in (2: 174; e pur greco-
cai.: 16.
t finale: 174-5.
ih (5) greco-calabro, intatto (cioè P)
16; in 'd'I 16; in %: 17; in fi 17,
101, in T, dopo Xì ?♦ ^» P% ^' 17.
tj in p: 5Corpa, 5cti«rpu, conzu 133;
161, 165; in ??: 347-8. E v. 9.
^l: 163. E T. ;/ da il.
ir leccese: 144.
U in nt: v. nf, nz.
ti lungo, intatto: 134, 154; in o:
154.
ti breve, intatto: 134^ 143, 154-5;
in 0; 134, 143, 155, in ou: 155, 408.
ù di posizione, intatto: 134, 143,
155; in 0: 135, 143, 155; riflesso
come un ó: 135, 155; come un i-,
135, 155.
lì da uo, tie, 404-5.
t< atono, intatto: 141, 158, 159; in a;
134 (cóccalu, cfr. 154), 141 (chia-
stira), 158-9; in « ed in f: 141, 158,
159; in ou: 141 ; dileguato: 141, 159.
uè da ^, da d di posiz. : v. s. questL
E cfr. 4(fón.
li/c, ti/5, ult: duce 134, mutu 134,
stutftecu 135; 162. Cfr. a/+cons.,
o/+espl. dent., i+cons.
V dileguato, iniziale: ttta 122, elénu
123, tnnt, endina^ indù 125, ersu^
erme^ estuate. 126, ecchiu^ i! idi!
ilu! 127, acantiOt essica^ itru^ tdi,
ide^ina 128, ulateu 128 n., entrisca,
enisti^ istu^ t'ncu, Mti, enditta^ iziu^
isu^ Ergene^ erde 129, ut, eziusu^
uce^ utu 130, ettoria, o/t«, ommev,
t*6/t 131; 133, 137, 138, 140, ecc.;
166; - primario, o da 6, mediano tra
vocali: c^t'oe, lau 118, aire^ leitu^
-ta (-ebam) 122, -t(tu e enistiu
122n, 8iu 122-3, Uu Uà 124, jernn,
cernijentu 127, acantia^ ni>, /u/e-
<ùi 128, -eu (-ivus) 128 n, martteg'
ghia 129, coafuru 130, deotu^ neu
noa^ móere^ oe, proa^ faraàlu 131-
135, 136, 139, 140 ecc., 166^ a con-
tatto di u: 165; a cont di r ne|
friul.: 348. Cfr. greco-cai.: 23.
t) vocalizzato: 23; cfr. 165.
V in bb: de bbiru sinnu 123, bbinni^
bbue 133n; 165.
V in f: fungetu 130n, catafaru 137,
furteciddu 138, 385; cfr. ò- in /: E
V (p) greco-cai. in 7? 23.
Indici. — IL Forme. 419
V in -pp-i crippi 125; in p dopo s: y: 135.
spergunatu 118. u atono greeo-calabro, in u: 6-7, lOI ;
V in m: y. m da V, e mm da nv, in t: 6; in a: 7; in «: 7.
!>/: caggtila 132; 160. t/ atono: 141.
-©m (-ufA-) greco-cai., in mm : 8.
fx in tt^: y. nt, nz.
to: 165-6. i meridionale: 167; cfr. 160. Ma y.
V tonico greco-cai.: 3. pel greco-calabro: 102, 103.
< in z: 103.
II. Forme.
l^Q^^ Mozione interna degli aggettivi: 146,
149, 150, 152; dei pronomi: 152.
•€n elle 8*avvicenda con -is ecc.: 400. Aggettivi da forme participiali: sum^
.tate 'id: 174 n. tnutu 134, rtftt^cutg 171 ; cfr. napol.
-ensi-ano-: 160; cfr. 47. arruzzvt^ rugginoso, nap. e camp.
'pulu-Sy -polo : 380-82. c^cat^ cieco, pundutp aguzzo ; e pel
'èco -eca 389-90. greco-calabro: 46, 55.
Sostantivi da forme aggettivali: 119- Pronomi neutri: 152, 172 n, 182.
122n, 158 {zijano zio), 365, 365-6, Pronomi possessivi: 149, 155, 182, 408,
403-4. 409.
Tipi nominativali : 125, 125n, 167 Pronomi possessivi suffissi al nome:
(^fmftKcfte), 349, 410; cfr. greco-cai. 130n, 137, 138, 153, 156, 182.
AJelléo 9n. ilio- il la- suffisso al verbo: 182.
Tipo neutrale in -s (latus^ minus) ben quid : 176.
conservato? 349-51; cfr. 367. ssu ssa^ ipso- ipsa-: 168.
Obliquo latino ben conservato: pipere ci per la terza persona: 182.
128, 137, omméne, nemmaru 131 cieddi, quem o quid velles: 138n.
(gliomm^f 163, cicere 137 (cfr. Greco-calabro.- Articolo: 36.
142); 398-402. Suffissi nominali: 39-44, 108.
lens lendis: 398-401. Composizioni nominali: 44-5, 47.
Estensione analogica dell'-o (-u) e del- Declinazione: 36-9, 104-5.
T-a desinenziali nei sostantivi: apu Terminazioni neutro-plurali estese ai
118, retta 148, peéa ecc. 151, tgsa maschili: 38, 108.
167; e negli aggettivi: 182. Accusativo con v, ancora discernibile
Conservazione ed estensione analogica nel greco-cai. di Cardeto: 104.
delladesinenza neutro-plurale, in -a: Aggettivi: 44.
139, 143, 149, 151, 154, 172n, 173; in Numerali : 47-8.
•ora : 140, 149, 150, 158, 182 (cas^a). Pronomi : 48-9.
Altri plurali latini ben conservati : su-
litri sorores 130; sarós 348. Verbo
PluraU interni : 146, 148, 149, 150, 151,
153, 154. Forme analogiche: 1 18, 147, 157, 167 n.
Plurali fossili: 362-3. 172.
420 Indici. •— II. Forme.
Forme con pronomi personali suffissi: ^essere': 183; della coojngazio&e ia
122, 129 l'isHu), 152, 167. -4re: 183-4; della conj. in -ère -ère
Modificazioni interne (della vocale to- ire: 184; di 'starei Mare', *ire' ecc.
nica), indici della seconda persona 184.
singolare: 146, 148, 149, 150, 151, Parti cipj italo-provenzali in -sto = -«o,
152, 153, 154, 167, 183, 184; e della 394-5, 410.
terza plurale: 148-9, 150, 151, 152, Il participio veneto in -ésio ed -isto^
153. 154, 184. 393 98.
La sec. pers. sing. in -s a Trieste: Curioso composto, verbale, di verbo
363-4. con nome: 150 n, e di nome con
Scambio tra gli ausiliari ^avere' ed verbo: 32. V. pure Indice IV.
'essere': 183. Il derivativo verbale in -ta- {alt-tare
Per/etti forti: 118; cfr. 396-8. Perfetti ecc.): 373-5.
con -si: fgs^ 155,3te5uru 'stettero' Suffissi verbali del greco-calabro : 49-
143; con -vi: 155, 184, e cfr. 125 52, 105.
(crippi). Flessione: 53 61, 105.
-du e -dtt da -àvit: 137, 139, 174-5, Reliquie deir 'Aumento' : 53, e cfr. 105.
175 n.
Il 'Futuro' meridionale: 136, 139, Particelle
183.
Il 'Congiuntivo' meridionale: 183, 'propria' come avverbio: 182.
409. 'su' e 'giù': 165, e cfr. 155n.
•8 8 e m, -ss e s : 152. 'tando' formato per antitesi a 'quando' *
Antico accento ben conservato nel tipo 172.
legissémus legissitis ^ceAAS, Olire ll^ch^^ llgch^ta: 154.
la forma tradizionale, un*al tra forma, -inde, -ènne: 176.
nuovamente coniata, della seconda -s desinenza avverbiale, 350-52.
plurale: 167. quomodo 181; a (ad) od e (et) ab*
Reliquie di piuccbep. indicativo: 409. barbicàtovisi in fine: 180-1.
L* 'Imperativo' meridionale, eclettico: quam, ca: 172.
168, 183. Mn': 169.
Una prima persona aingoiare d' impe« caia (xara) : 409.
rativo: 168. « 'dove' come preposizione: 155.
Il 'Condizionale' meridionale, eclet- Particelle greco-oalabre : 61-64, 106.
tico: 168, 183 La seconda singolare
e la plurale, composte con voci di ^
-avessi (habuissem): 168; cfr 367.
a (ad) interamente fuso con le voci L'oggetto espresso con la prepoa. a,
dell* ausiliare 'avere', nelle forme anziché col solo accusativo, nei pro-
perifrastiche come ho a fare (aja nomi, nei sostantivi di parentela col
fa) ecc. 179, 183n. possessivo suffisso (182 ecc.), e nei
Paradigmi campobassani di 'avere', nomi propij. Cfr. 183 n, 409.
Indici. — III. Leaùco.
421
abbfld 148.
acantia 128, 410.
aeucilla 170.
adglutire 163.
adlatulare 161.
agóHU 383 n.
ald 147.
alacer 118, 354.
allutfrd 161.
ammainare 372.
amoscino 387.
anche 171 n.
andare 369-70.
anfanare 390-91.
animulilla 128.
annicalaricuB 138.
annidare 138.
ansala 141.
appnlsare 162.
appujgd 162.
a q nana 334.
armultdda 128.
arr§x^ld 148.
asinicói 138.
d5oto 141.
asfiniar^ 122« 163.
auca 136.
ati^ 136.
avica 136.
axnngia 134, 168.
baccano 387-8, 410.
bajnla 136.
beta (betnla) 147,163.
bettola 388.
bietta 388.
borchia 388-9.
broccna -a 154.
bticato 158.
III. Liossico^
Busso n. loc. 168.
cajfra llOn.
calpfsd 168.
camminare 177.
canatu 140, cq;ftia(f 158,
173.
cano5cere 140.
capare 176 n.
capisale 138.
cara 119-121 n, 404.
carreggiare^ 138, 147.
caruso 404.
canlis 136, 142, 156.
cencio 125.
c^ra e cì^a 119-122n.
cerasena -ea, 120,
160, 403-4.
cerboneca 389-390.
Ceree n. loc. 172.
cercine 400.
cerea 1 19-122 n.
cerise 404.
cernijentu 127.
chesia 123, ^cchies^a
157, 160, Ì78.
c?itanca 118.
c/itaftcM'cre 119, 147.
chidppari 136.
C%ij?jf;a 147.
chiuQte 163.
cicnm 171 n.
ciccai 138 n.
citù 136, etto 148.
claTUs 118, 147.
coccalu 134.
coccola 154.
cogito 130.
collyra 135.
colonna 135.
come 181.
compellare 126.
concheola 154.
conchnio- 134, 154.
consobrinns 140.
consno (^cosio) 130, 160.
conto» racconto 183 n.
contrastare- e con-
testari 122 n.
coppola 155.
covelle^ caoelle 138 n.
cozxfca 169.
cras 167.
crf^z^ {ji mf) 167.
crep(i)tn8 parile. 127.
cnbitns 181.
cucchiu aggett 132.
cticcuasa 141 n.
cuddura 135.
cuffejd 173.
cummarglla 156.
cunnla 170.
cuQCchflf 154.
cugtt^ 161.
cupiellf 348.
curia 140.
cuséiu 130.
cussuprmu 140.
d(e)6xcito 125, 410.
derlampare 136.
devacuare 136, 410.
digitns , digitale 128 ,
151. 173.
dilefiare 385.
disetu nome 128.
disetu verbo 125.
* Ricordiamo come il greco-cai. e il friulano abbiano loro speciali lessici
nel corpo del volarne: il primo a pag. 64-71 e 106, il secondo a pag. 834-42.
Archivio glottol. ital., IV.
?8
422
ego 124, 143, 182.
ellnm 150.
encaeniare 135.
erinaceuB 157.
erUciddu 138.
exinversare 126.
facchino 390.
facetula 122 n.
falatiru faraùlu 181.
fanfano 890-91.
fatappio 882>85.
ferge 138.
feria 147.
fer$ura 139.
fervere 126.
fico dola 122 n, 176.
fiezjnu^ fleto 125 n, 135.
figghiuHiatu 138, 140.
-foeare (-fanoare^ 131,
136, 156.
foeteo 135.
foetor 126n, 135.
fome 118 n.
forfex 133,140,165.
frìgidns 128.
MngUlng 128.
frizzare 375.
frixoria 139, 410.
frondea 133.
fuc^tf 130q.
fuddó 138.
fumesia 141.
fumierf 147.
fUngetu 130 n.
furteciddu 138.
/W«<ta 128.
ghiado 377-8.
gibbas 130.
glastmm 118.
glomere- 163.
glyoyrrica 141, 158.
golioso 153.
gomena 886.
Indiei* — IH. Lessico*
gondola 170.
graeulas 136.
baiare 147.
bìmndo 135, 155.
Ilicetum 157.
immu 130.
impulsare 162.
infrictare 129.
insemul 128.
intesare 189.
intorzare 346.
inturboleg giare 141.
inuxorare 143, 153.
inyerticare 126.
jeta 163.
josa 135.
lagenulo- 156.
largio- 173n.
lauruB 136, 142.
Lecce 185.
lendine 398-401.
lev io- 126.
Ludto 157.
Lappiae Lypiae 135.
madd^man^ 148.
inodia 372-3.
magida, mag^s 372-73.
inandalu 136.
manicala 163.
manifTf 147.
maniglia 163.
mansione-, admansio-
nato- 180, 160.
mantesinu 186, 350.
tnarran^a 137.
massaru 119.
ma59^'ra 148.
mattone 373.
mazzfcd 169.
m^jr<i 162.
melo- o milo- (mS-
Inm)? 147.
mensa 148.
metrum 337-8 n.
mezzo 375-6.
micola 159.
miedri 337.
minimienzu 137.
miniminieddu 138.
mmertecare 126.
molo, mòle 360 n.
monedala 122.
mpupicare 138.
muccaturu, moccafurf
130, 158.
mucchio 391.
mum'tuto 122.
naca 140, 407.
tioc^tru 122.
nannàSeni 182 n.
nasche 140.
nasfia 136, cfr. greco-
cai. 32.
natare 118.
nanclems 122.
nemula 124, 140.
nfur^are 137.
nfurra 132.
nghiaccat^^ nguacchiatf
181.
n^/itand 408.
nghiastf 157, 163.
nguajd 161.
niccTiìartfcw 138.
ntmti^ti 4.
no/a 371-2.
nfram^ 118.
nttmtu 132.
naros 134.
nutecare 140, 406.
nzirfja 157.
fijrtirare 143, 153, 159 .
obraucatuB 159, 410.
Ognissanti 180 n.
origanom 128 n, 410.
oriuolo 380.
ÒTiim 131.
pandfchf 169.
panicinm 353.
panlcum? 353.
papusa 141 n.
paramenti 137.
pedata 136.
pèditum 148, 149.
pennaluru 131.
peritarsi 391-2.
pertusum 154.
pfttula 152.
picc^ pfccfjd 408.
piccTit 136 n.
-piceare 151.
piotare 151.
pinsare 119, 130, 410.
plotns 163.
plnbico- 341d.
ponnula 139.
populus 132 n.
post-cras 140, 144, 167.
pozzo possum? 408-9.
praegno- 155.
pusilla 167.
puzella 167.
quadragesima 123, 173.
qnerquedula 385.
ra^.a 160.
ras e a 160, 386.
rasta 118.
rdulu 136.
reddu 141.
r§nacc§ 157.
restuccu 134.
retta {dar) 392.
rezza 125.
riénu 128 n.
rieSu 129.
rnbicare 339.
rugumare 141.
rtmgiellf 156.
tndiei. — III. Lesnoo.
Salgitf n. loc. 148, 162.
Salicetum 148, 162.
sampsuehum 141.
sdnsecu 141.
satizza^ 142 (e cfr. In-
dice I, fi. Dissimilaz.).
sbfld 148.
5&u/frd 161-2.
scalar a 132.
icamajr^d 407.
scapolo 371 n.
scippare 151 n.
scojetatf [scuitatf] 371o.
scortea, scorteum 133,
161.
screzio 392.
scucctato 404.
scutellarium 158.
sdarrazza 156.
/f/atf 167 n.
Ì6ncti 141.
56J9(t/t 137.
seralia 137.
sfincetu 130 D.
sguessa 408.*
sÌM 128.
5m«r^a 126, 404.
smestere 404.
Boeius 154, 340, 408.
some 118.
sorbea 132.
sorbiculare 154.
sor[i]cula 164.
sorores 130, 348.
sorso 406.
spandecd 169.
spara 147.
spingula 14 1 , 1 4 1 n ,
151, 159.
«pti/d 157.
stuetecu 135.
sftitore 153.
snbta 134.
Bubula 163.
Suez 840.
suffandare 176.
423
suluri 130.
summu 130.
sti^ccf 154.
«tfrc/itd 154.
surpd 158.
«urria 132.
tam^ndf (ji) 150 n.
fampanu 141.
taranola 137.
«arma 400.
tarme n 400.
teganum, ttanti, f^-
jatif 137, 169.
te geli a, tiedda^ tifila
137.
tinchiu 125.
torpidus 155 n.
transire 160.
trapetum, trappitu 119,
122.
irfcd 170.
Ire;) 341.
trestieddu 140.
tricari 170.
trivio- 341 n.
trumpare 138.
trupp^dr^zf 164.
<umu 135.
tupanara 162.
TurchianUu d. loc. 131-
turdf 155.
turpe ggiarsi 164.
tymus 135.
nstnlare 140, 163.
tfflt/ana 138.
vacantiva 128.
vadiare 161.
vaginella (vaginula),
vajfn$lla 173.
vdnvera (a) 930-91.
varoletta 139, 157.
verticulo- verticillo- 138
163.
424
Indici. — IV. Varius
vincido 180 n.
viria 139, 167.
vomicare 165.
vrittf vtftta 155.
vrocca 154.
vuoto 370-71.
vute (gomito) 181.
jgfffunnd 176.
zica 171 n.
zQcchfla 164.
IV- Varia.
Cenni geografici intorno al greco-ca-
labro: 1; cenni storici: 71-78, li 0-1 5.
Bibliografia del greco-calabro: 2.
Testi greco-calabri: 79-99, 116.
Cenni storici e geografici intorno al
leccese: 117^ cfr. 142-4; al campo-
bassano: 145-6.
Bibliografia del leccese: 117-8.
Bibliografia friulana: 184-7.
Testi friulani: 188-333.
CimelJ tergestini: 356-367.
Il «basso latino' (<mlat'): 120 n, 122 n,
125 n.
Reliquie delParcaica accentuazione la-
tina: V. nell'Indice I, s. «Accento'.
n principio analogico: spinte e inten-
sità deirazione sua: 394-97, 399-401 ..
Assimilazione fonetica per paralleli-
smo ideologico: 123, 147 n, 149.
Divariazioni fonetiche adoperate a mag-
gior distinzione ideologica: 122, 146.
Scambio di prefissi verbali, e prefissi
ambigui: mpisu 123, mmijrzu 129,
ndoru 131, ntuntu 132, mmoddu^
ncordu 133, ncustare 1 40, n/bcu 131,
135, 158 (num. 75), e cfr. 178.
Composti notevoli: 176,385; e v. pure
Indice II; e pel greco-cai.: 32 («ca-
lapenno)^ 44-5^ 47, 70.
Fusioni curiose di due voci sinonimo
in una: 167; 46 n.
«Paganino' per «bimbo non ancor bat-
tezzato', 43 n.
«sacro' per «battezzato', 343.
«calderajo' per «zingaro', 119.
«uomo di mare' per «lavorante al fran-
tojo', 122.
«milanese' per «catenaccio', 138.
«dalmatica' per «tanica', 387.
«pane schiavonesco' (impastato col mo-
sto cotto), 152.
«damasceno' per «fico', 387.
«signore, signora' per «padre, madre^,
130 n; cfr. 3n (greco-cai. éurt =
xu^ioc).
«nonno, nonna' per «signore, signora',
132.
«canità' per «crudeltà', 174.
«nero' per «majale', 70 (s. kunt).
«culla' e «nave', 140, 170n.
«tosco (parlare)' per «pulito, colto', 168*
«parlare a spiovere' per «parlare a
caso', 167.
«temperare' per «impastare', 138.
«scegliere' per «sbucciare', 176 n.
«sonno' per «sogno' e «tempia', 161.
«sacra' per ^«cbierca' e «cocuzzolo'
343.
«doppio' per «spesso', 163.
«impiastro' per «inezia', 157, 163.
«spendere' come il contrario di «appen-
dere', 123, 148.
«per-a-mente' per «a proposito', 137.
Hispo (Ttffn-oTc) e tipote* per «ninno,
niente', 49, e cfr« 19.
«tale' per «tanto', nella funzione av-
rerb., 352.
«uni' per «alcuni', 352-3.
«uom' per «si', 353.
Una «fata: delle acque' 334.
Il «caprimulgo': sua onomastica e sua
mitologia popolare, 382-85.
Nomi locali desunti da nomi di piante :
40, 148, 157, 168, 172, 359-60.
■» ^- ■
APPELLO AGLI STUDIOSI ITALIANI,
OONCBRNENTS
LA 'FONDAZIONE DIEZ-.
Com'è noto, in Àlemagna s*è da qualche tempo introdotto Tuso
lodevolissimo d'onorare gì* illustri trapassati, piuttosto che con ista-
tue o altri siffatti monumenti, con delle ^fondazioni', le quali, inti-
tolate dal loro nome, giovino in qualche modo al progresso delle
scienze o discipline in cui quegli si furono segnalati, o tornino co-
munque in qualche benefizio dell' universale. Tale è, per esempio, la
^Fondazione Bopp', istituitasi, alcuni anni sono, per promuovere gli
studj glottologici in generale.
Ora, da molti fra i discepoli e ammiratori dell' illustre romanologo
Federigo Dibz, morto il 29 maggio dell'anno scorso, si è sentito il
vivo desiderio d'intitolare dal suo nome una fondazione che abbia
per iscopo di promuovere studj e lavori nel campo di quella filologia
romanza della quale egli ben può chiamarsi il fondatore, e, incorag-
giandone il progresso sulla via tracciata dal gran Maestro, giovi
così ad ampliare e fecondare le nobili resultanze da lui conseguite
e serbi a un tempo ognor viva e presente la memoria de' suoi meriti
imperituri*
Quindi ò che da alcuni* dei principali filologi e romanisti alemanni
volendosi mandare ad effetto questo pensiero, già nato pur nell'animo
di parecchi studiosi anche fuori della Germania e particolarmente in
Italia, s'ordinò dapprima un Comitato in Berlino, poi un altro in
Vienna, facendosi appello da entrambi (.1) a quanti v* hanno, in qual-
(1) La circolare del Comitato berlinese porta la data del 1** febbrsjo 1877
e le firme dei professori Bonitz, Ebert, Grober, Herrig, Mahn, Màtzner,
Mommsen, MuUenhoff, von Sybel, Suchier, Tobler, Zapitza. Quella del Co-
mitato viennese, la data dell'I 1 aprile 1877 e le firme dei professori Demat-
tio, Hortis, Martin, Miklosich, Mussafiai Schuchardt.
426 Fondazione Diez.
siasi paese, discepoli e ammiratori del gran romanologo, per 1* isti-
tuzione di una
'FONDAZIONE DIEZ',
e invitandosi a prendervi parte anche tatti coloro a cui in generale
sta a cuore il progresso del lavoro scientifico, siano essi di stirpi
latine, le cui lingue il Diez insegnò primo a rettamente conoscere
nelle loro reciproche attenenze e nella loro intima natura, siano essi
suoi connazionali, che per opera di questo illustre concittadino vi-
dero così notevolmente accresciuto Tenore degli studj alemanni.
Non 6* è ancora definitivamente fermato il modo in cui dovrà essere
usufruttuato il capitale che si vuol così raccolto al fine di promuovere
il lavoro scientifico nell' àmbito degli studj romanzi. Ma 1* intento
principale è di conseguire un reddito con cui premiare, a determinati
periodi, quelle più meritevoli opere che si pubblicheranno nel campo
degli studj neo-latini, e ciò sempre senz* alcuna distinzione circa la
nazionalità degli scrittori, e, per quanto sia possibile, pur facendo
che ai giudizj prendano parte de' periti d' ogni paese. Si vorrebbero
anche assegnati dei premj alle migliori Memorie intorno a temi da
proporsi. Chiusa poi la raccolta dei fondi, pel che è fissato il 31 di-
cembre 1877 S la 'Fondazione Diez* sarà annessa a uno dei primaij
Istituti scientifici, da cui ne dipenderà indi innanzi ramministrazion^h
I sottoscritti, docenti italiani di filologia neo-latina, costituitisi in
'Comitato per la fondazione Diez', rivolgendosi ora come fanno an-
ch'essi ai loro concittadini per invitarli a concorrere a codesta bel-
l'opera, non dubitano punto che questi ben sentiranno come incomba
alla primogenita fra le stirpi latine di mostrare in quest'occasione
la sua viva gratitudine e la sua profonda venerazione a quel glorioso
/Che fondava la scienza delle lingue romanze, e di contribuir cosi ad
un tempo all'incremento d'una disciplina, la romanologia, che dovrà
far parte essenziale della coltura de' popoli neo-latini. Essi tengono
per fermo che gli studiosi italiani, in questa nobile gara internazio-
nale, risponderanno degnamente alla fiducia espressa negli appelli
che ci vengono d'oltr'alpi e che già hanno trovato pronta adesione
anche in Francia, in Inghilterra ed in Rumenia.
II contributo al quale sono invitati gli studiosi italiani, sarà in-«
cassato dal librajo-editore Ermanno Loescher (che ha casa a Torino,
a Roma e a Firenze), pregato dai sottoscritti a far da tesoriere.
Chiusala colletta con la fine dell'anno S e previa pubblicazione di un
' li termine é stato poi prorogato a tutto il luglio del 78.
Fondazione Diez.
427
conto particolareggiato di quanto si sarà raccolto e dei nomi dei
singoli contribaenti, i fondi saranno trasmessi al Comitato di Berlino
dal quale ò partito il primo impulso e col quale non può dubitarsi
che abbia a procedere di pieno accordo anche il Comitato di Vienna,
comuni essendo gì' intenti e diventando perciò come necessaria anche
la piena concordia nei mezzi. Se però qualche offerta o promessa
fosse vincolata a particolari condizioni, non per questo i sottoscritti
l'accetteranno con minor riconoscenza.
Milano e Torino, il 20 aprile 1877.
Obaziàdio Ascoli (Milano).
Napolbonb Caix (Firenze).
Ugo Angelo Canbllo (Padova).
PjRANCBSCo D'Ovidio (Napoli).
Giovanni Plkchia (Torino).
Arturo Graf (Torino).
Ernesto Monaci (Roma).
Pio Rajna (Milano).
SOSCRIZIONI (1).
Direzione della Rivista di
Riporto L.
550
1
filologia romanza^ sin dal-
Bernardino Biondelli .
**
20
l'ottobre del 1876 . . . L.
100
Carlo Bara vallo. . ,
»
5
Amministrazione e Dire-
Giuseppe Morosi . .
"
5
zione deìV Archivio glottolo"
Carlo Giussani . . .
m
5
gico italiano. • . . . n
100
Carlo Landriani . .
»
10
k
Contessa Ersilia Caetani
Leone Weill-Schott
• f*
50
>
1
Lovatelli »
50 1
Barone B. Castiglia .
n
10
Domenico Comparetti . **
100 1
Francesco D'Ovidio .
f*
20
Giovanni Flechia • . »
50 i
Alessandro D'Ancona .
n
20
Elia Lattes .... »
20 i
Arturo Graf ....
1
*>
20
Ernesto Monaci. • . »
20 i
Fausto Gherardo Fumi
L n
5
Pio Rajna . . . . »»
30 i
\ Pietro Canal« cento ese
m-
Graziadio Ascoli . . »
50 i
plari delle Sentenze
di
Vigilio Inama ... »
20 \
Publio iSiro, da lui v
ol-
Paolo Ferrari ...»
Si riportano . L.
10
garizzate, e . .
Si riportano ,
n
10
i
550 i
i
. L.
730
(1) Le offerte sono quasi tutte state fatte sotto la condizione: che per lo
Statuto della Fondazione Diez abbia a esser chiesta e conseguita l'appro*
vazione della R. Academia dei Lincei.
H
FoiiilBiioDe Dicz. ^^^1
■
Ripprto . .
L. 730
RipoPBro»?S
0. B. GandiDA. . .
- 20
Fausto LasJnlo . . -
Gaspara Oorresio . .
- 10
Ugo Angelo Canello
Michele Amari . . .
- 25
Conto F. L. Pollò .
QiosQÒ Carducci . .
- t»
Pasquale Villari .
Angelo De-Guburnatis
- 10
Napoleone Caix
Giuaep[id Cliìarìai. .
. 10
Pietro Ddzzi . ■
TuUo Massarani . .
- 50
Demetrio Camardd .
BoDaventura Zumbini
. 10
Carlo Hillebraodt .
Augusto Franchetti .
- 10
Giovanni Tortoli .
Leone Fontana. . .
~ ao
R. Acad. della Crusca -
Si riportano .
L. 915
I»
Da S. E, il signor Ministro della PubWioa Utruzione,
per recente suo decreto (luglio 1S78) " ^%
'
■return
. lOAN PERIOD 1
I 14 DAYS
HUMANITIES GRADUATE SERVICE
1 50 Ma i - lil I II, ^ 642-4.
AlL BOOKS MAY BE RECALLEO AFTER 7 DAYS
Renewed books are subject to immediate recali
RETURN TP DESK FROM WHICH BORROWED
DUE AS STAMPED BEIOW
>^
EOwaooe FhtXology
JUN18'79-4PM
RETUFJNEO
MW-s'Tg-sPM
HUM . S UO . ^ iH . iti:
DEC 2 1383-4
Kt.. ijrtTJEO
^K 1 4 '83 -ì: ,
''"'. r.yftp. SEBVICE
-M^FWiP^
A UG - i i 1991 -1 2
HUM PF'-''' St,ì'
PM
FORM NO. DO 17, 6m, 1,76 UNIVERSITY Of CALIFORNIA, BERKElfY
BERKELEY, CA 94720